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10 dicembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 14


Tutto Schumann per il 14mo appuntamento de laVerdi. Sul podio una vecchia gloria (86 anni suonati e splendidamente portati!) albionica: Sir Neville Marriner, indissolubilmente legato all'Orchestra londinese Academy of St. Martin in the Fields, da lui fondata più di 50 anni fa, senza un Direttore (lui era un violinista e solo dopo qualche anno si convinse a salire sul podio).

Il concerto è interamente dedicato a Schumann (centenari…) ed in particolare a tre sue composizioni (Opus 52-54-61) del periodo 1841-1847. La prima parte ha lo stesso programma del famoso concerto che il 6 dicembre 1845 (quasi esattamente 165 anni fa!) vide la presentazione della versione definitiva dell'Op.52 e la prima esecuzione (con Clara) del famoso concerto Op.54.

Si comincia appunto con Ouverture, Scherzo e Finale, composto originariamente nel 1841, a ridosso della Prima Sinfonia; un brano non propriamente famosissimo, in effetti una sinfonia in formato ridotto (Symphonette, l'aveva inizialmente battezzata Schumann): nella durata (meno di 20 minuti) e nel numero di movimenti (soltanto 3); una cosa del tipo delle prime sinfonie di Schubert.

L'Ouverture ha una introduzione in stile haydn-iano: 17 misure piuttosto lente (Andante con moto) in MI minore, cui segue l'Allegro, in forma sonata semplificata: un primo tema di carattere Florestan-iano, in MI maggiore, seguito da un secondo, à la Eusebius, SI maggiore, sfociante in RE. Una transizione basata su uno sviluppo del tema dell'introduzione porta alla riesposizione dei due temi, il secondo in MI, sfociante in SOL. Altro ponte e quindi la coda Un po' più animato, che chiude l'Ouverture, nel MI di impianto.

Lo Scherzo, in DO# (minore poi maggiore, con Trio nell'enarmonico REb) in si basa su un tema scalpitante, mutuato dal primo tema dell'Ouverture, che non può non richiamare alla memoria una più celebre cavalcata, che si ode di questi tempi alla Scala:



Il Finale è un Allegro molto vivace, in MI e SI maggiore. Il tema principale ha un caratteristico andamento con metro giambico, e progressione ascensionale, che contrasta con il lirismo della seconda idea, che scende da dominante a tonica e risale alla mediante. Dopo l'esposizione (di cui Marriner ci risparmia il ritornello) si passa ad un complesso sviluppo che porta alla risoluta conclusione in MI maggiore. Come aperitivo, non è davvero male…

Ora arriva il 36enne finnico Henri Sigfridsson (nome impegnativo, e stazza da corazziere, in effetti…) a interpretare il celeberrimo e fin troppo inflazionato Klavierkonzert (combinazione, mentre scrivo lo sto ascoltando da Radio3, che stamane non trasmette Prima Pagina, causa scioperi...) Un'esecuzione dignitosa, quella di Sigfridsson, ma una specie di frutto ancora acerbo, mi sentirei di definirlo. Il non foltissimo pubblico comunque gradisce e lui, da buon patriota, come lo sono tutti i finlandesi, come bis ci suona nientemeno che Finlandia (qui un suo emulo).

Si chiude con la Seconda Sinfonia, forse la meno famosa delle quattro che ci ha lasciato il genio di Zwickau. Ma piena di slancio vitale, quasi una sfida del compositore al tremendo male che ormai lo attanagliava e che – fra alti e bassi – lo avrebbe portato, in meno di 10 anni, alla tomba. Sinfonia omotonica, tutta in chiave di DO maggiore (con l'eccezione del minore all'inizio del terzo movimento).

