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17 luglio, 2017

Le 9 di Beethoven secondo Flor e laVerdi. 4


La penultima tappa di questo tour-de-force beethoveniano de laVerdi si presentava – ma solo in apparenza – come una presa di respiro dopo le fatiche delle prime tre giornate, in vista del supremo sforzo della nona, in programma il prossimo 19. La coppia di sinfoniette ed anche i riempitivi (le due Romanze per violino) devono avere tenuto lontano dall’Auditorium il grande pubblico (complice anche la splendida domenica di luglio...)

Ma in realtà la prima e l’ultima delle sinfonie pari, troppo spesso derubricate al ruolo di lavori piuttosto interlocutori, se non proprio disimpegnati, sono tutt’altro che da prendersi sottogamba. E massimamente la Seconda, che fu per Beethoven un impegno di tutto rispetto, come dimostrano le sue stesse proporzioni, durata inclusa, proprio da grande sinfonia; e poi è chiaro che senza di essa – che rappresentò una rottura quasi radicale con la tradizione settecentesca in cui la prima ancora affondava le radici (ne è testimonianza l’innovazione quasi rivoluzionaria dello Scherzo a sostituire il Menuetto) - non ci sarebbe stata subito dopo l’esplosione dell’Eroica. Quindi un’opera che va vista ed ascoltata come un enorme passo in avanti verso il pieno sviluppo della personalità dell’Autore: per questo è un peccato che non sia stata eseguita a ridosso della precedente, il che ne avrebbe esaltato le qualità; ascoltata invece dopo le 5 sinfonie (3-7) maggiori si finisce per ricavarne la fallace sensazione di un passo indietro.

È l’Ottava viceversa a presentare i caratteri, se non proprio di un arretramento, quanto meno di un passo laterale: qui Beethoven sembra volersi (finalmente) divertire componendo una specie di parodia delle precedenti sinfonie impegnate: si osservi l’incipit, che entra direttamente in-medias-res, ma con quale differenza rispetto all’Eroica e alla Quinta (ma tutto sommato anche alla Pastorale). Qui siamo più vicino all’umoresca che non alla proposizione di messaggi universali... come dimostra anche il ritorno del Menuetto, che proprio la Seconda aveva mandato in pensione. Pure si tratta di un’opera che, sotto le apparenze di disimpegno e bizzarro sperimentalismo, impegnò l’Autore in una lunga serie di ripensamenti, modifiche, revisioni piccole e grandi, a testimoniare dell’importanza che egli comunque vi annetteva. (Con un ardito paragone si potrebbe sostenere che l’Ottava stia a Beethoven come il Falstaff a Verdi...)

Flor ha per l’occasione confermato la disposizione degli strumenti (secondi violini al proscenio) e ha fatto uso di bacchetta e partiture sul leggìo... Mi sembra abbia dato il dovuto peso alla Seconda (già a partire dalla ponderosa Introduzione) e la dovuta leggerezza all’Ottava, uscita proprio fresca e frizzante, come si merita.

Il pubblico (dislocato quasi soltanto in platea) ha riservato un caloroso successo per tutti e naturalmente anche per Nicolai Freiherr von Dellingshausen, che ha – incastonate a mo’ di sandwich  fra le due sinfonie - presentato le Romanze op.40 e 50 (cosa da lui già fatta tempo fa). Mercoledi gran finale con la nona, che tenne a battesimo Flor con laVerdi nel lontano 1999 e che il nuovo Direttore Musicale ha recentemente diretto nel tradizionale appuntamento dello scorso Capodanno. 

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