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consulta e zecche rosse

31 dicembre, 2010

Capodanno, stagione di concerti. OrchestraVerdi - 16



Con tutto il rispetto (che a Cappelletto, oltre che a mamma-RAI, pare sia venuto meno, smile!) per il Neujahrskonzert viennese, laVerdi già da qualche anno segue la buona tradizione di festeggiare il cambio di calendario con Beethoven, come suggerisce il beneficiario di una petizione che lo reclama al posto che fu di Abbado e poi di Muti.

 
E così anche quest'anno, dal 30 dicembre al 2 gennaio, sono in programma non una, né due, né tre, ma dicansi quattro esecuzioni della suprema opera di Beethoven. Sul podio Xian Zhang.

 
Ieri sera la partenza di questo tour-de-force è stata invero entusiasmante, conclusa con un quarto d'ora di ovazioni, applausi, bis e chiamate per i protagonisti.

 
Una Nona che ha poco da invidiare ad altre celebri immortalate su vinili, cassette, cd e dvd. Orchestra e coro evidentemente a pieno regime e perfettamente carburati (siamo quasi a metà stagione) al contrario di quanto accadde l'ormai lontano 5 settembre in Scala, al rientro dalle ferie…

 
Zhang tiene un approccio à-la-Toscanini: tempi stringatissimi, durata attorno ai 60 minuti, forse pure meno (grazie anche agli sconti sui ritornelli dello Scherzo). Gesti imperiosi a guidare le imponenti masse di strumentisti e cantanti. Davvero da incorniciare l'attacco di violini secondi e viole dell'Andante moderato in 3/4 del terzo movimento, e il recitativo dei violoncelli nel Finale. Bravi i quattro solisti, disposti fra orchestra e coro, nel luogo di norma occupato dai corni, spostati a destra del Direttore, sotto gli altri ottoni. All'altezza della sua fama il coro di Erina Gambarini, che ha fatto tremare anche le poderose travature dell'Auditorium!

 
Insomma, come fine d'anno questo concerto ci ripaga di tutti i magoni che ci ha dato Berlusconi (che concentra in sé tutte le peggiori attitudini verso arte, cultura e musica seria!) In attesa di tempi migliori. Che, fosse per laVerdi, sarebbero già qui: basta dare un'occhiata al programma della Befana...
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24 dicembre, 2010

Buon Natale da “laVerdi barocca” con un grande Messiah

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Per omaggiare il prossimo Natale non c'era nulla di meglio del concerto de laVerdi barocca, che mercoledì 22 ha presentato nientemeno che il Messiah di Georg Friedrich Händel (per i suoi padroni di casa albionici: George Frideric Handel). In un Auditorium che non ho mai visto così gremito neanche ai principali concerti della regular-season! In effetti si tratta di un'opera che suscitò un tale entusiasmo già alla prima rappresentazione - a Dublino, 13 aprile 1742 - che per far posto a quanta più gente possibile (più di 700 persone) dentro la Neal's Musick Hall in Fishamble Street (capienza nominale di 600 posti) si invitarono le ladies a presenziare (oh, my God!) senza crinoline e i gentlemen a lasciare a casa (dammit!) le spade.

Ruben Jais ci ha proposto per intero la Prima Parte (più direttamente afferente al Natale) e una corposa sintesi delle altre due. Martedi 21 i soci de laVerdi avevano potuto beneficiare di un'anteprima, nell'ambito della meritoria iniziativa dei Discovery Concerts, dove si assiste in pratica ad una sessione di prova dell'orchestra e del coro, introdotta da interessanti considerazioni del Direttore. Jais guida laVerdi barocca, un complesso cameristico di 15 archi, guidato da Gianfranco Ricci (già approdato di recente alla sedia di Konzertmeister dell'Orchestra principale) rinforzato da due oboi, un fagotto, due trombe, timpani e due tastiere. L'Ensemble vocale di Gianluca Capuano (che accompagna anche al cembalo) è abbastanza ridotto (sedici, pochi, ma buoni) proprio come doveva essere quello di cui disponeva Händel alla prima di Dublino. I quattro solisti – Sonya Yoncheva, Sonia Prina, Cyril Auvity e Christian Senn – hanno completato l'organico.

Il successo è stato grandissimo per tutti, e Jais ha regalato come bis (e auguri di Natale) l'Hallelujah (con i solisti mescolatisi al coro) e davvero sarebbe stato il caso che il pubblico lo ascoltasse alzandosi in piedi – secondo la tradizione albionica inaugurata da Re Giorgio II - in segno di reverenza e ammirazione per l'opera e per i suoi interpreti. Una serata davvero speciale (senza nulla togliere ai meriti del costoso concerto natalizio della Scala, smile!)

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L'Oratorio è diviso in tre Parti, sommariamente riconducibili a: Natività, Sacrificio e Redenzione. Copre quindi tutta la vicenda liturgica che va dall'Avvento all'Ascensione… e oltre. Composto in pochissimi giorni – dal 22 agosto al 14 settembre del 1741 - e in un periodo per lui di vacche magre, da un Händel caduto in disgrazia (artistica) insieme alla sua Opera Italiana, è poi diventato nei secoli il suo più grande capolavoro. Come spesso succedeva a quei tempi, ad ogni nuova esecuzione vi venivano apportate modifiche piccole o grandi (cambi di tonalità, o vere e proprie varianti di arie) per far fronte alle circostanze del momento, massimamente la disponibilità di solisti e strumentisti, e così del Messiah non esiste una versione authoritative, anche se quella di maggior riferimento resta sempre l'edizione critica prodotta a cavallo fra '800 e '900 da Friedrich Chrysander. La compagine orchestrale di base è formata dai soli archi, più il continuo (cembalo o pianoforte) ma spesso compaiono anche gli oboi, di cui Crysander semplicemente annota la presenza sul rigo del canto (o soprano) e poi – ma solo in momenti eccezionali - trombe e timpani. Le componenti di base dell'Oratorio sono i Recitativi (secchi o più frequentemente accompagnati) e le Arie, affidati ai solisti (normalmente i quattro classici S-A-T-B) e i Cori. Oltre ai due brani strumentali: la Sinfonia e la Pifa (una pastorale, a metà della Prima Parte).

A differenza di altri oratori (dello stesso Händel, ma anche di Bach o di Mendelssohn) questa è un'opera che parrebbe a prima vista nulla più che una collazione di citazioni dai Testamenti, messa insieme da tale Charles Jennens (un bizzarro possidente terriero, cristiano un po' anomalo e cultore di Shakespeare, che scrisse altri quattro oratori per il grande Georg) buona appunto per celebrare la Quaresima o, come è diventato ormai consuetudine, l'Avvento. L'assenza di personaggi identificati con nome (e cognome) sembrerebbe privarlo di quella caratterizzazione drammatica, tipica appunto di queste composizioni, che sono appunto dei drammi da rappresentarsi soltanto con l'ausilio del suono e senza quello delle scene.

Viceversa è sorprendente constatare come, a dispetto dell'anonimato dei personaggi (quattro - ma a volte fino a sette – solisti, più il coro) il lavoro abbia contenuti altamente drammatici (e qualcuno lo ha già impiegato per realizzare esecuzioni sceniche, magari discutibili…) Ciascun personaggio, cantando passi delle Scritture, in realtà esprime i sentimenti, le sensazioni, le gioie o i timori, lo stupore o l'incredulità, la speranza o la delusione dei diversi settori e componenti della popolazione di Palestina, di fronte allo svilupparsi della straordinaria vicenda del Messia.

La Prima Parte ci racconta della Natività. Teatralmente si potrebbe suddividere in tre scene o sezioni, o quadri: Le promesse del Vecchio Testamento, La Nascita e Le opere e i miracoli del Messia.

