La
penultima tappa di questo tour-de-force beethoveniano de laVerdi
si presentava – ma solo in apparenza – come una presa di respiro dopo le
fatiche delle prime tre giornate, in vista del supremo sforzo della nona, in programma il prossimo 19. La
coppia di sinfoniette ed anche i
riempitivi (le due Romanze per
violino) devono avere tenuto lontano dall’Auditorium il grande pubblico
(complice anche la splendida domenica di luglio...)
Ma in realtà la prima e l’ultima delle
sinfonie pari, troppo spesso
derubricate al ruolo di lavori piuttosto interlocutori, se non proprio
disimpegnati, sono tutt’altro che da prendersi sottogamba. E massimamente la Seconda,
che fu per Beethoven un impegno di tutto rispetto, come dimostrano le sue
stesse proporzioni, durata inclusa, proprio da grande sinfonia; e poi è chiaro
che senza di essa – che rappresentò una rottura quasi radicale con la
tradizione settecentesca in cui la prima
ancora affondava le radici (ne è testimonianza l’innovazione quasi
rivoluzionaria dello Scherzo a
sostituire il Menuetto) - non ci
sarebbe stata subito dopo l’esplosione dell’Eroica.
Quindi un’opera che va vista ed ascoltata come un enorme passo in avanti verso il
pieno sviluppo della personalità dell’Autore: per questo è un peccato che non
sia stata eseguita a ridosso della precedente, il che ne avrebbe esaltato le
qualità; ascoltata invece dopo le 5 sinfonie (3-7) maggiori si finisce per ricavarne la fallace sensazione di un passo
indietro.
È l’Ottava viceversa a presentare i
caratteri, se non proprio di un arretramento, quanto meno di un passo laterale: qui Beethoven sembra
volersi (finalmente) divertire componendo una specie di parodia delle
precedenti sinfonie impegnate: si
osservi l’incipit, che entra direttamente in-medias-res,
ma con quale differenza rispetto all’Eroica
e alla Quinta (ma tutto sommato anche
alla Pastorale). Qui siamo più vicino
all’umoresca che non alla
proposizione di messaggi universali... come dimostra anche il ritorno del
Menuetto, che proprio la Seconda
aveva mandato in pensione. Pure si tratta di un’opera che, sotto le apparenze
di disimpegno e bizzarro sperimentalismo, impegnò l’Autore in una lunga serie
di ripensamenti, modifiche, revisioni piccole e grandi, a testimoniare
dell’importanza che egli comunque vi annetteva. (Con un ardito paragone si potrebbe
sostenere che l’Ottava stia a
Beethoven come il Falstaff a
Verdi...)
Flor ha per
l’occasione confermato la disposizione degli strumenti (secondi violini al
proscenio) e ha fatto uso di bacchetta e partiture sul leggìo... Mi sembra
abbia dato il dovuto peso alla Seconda
(già a partire dalla ponderosa Introduzione)
e la dovuta leggerezza all’Ottava,
uscita proprio fresca e frizzante, come si merita.
Il pubblico (dislocato
quasi soltanto in platea) ha riservato un caloroso successo per tutti e naturalmente
anche per Nicolai Freiherr von Dellingshausen,
che ha – incastonate a mo’ di sandwich
fra le due sinfonie - presentato le Romanze
op.40 e 50 (cosa da lui già fatta tempo fa). Mercoledi gran finale con la nona, che tenne a battesimo Flor con laVerdi nel lontano 1999 e che il nuovo
Direttore Musicale ha recentemente diretto nel tradizionale appuntamento dello
scorso Capodanno.
Nessun commento:
Posta un commento