Lunedì 10 agosto apre l’edizione n°36 del RossiniOpera Festival.
In proposito, ecco qualche notazione statistica. La Gazza ladra è alla sua quinta
apparizione al ROF, che inaugurò nel 1980 e dove è poi tornata nel 1981, 1989 e
2007 (quest’ultimo allestimento, dovuto a Damiano Michieletto, viene ripreso
nell’occasione). Anche L’inganno felice ebbe
l’onore di aprire le edizioni del Festival, tornandovi poi nel 1994 (e in
quello stesso allestimento di Vick torna anche quest’anno). La Gazzetta vanta presenze più recenti,
che risalgono al 2001 e al 2005 (allestite da Dario Fo).
Più in generale: l’opera maggiormente gettonata del
ROF resta La scala di seta, con 6
apparizioni fra il 1988 e il 2011. Il Festival ha ospitato fino ad oggi 38
opere rossiniane: se si escludono i centoni
(o pastiche che dir si voglia) Ivanhoé e Robert Bruce e Ugo, Re
d’Italia (rimasta nel catalogo solo per la cronaca, essendo andata
perduta), dell’intera produzione teatrale del Gioachino in pratica rimane
ancora ineseguita al ROF soltanto Eduardo
e Cristina. Dalla prima del 1980, 27 delle 36 edizioni hanno presentato
almeno una nuova opera. Ciò non è avvenuto per 9 edizioni, che hanno presentato
solo opere già comparse in annate precedenti: 1989, 1994, 2003, 2005, 2007,
2008, 2009, 2013 e 2015.
È pacifico che ormai (salvo una futura eventuale
proposta di Eduardo) il ROF ha perso la sua originaria caratteristica di palestra impiegata per portare in
vetrina opere rossiniane dimenticate e/o criticamente editate – cioè rimesse-a-nuovo - dai musicologi (Cagli, Gossett, Zedda e altri
36 collaboratori) per assumere esclusivamente un ruolo più simile a quello che
svolge Bayreuth in casa-Wagner,
particolarmente dal 1951, quando si passò dalla concezione sacrale-museale del
Festival a quella votata alla proposta di nuove interpretazioni (musicali e
registiche) dei drammi wagneriani. Con la differenza che Bayreuth (che
oltretutto si ostina a disconoscere le tre opere della produzione pre-Holländer)
ha soltanto 7 ingredienti per confezionare la minestra del suo Festival, mentre
Pesaro ad oggi ne dispone di ben 38!
La tabellina che segue riporta (aggiornati al 2015) i dati relativi alle esecuzioni dei diversi titoli al ROF (la colonna più a destra indica il numero di catalogo dell’opera):
Come in tutti
i processi (non solo economici) anche qui assistiamo – come teorizzò il vecchio
e troppo frettolosamente sepolto Karl
Marx - ad una mutazione quantitativa
che alla fine ne induce una – ben più radicale – di natura qualitativa. Il pubblico che negli anni ‘80 arrivava in agosto da
ogni angolo del pianeta nella piccola Pesaro, lo faceva perché lì e solo lì si
potevano gustare delle primizie rossiniane introvabili a LosAngeles, Berlino,
Sidney e in ogni altro posto al mondo. Era un pubblico tutto sommato elitario,
formato da rossiniani sfegatati e da operatori interessati a riproporre a casa
loro o in disco ciò che la Pesaro-ROF metteva via via a disposizione. Mentre la Pesaro-città viceversa – parole di patron Mariotti
- più che supportarlo, il Festival lo sopportava…
Oggi, proprio grazie all’opera dei
musicologi della Fondazione, a Casa Ricordi e alla straordinaria produttività
del ROF, parecchie delle opere rossiniane un tempo sconosciute, o dimenticate o
bistrattate, sono comodamente fruibili in-loco a LosAngeles, Berlino, Sidney e
in moltissimi altri teatri del globo, per non parlare della spettacolare e
capillare diffusione di immagini e suoni rossiniani garantita dalle incisioni, dal web e dal tube!
E allora come si fa per invogliare
pubblico da tutto il mondo (ancora nel 2014 gli stranieri rappresentavano ben i
2/3 delle presenze!) a continuare a recarsi nella piccola Pesaro? È questa una
sfida non da poco, che Mariotti&C
hanno del resto cominciato ad affrontare da qualche anno, con risultati per ora
– almeno a sentir loro – incoraggianti. E si basa sull’idea – ecco il parallelo
con Bayreuth post-1951 - di offrire sempre nuove
interpretazioni (che significa: cast, direttori, regìe) dei titoli
rossiniani che ormai, proprio grazie ai successi di 35 anni di ROF, non posseggono
più i tratti dell’assoluta novità. In
questa logica si inserisce il nuovo allestimento che caratterizza una delle tre
opere in programma quest’anno.