Si apre con la Sinfonia, di struttura bipartita: un iniziale Grave, in MI minore, con ritornello, seguito da un Allegro moderato, sempre in MI minore, con fugace comparsa di SOL maggiore, fino alla chiusa ritardando, che riporta al tempo iniziale e al MI tenuto in unisono dagli archi, con l'accordo minore nel clavicembalo.

Ora si passa a MI maggiore (Larghetto e piano) per il recitativo accompagnato sui versi Comfort ye! (da Isaia 40, 1-3) normalmente affidato al tenore (a volte al soprano). È l'annuncio a Gerusalemme della fine delle iniquità (il canto si appoggia sulla dominante SI maggiore) e l'invito a preparare le strade per l'avvento del Signore (il recitativo si chiude sulla sottodominante LA). Finissimo l'uso dello sbifido tritono (SI-MI#) a presentare la parola iniquity! Come la quasi assenza dell'orchestra (solo poche note qua e là) per descrivere il deserto in cui risuona la voce del profeta.

L'aria che segue, Every valley shall be exalted (Isaia 40, 4) è un Andante, ancora in MI maggiore, con modulazione alla dominante SI. Mirabile la capacità di Händel di rendere la luminosità della prospettiva dell'annuncio, con lunghe volute di semicrome a sottolineare l'exalted.

Tocca adesso al Coro rispondere, con un grandioso Allegro 3/4, fugato, in LA maggiore, And the glory of the Lord shall be revealed (Isaia 40, 5): è il popolo intero (anzi l'intera umanità, all flesh) che gioisce al tanto sospirato annuncio e le voci – talora disgiunte, talora in sincrono – ci rendono partecipi di questa straordinaria eccitazione.

Ancora un recitativo accompagnato, stavolta del basso (in RE minore, FA maggiore) Thus saith the Lord of Hosts (Aggeo 2, 6-7) e poi The Lord, whom ye seek (Malachia 3, 1): è il profeta che grida drammaticamente le grandiose parole bibliche, che contengono l'annuncio dell'avvento del Messia.

Gli risponde (Larghetto) quasi trepidante e timorosa, 3/8 in RE minore, la voce del contralto (opportunamente sostituita da Händel a quella originale del basso) che canta But who may abide the day of his coming (Malachia 3, 2). Di quest'aria esistono almeno tre diverse versioni: la prima (per basso, e anche – trasposta in MI minore – per tenore). La seconda (che viene normalmente eseguita) è per contralto (ma anche, trasposta in MI, per tenore, e in SOL per soprano). La terza è in SOL minore per soprano. Le ultime due sono caratterizzate da un intermezzo in prestissimo (4/4) e tutto in quartine di semicrome, che torna due volte a sottolineare contemporaneamente le vorticose ventate e l'umano terrore provocati dal passaggio del fuoco del fonditore che purifica le anime.

È ancora il coro a ribadire convintamente l'effetto purificatore della venuta del Messia, cantando (Malachia 3, 2) And He shall purify the sons of Levy, che è un Allegro fugato in SOL minore, dove a turno tutte le sezioni del coro chiudono la parola purify con inebrianti volate di semicrome a quartine. La musica è derivata da quella di un duetto italiano (Quel fior che all'alba ride, n°15 della raccolta 32-a) e in particolare dalla sua seconda parte, sui versi L'occaso ha nell'aurora, e perde in un sol dì la primavera… composto da Händel poco tempo prima del Messiah (a proposito di impresti, Rossini non ha inventato nulla!)

Un recitativo secco del contralto ammonisce: Behold! a virgin shall conceive and bear a son (Isaia 7, 14 e Matteo 1, 23). Poche parole, in RE, che concludono con un nome, una certezza: Emmanuel, God with us!

L'aria successiva, sempre in RE maggiore (con appoggio in fine frase alla dominante SOL) è un Andante in 6/8: O thou that tellest good tidings of Zion (Isaia 40, 9) che invita il portatore della buona novella a gridare dalle più alte vette: ammira il tuo dio! E poi (Isaia 60, 1) Arise, shine, for thy light is come la luce è arrivata e con essa la gloria del Signore. E il coro ancora riprende le due invocazioni, quasi all'unisono.

Ma ora, quasi a sorpresa, in mezzo a queste manifestazioni di gioia, riecco il profeta (basso) esporre le drammatiche parole (Isaia 60, 2-3) For behold, darkness shall cover the earth, in un recitativo accompagnato, caratterizzato dalle quartine di semicrome degli archi, in SI minore, che descrivono proprio il brivido di freddo di chi vive nell'oscurità. Ma è questione di pochi secondi, perché il sorgere del Signore rischiarerà le tenebre e illuminerà anche i Pagani. Il tutto con modulazione a RE maggiore. Poi si torna al SI minore per preparare la successiva aria.

The people that walked in darkness (Isaia 9, 2) è un Larghetto dove il basso ancora ricorda chi ha vagato nell'oscurità e si è attardato nella terra dell'ombra della morte; ma su di loro risplenderà la luce. Al solito, sulla pronuncia di light, la tonalità modula a RE e poi SOL maggiore. Torna a SI minore per la ripetizione del verso iniziale.

Il coro interviene (Andante Allegro in SOL maggiore) cantando (Isaia 9, 6) For unto us a child is born. Si noti come il motivo che accompagna queste parole (dominante-tonica-sottodominante-mediante) sia derivato (nella stessa tonalità) da un altro duetto italiano (No, di voi non vo' fidarmi, cieco Amor, n°16 della raccolta 32-a). Ma è anche quasi esattamente lo stesso (spostato una terza sotto) di quello che impiegherà Mendelssohn nel primo coro della sua Lobgesang (in effetti più un oratorio che una sinfonia, e non a caso assai popolare nel Regno Unito!) sulle parole Lobt den Herrn mit Saitenspiel, lobt ihn mit eurem Liede. Sulla parola born le varie sezioni del coro vicendevolmente si slanciano in volate di semicrome a quartine, proprio come avevano fatto in precedenza, sul termine purify, e la cosa non può essere casuale.

Finisce così la sezione che riguarda l'annuncio dell'Avvento del Messia. Ora una Pifa (Sinfonia Pastorale) ci introduce alla seconda sezione, che tratta propriamente della Natività. È un Larghetto, e mezzo piano, in 12/8 e DO maggiore, che ricorda gli zampognari che a Natale arrivano (o arrivavano, ai tempi) in città dalle campagne, e che forse Händel aveva udito durante il suo lungo soggiorno italiano. Struttura semplicissima: A-B-A (spesso, e lo faceva lo stesso Autore, si esegue soltanto la prima sezione A… ma Jais saggiamente non ha voluto fare tagli!)

È il soprano – quindi una donna del popolo di Palestina, non un evangelista (anche se le parole sono tratte da Luca) - a darci la testimonianza diretta – quindi non una cronaca per sentito-dire – di quanto avvenne in quella indimenticabile notte. Lo fa con quattro recitativi (due secchi, alternati a due accompagnati): è un altro momento di altissima drammaticità, oltre che di poesia. Vediamo come.

There were shepherds abiding in the field in DO maggiore, una sola frase, che sale dalla dominante SOL fino alla mediante MI, per poi appoggiarsi sulla tonica. Il clavicembalo si limita a tenere un pedale di accordi. Sono i pastori che, nella calma e tiepida notte stellata, stanno custodendo le loro greggi (Luca 2, 8).

Ed ecco lo straordinario avvenimento (recitativo accompagnato): And lo! the Angel of the Lord came upon them (Luca 2, 9). Esistono almeno due versioni di questo brano (entrambe in FA maggiore): una più stringata e mossa; l'altra più estesa (per semplice ripetizione di versi) e quindi più diluita e meno drammatica (Jais sceglie la prima). I pastori sono più atterriti che altro dall'improvvisa apparizione dell'Angelo.

And the Angel said unto them, Fear not (Luca 2, 10-11) altro recitativo secco, in LA, dove si descrive l'Angelo che tranquillizza i pastori, annunciando loro la lieta novella della nascita di Cristo, il Signore.

