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Premessa.
Nel primo atto, Wagner ci fa di Tristan e Isolde due ritratti - per certi aspetti - simili, o speculari (sono entrambi affetti da acuta schizofrenia) ma per altri assai diversi; in particolare:
- Isolde racconta i suoi sentimenti: a Brangäne e a tutti noi, ma non a Tristan; a quest’ultimo racconta più che altro cose inverosimili, o come minimo provocatorie;
- Tristan invece, i suoi sentimenti non li racconta proprio a nessuno (nè a Kurwenal, nè a noi, nè tanto meno ad Isolde).
Già in ciò possiamo forse individuare un tratto che oggi si definirebbe maschilista nel carattere di Tristan, ma in realtà di Wagner medesimo. (Ne avremo una chiara conferma al momento dell’assunzione del filtro: Isolde lo programmerà come atto congiunto e unificante, mentre Tristan lo eseguirà smaccatamente da solo, a titolo personale.)
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Dunque, Tristan e Isolde, al primo sguardo, si sono innamorati. O meglio: nelle rispettive psiche è scoccata una scintilla, si è prodotta la classica oscillazione brusca, tipica dei sismografi allorquando rilevano un - vicino o lontano - terremoto.
Che Isolde sia innamorata, ce lo dice - ma proprio esplicitamente - lei stessa, all’inizio della Scena II: Mir erkoren, mir verloren, hehr und heil, kühn und feig! Todgeweihtes Haupt! Todgeweihtes Herz! Non c’è dubbio che si tratti di una straordinaria dichiarazione d’amore. Però si tratta di un amore impossibile, quello di una donna per un uomo votato - ragione e sentimento - alla morte! Uno - crede lei - per il quale l’amore è una categoria sconosciuta, che non trova posto nella sua Heldenleben (per questo, oltre che kühn - ardito - è anche feig - vile!) Essendo lei prigioniera della sua stessa presunzione, oltre che delle convenzioni, si guarda bene dal fare il primo passo verso l’amato.
Tantris, guarito da Isolde, torna come Tristan in Cornovaglia, ma quella scintilla, scoccata nella sua psiche, ha ormai fatto divampare un fuoco che comincia a consumarlo insopportabilmente. Come ammetterà nell’Atto II, in fondo al cuore (...bis in des Herzens tiefsten Schrein) la ama, ma contemporaneamente il suo subconscio comincia ad odiarla, come responsabile di avergli creato questa condizione, per lui innaturale: ma come! un puro eroe che si è fatto irretire da una donna? Per di più così superbamente fiera (...so rühmlich schien und hehr...) che gli pare irrangiungibile, a meno che lui non si abbassi ad abdicare all’intero suo sistema di valori. E questo è ancora nulla: la donna in realtà ha anche in mano la sua vita, e non una, ma due volte addirittura: per avergli risparmiato una sicura morte (la spada lasciata cadere), e poi per averlo curato e rimesso in salute.
Questa doppiezza di sentimenti (schizofrenia amore-odio) ingenera in Tristan l’idea di un folle disegno: far sì che lei sia costretta ad essergli vicina, così da porla davanti ad un’alternativa secca: rodersi nell’ansia per il resto dei suoi giorni, o cedere e dichiararsi a lui. Null’altro spiega perchè Tristan convinca, quasi obbligandolo, Re Marke ad accettarla in sposa e pretenda di essere lui stesso a recapitargliela, andandola a prelevare in Irlanda.
Non è quindi il codice cavalleresco a determinare il suo comportamento, bensì la tremenda frustrazione (e relativa dissociazione) che lacera la sua psiche! E già dal viaggio di ritorno, sulla nave che ci appare all’alzarsi del sipario, Tristan mette in atto il suo piano: restare a portata di sguardo di Isolde, e contemporanemente ignorarla. Costringerla ad uno psicologico logorante braccio di ferro, da cui lei esca comunque piegata: o rassegnandosi a subire una perenne sofferenza, o cedendogli finalmente (nel qual caso a Tristan basterebbe dare un semplice comando alla ciurma: virare a dritta di 90°, e volgere la prua a sud, invece che ad est!)
