(recensione della messa in scena di Krzysztof Warlikowski alla Bastille, di Jorg von Uthmann , Bloomberg)
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Per Adolf Hitler, un fan della musica di Wagner, Parsifal era questione di purezza della razza. Krzysztof Warlikowski, che ne dirige la nuova produzione all’Opera Bastille, da parte sua lo interpreta come una storia della medicina.
La scenografa Malgorzata Szczesniak ha ambientato l’opera in un auditorium, che ricorda un laboratorio di anatomia, dove siedono i Cavalieri del Gral, come studenti che assistono ad una lezione. Amfortas, il re malato, entra appoggiandosi a stampelle e Titurel, suo padre, gira attorno su una sedia a rotelle.
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Per Adolf Hitler, un fan della musica di Wagner, Parsifal era questione di purezza della razza. Krzysztof Warlikowski, che ne dirige la nuova produzione all’Opera Bastille, da parte sua lo interpreta come una storia della medicina.
La scenografa Malgorzata Szczesniak ha ambientato l’opera in un auditorium, che ricorda un laboratorio di anatomia, dove siedono i Cavalieri del Gral, come studenti che assistono ad una lezione. Amfortas, il re malato, entra appoggiandosi a stampelle e Titurel, suo padre, gira attorno su una sedia a rotelle.
L’auditorium è fiancheggiato da lavandini, una specie di marchio registrato da Warlikowski dopo le sue produzioni di Ifigenia in Tauride di Gluck e del Caso Makropulos di Janacek. Come Wagner, anche lui deve aver inventato i suoi leitmotive.
Il regista, che si autodefinisce un cattolico scaduto, fa del suo meglio per minimizzare il lato religioso dell’opera. Da ciò che si vede, non si indovinerebbe mai perchè Nietzsche, uno dei più ardenti ammiratori di Wagner, fosse poi rimasto così disgustato dall’improvviso attacco di devozione che aveva colpito il maestro.
Gran parte dell’Atto I è eseguito come un oratorio, con i cantanti seduti davanti ad uno schermo su cui di volta in volta appaiono disegni primitivi. Chi conosce la vicenda può decifrarvi la croce, la lancia e il calice. Chi la ignora, resta confuso come un puro folle.
Nell’Atto II ci sono tavolini con luci rosse che richiamano le Folies Bergère, il mitico cabaret. Le ragazze-fiore di Klingsor, in eleganti abiti da sera, spogliano l’eroe fino alle mutande... un’idea che avrebbe divertito Nietzsche, che maliziosamente insinuava che Parsifal fosse materia da operetta.
Disgraziatamente, Warlikowski butta al vento uno degli effetti più spettacolari di tutto il teatro wagneriano: la sacra lancia che resta sospesa sopra la testa di Parsifal, quando Klingsor cerca di ucciderlo. Chissà, forse qualcuno deve avergli segnalato che, in passate produzioni, il trucco aveva fatto cilecca e la lancia era finita dritta nella buca dell’orchestra.
L’Atto III, il più sereno dell’opera, è iniziato fra le proteste degli spettatori. Prima dell’attacco del preludio, è apparsa sul sipario la scena finale del film del ’48 di Rossellini Germania Anno Zero, dove si mostra il suicidio di un ragazzo in mezzo alle rovine di Berlino. Ciò ha provocato adirati fischi e cori di Wagner! Wagner!
Più tardi il ragazzo è riapparso in scena, innaffiando uno squallido giardinetto, inducendoci ancora a simpatizzare per l’eroe stordito, che ha difficoltà a comprendere il senso di tutto ciò che lo circonda.
Musicalmente, il tutto è molto più coerente.
(omissis)
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(aspettando ansiosamente che qualcuno realizzi una buona volta la vision di Slavoj Zizek...)
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