Ecco il quarto recitativo (accompagnato): And suddenly there was with the Angel a multitude of the heavenly host (Luca 2, 13). È un Allegro in RE maggiore, che introduce il successivo coro, della moltitudine di Angeli e celesti creature, qui mirabilmente rappresentati dalle svolazzanti quartine di semicrome dei violini!

Glory to God in the highest, and peace on earth, goodwill towards men è il celeberrimo Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Luca 2, 14). Siamo sempre in RE maggiore, Allegro. Compaiono anche due trombe a rinforzare la perorazione. Mirabile poi la resa drammatica che Händel riesce a dare del brano: estremamente mosso ed esaltato sulle parole Gloria a Dio; calmo, piano e disteso su Pace sulla terra; in forma di agile contrappunto sulle parole Uomini di buona volontà, dove la tecnologia musicale (per così dire) riesce ad esprimere in modo davvero straordinario il concetto di armonizzazione – purchè esista la buona volontà - delle più diverse individualità umane! Un ultimo tocco da maestro: i violini e il clavicembalo che concludono il brano esalando un trillo, proprio il battito d'ali dell'ultimo angelo che scompare nell'oscurità…

L'ultima sezione della Prima parte è riservata alla lode delle opere del Messia.

Rejoice greatly, O daughter of Zion! (Zaccaria 2, 9-10). È il soprano (a volte il tenore) a cantare quest'aria (Allegro in SIb) di cui esistono almeno due versioni, quella originale in 12/8, col da-capo, e un'altra – normalmente eseguita oggi, anche da Jais – in 4/4, più condensata. È l'invito che la donna fa ai suoi concittadini a gioire per l'arrivo del Messia, che parlerà di pace ai Pagani. La sezione centrale, più lenta, sulle parole He is the righteous Saviour, passa in SOL e poi in RE minore, prima della ripresa in SIb maggiore sul Rejoice.

Adesso è il contralto che canta un recitativo secco, Then shall the eyes of the blind be opened (Isaia 35, 5-6) che elenca alcuni miracolosi effetti della venuta del Messia: ciechi che vedono, sordi che odono, zoppi che saltano come cervi, muti che cantano. La versione originale era per soprano, semplicemente trasposta.

È seguito da un'aria costituita dalla collazione di due citazioni: He shall feed his flock like a shepherd (Isaia 40, 11) e Come unto him, all ye that labour and are heavy laden (Matteo 11, 28-29). In origine era in SIb maggiore, per il solo soprano. La versione che si ascolta normalmente è quella dove la prima parte (in FA maggiore) è cantata dal contralto (che ha esposto il precedente recitativo) e la seconda (SIb) appunto dal soprano. Anche qui troviamo il ritmo cullante (12/8) della siciliana, che ben rappresenta l'atmosfera di calma e fiduciosa attesa del giogo del Signore.

Che è un giogo leggero a sopportarsi, come canta il coro finale della Prima Parte, His yoke is easy and his burden is light (Matteo 11, 30) sempre in SIb maggiore (4/4). Si tratta di una corposa ma eterea – appunto, leggera! - fuga, il cui motivo principale è mutuato dal citato duetto italiano Quel fior che all'alba ride, questa volta proprio dalla sua sezione principale.

Venerdi 28 Agosto, 1741. Così si legge sul manoscritto originale di Händel alla fine della Prima Parte.

Come detto, delle altre due parti dell'Oratorio Ruben Jais ha presentato una versione (non molto) abbreviata.

La Seconda Parte tratta delle vicende che vanno dalla Passione, alla Morte e Resurrezione, fino al Secondo Avvento, all'evangelizzazione del mondo e allo stabilirsi del Regno di Dio.

La sezione dedicata al sacrificio è aperta dal coro, con un Largo in SOL minore, sulle parole Behold the Lamb of God that taketh away the sin of the world (Giovanni 1, 29): il celebre Ecco l'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo. Un contrappunto severo e accorato, con due soli e fugaci abbandoni al modo maggiore.

Segue la lunga aria del contralto (ne esiste anche una versione per soprano) composta da due citazioni relative alla flagellazione del Messia : He was despised and rejected of men (Isaia 53, 3) e He gave his back to the smiters (Isaia 50, 6), organizzate secondo lo schema A-B-A. La prima parte è in MIb maggiore (SIb per il soprano) e tempo Largo, dove sentiamo tutta la pena per l'uomo dileggiato e respinto, votato al dolore; la seconda è nello stesso tempo, ma in tonalità minore (DO-SOL e SOL-RE rispettivamente per le due interpreti) ma soprattutto caratterizzata dall'ostinato susseguirsi trocaico di semicroma puntata + biscroma dell'orchestra, a sottolineare la brutalità e l'insistenza delle offese (anche materiali) portate al Messia ed allo stesso tempo la sua fermezza nell'affrontarle e nel porgere l'altra guancia.

Quindi è la volta del coro, che con tre interventi chiude la sezione del sacrificio (Jais ha omesso questa parte, passando al successivo All they that see him). Dapprima cantando Surely he hath borne our griefs (Isaia 53, 4) in DO minore, dove ancora il ritmo trocaico dell'orchestra ci ricorda del dolore e delle pene che il Messia ha sopportato per noi. Il brano conclude però ottimisticamente in LAb maggiore.

Successivamente (Isaia 53, 5) And with his stripes we are healed (Moderato, alla breve) le voci cantano in contrappunto la constatazione che la tortura del Messia rappresenta la nostra guarigione.

E infine All we like sheep have gone astray (Isaia 53, 6) è un Allegro moderato in FA maggiore, dove l'animato contrappunto sembra proprio mimare lo smarrimento del gregge, che si disperde in mille diverse direzioni. Dopo la sospensione sulla dominante DO, la chiusa è un Adagio, in FA minore, sulle parole il Signore ha preso su di sé le iniquità di tutti noi, dove si esprime quasi un rimorso per quelle iniquità.

Adesso viene il racconto del Messia rinnegato dai Giudei (Jais ha ripreso da qui). È il tenore ad esporlo con un recitativo accompagnato
All they that see him, laugh him to scorn (Salmi 22, 7) in SIb minore, ancora con l'insistente ritmo trocaico dell'orchestra, che sottolinea qui le offese verbali e gli scherni di cui è fatto oggetto il Messia. Segue immediatamente il coro che canta, in DO minore Allegro, con diverse modulazioni, He trusted in God that He would deliver him (Salmi 22, 8) per l'appunto le frasi di scorno che sfidano il Messia a farsi liberare dal suo Dio, se se ne diletta così tanto. Ancora una volta, ascoltando il magistrale contrappunto di Händel, sembra quasi di vedere la gente che fa girotondi intorno al Messia prigioniero per insultarlo e sbeffeggiarlo!

Ora è il momento drammatico della crocifissione, uno dei più stupefacenti di tutta l'opera. È il tenore (a volte il soprano, nella prima parte) a farcelo vivere, con due coppie di recitativo accompagnato e aria. Dapprima Thy rebuke hath broken his heart (Salmi 69, 21) in tono minore, un lamento di straordinaria efficacia, dove la voce del solista vaga inutilmente in cerca di conforto, nella spettrale atmosfera creata dalle lunghe note tenute degli archi e dai lugubri accordi del continuo. Sulla seconda ripetizione delle parole broken his heart, violini e accompagnamento esalano un trillo, sul FA#, che si appoggia al MI sottostante, e che ci dà precisamente l'idea di una stretta al cuore!

L'aria che segue immediatamente, Behold, and see if there be any sorrow like unto his sorrow (Lamentazioni 1, 12) Largo e piano, in MI minore, non fa che prendere atto della pena del Messia, la più grande che mai sia stata sofferta.