Per il
resto, il progressivo e fatale svuotarsi del serbatoio delle novità, in
aggiunta a fattori esogeni legati alla perdurante crisi economica, hanno
fatto sì che le risorse disponibili (alla Fondazione Rossini ma soprattutto al Festival)
abbiano subito negli ultimi anni tagli consistenti. Stando a Mariotti, oggi il
Festival dispone di un budget che è
poco più del 50% di quello di cui disponeva 10-15 anni fa, e con quello deve
comunque garantire un’offerta dignitosa; non solo, ma anche giustificarsi
economicamente: non a caso viene attribuita un’enfasi crescente al cosiddetto indotto del ROF sull’economia locale,
calcolato dagli esperti ricercatori dell’Università di Urbino in termini di € di fatturato incrementale delle strutture
commerciali dell’area per ogni € investito
nella realizzazione del Festival. Numeri che sembrerebbero giustificarne
ampiamente – quanto meno sul venale fronte del business – tanto l’oggi che il domani.
A proposito di mutazioni, proprio con il
2015 si chiude il ciclo del venerabile Alberto
Zedda quale Direttore artistico: dal 2016 il suo posto verrà preso da Ernesto Palacio (Zedda rimarrà tuttavia
responsabile dell’Accademia). È stato
nel frattempo anche annunciato il programma del ROF-37, che comprenderà Donna del lago, Turco e Ciro (ma le
sorprese - sotto forma di variazioni - come ben sappiamo qui sono all’ordine
del giorno…)
Adesso, poche note sui tre titoli in
programma da lunedi, in ordine cronologico di composizione.
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L’Inganno felice è una farsa rappresentata
per la prima volta a Venezia mercoledì 8 gennaio 1812. Rossini, ventenne, è qui
alla sua quarta esperienza compositiva, ma solo alla terza teatrale (dopo Cambiale ed Equivoco) poichè la sua prima opera, Demetrio e Polibio, verrà rappresentata (a Roma) solo nel maggio
successivo, subito dopo un’altra farsa veneziana (La scala di seta).
L’Inganno è la seconda
delle 5 farse che Rossini compose per il Teatro SanMoisè in poco più di 2 anni
(dicembre 1810, Cambiale – gennaio
1813, Bruschino) e che
rappresentavano fino ad allora più della metà della sua produzione (in tutto 9
titoli). Due mesi dopo L’Inganno, Rossini
presenterà a Ferrara il suo Ciro, un’opera seria che doterà – guarda un po’ –
della stessa Sinfonia (dai tratti che
anticipano certo Schubert…) della
farsa veneziana, inaugurando con ciò la lunga serie dei suoi auto-imprestiti e la sua propensione a
svincolare i contenuti musicali dai soggetti delle opere.
Per la verità, se guardiamo da vicino il
testo di Giuseppe Foppa dobbiamo
concludere che l’attributo di farsa
non vada per nulla inteso nel senso di pezzo comico o leggero, ma semplicemente
di opera breve, dalla struttura
semplice e concisa (atto unico con 8 numeri musicali in tutto, Sinfonia
esclusa). In effetti, il testo presenta risvolti assai drammatici, e il lieto
fine è l’unico squarcio consolante di tutta la vicenda. Più che un dramma giocoso (come venne
caratterizzato) è una classica pièce au
sauvetage, dove la sfortunata protagonista viene miracolosamente restituita
all’affetto del nobile marito dopo aver rischiato di fare una brutta fine per
la seconda volta nella vita e per mano del medesimo sbifido individuo,
finalmente e doverosamente tratto in catene. Insomma, qualcosa di vagamente
simile (nel suo piccolo) al Fidelio,
che a nessuno verrebbe in mente di catalogare come farsa solo perché alla fine due coniugi vi si riuniscono
felicemente mentre un tiranno viene castigato come si merita…
In rete è possibile ascoltare almeno due
edizioni complete dell’opera: una diretta da Marcello
Viotti nel lontano 1992 e l’altra più recente (2010) di Marc Minkowski.
