Rispetto ai due precedenti cicli
(12 e 13) dove solo Thielemann (con
orchestra e coro) aveva tenuto a galla il barcone, oggi mi è parso che le cose
siano andate un filino meglio. Forse gli interpreti confermati dal 2013 hanno
fatto esperienza, fatto sta che ne è uscito un Holländer più che dignitoso, fermo restando che stiamo giudicando
da un ascolto dal morto (smile!)
In particolare non mi sono dispiaciuti
la Senta della Merbeth e il
protagonista Youn (Samuel, che ricordiamo
fu chiamato all’ultimo momento due anni fa a sostituire il collega tatuato a
svastiche). L’unica novità del 2014 era l’altro Youn (il più famoso Kwangchul) il quale ha una tecnica invidiabile, ma forse è
troppo abituato a ruoli seri (il Langravio di ieri, o Fasolt o Gurnemanz o il
mozartiano Commendatore) oppure truci (dopodomani farà Hunding) e quindi ha
tirato fuori un Daland fin troppo austero, mentre sappiamo che il
navigatore-trafficone norvegese è un gran paraculo dai principi etici quanto
meno discutibili.
Tornando a Thielemann, sappiamo che
lui fa i suoi scarabocchi sulle partiture, a cui resta indefessamente fedele;
così anche oggi ha gestito a parer suo i tempi (esempio lampante, la prima
parte del terzo atto). Ormai bisogna prenderlo così (lui certo non cambierà le
sue abitudini): è il prezzo da pagare per poter godere della sua bravura…
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