Che Tristan in cuor suo aspetti quest’ultimo evento risulta inequivocabilmente chiaro dal suo trasalire (auffahrend) e dalla sua emozionata esclamazione (Was ist? Isolde?) all’annuncio fattogli da Kurwenal dell’arrivo del messaggio recato da Brangäne. Ma subito si ricompone (Er fasst sich schnell...) e per ora continua a tirare la corda, rifiutandosi di far visita ad Isolde, con la scusa di dover reggere il timone.
Isolde, dal canto suo, è ormai convinta, dal comportamento tenuto da Tristan, che egli per davvero la consideri nulla più che un oggetto da regalo (per Marke). Lo ama, ma contemporaneamente comincia ad odiarlo - e non solo per la sua indifferenza, ma anche per la sua ingratitudine - e a meditare sull’insopportabilità del suo proprio futuro: Ungeminnt den hehrsten Mann stets mir nah zu sehen, wie könnt ich die Qual bestehen?
Analizziamo un attimo lo stato in cui si trova la sua psiche: lei si è innamorata dell’uomo che le ha appena ucciso il promesso-sposo, quindi subisce già per questo una gigantesca costrizione psichica, con annesso senso di colpa; per di più, l’uomo di cui si è innamorata la ignora bellamente (frustrazione...) Insomma: lei ama perdutamente un tale che le ha distrutto la felicità passata e contemporaneamente le nega quella futura! Davvero una condizione insostenibile!
E quindi decide di farla finita... Da sola? Fosse così, le basterebbe tracannare il filtro di morte dall’ampolla che lei stessa ha chiaramente contrassegnato! No, evidentemente anche Tristan deve morire, per pagare la sua colpa, il suo peccato di presunzione e di superbia; e affinchè - almeno nella morte - i loro destini si possano incontrare. Il problema di Isolde, a questo punto, è: come creare l’occasione per il mortale brindisi con lui?
Quando Kurwenal la sollecita a prepararsi per essere accompagnata da Tristan verso Marke, è lei a trasalire e rabbrividire: il viaggio sta per concludersi, e l’occasione rischia di sfumare! E allora trova un pretesto - la riconciliazione dovutale per una colpa non espiata - per incontrare Tristan prima dello sbarco. E fa preparare a Brangäne il filtro di morte, per Tristan e per sè.
Tristan - anche per lui ormai il tempo stringe - adesso dimentica il pretesto del timone e si presenta ad Isolde, ma con atteggiamento formale, scruta le intenzioni della donna (segretamente spera ancora e sempre nel miracolo?) risponde con frasi fatte alle di lei rimostranze riguardo l’etichetta, domanda quale sia il motivo per cui Isolde chiede riconciliazione.
Per tutta risposta, Isolde si inventa una nuova, inverosimile spiegazione al comportamento da lei tenuto con Tantris. A Brangäne aveva raccontato una prima verità: di non aver ucciso Tantris perchè intenerita dalla sua misera condizione... A Tristan racconta invece di averlo risparmiato e rimesso in sesto perchè lui potesse poi essere vittima di un legittimo vendicatore di Morold (!?) Vendicatore che però non può esistere in alcun luogo, essendo Tristan da tutti amato...
Al che Tristan, pallido e cupo, offre ad Isolde la sua spada perchè lei stessa possa compiere la vendetta. Ma attenzione: le si rivolge non più con il lei, ma con il tu (!?!) Perchè questo stato d’animo? E perchè questo improvviso mutamento di etichetta? Comincia per caso a sospettare che Isolde non lo ami? Che il suo atteggiamento di allora fosse motivato da un cinico disegno di vendetta? (O da pura carità cristiana, null’altro?) Insomma: un sospetto che ingigantisce la sua frustrazione; sì, poichè se le cose stessero così, allora sarebbe tutto il suo castello di carte a cadere miseramente. E con esso perderebbe di significato la sua propria esistenza: ed allora, tanto vale chiuderla, una volta per tutte! E per di più offrendo a quella stessa ingrata donna la spada con cui finirlo, per manifestarle tutta la sua superiorità di maschio...
