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18 maggio, 2011

Barenboim con la WEDO alla Scala per i 100 anni dalla morte di Mahler


In questi tempi piuttosto disgraziati, vedere e soprattutto sentire suonare insieme islamici ed ebrei, palestinesi ed israeliani – mentre i loro rispettivi popoli e rappresentanti politici non fanno che guardarsi in cagnesco, se non di peggio - fa sempre un certo effetto, tanto che si è portati a sospettare che questa della WEDO altro non sia che una piccola oasi felice in un deserto di miserie, o una iniziativa velleitaria e di scarsa utilità pratica rispetto alla soluzione dei problemi del medioriente.

Bridging the gap titolava qualche anno fa un bel servizio del Guardian sulla Divan: ma quella frattura sembra purtroppo allargarsi, e gettare un ponte sopra di essa appare sempre più difficile, data l'enorme asimmetria che caratterizza la situazione politica palestinese. L'impressione che si deriva dal leggere le storie di questi ragazzi è che gli orchestrali ebrei-israeliani vivano la bella avventura nella Divan (perché c'è Barenboim? anzi… due: padre direttore e figlio primo violino!) come vivrebbero analoga avventura nella IPO o in qualunque altra filarmonica del pianeta, diretta da grandi firme: loro vengono comunque da un Paese libero, dove hanno le loro famiglie, le loro case e soprattutto la loro libertà. Invece per i palestinesi (anche quelli con cittadinanza israeliana) la Divan pare essere un luogo dove rifugiarsi, lontani da un mondo che li discrimina o addirittura li opprime. In fondo è una condizione non molto diversa – e probabilmente un pochino frustrante - da quella in cui ha vissuto per gran parte della sua esistenza il compianto co-fondatore della Divan, Edward Said, palestinese (cristiano) di origine, ma di fatto completamente americanizzato, e che per la sua patria ha potuto ottenere assai poco di veramente determinante, per quanti sforzi abbia dedicato alla causa.

Così come Barenboim, pur con le sue iniziative, anche clamorose (come l'esecuzione di Wagner in Israele o il concerto a Ramallah del 2005) ben poco è riuscito ad ottenere dai governi del suo paese sui fronti più scottanti del permanente conflitto fra i due popoli (insediamenti, muro, discriminazioni, embarghi); anzi, in Israele si è attirato forse più antipatie che consensi. Insomma, la Divan rischia di restare un bell'esempio di convivenza pacifica… ma guarda caso fuori dallo scenario dove di quella convivenza ci sarebbe bisogno come dell'aria. Per dire, l'Orchestra non ha sede né a Gerusalemme, né a Ramallah, né a TelAviv, ma è ospitata in Spagna e suona prevalentemente in giro per il mondo e pochissimo in medioriente. Certo, le iniziative che la fondazione Barenboim-Said promuove in Palestina (di acculturamento musicale dei giovani) sono meritorie, ma appaiono come gocce nel mare, e soprattutto si scontrano con uno status-quo che ne condiziona pesantemente lo sviluppo.

Quanto a noi, ci basta ed avanza ascoltarli suonare – e così bene – questi ragazzi, e poco ci curiamo di tutto il resto.

La Decima di Mahler (di cui Barenboim qui ha diretto solo l'Adagio) dopo la pubblicazione dei manoscritti originali, è diventata in questi ultimi anni terreno di scontro ideologico fra chi ne vorrebbe un totale rispetto (e quindi la riservatezza) e chi invece la usa come una specie di palestra per aspiranti completatori. Il più famoso dei quali fu Deryck Cooke, la cui versione viene tuttora rivista ed emendata, e non solo dai suoi discepoli/collaboratori (Goldschmidt e i fratelli Matthews). Nell'ormai lontano 1964, proprio nel periodo in cui Cooke – Alma permettendo - stava facendo eseguire la sua prima versione dell'intera sinfonia, Erwin Ratz, nella sua prefazione all'edizione Universal dell'Adagio scriveva papale-papale: Ciò che sta scritto su questi fogli (i manoscritti mahleriani, ndr) era completamente intellegibile dal solo Mahler, e nemmeno un genio sarebbe capace, da questo stadio di sviluppo del lavoro, di divinare l'approccio alla sua forma definitiva. Ma proprio mentre sparava questo grosso siluro a Cooke, anche lui pubblicava l'Adagio, dopo averlo a sua volta editato (in quanto incompleto la sua parte) in base alla considerazione che ormai quel movimento era entrato nel repertorio di tutte le orchestre, e tanto valeva dargli una veste, per così dire, ufficiale, con la benedizione della Internationale Mahler Gesellschaft di Vienna. Quindi un approccio solo quantitativamente diverso da quello del musicologo britannico e dei suoi aiutanti.

Se si confrontano le due partiture – di Ratz e Cooke – si possono rilevare differenze di varia natura: alcune sono bizzarrìe belle e buone, come notare un FA bequadro (Cooke) invece di un MI diesis (che Ratz non si accontenta di indicare in chiave, ma scrive esplicitamente davanti alle note); in altri casi troviamo indicazioni agogico-dinamiche divergenti (dove Cooke è assai più ricco ed esplicito di Ratz); infine abbiamo differenze non da poco nell'orchestrazione, dove ad esempio Cooke impiega fino a 4 flauti, 4 oboi, 4 clarinetti e 4 tromboni (mentre Ratz si limita a tre), prevede clarinetto basso e controfagotti (assenti nella versione Ratz) e a volte ispessisce il suono aggiungendo oboi e flauti sopra gli ottoni (peraltro sempre in modo distinguibile rispetto al contenuto del manoscritto). Certo, ad un ascolto superficiale son differenze magari impercettibili, che non cambiano poi di molto la sostanza, ma che testimoniano dell'incompletezza del lavoro mahleriano, che dobbiamo accontentarci di immaginare, più che di assaporare compiutamente.

E per la verità i ragazzi della Divan – guidati da quel vecchio marpione che è Barenboim – han fatto davvero di tutto per facilitare la nostra immaginazione (perdoneremo volentieri qualche attacco incerto e un'indecisione delle trombe nel grandioso tutti che precede la conclusione del movimento).

Dopo Mahler (di cui precisamente oggi cade il centenario della morte) Beethoven e l'Eroica. Qui Barenboim chiama i rinforzi non usati in Mahler (rispetto all'organico beethoveniano abbiamo un raddoppio di flauti, oboi e fagotti e un elemento in più per clarinetti e corni) e ci regala un'esecuzione più che dignitosa (la Filarmonica scaligera, per dire, credo non farebbe di meglio). Il trionfo per tutti è completato da un bis degli archi (più l'arpista, tornata sul palco) con l'Adagietto mahleriano.

La tournèe della WEDO prosegue questa sera con lo stesso programma a Roma, Parco della Musica. Venerdi 20 altra replica al Musikverein e sabato 21 alla Pleyel di Parigi. Domenica 22 alla Philharmonie di Berlino (con Berg al posto di Mahler).
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