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07 maggio, 2011

Stagione dell’OrchestraVerdi - 33



Un'opera praticamente postuma ed una incompiuta per questo concerto all'Auditorium, che vede sul podio il 53enne nipponico Junichi Hirokami, un tizio scelto perché si adatta perfettamente al podio super-alto della Xian (smile!)

Il Concerto per Violino di Schumann in realtà è un'opera pienamente compiuta, ma che è rimasta allo stato di manoscritto per decenni, causa un ottuso ostracismo alla pubblicazione e all'esecuzione da parte del dedicatario, Joseph Joachim, che la considerava opera di un pazzo (e il bello è che convinse di ciò anche Clara…) Finalmente nel 1937 la composizione è tornata alla luce e può essere oggi eseguita, ascoltata ed apprezzata come si merita. Ricordo una delle prime esecuzioni italiane, anni '70 alla Scala, solista l'indimenticabile Pina Carmirelli.

Certo non è né un pezzo di gran virtuosismo (à la Mendelssohn) né di pura romanticheria (à la Bruch o Wieniawski) ed effettivamente può anche apparire frutto di instabilità psichica (soprattutto il Finale); tuttavia possiede una grande coerenza formale e unità tematica, come dimostra la parentela fra motivi dei due movimenti estremi:



A porcelo è Kolja Blacher, che alterna le esibizioni solistiche a quelle di Konzertmeister e anche di direttore. Tecnica impeccabile coniugata a grande sensibilità, quanto mai richiesta per mettere in risalto le qualità nascoste di questo concerto. Caloroso successo e bis con Bach.

Come è noto, la Decima di Mahler è stata oggetto di misteri, racconti romanzati, prudèrie varie, fino a quando Alma non si decise a rendere pubblico il contenuto dei faldoni che ne contenevano gli abbozzi (decisione maturata più per ragioni, diciamo, di cassetta, che per rispetto della volontà del defunto). Il mondo ha quindi potuto farsi un'idea della situazione materiale ed esistenziale in cui versava Mahler mentre scriveva quelle note. Insieme alle rivelazioni sul colloquio/seduta-psicanalitica avuto con Sigmund Freud a passeggio per le vie di Leiden, ci dipingono un Mahler afflitto da sensi di colpa (nei confronti della moglie) ma anche da presentimenti di una fine ormai incombente.

Il completamento portato a termine da Derick Cooke, con l'ostracismo prima e il pieno appoggio poi (a impresa compiuta ed eseguita) di Alma, ci permette oggi di ascoltare ciò che Mahler aveva messo su carta di tutto quello che aveva in testa: cinque movimenti, di cui uno (Adagio) orchestrato interamente, un altro sommariamente, un altro ancora in piccola parte, e il resto (altri due movimenti) solo abbozzati.

Ciò che quindi ascoltiamo grazie a Cooke è comunque qualcosa di sicuramente diverso da ciò che sarebbe stato il possibile prodotto finito. Se per la Nona e il Lied possiamo almeno avere la certezza riguardo l'impianto generale delle opere (sicuri peraltro che Mahler, avesse potuto ascoltarle, vi avrebbe apportato nei particolari chissà quali e quanti ritocchi) per la Decima, oltre a un mare di note che il compositore non fece in tempo a scrivere (e che Cooke si è dovuto - più o meno plausibilmente - immaginare) ci manca addirittura una ragionevole certezza sulla macro-struttura della sinfonia, a partire dalla disposizione stessa dei movimenti, per la quale Mahler lasciò contraddittorie indicazioni (e conoscendo le sue perenni incertezze su come posizionare i movimenti interni della Sesta, possiamo star tranquilli che l'ordine che si desume dai manoscritti è tutto fuorchè intoccabile). E mancano spessissimo indicazioni sull'agogica-dinamica, che Cooke ha dovuto ipotizzare per analogia con altre composizioni di Mahler. Per non parlare addirittura della formazione orchestrale, abbastanza difficile da configurare, in presenza di pochi righi musicali anonimi.

Qualcuno ha fatto un parallelo fra il completamento di Cooke e quello che Alfano scrisse per la pucciniana Turandot. Il paragone in realtà calza fino ad un certo punto poiché, mentre del finale di Turandot Puccini lasciò soltanto vaghi scarabocchi, ma nessun chiaro impianto (fosse pure scritto su due soli righi) nel caso di Mahler fu completata quantomeno la cosiddetta particell (2 o 3, massimo 5 righi con la presentazione dello sviluppo fondamentale di tutti i movimenti) che è un po' come un torso di una scultura; della quale poi ci mancano quasi tutti i particolari, ma il torso ci dà un'idea almeno delle fattezze generali di quel corpo, cosa che è invece del tutto assente nel caso del finale di Turandot, dove Puccini lasciò una serie di tessere (vagamente colorate) di un mosaico, ma senza la più pallida indicazione dell'oggetto che tali tessere avrebbero dovuto - una volta opportunamente collocate - raffigurare! Quindi: pollice-verso per Alfano (+ complici) e pollice… orizzontale per Cooke.

