Claus Peter Flor si appresta a tornare sul
podio dell’Auditorium per dirigervi l’ultimo concerto
della stagione principale prima della pausa estiva (si riprenderà
il 15 settembre, 4 giorni dopo la consueta visita alla Scala; ma laVERDI, lo
sappiamo, non va mai in vacanza, nemmeno in agosto e così chi resta in città ha
a disposizione la stagione estiva per
non sentirsi solo).
In
programma una vera e propria primizia: il dittico
berlioz-iano esattamente come lo immaginò (in due tempi...) il compositore: alla ormai inflazionata (e
lasciata sempre più sola) Symphonie Fantastique seguirà il
melologo-monodramma Lélio, ou Le retour à la vie, che nelle intenzioni dell’autore
doveva rimettere un po’ le cose a posto dopo gli incubi esistenziali, freudiani
e romanticoidi delle forche e dei sabba.
Si sa che la Fantastique era
stata in qualche modo ispirata dall’infatuazione di Berlioz per l’attrice Harriet Smithson (da lui vista recitare
Shakespeare in teatro nel 1827): l’oppio, che pare Berlioz non si facesse
mancare, aveva fatto il resto, scatenando, accanto alla celebre Idée fixe, le visioni apocalittiche degli
ultimi due movimenti della sinfonia, completata nel 1830 ed eseguita domenica 5
dicembre di quell’anno. Ancora il Lélio era ben di là da venire, e con lui l’idea
stessa di creare un postludio da
appendere all’esecuzione della sinfonia.
Ignorato dall’attrice
irlandese e applicando la vecchia regola del chiodo-scaccia-chiodo il nostro si fidanzò con tale Marie-Félicité Denise Moke,
pianista belga che però, mentre lui era nella città eterna (1832, avendo
finalmente vinto il Prix de Rome)
pensò bene di sposare Camille Pleyel
(rampollo del famoso Ignace). Preso
da raptus omicida, Berlioz ripartì in fretta e furia da Roma verso la Francia,
non prima di essersi procurato abiti femminili, due pistole e fiale di
stricnina: per farci che? Introdursi con l’inganno in casa Moke e semplicemente
farci secchi la ex-fidanzata e i di lei genitori, prima di spararsi o (a
scelta) avvelenarsi a sua volta.
Per sua (e nostra?) fortuna,
arrivato a Nizza già aveva cambiato idea e fatto una conversione a U, tornando
a Roma e componendovi, appunto, il Retour.
Ritorno alla vita, tramite la musica (più Goethe e Shakespeare, tanto per
gradire...) ma anche ritorno all’inafferrabile Harriet, che domenica 9 dicembre
1832 assisteva alla prima del dittico e meno di un anno dopo (giovedi
3 ottobre 1833) diventava sua moglie (e mal gliene incolse!) Cosa abbia spinto
Berlioz alla decisione di fare del Lélio un’appendice, una chiosa della
Fantastique, da eseguirsi inderogabilmente in coda alla sinfonia lo saprà solo
lui, noi sappiamo che abbastanza presto questa prassi venne abbandonata, e non
senza ragione.
L’impianto dell’opera
prevede un susseguirsi abbastanza regolare di (7) interventi parlati (del
recitante) intercalati ad altrettanti brani musicali di diversa fattura. In
sostanza Lèlio(-Hector) introduce argomenti e concetti che poi la musica si
incarica di commentare e/o sviscerare. Qui una mia modesta edizione del testo originale
con traduzione italiana (del Taverna).
La musica, salvo riempitivi
e aggiustamenti, altro non è che una riproposizione di brani (piuttosto
eterogenei, va detto) presi da opere composte da Berlioz nei 5 anni precedenti,
come si desume dal sottostante specchietto:
Lélio
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derivazione
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1. Le pêcheur (da Goethe)
(+ Idée fixe)
|
Le pêcheur (da Goethe, 1827)
(dalla
Symphonie Fantastique, 1830)
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2. Chœur des ombres
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Cléopâtre (1829)
5. Grands Pharaons, nobles lagides
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3. Chanson de brigands
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Chanson des pirates (? 1829)
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4. Chant de bonheur
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La mort d’Orphée (1827)
Ô seul bien qui me reste
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5. La harpe éolienne, souvenirs
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La mort d’Orphée (1827)
Finale
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6. Fantaisie sur la Tempête de Shakespeare
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Ouverture de la Tempête (1830)
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(7. Idée fixe)
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(dalla
Symphonie Fantastique,
1830)
|
In pratica il concetto che
si vuol esprimere è che il ritorno alla vita si giustifica con la volontà di
non disperdere un patrimonio già acquisito ed anzi di arricchirlo in futuro con
opere ancor più impegnative: è proprio ciò che Lélio prefigura nel suo secondo
intervento, e infine nel settimo, commentando l’esecuzione della Tempesta.
___
Fra i Direttori che più si sono interessati al
dittico è Riccardo Muti, che ha
eseguito numerose volte e con diverse formazioni il Lélio, sempre però con Gerard Depardieu. Sfidando i fulmini
della RMMusic ripropongo qui la registrazione del 2008 a Ravenna
con l’Orchestra Cherubini (rinforzata
dall’Orchestra Giovanile Italiana) il
coro dell’Opera di Vienna, il tenore Mario
Zeffiri, il baritono Franck Ferrari,
i pianisti Polo Restani, Laura Pasqualetti e Gioia Giusti, pubblicata a suo tempo da
Repubblica all’interno di una collana di otto lezioni del maeschtro, trasmessa da RAI5 pochi mesi fa.
