Un Piermarini scandalosamente semideserto ha accolto
ier sera – prima di chiudere per ferie - l’ultima recita del penultimo
capolavoro teatrale del sommo Gioachino.
Una serata nella più aurea mediocrità, dalla quale sono emersi - a mio modestissimo
parere, e non più in alto che col naso – il protagonista Colin Lee (che non ha fatto troppo rimpiangere il forfettario JDF) e due dei comprimari:
il Raimbaud di Stéphane Degout e la Ragonde di Marina De Liso.
Gli altri, una frana: a cominciare dalla Aleksandra Kurzak, una gran bella gnocca perfettamente integrata
nella pièce di avanspettacolo messa su da Laurent
Pelly,
ma il cui canto (sguaiatezze negli acuti e totale approssimazione nei
virtuosismi) non può esser degno di Rossini (e a ben vedere di alcun altro
serio compositore di opere liriche). Del tutto meritata la salva di dissensi
che l’ha accolta alla singola finale.
Dissensi indirizzati anche al Kapellmeister
Donato Renzetti (chiamato a sua volta a rimpiazzare il titolare Stefano
Montanari) forse perché in fatto di miracoli non si è dimostrato più efficace
di Ory (smile!)
Roberto Tagliavini (Gouverneur), José Maria Lo
Monaco (Isolier) e Rosanna Savoia
(Alice) sono tutti affetti dalla stessa malattia: quando devono cantare nella cosiddetta
ottava bassa fanno la figura del pesce
in acquario: e siccome in Rossini ci sono ad ogni piè sospinto passaggi che attraversano
il rigo da cima a fondo, il risultato è che la metà del testo risulti inudibile,
come succede quando un altoparlante funziona a singhiozzo.
Gli altri e il coro di Casoni su livelli accettabili.
Quanto alla regìa, Pelly ha prodotto una cosa che fatica a raggiungere le
altezze del …vecchio Teatro Smeraldo (oggi
purtroppo riconvertito a mangiatoia). L’eremita in cui Ory si traveste nel primo
atto era una cosa fra Toro Seduto e Ras Kaylù; meglio la suora del second’atto,
però che il terzetto finale venga degradato a scena threesome with dp (chiedere spiegazione agli esperti di porno) supera
ogni immaginazione.
Se
tanto mi dà tanto, quando gli chiederanno di mettere in scena un’opera di
Gluck, lui sceglierà… Ifigonia in Culide (stra-smile!) Che poi il pubblico si
diverta con Rossini ridotto al più sbracato degli avanspettacoli non deve fare
alcuna meraviglia, visto che nello stesso tempio
– e per limitarci a questa stagione – si è usato Verdi come colonna sonora per accompagnare
scene di produzione di lasagne e minestroni.
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