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22 maggio, 2011

È la musica in grado di descrivere alcunchè?



Un fulminante post di John Simon ripropone una questione annosa, riguardante la supposta o millantata capacità della musica di descrivere oggetti, vicende, sentimenti, stati d'animo, concetti filosofici, e via elencando.

In effetti, spesso e volentieri accade che il termine descrivere venga impiegato con faciloneria nel commentare esecuzioni di brani o temi o intere opere musicali. E gli stessi compositori – coscientemente o meno – hanno contribuito a creare questa immagine di musica descrittiva. Un esempio famosissimo ce lo fornì nientemeno che Beethoven con la sua Pastorale; dove, verso la fine della Scena presso il ruscello, il genio di Bonn ci descrive – impiegando il flauto – il canto di un usignolo, poi – coll'oboe – quello della quaglia e infine – col clarinetto – quello del cuculo. Ma i dubbi sulla comprensibilità del solo testo musicale furono tali da fargli aggiungere sulla partitura anche un testo… scritto, con quelle precise indicazioni ornitologiche! Liszt da parte sua ci rappresenta in musica le meditazioni di Lamartine e la vita di Tasso. E Strauss descrive la personalità e le vicende di DonJuan e di Macbeth. Non parliamo poi di Wagner, che ha inventato centinaia di motivi musicali per descrivere qualunque oggetto o concetto che uno si possa immaginare.

Ecco, prima di usare il termine descrivere, bisognerebbe pensarci su un attimo. Provo a fare un esempio che spero chiarisca il concetto. Siamo in una pinacoteca, o in una mostra qualunque di quadri e uno dei dipinti rappresenta un tizio allampanato, che regge una lunga lancia, ha in testa un elmo che pare un coperchio di pentola, monta un ronzino così basso che gli fa strisciare i piedi per terra ed è scortato da un altro tizio ronzinato, dall'aspetto sferoide e depresso, mentre sullo sfondo si vedono un paio di mulini a vento. Ora, soltanto un analfabeta cavernicolo sarebbe incapace di associare il contenuto del dipinto a Don Quijote: perché quel quadro, in effetti, ci descrive l'oggetto con la stessa, se non maggiore, precisione di un testo scritto o parlato. E di sicuro a nessuno verrebbe in mente di vederci invece Don Giovanni o l'Orlando furioso, o Rolando a Roncisvalle, o la tenzone canora della Wartburg. Adesso entriamo in una sala da concerto dove viene eseguito un brano sottotitolato Variazioni fantastiche su un tema di carattere cavalleresco. Immaginiamo un pubblico di 1000 persone che nulla sa di storia della musica ed ascolta il brano senza conoscerne il titolo, né il sottotitolo, né l'autore, né altro. Secondo voi, in quanti su 1000 (ma potrebbero essere anche milioni di miliardi) indovinerebbero trattarsi della straussiana messa in musica delle avventure di Don Chisciotte? Proprio nessuno, perché quella musica potrebbe altrettanto bene evocare l'Orlando furioso o Don Giovanni, o magari le Baruffe chiozzotte o Rolando a Roncisvalle; o una tenzone canora alla Wartburg, piuttosto che le bambole robotizzate del dottor Coppelius, o anche le Mille e una notte raccontate da Sheherazade. Oppure proprio nulla di nulla, poichè potrebbe trattarsi di musica pura, senza riferimenti, né precise ispirazioni.

Ma allora dobbiamo concludere che Beethoven, Liszt, Strauss, Wagner e tutti quanti fossero degli imbroglioni? Non propriamente. Perché, una volta che conosciamo a priori l'oggetto o il soggetto, o il concetto cui la musica si riferisce o dal quale è stata ispirata - e se quella musica è opera di un genio e non di un ciarlatano – ecco che allora possiamo rimanerne colpiti ed emozionati: poichè la musica, incapace a descrivere, è però in grado di evocare qualunque oggetto, soggetto o concetto.

In fondo, è ciò che regolarmente accade nell'Opera lirica, dove la musica sottolinea, accompagna, evoca per l'appunto ciò che il testo (o quanto meno il contesto) ci fa invece conoscere – sì, ci descrive – in modo inequivocabile.

A nessuno di noi, ascoltando il wagneriano tema cantato da Woglinde a metà della prima scena del Rheingold verrebbe in mente di associarlo al concetto di rinunzia… perché quel DO minore potrebbe benissimo evocare dolore, o timore, insicurezza, delusione, insoddisfazione, tristezza, malinconia, mestizia, depressione; o un qualunque altro concetto o sentimento di simili caratteristiche. Ma, una volta che il testo (Nur wer der Minne Macht versagt, nur wer der Liebe Lust verjagt) ci ha precisamente indicato ciò che quelle note per Wagner rappresentano, ecco che – di lì in poi – ogniqualvolta riudiremo quel tema avremo l'evocazione chiara, inequivocabile e drammaticamente precisa dell'incombere sullo scenario di una qualche rinunzia!

Per restare a Wagner e al Ring, nessuno potrebbe associare asetticamente il tema in DO maggiore (SOL-DO/DO-MI-SOL-DO-MI) che udiamo verso la fine del Rheingold, alla spada: quelle note potrebbero rappresentare benissimo il trionfo di Radamès o una carica di Custer o un passaggio dei Bersaglieri! Ma quando – a partire dalla Walküre – riudiamo quel tema mille volte, appiccicato all'oggetto o semplicemente al concetto della Nothung, ecco che allora ne scopriamo perfino la capacità di evocare visivamente una spada estratta dal fodero e poi brandita verso l'alto.
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Ci sono poi circostanze in cui, da sola, la musica nulla può. Ad esempio, sia in Wagner che in Verdi troviamo delle incudini. Sempre nel Rheingold, terza scena, giù a Nibelheim, Wagner vuol mostrarci in musica la fucina dove Alberich costringe i suoi schiavi a produrgli il tesoro. Ma per rappresentare adeguatamente le incudini su cui i poveracci picchiano i loro martelli, purtroppo la musica non gli basta più, ed è costretto ad impiegare proprio 18 vere incudini, di diverse grandezze (notate in FA su tre ottave) sulle quali vengono picchiati altrettanti martelli, al ritmo del tema dei Nibelunghi. Nel Trovatore, la Gitana, Verdi ha a che fare con un libretto che recita testualmente: al tempestar dei martelli cadenti sulle incudini. E anche lui se la cava prescrivendo in partitura due (o più…) incudini o aggeggi simili (che emettono suoni vicini a due DO a distanza di un'ottava) percosse alternativamente.
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Ma la bancarotta totale della musica descrittiva fu certificata da Respighi. Il quale, vivendo in tempi di avanzata tecnologia fonica, nei suoi Pini non ci si provò nemmeno ad imitare l'usignolo (come aveva fatto Beethoven, col flauto) ma prescrisse l'intervento di un …grammofono, a riprodurre il canto registrato del volatile! E siccome non c'è limite al peggio, in seguito è arrivato qualche ciarlatano a contrabbandarci come musica anche il rumore (oh yes, mr. Ross!) di elicotteri volteggianti in cielo…
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