Ora l'altro, brevissimo recitativo accompagnato: He was cut off from the land of the living (Isaia 53, 8) che ci descrive la morte del Messia, distrutto dai peccati dell'Umanità. Seguito immediatamente dall'aria di Resurrezione But Thou didst not leave his soul in hell (Salmi 16, 10) un Andante Larghetto in LA maggiore (con modulazioni alla dominante MI) che serenamente prende atto che Dio non ha abbandonato il Figlio agli Inferi e alla corruzione del corpo.

A questo punto – Jais ha saltato questa parte, fino al successivo The Lord gave the word - il coro risponde con Lift up your heads, O ye gates (Salmi 24, 7-10) in FA maggiore, con diversioni alla dominante DO. È inizialmente diviso in due (voci femminili e maschili) che si rimpallano la domanda (Chi è il Re della Gloria?) e la risposta (il Signore forte e potente) per poi passare ad un contrappunto di tutte le voci, che reiterano più volte l'affermazione: Il Signore degli eserciti, il Re della Gloria.

Ma ora il Messia deve ascendere al cielo. Il tenore (a volte il soprano) espone in recitativo secco la domanda Unto which of the Angels said he…? (Ebrei 1, 5) che porta la tonalità dal FA precedente al RE maggiore del successivo coro Let all the angels of God worship him (Ebrei 1, 6) un Allegro che ci descrive in contrappunto l'adorazione degli Angeli per il Messia risorto (e nel cui tema qualcuno può scorgere qualcosa che ricomparirà 130 anni dopo nel finale del concerto per violino di Ciajkovski…)

Un'aria in RE minore (Allegro larghetto in 3/4) del basso Thou art gone up on high (Salmi 68, 18) testimonia dell'Ascensione. Esistono varie altre versioni: per contralto e soprano (SOL) di quest'aria, tanto nobile quanto severa (qui si parla di cose serie!)

Ora si passa alla proclamazione dei Vangeli, da parte dei discepoli (qui Jais ha ripreso). È il coro che canta una Andante allegro in SIb, aperto dalla stentorea affermazione The Lord gave the word (Salmi 68, 11) che sale da tonica a mediante, come a scolpire la parola del Signore su una lapide. Poi è tutto un tumulto di semicrome, parte in contrappunto, parte in sincronia, delle voci del coro, a rappresentare la moltitudine, di volta in volta disordinata o disciplinata, degli oranti.

Il soprano canta adesso l'aria How beautiful are the feet (Romani 10, 15) una siciliana seguita da Their sound is gone out into all lands (Romani 10, 18) che costituisce la sezione B dell'aria strutturata come A-B-A. Di questo brano esistono però anche altre versioni: quelle per contralto-tenore, una dove il Their sound è cantato dal coro e due dove l'intero passo, con aggiunta di nuovi testi, è cantato solo dal coro o dal coro con due contralti.

Da ultimo, la Seconda Parte tratta del Secondo Avvento del Messia, che tornerà per disciplinare le nazioni. È il basso a introdurre Why do the nations so furiously rage together (Salmi 2, 1-2) di cui esiste anche una versione abbreviata. Si tratta di un'aria dove il furiously, legato alla stoltezza degli uomini, e soprattutto dei loro governanti (peccato che Berlusconi non apprezzi la musica, chè ne potrebbe trarre gran consolazione per sé e vantaggio per noi…) è ben descritto dalle velocissime semicrome degli archi, che pervadono l'intero brano.

Adesso il coro canta Let us break their bonds asunder (Salmi 2, 3) un Allegro e staccato in DO. Sembra proprio un proclama rivoluzionario, magari anticipatore del 1789 francese, forse già alle viste ai tempi di Händel… ma esposto con piglio giovanile, come da studenti che manifestano allegramente contro baroni e gelmini varie (quindi va bene anche per oggi, smile!)

Qui Jais è passato direttamente all'Hallelujah.

Mentre il tenore canta il recitativo secco He that dwelleth in heaven (Salmi 2, 4) che rincara la dose sui cattivi governanti, che il buon Dio disprezza beffardamente e che il Signore deride!

Segue subito l'aria Thou shalt break them with a rod of iron (Salmi 2, 9) un Andante in 3/4 in LA minore. Anche qui forse il buon Händel se la prende con l'aristocrazia dei suoi tempi, che gli dava parecchi grattacapi e che lui, almeno a parole e in musica, si prende la soddisfazione di fare a pezzi con verghe di ferro! Gli ampi e secchi intervalli nel canto del tenore danno proprio l'idea di fendenti menati sulla capoccia di questi bastardi!

E finalmente ecco il RE maggiore del grandioso e celeberrimo Hallelujah (Rivelazioni 19, 6 - 11, 15 e 19, 16), che Händel affermava di aver composto davanti ad una visione del paradiso e dello stesso Gran Dio!

Domenica 6 Settembre, 1741 è la data scritta dall'Autore in calce alla Seconda Parte.

La Terza Parte è dedicata alla riflessione sul tema della Redenzione e alla definitiva glorificazione dell'Agnello di Dio.

È il soprano ad aprirla, con una lunga e struggente aria, piena di serenità e consolazione, un Larghetto 3/4 in MI maggiore, che crea un grande ma opportuno stacco rispetto alle spettacolari sonorità dell'Hallelujah che l'ha preceduta. Il testo è costituito dalla giustapposizione di due passi delle Scritture: I know that my Redeemer liveth (Giobbe 19, 25-26) e For now is Christ risen from the dead (Corinti-1 15, 20). Dopo la breve introduzione strumentale, che espone il tema principale, caratterizzato da ampi intervalli (quarta ascendente alla tonica, poi ottava discendente, sesta a salire, ripiegamento sulla mediante e da qui salto di un'ottava all'insù) il soprano propone il primo verso, chiudendolo sulla dominante SI. Poi lo reitera, ampliandolo, sempre in MI maggiore. Quindi passa al secondo verso (and though worms…) chiudendolo ancora sulla dominante SI, ripresa dai violini. Adesso canta in SI la prima parte del primo verso e poi il secondo, chiudendolo stavolta sulla sottodominante LA. Su questa tonalità canta ancora la prima parte del primo verso, cui appende il secondo passo biblico (For now...) poi rimodula a MI maggiore, ripetendo il secondo passo, che chiude in Adagio, tempo mantenuto dall'orchestra che ripete in pratica l'introduzione per concludere l'aria. Una cosa semplicemente divina!

Adesso c'è un passo articolato in due premesse (esposte da un quartetto di coristi accompagnati solo dal clavicembalo) e due conclusioni (cantate dall'intero coro e piena orchestra).

Quartetto (6 sole battute, tempo Grave): Since by man came death… (Corinti-1 15, 21). La linea di soprano scala un'ottava piena, da MI a MI; il contralto sale da DO a SOL (passando per il sovrastante LA); quella del tenore si muove fra LA e RE, chiudendo sul SI; il basso scala un'ottava piena (LA-LA) per chiudere sul MI.

Coro (Allegro in DO maggiore): By man came also the resurrection of the dead (Corinti-1 15, 21). Conclusione rapida e gioiosa.

Ancora il Quartetto (6 sole battute, tempo Grave): For as in Adam all die (Corinti-1 15, 22). Qui la melodia è assai piana (l'intervallo più ampio lo percorre il soprano, con un SOL-DO#, il maligno tritono, perché si parla di morte!) e prepara la conclusione successiva.

Coro (Allegro): Even so in Christ shall all be made alive (Corinti-1 15, 22). A differenza del di quello precedente, questo coro è in tonalità di LA minore.

Ora siamo al Giudizio Universale, e il basso propone un recitativo accompagnato: Behold, I tell you a mystery (Corinti-1 15, 51-52) in RE, a preparare il RE maggiore delle successive trombette del giudizio.

È l'aria più impegnativa per il basso (con i frequenti salti di ottava) ma anche per la prima tromba, chiamata già nell'introduzione strumentale ad un obbligato davvero tosto. I brani qui esposti sono due: The trumpet shall sound (Corinti-1 15, 52) e poi – nella sezione in SI minore - For this corruptible must put on incorruption (Corinti-1 15, 53). Attenzione, il tempo qui è indicato come Pomposo, ma non allegro! E infatti vi si deve sentire tutta la solennità, ed anche un po' la retorica, diciamolo pure, del momento.