Il monologo introduttivo ci
presenta un Lélio che si stupisce di essere ancora vivo, dopo le sbornie di
oppio e le tentazioni suicide che hanno accompagnato le vicende più recenti
della sua esistenza. Il primo ricordo è per una ballata (Il Pescatore) che il suo amico Horatio
aveva mutuato da Goethe e che lui aveva musicato 5 anni addietro per pianoforte.
E così Horatio la canta, accompagnato da quel solo strumento e Lélio commenta
ciascuna delle quattro strofe della ballata; al termine della seconda, ecco che
nei primi violini fa capolino, fugacemente, l’Idée fixe, questa specie di sirena
che continuamente lo perseguita, ma che forse (siamo al secondo intervento
della voce) lo sta invitando a vivere, per la musica e l’amicizia...
E altri agenti lo spingono a
vivere: Shakespeare, che con l’Hamlet lo ha soggiogato; e Thomas Moore, che ha completato con le
sue musiche l’opera del genio di Stratford. E così nella mente di Lélio
riaffiora un’altra musica, con un lugubre e minaccioso coro di morte: è la
ripresa dell’invocazione di Cleopatra
ai Faraoni, così come musicata da Berlioz nel 1829.
Qui abbiamo il terzo intervento
di Lélio che, prendendo spunto dalle critiche e denigrazioni cui era stato
fatto oggetto Shakespeare, se la prende con l’establishment musicale del suo
tempo (pare... Wagner ante-litteram!) e con i pedanti parrucconi che ignorano l’innovazione
o che addirittura si permettono di correggere
grandi capolavori in nome di un sedicente gusto
estetico. (Qui è abbastanza scoperto il riferimento a tale François-Joseph Fétis, il
musicista e critico belga che pure aveva sostenuto il giovane Berlioz, ma che
si era anche permesso – anatema! – di ritoccare partiture di Beethoven.) Così
Lélio vorrebbe lasciare questo ambiente di furfanti mascherati per aggiungersi
ai briganti veri e autentici del napoletano o della Calabria! E qui Lélio esce
momentaneamente di scena e vi ritorna subito con cappello da brigante,
carabina, pistole e cartuccera... mentre l’orchestra, il baritono e il coro
intonano la Chanson des brigands,
presa da un’analoga e perduta Chanson des
pirates del 1829. Truce e orripilante, il testo parla di gentaglia che
brinderà – con le donne conquistate - nei teschi dei loro uomini ammazzati!
A questo punto sopraggiunge
in Lélio un senso di serenità e di speranza: getta le armi e si abbandona ad ascoltare...
se stesso (il tenore) che canta un inno
di felicità, mutuato da La mort d’Orphée
del 1827. Cui segue però l’immagine di lui che vaga in cerca dell’amata e sogna
di addormentarsi fra le sue braccia, cullato dal suono dell’arpa, e così di
morire. E segue quindi un brano breve ma straordinario (sempre da La mort d’Orphée, là in LAb, qui in LA
naturale) protagonisti arpa e clarinetto, sul rabbrividente tremolo degli
archi.
Ma no, bisogna vivere! E allora Lélio ripensa alla musica, e ad un
soggetto che da sempre lo ha affascinato: la Tempesta. Esce di scena e il sipario si alza su orchestra (con
pianoforte a 4 mani) e coro. Lélio rientra e dà gli ultimi consigli a
orchestrali e coro, che quindi attaccano il lungo brano preso di peso dalla
composizione del 1830. Al termine Lélio si complimenta con i suoi musicisti:
ora potranno anche suonare cose più serie di questa bazzecola!
L’orchestra e il coro
cominciano ad andarsene, il sipario si abbassa e Lélio resta solo al proscenio.
Si ode da dietro un violino che accenna ancora all’Idée fixe. Lélio, come colpito al cuore, mormora: Ancora, ancora... e per sempre.
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Berlioz operò una revisione dell’opera nel
1855, allorquando essa venne diretta a Weimar da Liszt e pubblicata da Breitkopf: oltre al titolo (Lélio, nome abbastanza desueto,
probabilmente mutuato dal teatro settecentesco: Lélio était petit et grêle; sa beauté ne
consistait pas dans les traits, mais dans la noblesse du front, dans la grâce
irrésistible des attitudes, dans l'abandon de la démarche, dans l'expression
fière et mélancolique de la physionomie - George Sand, La Marquise) e all’attibuto monodramma (invece di melologo) vi aggiunse anche una dedica al figlio avuto da Harriet. Con l’occasione
ritarò anche i risvolti autobiografici delle due componenti dell’opera (Idée fixe inclusa) concentrandoli
esclusivamente e gratuitamente sulla medesima Harriet, ormai defunta e quindi
impossibilitata a smentirlo: anche questo è un segnale di estrema debolezza di
tutta l’idea portante del dittico.
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Vedremo come laVERDI, Flor e compagnia sapranno
farci digerire la pillola.
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