Tornando a Mahler, ecco un esempio di particell del supposto (poiché il frontespizio reca non meno di sei diverse indicazioni, via via cancellate o corrette) quarto movimento:



Qui invece una pagina della partitura completata da Cooke del quinto movimento, dove si vede, in basso, la particell schizzata da Mahler, e sopra ciò che Cooke ne ha derivato:



Come si vede, Mahler tratteggiò l'idea generale, che poi il musicologo albionico ha arricchito di particolari e/o di riempitivo, inventandoseli per similitudine con altre parti completate dall'Autore, o addirittura con altre sinfonie: un po' come un chirurgo plastico prende brandelli di pelle da una parte del corpo per trapiantarli in un'altra (magari di due persone diverse!)

Cooke ha sempre tenuto a presentare il suo lavoro non come completamento, ma come realizzazione di una versione eseguibile di ciò che Mahler ci ha lasciato. In realtà di completamento bell'e buono si tratta (a meno di non voler giocare con le parole) sia pure prevalentemente relativo alla dimensione verticale della partitura (armonia e contrappunto) più che a quella orizzontale (melodia) oltre che di aggiunta di moltissime indicazioni dinamico-agogiche.

L'Adagio di apertura – come brano a sé stante - è ormai entrato da anni e anni nel repertorio di tutte le Orchestre e nulla v'è da aggiungere a quanto si può leggere ovunque in proposito.

Lo Scherzo (secondo movimento) che richiama vagamente l'atmosfera del Rondo-burleske della Nona, è un'espressione di autentica schizofrenia tradotta in musica: basti pensare che nelle 164 battute della sezione iniziale (prima del primo Trio) ci sono non meno di 114 cambi di tempo (3/2, 2/2 , 5/4, 3/4, 2/4), mediamente più di uno per ogni battuta e mezza. Roba proprio da Freud!

Il centrale Purgatorio (ma Mahler aveva anche scritto Inferno sui suoi appunti) è uno dei movimenti più brevi – brevità francamente sospetta - di tutta la letteratura mahleriana, un Allegretto moderato che sembra fare da spartiacque fra la prima e la seconda parte della sinfonia. Che è completata da un altro Scherzo (definizione apocrifa, peraltro giustificata dalla forma, che presenta due Trii) di un carattere fosco e quasi demoniaco. È chiuso quasi dalle sole percussioni: timpani, piatti da grancassa, e infine da un solo colpo di tamburo militare, completamente coperto (quello che a Manhattan accompagnava il funerale di un pompiere, che i Mahler osservarono da una finestra del loro albergo); e poi dal lunghissimo Finale, aperto ancora dai colpi sordi del tamburo coperto, intercalati da scale ascendenti della tuba; movimento che fa da contrappeso all'Adagio iniziale, in una struttura quindi perfettamente – fin troppo! - simmetrica. Emozionante il ritorno (nei corni, almeno secondo Cooke) del bellissimo recitativo che le viole avevano esposto proprio all'esordio della sinfonia, prima che il tutto si stemperi in un Adagio sempre più adagio, finchè, dopo un estremo innalzarsi di violini e viole, che glissano (a Cooke così piacendo…) dalla sottodominante aumentata fino alla sopratonica, due ottave più in alto, si arriva alla dissoluzione nell'accordo di FA# maggiore.

Questa Decima va in ogni caso ascoltata (Adagio a parte) come un vago e lontanissimo simulacro di ciò che essa avrebbe potuto essere ma – ahinoi – non fu. Hirokami ha il merito di non aver aggiunto altra farina estranea a Mahler a quanta già ne contiene questa controversa versione. Almeno se si escludono le sue escandescenze sul podio: dopo essersi contenuto con Schumann (per rispetto del solista, spero) si è letteralmente scatenato con Mahler (o Cooke, fate voi…) impersonando alla perfezione una di quelle tipiche caricature ottocentesche del direttore d'orchestra mezzo pazzo e vanesio per intero.

Ma per ciò che si è sentito, si merita un bravo, da estendere – con la lode - a tutti gli strumentisti, ieri capitanati dal sempre più autorevole Gianfranco Ricci.

Prossimamente avremo un'accoppiata bizzarra: Rossini e Menotti! Ma prima un'altra grande serata bachiana con Jais e la Barocca.
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