Qui Jais è saltato direttamente al coro finale, Worthy is the Lamb.

Il contralto espone ora un brevissimo (5 battute) recitativo secco: Then shall be brought to pass (Corinti-1 15, 54) che introduce il suo duetto con il tenore: O death, where is thy sting? (Corinti-1 15, 55-56) che esiste in almeno due versioni, l'originale ed una successiva, un po' abbreviata. È un Andante, in MIb, dove i due solisti cantano in un contrappunto piuttosto leggero (tutt'altra cosa, questo passo, nel Requiem brahmsiano, al n°6!)

Ma ora, dopo i timori di morte e tomba, ecco il tripudio per la vittoria: è il coro a pronunciarlo, con una grande fuga in MIb: But thanks be to God (Corinti-1 15, 57) chiusa, in Adagio, dal ringraziamento al Signore Gesù Cristo.

Un ultimo e consolatorio richiamo del soprano: se Dio è per noi, chi può essere contro di noi? È un'aria in SOL minore e SIb maggiore (con altre modulazioni) tempo Larghetto in 3/4: If God be for us (Romani 8, 31 e 33-34) con lunga introduzione e chiusa orchestrale.

Il gran finale – più che protestante-anglicano – è quasi un Agnus Dei delle messe cattolico-romane! È il coro a cantare Worthy is the Lamb that was slain (Rivelazioni 5, 12-13) in RE maggiore, con varie modulazioni e cambi di tempo, da Largo ad Andante, fino al conclusivo Adagio. È una fuga di grandi proporzioni e grande maestrìa contrappuntistica.

Il conclusivo Amen (Rivelazioni 5, 14) è fra i più lunghi (circa 3 minuti!) dell'intera produzione musicale: un Allegro moderato in RE maggiore, dove al contrappunto a voce spiegata e piena orchestra del coro si alternano un paio di interventi dei violini primi e secondi, che ci portano squarci di pace celestiale, prima dell'ultima perorazione, chiusa in Adagio, dal tutti (trombe e timpani inclusi) di coro e orchestra.
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17 dicembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 15




Ancora Schumann, con Ciajkovski, nel programma del concerto n° 15 de laVerdi, sul cui podio torna lo yankee John Axelrod, protagonista lo scorso febbraio di un'interessante Fantastica. Il nostro ha fatto nel frattempo un po' di carriera in più, essendo oggi Direttore Musicale dell'Orchestra Nazionale dei Paesi della Loira (mica pizza&fichi… smile!) e così si permette gigionerìe da Kapellmeister ottocentesco, come il girare un paio di volte le spalle all'orchestra, ammiccando al pubblico delle prime file.

 
La cosiddetta Renana (ultima delle sinfonie composte da Schumann, a dispetto del n°3 di catalogo) differisce dalle altre tre – oltre che per i 5 movimenti - per non presentare la classica introduzione lenta al movimento iniziale. Parte subito con il Lebhaft (vivace) in tempo 3/4, ma dove due battute si possono interpretare come una in 3/2 (tipo sesquialtera, o emiolia) con un effetto di spiccata energia, come di possenti vogate di un rematore. Axelrod qui rende bene l'atmosfera, con piglio deciso e tempi serrati.

 
Il secondo movimento è uno Scherzo, ma piuttosto moderato, in 3/4; anche qui par d'essere in barca, ma cullati dalla possente quanto tranquilla corrente del grande fiume. Non per nulla qualche armonia ricomparirà anni dopo nella Moldava di Smetana.

 
Il terzo movimento, Nicht schnell (non rapido, in 4/4) è una danza leggera, proprio eseguita in punta di piedi, con le semicrome in staccato di archi e strumentini.

 
Il quarto movimento, Feierlich chiama in causa i fiati, e soprattutto gli ottoni (inclusi i tromboni che suonano qui per la prima volta) per una solenne esposizione di un motivo a canone, del quale incipit forse si ricorderà Edouard Lalo (che come violinista nel suo quartetto suonò spesso Schumann) al momento di comporre il quarto dei cinque movimenti della sua Symphonie Espagnole… Qui i corni non mi son parsi per la verità proprio impeccabili.

 
Si chiude con il secondo Lebhaft, questa volta in tempo pari, che sfocia in un poderoso Höhepunkt dei fiati:

dove Schumann sembra mettere tutta la sua volontà di vivere, rifiorita in quel di Düsseldorf e grazie al grande fiume (nel quale peraltro anni dopo si butterà, preso da raptus suicida). Anche qui la resa non è stata però adeguata, e ancora i corni, secondo me, ne portano qualche responsabilità. Eccellente la coda, dove invece tutti recitano bene la loro parte, trascinati da Axelrod che interpreta lo Schneller come fosse un prestissimo.

 
Si passa poi a Ciajkovski e alla sua Quinta Sinfonia (già eseguita all'inizio della scorsa stagione con Xian Zhang) che è stata introdotta dai Prof. Fausto Malcovati e Mario Marcarini prima del concerto, nel terzo appuntamento del ciclo di conferenze sulla musica russa. Sinfonia con un programma più o meno esplicito e dichiarato: il destino che incombe sempre ed ovunque (non è questa una novità peraltro per Ciajkovski, che già 10 anni prima – nella Quarta, forse con più retorica e affettazione – ci aveva intrattenuto sul tema).

 
Qui il nostro, reduce dal pellegrinaggio a Bayreuth per l'inaugurazione del tempio wagneriano, applica in modo più strutturato la tecnica del Leit-motiv del genio di Lipsia (da lui peraltro piuttosto snobbato) col far ricomparire via via il tema (del destino) sottoposto a variazioni più o meno ampie di tempo, ritmo e colore (quindi imitando anche Berlioz).

 
È nel secondo movimento (Andante cantabile con alcuna licenza) che si trova quella che è per me la più alta vetta espressiva della sinfonia:


A raggiungerla è il primo corno Giuseppe Amatulli, che per la verità mi è parso stranamente contratto, nella circostanza.

 
L'ultimo movimento è proprio da arrivano i nostri (è sempre il destino, smile!) con John Wayne in testa. Quindi nessuno meglio di un altro John americano lo sa vivere e interpretare come si deve! Però il buon Axelrod – volendo strafare, credo - finisce per rovinare un po' il tutto proprio nelle ultime due battute della sinfonia, il classico taaaaa-ta-ta-ta/tà, dove si inventa un insopportabile rallentando e poi trasforma l'ultima semiminima in una minima preceduta da una pausa (mah…) Sia come sia, il successo non manca di certo.

 
Adesso c'è una pausa nel cartellone principale (non per l'Orchestra, che emigra in Montenegro con programma e direttore di un recente concerto) e ci si ritrova per fine anno, con il consueto – ormai – appuntamento con la Nona del sommo Ludwig. Ma laVerdi barocca si esibisce a ridosso di Natale (il 22) con il monumentale (anche se ristretto) Messiah.
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16 dicembre, 2010

Se Ceronetti chiude, che male c’è?


Il filosofo-poeta del pessimismo cosmico sta facendo parlare di sé con il suo recente articolo su LaStampa.

Provocazione? Ignoranza crassa? Fustigazione di costumi? Sottilissima e criptica ironia?

Forse sarà il caso di ricordare qualche aforisma del nostro, tanto per volare basso:
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- Tutto quel che non si mangia, fa bene alla salute.

- Dentro la scienza non si rintraccia neanche un aborto di pensiero.

- Il disastro più profondo non è la distruzione delle città con più milioni di abitanti, ma il loro sussistere.
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- L'esperienza della società e della storia insegna che l'uomo è, per eccellenza, l'essere non pensante.

- La maggior parte delle mie paure, circa i mali fisici, riguarda i medici e le loro cure, non la malattia.