Isolde rifiuta però la spada adducendo due giustificazioni: (a). Come potrei uccidere il servitore fedele del Re a cui vado sposa? (b). Ciò che non feci tempo addietro (con Tantris) a maggior ragione non potrei fare ora. Ma allora, sta forse per cedere? Per rivelare a Tristan che lei lo ama dal primo momento? Al contrario, lei decide di alzare ulteriormente la posta, aggiungendo un particolare di portata capitale: tu, Tristan, mi guardasti fisso negli occhi per valutarmi (come fa un mediatore di vacche che scruta un capo per deciderne il prezzo) per capire se ero degna di andare in sposa al tuo Re (!?!) Ma davvero Isolde è convinta di una simile stupidaggine? Insomma: sta qui confermandoci di aver ormai perso tutte le speranze, oppure sta tentando l’estrema provocazione, per costringere Tristan a cedere?
E infatti, dopo che Isolde rifiuta la spada, Tristan cade in cupa meditazione (...düsterem Brüten). Come mai? Sta forse ancora cercando di capire quali carte stia giocando l’altra? Oppure è per caso anche lui sul punto di cedere? Perdinci, lui sa bene quali fossero (e siano) i suoi sentimenti verso Isolde e che quando le rivolse quello sguardo non era certo per misurarne le qualità esteriori... gli basterebbe una parola per rompere finalmente quel muro di presuntuosa incomunicabilità che li separa!
E invece, finster (cupo) sempre più schiavo della sua nevrosi, decide pervicacemente di continuare nel braccio di ferro, e pronuncia la famosa, criptica frase: ...fass' ich, was sie verschwieg, verschweig ich, was sie nicht fasst.
Che significa? Non significa, per caso (nel suo maschilista subconscio!): io ho capito che tu mi ami, anche se me lo nascondi... mentre tu non capisci che io ti amo, e perciò te lo nascondo (perchè non mi meriti...) (?!?)
Ormai il tempo stringe, si sta gettando l’àncora, e Isolde non può che giocare il tutto per tutto: mit leisem Hohne, quasi schernendolo, dètta a Tristan il discorsetto di circostanza da fare a Marke, di lì a poco, in occasione della consegna del regalo!
E Tristan, a questo punto - ormai ha la disperata conferma che il futuro rischia di essere insopportabile per lui, quanto e più che per Isolde - beve per primo e da solo. In modo da chiudere (guarire del tutto) un’esistenza divenuta per lui invivibile e contemporaneamente per dare alla donna che non lo ha capito - o che non si è voluta piegare - l’estrema, inequivocabile e sprezzante lezione di superiorità.
E infatti Isolde si sente ancora e nuovamente tradita e disprezzata: per bere a sua volta, deve letteralmente strappargli di mano la coppa.
Insomma: nessuno dei due ha voluto/saputo cedere all’altro(a). Una speculare schizofrenia li ha costretti ad agire contro se stessi e - in definitiva - contro l’Amore!
La tensione psicologica, che si era creata entro ciascuno dei due e fra i due, ha ormai raggiunto il suo apogeo: in realtà siamo arrivati al limite di rottura di quell’instabile equilibrio, al momento in cui il surplace risulta non più prolungabile.
A questo punto il dramma avrebbe anche potuto chiudersi lì, con i due protagonisti a morire, ai lati opposti della scena, ciascuno vittima della propria presunzione, oltre che delle vigenti convenzioni (Ehre e Schmach). Insomma: un tragico atto unico, una Cavalleria Rusticana ante-litteram e sui-generis!
Wagner aveva però ancora da confezionare, per poi somministrarceli, due etti - pardon, due atti - di oppio; e, come farebbe ogni grande mago o stregone, si è servito di un filtro per garantirsi la possibilità del taglio e dello spaccio.