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La Gazzetta, unica opera
buffa composta per Napoli (debutto al Teatro
dei Fiorentini, giovedì 26 settembre del 1816, poco più di due mesi prima
dell’Otello) si avvale di un libretto
a dir poco strampalato di Giuseppe
Palomba. A differenza dell’originale che lo ispirò (un mirabile testo
di Goldoni)
esso è un insipido minestrone infarcito di gratuiti equivoci, imbrogli e
travestimenti che – manco a dirlo - si salva esclusivamente grazie alla
straordinaria verve della musica del
Gioachino. Che già si manifesta dalla Sinfonia, uno dei
gioiellini rossiniani, la cui fama fu ulteriormente illustrata dal suo totale
re-impiego, 4 mesi più tardi, per la romana Cenerentola.
A sua volta la sinfonia recupera il
secondo tema dal Torvaldo, dato a Roma meno di un anno prima, nel dicembre del 1815.
E, a proposito di riciclaggi, chissà quale fu il nesso causa-effetto che
determinò – nel testo – l’invenzione della scena del ballo con i travestimenti
da turchi e – nella musica – gli auto-imprestiti
rossiniani dal Turco in Italia. Ma l’imprestito più famoso è quello… mancato,
poiché lo si ritrova nel libretto, ma non nella musica. Dunque, a metà del
primo atto era d’uso collocare un concertato (o un quintetto, come in questo
caso) che creasse un climax
intermedio, prima del finale. Nella Gazzetta
è il momento in cui si sciolgono, alla presenza di Pomponio, gli equivoci
Filippo-Lisetta e Alberto-Doralice, e dove tutti manifestano stupore e
incredulità, chiudendo il quintetto con l’impiego quasi alla lettera dei versi
che si odono alla fine del primo atto del Barbiere,
di soli 7 mesi più anziano:
Mi
par d’esser con la testa
in un’orrida fucina,
ove cresce e mai non resta
un continuo susurrar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello,
che coi colpi d’ogni intorno
fanno l’aria rimbombar.
in un’orrida fucina,
ove cresce e mai non resta
un continuo susurrar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello,
che coi colpi d’ogni intorno
fanno l’aria rimbombar.
Per ragioni insondabili – la
più gettonata è quella della necessità di stringere i tempi, già ampi,
dell’atto primo – Rossini non musicò il quintetto, che viene direttamente
cassato oppure – come fece Dario Fo
nella sua regìa al ROF – semplicemente recitato con accompagnamento di altra
musica rossiniana. Ebbene, nel 2011, a quasi 200 anni di distanza, si è
ritrovato a Palermo un manoscritto di Rossini che l’esperto Philip Gossett non ha esitato a
riconoscere come il quintetto mancante all’appello. Si tratta di un brano
tripartito la cui ultima sezione, sui citati versi del Barbiere, ne ripropone
sostanzialmente anche la musica. Qui lo si può seguire nella prima esecuzione assoluta,
avvenuta in USA nel 2013 proprio sotto la supervisione di Gossett. Il quale ha
successivamente retro-fittato (come barbaramente
direbbero gli informatici) il quintetto nella sua edizione critica del 2001
(Ricordi) che è stata impiegata per la prima volta a Liegi nel 2014 in questa edizione
dell’Opera (a partire da 47’00”). Qui il sestetto del Barbiere
incorporato nel quintetto della Gazzetta. Ecco, il ROF non ha voluto
fare uno sgarbo a Gossett (che nel 2006 ha, diciamo così, divorziato dalla
Fondazione Rossini) e ha deciso di incorporare il ritrovato quintetto
nell’edizione 2015; staremo a vedere sentire.
Aspettiamo
anche con interesse di vedere il nuovo allestimento di Marco Carniti.
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La Gazza ladra (che debuttò
sabato 31 maggio del 1817 alla Scala) fu un’opera totalmente nuova, cui Rossini
dedicò la massima cura, scrivendone ex-novo tutte le note, a partire dalla
famosissima Sinfonia, che non è un brano avulso dal contesto, ma nella quale
compaiono almeno due motivi che si udiranno nell’atto secondo: il crescendo che
segue il secondo tema (SOL maggiore) il quale sostiene il coro-concertato (Udiste, vi seguo) dopo l’aria del
Podestà (In odio e furore); e poi il
primo tema (in MI minore) che supporta il duetto Pippo-Ninetta (A mio nome deh consegna).
In rete è disponibile una registrazione
del 2007, dalla quale è possibile farsi un’idea del premiato spettacolo di Damiano
Michieletto
(il cast 2015 è invece totalmente rinnovato, così come la compagine
strumentale, il coro e il concertatore). Forse più storicamente interessante è
la registrazione del 1989, introdotta da una splendida Simona Marchini.
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