- La morte come liberatrice dall'Informazione.

- L'uomo è un'anima che trascina un cadavere. Noi deploriamo come morte il suo stancarsi, alla fine, di fare da spazzino.


Ecco, proprio impiegando le sue parole ed applicandole alla sua persona: se Ceronetti chiude, che male c'è?
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15 dicembre, 2010

C’è ancora chi discute seriamente di 4’33”

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L'opera maxima di John "charlatan" Cage è quella dove un complesso della consistenza che va da un singolo solista (con uno strumento scelto a piacere) ad una Berlioz-iana orchestra da 1100 strumentisti schierati all'Hippodrome, si presenta, si accomoda e comincia a… girarsi i pollici. Nel frattempo si potrà udire il rumore di fondo dei condizionatori dell'auditorium, o magari quello di un aereo in atterraggio (se siamo all'Hippodrome) oppure – oggi siamo progrediti – un cellulare che squilla, oppure ancora lo scartamento di caramella di qualcuno che cerca di sedare una tosse insistente (con ciò privando però l'opera di altra musica trascendentale).
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.Ecco, 4'33" è una partitura colma esclusivamente di pause, in modo che lo spettatore (meglio – per gli organizzatori – se pagante) possa bearsi nell'ascolto di tutti i suoni che arrivano alle sue orecchie da ovunque, tranne che dall'unica sorgente destinata canonicamente a produrli in una simile circostanza: l'orchestra.
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L'imbecillità umana non ha proprio limiti (Berlusconi al confronto è Einstein) se c'è gente che ancora discute seriamente di queste stronzate.

ps: dimenticavo la cosa più importante: il pezzo è in FA maggiore (o RE minore, ad libitum).
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La discreta Walküre della Scala


Dopo la prima diffusa in TV, ieri sera terza rappresentazione della Walküre. Comincio dagli interpreti.
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O'Neill è tornato, dopo un turno di riposo; la raucedine è passata, ma ovviamente tre giorni non bastano per irrobustire una vocina; né purtroppo per correggere imprecisioni sparse negli attacchi.
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Sir John è l'unico ad avere ancora un vocione che non teme la vastità del Piermarini, né le intemperanze degli ottoni… però esce ormai solo attraverso schiamazzi, il che serve a dare ad Hunding un aspetto ancor più truce di quanto immaginato da Wagner.
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Kowaljow si conferma un Wotan promettente; in ambienti più raccolti è probabile che la sua presenza si faccia ancor meglio sentire.
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La venerabile Waltraud conferma tutte le sue qualità (Sieglinde ormai fa parte della sua vita, insieme ad Isolde) ed anche i suoi limiti (soprattutto di udibilità in basso).
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La Nina si conferma una Brünnhilde coi fiocchi, e la consuetudine con il ruolo non potrà che dare risultati ancora migliori.
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La Gubanova credo avesse speculato assai sui microfoni della ripresa televisiva. Dal vivo mi è sembrata meno autoritaria e incisiva; comunque una Fricka dignitosa.
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Le otto sorelle (vedi locandina per i nomi) hanno dato il loro onesto contributo ai parapiglia del terzo atto, e ciò è quanto basta.
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Barenboim (che ricorda a memoria il primo atto… poi si fa recapitare la partitura) guida l'orchestra con sicurezza e mestiere consolidati da 30 anni di consuetudine con questi drammi. Peraltro mi è parso aver tolto troppo allegramente le briglie agli ottoni (impeccabili, tecnicamente) in alcuni passaggi topici (soprattutto nel secondo atto) col risultato di coprire le non potentissime voci sul palco.
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Ciò che – rispetto alla ripresa TV – mi ha piacevolmente sorpreso è stato lo spettacolo di Cassiers. Può darsi che la regìa televisiva fosse troppo sbilanciata sui primi piani, ed abbia così prodotto due nefasti risultati: mostrare il peggio di Cassier (la mimica facciale degli interpreti) e celarne il meglio, o il meno-peggio: la visione complessiva dell'azione. Un esempio per chiarire il concetto: la (prima) scena-madre del secondo atto, fra Wotan e Fricka. L'aspetto drammatico peculiare qui è la transizione lenta, ma inesorabile, dello stato d'animo di Wotan, che deve passare dall'assoluta sicurezza e tranquillità alla totale e più nera disperazione. E ciò è mirabilmente ottenuto, dal mago Wagner, attraverso la musica, oltre che naturalmente supportato dalla recitazione. Ecco, quella scena è stata resa complessivamente in modo adeguato (grazie appunto alla musica) salvo che per un punto: l'espressione del volto di Kowaljow-Wotan, sempre corrucciata e disperata fin dall'inizio. Ma ciò per fortuna si può notare solo usando un binocolo, o il primo piano della ripresa TV, mentre a visione naturale non si avverte più di tanto.
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Per il resto, Cassier si è attenuto abbastanza scrupolosamente alle didascalie di Wagner: ad esempio Wotan che accarezza i capelli a Brünnhilde, nella scena delle confidenze. O ha addirittura tenuto conto delle osservazioni raccolte alle prove del 1876 da Heinrich Porges, come il Siegmund che si inginocchia al momento di implorare la spada promessa dal padre. In verità, qualcosa di bizzarro l'ha voluto anche inventare, come la scena della morte di Siegmund, del tutto strampalata: Brünnhilde che si intravede soltanto (mentre dovrebbe attivamente proteggere Siegmund); Wotan che, dopo aver spezzato la Nothung, letteralmente spinge Siegmund addosso alla punta della spada (perché non una lancia, come prescrive Wagner?) di Hunding; e soprattutto Siegmund che non muore subito, ma continua a dibattersi al suolo, avvinghiato a Sieglinde (forse Cassiers ha voluto qui introdurre una reminiscenza della Völsungasaga, dove Sigmund sopravvive per giorni e giorni, e ha tempo di fare testamento!) finchè Hunding non lo finisce con un orripilante colpo di spada, inferto a due mani, dall'alto in basso… Mah! Comunque, una regìa abbastanza fedele all'originale, che non si inventa troppe cose cervellotiche e non pretende di aggiungere valore al capolavoro con trovate intellettualoidi.
Le scene sono improntate ad un certo minimalismo, qui con qualche libertà gratuita, come il caminetto settecentesco nella stamberga di Hunding, ma in complesso sono sufficientemente efficaci. Meno, credo, le proiezioni, che finiscono più che altro per distrarre. Bizzarri davvero, invece, i costumi, in particolare delle Valchirie, vestite da megere dal busto in su, e da volatili sul lato-B (forse perché dei cavalli c'erano solo tracce da sala di macelleria, smile!)
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In totale, uno spettacolo sufficientemente godibile, accolto con entusiasmo e generosi applausi per tutti, ma in particolare per Nina e Daniel.

10 dicembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 14


Tutto Schumann per il 14mo appuntamento de laVerdi. Sul podio una vecchia gloria (86 anni suonati e splendidamente portati!) albionica: Sir Neville Marriner, indissolubilmente legato all'Orchestra londinese Academy of St. Martin in the Fields, da lui fondata più di 50 anni fa, senza un Direttore (lui era un violinista e solo dopo qualche anno si convinse a salire sul podio).

Il concerto è interamente dedicato a Schumann (centenari…) ed in particolare a tre sue composizioni (Opus 52-54-61) del periodo 1841-1847. La prima parte ha lo stesso programma del famoso concerto che il 6 dicembre 1845 (quasi esattamente 165 anni fa!) vide la presentazione della versione definitiva dell'Op.52 e la prima esecuzione (con Clara) del famoso concerto Op.54.

Si comincia appunto con Ouverture, Scherzo e Finale, composto originariamente nel 1841, a ridosso della Prima Sinfonia; un brano non propriamente famosissimo, in effetti una sinfonia in formato ridotto (Symphonette, l'aveva inizialmente battezzata Schumann): nella durata (meno di 20 minuti) e nel numero di movimenti (soltanto 3); una cosa del tipo delle prime sinfonie di Schubert.