Si apre con una lunghissima introduzione lenta (Sostenuto assai, 49 misure in 6/4, neanche Haydn!) che principia con un religioso, bachiano corale degli ottoni, ad esporre una specie di motto dell'opera (un salto di quinta ascendente DO-SOL) con gli archi sotto a contrappuntare con semiminime ondeggianti:


A misura 25, su un poderoso accordo di LA minore, il tempo accelera di poco e si comincia a delineare, nei legni, quello che sarà il tema principale dell'Allegro, ma non troppo, cui si arriva non prima della reiterazione del motto e di uno stringendo dei primi violini:



Chissà se tale Giuseppe Verdi si rese conto di citare vagamente l'incipit di questo tema, nel Finale Secondo della sua Aida…

Qui vien fuori proprio l'inquieta e selvaggia personalità di Florestan, non c'è che dire, con quel caratteristico procedere giambico, a singulti, a convulsioni… Da essa è pervaso l'intero movimento, poiché anche la seconda sezione, in MIb, sfociante canonicamente sul SOL, mantiene vivacità e grinta, chiudendo l'esposizione con un ritorno furtivo del primo tema. Esposizione di cui Schumann prevede il ritornello (e Sir Neville non ce lo fa mancare) prima di passare allo sviluppo, che rielabora anche temi dell'introduzione. Che vengono quindi ricapitolati (il secondo portato – secondo le sacre regole della forma-sonata - sulla tonalità di impianto, DO, passando per LAb) e poi il tutto sfocia (con fuoco) nella coda, ancora attraversata dal primo tema. Marriner lo affronta con gran cipiglio e l'orchestra gli risponde da par suo.

Segue lo Scherzo, anche qui con Florestan imperante. I primi violini – sempre compatti, ieri sotto la guida del Konzertmeister Nicolai vonDellingshausen -  si intestardiscono in una specie di moto perpetuo, col resto dell'orchestra a scandire il ritmo. Poi i legni si svegliano con un paio di scale discendenti, dopo le quali i flauti, a distanza di una terza, scandiscono una specie di cucù, in SI maggiore. Questo passaggio domina interamente lo scherzo, interrotto soltanto dai due Trii (qui Schumann ripete quanto fatto nella Prima Sinfonia). Da notare come, nel secondo, Schumann renda esplicitamente omaggio al sommo Johann Sebastian, citandone musicalmente il nome:


Prima della conclusione, si rifà ovviamente vivo il motto della sinfonia, fortissimo, in corni e trombe, tutti bravi, senza sbavature.

Finalmente arriva anche un po' di Eusebius, con l'Adagio espressivo, che principia in DO minore, ed è caratterizzato da grandi intervalli, di sesta e di ottava, che si innalzano quasi a cercare il cielo, seguiti da altrettante ricadute… sulla terra. È un lungo peregrinare, in cui si distinguono un paio di rapide salite di flauti e clarinetti (più l'oboe, nella seconda) quasi a raggiungere un sospirato traguardo, ma a cui succede immediatamente il ritorno in basso, dove c'è una specie di serena rassegnazione. Qui Marriner ci mette tutta la sua esperienza cameristica per cavarne il meglio.

Il tema del finale assomiglia un po' a quello dell'inizio… dell'italiana di Mendelssohn! Non manca, come spesso in Schumann, parecchia teatralità, come al termine della ricapitolazione, allorquando tre grandi pause, intercalate da due accordi di DO minore degli archi, fanno spazio alla Coda, che l'oboe introduce ricordando Beethoven (Nimm sie hin denn, diese Lieder, dalla raccolta An die ferne Geliebte, già precedentemente ripreso nel Quartetto Op.41-2). Trasuda poi altro Beethoven (Alle Menschen!) prima del ripresentarsi, immancabile, del motto DO/DO---DO/SOL, per chiudere come in un cerchio l'intera opera.

Prestazione rimarchevole dell'orchestra e nutritissimi applausi, che continuerebbero ancora se Sir Neville (alla sua età non può fare le ore piccole!) dopo la seconda chiamata non trascinasse via per un braccio Nicolai, decretando il rompete le righe.

La prossima settimana ancora un programma tutto intriso di romanticismo (pieno e… tardo) e con un altro anglofono (però texano) sul podio. 
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