L'Ouverture ha una introduzione in stile haydn-iano: 17 misure piuttosto lente (Andante con moto) in MI minore, cui segue l'Allegro, in forma sonata semplificata: un primo tema di carattere Florestan-iano, in MI maggiore, seguito da un secondo, à la Eusebius, SI maggiore, sfociante in RE. Una transizione basata su uno sviluppo del tema dell'introduzione porta alla riesposizione dei due temi, il secondo in MI, sfociante in SOL. Altro ponte e quindi la coda Un po' più animato, che chiude l'Ouverture, nel MI di impianto.

Lo Scherzo, in DO# (minore poi maggiore, con Trio nell'enarmonico REb) in si basa su un tema scalpitante, mutuato dal primo tema dell'Ouverture, che non può non richiamare alla memoria una più celebre cavalcata, che si ode di questi tempi alla Scala:



Il Finale è un Allegro molto vivace, in MI e SI maggiore. Il tema principale ha un caratteristico andamento con metro giambico, e progressione ascensionale, che contrasta con il lirismo della seconda idea, che scende da dominante a tonica e risale alla mediante. Dopo l'esposizione (di cui Marriner ci risparmia il ritornello) si passa ad un complesso sviluppo che porta alla risoluta conclusione in MI maggiore. Come aperitivo, non è davvero male…

Ora arriva il 36enne finnico Henri Sigfridsson (nome impegnativo, e stazza da corazziere, in effetti…) a interpretare il celeberrimo e fin troppo inflazionato Klavierkonzert (combinazione, mentre scrivo lo sto ascoltando da Radio3, che stamane non trasmette Prima Pagina, causa scioperi...) Un'esecuzione dignitosa, quella di Sigfridsson, ma una specie di frutto ancora acerbo, mi sentirei di definirlo. Il non foltissimo pubblico comunque gradisce e lui, da buon patriota, come lo sono tutti i finlandesi, come bis ci suona nientemeno che Finlandia (qui un suo emulo).

Si chiude con la Seconda Sinfonia, forse la meno famosa delle quattro che ci ha lasciato il genio di Zwickau. Ma piena di slancio vitale, quasi una sfida del compositore al tremendo male che ormai lo attanagliava e che – fra alti e bassi – lo avrebbe portato, in meno di 10 anni, alla tomba. Sinfonia omotonica, tutta in chiave di DO maggiore (con l'eccezione del minore all'inizio del terzo movimento).

Si apre con una lunghissima introduzione lenta (Sostenuto assai, 49 misure in 6/4, neanche Haydn!) che principia con un religioso, bachiano corale degli ottoni, ad esporre una specie di motto dell'opera (un salto di quinta ascendente DO-SOL) con gli archi sotto a contrappuntare con semiminime ondeggianti:


A misura 25, su un poderoso accordo di LA minore, il tempo accelera di poco e si comincia a delineare, nei legni, quello che sarà il tema principale dell'Allegro, ma non troppo, cui si arriva non prima della reiterazione del motto e di uno stringendo dei primi violini:



Chissà se tale Giuseppe Verdi si rese conto di citare vagamente l'incipit di questo tema, nel Finale Secondo della sua Aida…

Qui vien fuori proprio l'inquieta e selvaggia personalità di Florestan, non c'è che dire, con quel caratteristico procedere giambico, a singulti, a convulsioni… Da essa è pervaso l'intero movimento, poiché anche la seconda sezione, in MIb, sfociante canonicamente sul SOL, mantiene vivacità e grinta, chiudendo l'esposizione con un ritorno furtivo del primo tema. Esposizione di cui Schumann prevede il ritornello (e Sir Neville non ce lo fa mancare) prima di passare allo sviluppo, che rielabora anche temi dell'introduzione. Che vengono quindi ricapitolati (il secondo portato – secondo le sacre regole della forma-sonata - sulla tonalità di impianto, DO, passando per LAb) e poi il tutto sfocia (con fuoco) nella coda, ancora attraversata dal primo tema. Marriner lo affronta con gran cipiglio e l'orchestra gli risponde da par suo.

Segue lo Scherzo, anche qui con Florestan imperante. I primi violini – sempre compatti, ieri sotto la guida del Konzertmeister Nicolai vonDellingshausen -  si intestardiscono in una specie di moto perpetuo, col resto dell'orchestra a scandire il ritmo. Poi i legni si svegliano con un paio di scale discendenti, dopo le quali i flauti, a distanza di una terza, scandiscono una specie di cucù, in SI maggiore. Questo passaggio domina interamente lo scherzo, interrotto soltanto dai due Trii (qui Schumann ripete quanto fatto nella Prima Sinfonia). Da notare come, nel secondo, Schumann renda esplicitamente omaggio al sommo Johann Sebastian, citandone musicalmente il nome:


Prima della conclusione, si rifà ovviamente vivo il motto della sinfonia, fortissimo, in corni e trombe, tutti bravi, senza sbavature.

Finalmente arriva anche un po' di Eusebius, con l'Adagio espressivo, che principia in DO minore, ed è caratterizzato da grandi intervalli, di sesta e di ottava, che si innalzano quasi a cercare il cielo, seguiti da altrettante ricadute… sulla terra. È un lungo peregrinare, in cui si distinguono un paio di rapide salite di flauti e clarinetti (più l'oboe, nella seconda) quasi a raggiungere un sospirato traguardo, ma a cui succede immediatamente il ritorno in basso, dove c'è una specie di serena rassegnazione. Qui Marriner ci mette tutta la sua esperienza cameristica per cavarne il meglio.

Il tema del finale assomiglia un po' a quello dell'inizio… dell'italiana di Mendelssohn! Non manca, come spesso in Schumann, parecchia teatralità, come al termine della ricapitolazione, allorquando tre grandi pause, intercalate da due accordi di DO minore degli archi, fanno spazio alla Coda, che l'oboe introduce ricordando Beethoven (Nimm sie hin denn, diese Lieder, dalla raccolta An die ferne Geliebte, già precedentemente ripreso nel Quartetto Op.41-2). Trasuda poi altro Beethoven (Alle Menschen!) prima del ripresentarsi, immancabile, del motto DO/DO---DO/SOL, per chiudere come in un cerchio l'intera opera.

Prestazione rimarchevole dell'orchestra e nutritissimi applausi, che continuerebbero ancora se Sir Neville (alla sua età non può fare le ore piccole!) dopo la seconda chiamata non trascinasse via per un braccio Nicolai, decretando il rompete le righe.

La prossima settimana ancora un programma tutto intriso di romanticismo (pieno e… tardo) e con un altro anglofono (però texano) sul podio. 
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08 dicembre, 2010

Barenboim, Bondi e Stinchelli



 
Ieri sera il Maestro Scaligero (che si è anche auto-incensato per quel bizzarro titolo, ma lo perdoneremo volentieri per meriti artistici) ha ricordato - anzi ha proprio letto, da un foglio che aveva in tasca, per non rischiare figuracce - l'Art. 9 della nostra (ma lui ha preso anche il passaporto italico? smile!) Costituzione, che promuove lo sviluppo della cultura. Applausi scroscianti, assai lontani dalle vibrate proteste che avevano accolto i proclami sindacali anti-Bondi in più di una rappresentazione della scorsa stagione (il pubblico era diverso: per la cronaca, c'era un tale Napolitano…)

 
Oggi il simpatico Enrico Stinchelli, prima di ripeterle alla radio dalla prua (o poppa) della sua barcaccia, ha scritto parole assai dure sul suo blog. Sintetizzando al massimo, ha riconosciuto la legittimità (direi l'ovvietà) del richiamo di Barenboim, ma al contempo ha stigmatizzato l'uso improprio (tradotto: ladri!) che delle pubbliche risorse hanno fatto e fanno tuttora i responsabili dell'italico teatro d'opera. Fra i quali cita, ma senza nominarlo e senza calcar la mano, anche l'ineffabile Lissner. Fra i teatri in via di bancarotta cita anche il Massimo di Palermo. Che però, a credere al suo sovrintendente, sarebbe invece un modello da imitare! (salvo leggerne attentamente i bilanci).

 
Se la prende poi, il nostro Enrico, con la visione statalistica del sostegno alla cultura, che preclude in maniera antiquata e rigida l'ingresso ai privati. I quali, secondo lui, investono e rischiano di tasca loro. Però non spiega come accada che il 16% - mica quisquilie e pinzallacchere – del budget della Scala venga da investimenti privati (quelli pubblici sono circa il 45%). L'Orchestra Verdi di Milano (nel suo piccolo) ha più del 30% del suo budget coperto da contributi privati, contro il solo 10% di quelli pubblici. Ma com'è che Garrone è entrato nel CdA del CarloFelice? Ci rischia soldi suoi, come sostiene Stinchelli, o forse qualcuno gli ha promesso di lasciargli portare la benzina a 2 euri? Altra domanda: ma chi e cosa preclude in maniera rigida l'ingresso ai privati? Certo, una maggiore detraibilità fiscale degli impegni finanziari potrebbe migliorare la situazione, ma queste barricate io non le vedo proprio; la domanda, caso mai, è: non c'è per caso - nei privati, aziende e cittadini – un interesse solo marginale per la cultura? E qui si dovrebbe tirare in ballo non Bondi, ma tale Gelmini, almeno credo io.

 
Altra cosa che il buon Enrico si guarda bene dallo scrivere è che dello sperpero di risorse pubbliche sono responsabili, oltre alle poche decine di sovrintendenti e loro manutengoli, anche i sindacati che – coscientemente o ingenuamente – si rendono complici spesso e volentieri della mala gestione.

 
Purtroppo il dramma italico è che, a reclamare rigore, sacrifici e moderazione sono gente come – appunto – Brunetta, Bondi, Gelmini e, più di tutti, l'esperto in evasione fiscale Giulio Tremonti. Mentre per il loro padrone – mai visto in un teatro d'opera - tout va bien, madame la marquise


07 dicembre, 2010

L’apertura della Scala, fra Corriere e RAI5



Il Corriere della Sera ha dedicato oggi alla Scala un inserto speciale di 24 pagine, di cui 13 di presentazione dell'opera che ha aperto la stagione. Il titolo in prima pagina dell'inserto è di quelli che solleticano le fantasie macho dei nostri ragazzotti moderni: Donne selvagge mai sottomesse al maschio guerriero.

Come distillato della Walküre è davvero strepitoso. (A scanso di equivoci, dirò subito che il contenuto del pezzo che appare sotto a quel titolo restituisce tutta la dovuta serietà alla nostra Valchiria). Certo che attorno a quel titolo si potrebbe costruire qualche film con le famose valchirie Giovannona e Ubalda e qualche improbabile arrapato alla Alvaro Vitali. In realtà, è in linea con la classica atmosfera del foyer di SantAmbrogio, dove Sieglinde e Brünnhilde possono facilmente diventare Matilde e Clotilde, tanto tutto fa brodo. Meno male che la presenza del Presidente (sempre quello buono, l'altro ha gusti differenti, lo sappiamo bene) tira su la media.

C'è la diretta di RAI5 - ma solo via TV, non in web, evviva il progresso! – che con le sue riprese sembra farci capire che la messinscena, oltre che costosa, sia anche sostanzialmente innocua, nonostante gli sforzi disperati di Cassier di spiegarcela, con arrampicate sugli specchi sui concetti di famiglia borghese e nobile. Più spettacolare – fuoco compreso - è ciò che accade fuori dal teatro, dove c'è gente che urla incazzature e rivendicazioni. Riprese, dentro il Piermarini, da Barenboim, che prima di attaccare Mameli, sale in platea a leggere un comunicato anti-Bondi; solo che Bondi si è guardato bene dal venire e gli fa un virtuale cippirimerlo da chissà dove.

Tu sei la soave primavera, che di nuovo mi adornò,
che mi ringiovanì la linfa di rami e tronco:
fu il tuo richiamo, che allontanò da me la notte,
che nell'inverno teneva intorpidita la mia arte.
Così come mi affascinò il tuo nobile saluto benedicente,
che deliziosamente impetuoso le mie pene rimosse,
così io ora fieramente ricolmo di gioia vago su nuovi sentieri
nel regno estivo della grazia.

No, non sono versi dello sbudellante duetto Siegmund-Sieglinde. Sono parole che Wagner indirizzò al giovane re Ludwig, nell'estate del 1864, da Starnberg, dove abitava grazie alla munificenza de re, e dove aveva iniziato la sua love-story con Cosima, dopo una surreale scenata con il di lei marito, Hans vonBülow, fino a quel giorno suo idolatrante ammiratore. Ma ben dipingono la natura del nostro, tanto sublime nella produzione artistica, quanto leccaculo e mangiapaneatradimento (oltre che antisemita, così, tanto per gradire) nella vita materiale.

C'è chi sostiene che Wagner si immedesimasse in alcuni personaggi dei suoi drammi: Re Marke, Hans Sachs, Gurnemanz. E magari anche in Wotan, come ci è stato spiegato da Daverio &C. Personalmente credo invece che la grandezza del nostro consista nell'aver saputo immedesimarsi in qualunque personaggio, per esprimerne mirabilmente pensieri, sentimenti e azioni.

E mai come nella Walküre ciò emerge in modo straordinario, basta ascoltare parole e musica, senza farsi distrarre troppo dagli effetti speciali di regìe che si illudono – o ci marciano – di aggiungere valore ad opere d'arte come questa, con giochi di luce e proiezioni. (Ma forse è la ripresa televisiva a trarre in inganno… chissà se dal vivo le cose andranno meglio).

Interpreti? Al solito, è il price/performance a lasciare qualche ombra di dubbio. Con il price di un teatro di provincia, la performance sarebbe anche più che accettabile. Con il price della sedicente unica, invece, il rapporto peggiora un filino.

O'Neill ha una vocina leggera, che di certo non piacerà a chi si è fatto una certa idea dell'Heldentenor. Io sarei anche disposto a transigere (Siegmund in fondo è poco più che un ragazzo) senonchè la mezza raucedine (che gli ha risparmiato i SOL bemolle e naturale dei Wälse e il LA del Wälsungen Blut, ma non il SOLb del Geliebte della terza scena del secondo atto) me lo ha fatto scendere sotto la sufficienza.

Tomlinson è un vecchio marpione che garantisce sempre un servizio decoroso.

La Gubanova devo dire mi è piaciuta assai: il suo Deiner ew'gen Gattin heilige Ehre è stato la degna conclusione di una prestazione maiuscola.

La Meier è sempre la Meier, e in Sieglinde si trova proprio a casa sua, niente da dire.

Kowaljow era acconciato che pareva il fratello, non il padre dei gemelli e delle Valchirie, ma a parte questo non mi ha deluso: anche la voce è giovanile, baritonale, quindi un po' fuori dagli stereotipi tradizionali, però ci ha messo espressione e – soprattutto, a differenza di O'Neill – non ha mai costretto Barenboim a rincorrerlo.

La Stemme è pure una Brünnhilde un po' leggera, ma canta magnificamente, e ciò è per me quel che conta di più. 

Dignitosa la prova delle otto sorelle, tutte voci adeguate, con un paio di piccole sfasature nelle entrate.

Barenboim non sarà Thielemann (che però ha imparato qualcosa da lui sulla collina) ma con Wagner non delude mai: per lo meno a livello di gestione della dinamica (sul suono meglio giudicare dal vivo).


A meno che non siano stati tagliati dalla ripresa audio, non si sono uditi buh (nemmeno per Cassier, smile!) il che stabilisce un autentico record per una prima alla Scala, e in specie a SantAmbrogio.