Primo mio personale incontro diretto con
il ROF-36, La Gazza ladra,
arrivata alla terza delle quattro rappresentazioni. Titolo noto a tutto l‘universo,
ma solo per via della strepitosa Sinfonia. Al proposito Lodovico Settimo Silvestri,
nel suo tomo Della vita e delle opere di
Gioachino Rossini, del 1874, ci racconta ciò che il Maestro scrisse in
risposta a tale signor De Mirandel,
che gli chiedeva consigli sul momento migliore per comporre l’Ouverture di
un’opera:
1. Aspettate fino alla sera prima del giorno fissato per la
rappresentazione. Nessuna cosa eccita più l'estro, come la necessità, la
presenza d'un copista che aspetta il vostro lavoro, e la ressa d'un impresario
in angustie che si strappa a ciocche i capelli. A tempo mio, in Italia, tutti
gl'impresari erano calvi a trent'anni.
2. Ho composto l'ouverture dell'Otello in una cameretta del
palazzo Barbaja, ove il più calvo ed il più feroce dei direttori mi aveva
rinchiuso per forza senz'altra cosa che un piatto di maccheroni, e con la
minaccia di non poter lasciare la camera, vita durante, finchè non avessi
scritta l'ultima nota.
3. Ho scritto l'ouverture della Gazza Ladra il giorno
della prima rappresentazione sotto il tetto della scala, dove fui messo in
prigione dal direttore, sorvegliato da quattro macchinisti che avevano l'ordine
di gettare il mio testo originale dalla finestra, foglio a foglio, ai copisti,
i quali l'aspettavano abbasso per trascriverlo. In difetto di carta da musica,
avevano ordine di gettare me stesso dalla finestra.
4 Pel Barbiere feci meglio: non composi ouverture, ma ne presi
una che destinava ad un'opera semiseria chiamata Elisabetta. Il pubblico fu
arcicontento.
5. Ho composto l'ouverture del Conte Ory stando a pesca, coi
piedi nell'acqua, in compagnia del signor Aguado, mentre costui parlava di
finanze spagnuole.
6. Quella del Guglielmo Tell fu scritta in circostanze presso a poco
simili.
7. Quanto al Mosè non ne feci alcuna.
Lo stesso autore ci informa di come
venne presa la Sinfonia alla prima
della Scala da un musicista giovane ma già… conservatore:
A Milano l'introduzione del tamburro
nell'orchestra gli valse un nemico terribile. Era un'allievo di Alessandro
Rolla, un violinista della Scala. Questo giovino artista non poteva vedere,
senza dare ne li eccessi della più violenta colera, l'istromento ritmico dei
reggimenti aggiunto ai nobili organi della sinfonia. Il prodigioso risultato
del novatore lo fece andare fuori dei gangheri. La sua colera divenne una
specie di furioso delirio. Egli andava per le vie, pei caffè gridando a tutti
quelli che volevano ascoltarlo, che bisognava uccidere Rossini affine di salvar
l'arte, e che egli s'incaricava di dargli un colpo di stile per finirla coi
tamburi, i crescendo, le cabalette ed il resto. L'idea dei tamburi lo faceva
soprattutto dare nelle più frenetiche smanie. La voce di questo progetto
d'assassinio che il giovine violinista non si faceva scrupolo di manifestare a
chiunque incontrasse, giunse fino a Rossini. Il colpevole autore
dell'introduzione del tamburo nell'orchestra, trattando con disprezzo ogni
timore, volle vedere faccia a faccia il vendicatore di sì gran misfatto ed intrattenersi
un momento con lui. Alessandro Rolla fu incaricato di trattare la conferenza.
Egli da principio non voleva assumersi la responsabilità.
– Se il mio allievo ti vede, disse
Rolla a Rossini, egli ti coprirà d'ingiurie, puoi essere sicuro.
- Io gliele renderò, replicava il
maestro, la mia provvista non è ancora esausta. Ma io desidero a qualunque
costo, di conferire coll'uomo che vuole pugnalarmi per cagione del tamburo.
Alessandro Rolla non avendo nulla a
replicare ad una volontà si recisamente formulata mise finalmente il maestro
alla presenza del suo terribile antagonista dopo di avere ammonito assai
costui. L'incontro fu dei più curiosi. Il compositore con quella maniera che un
accusato dovrebbe presentarsi al suo giudice, spiegò i motivi della sua azione,
patrocinò le circostanze attenuanti in suo favore, fece in una parola quanto
potè per ottenere una sentenza assolutoria.
– Vi sono si o no soldati nella Gazza
Ladra? domanda al suo feroce avversario.
- Non vi sono che gendarmi! rispose
questi di cattivo umore.
- Sono essi a piedi od a cavallo?
riprese l'incolpato con una dolcezza angelica.
– No, essi sono a piedi, rispose il
conservatore.
– Ebbene se sono a piedi essi hanno il
tamburo, o il devono avere come tutte le truppe a piedi. Perché dunque volete
pugnalarmi per non averli privati? l'impiego del tamburo all'orchestra era
voluto dalla verità drammatica. Date al libretto tutti i colpi di stilo che vi
piacerà, io non mi oppongo in nessuna maniera: egli è il vero colpevole, ma
risparmiate il mio sangue, se desiderate evitare i rimorsi.
E siccome quest'aringa non bastava a
far disparire tutta la colera e dissipare tutti i dubbi del suo futuro
assassino, Rossini gli promise con una comica solennità che avrebbe mai più
adoperato il tamburo nelle sue nuove opere. - E questa promessa fatta, in
circostanza cosi buffa, seppe mantenere il compositore. Certamente egli non
avrebbe potuto violare senza mancare alle leggi dell'onore. La storia della
scena burlesca nella quale Rossini fece cadere il pugnale dalle mani del
Ravaillac del purismo musicale, sparsa per tutta Milano, aumentò, se il poteva,
il trionfo della Gazza Ladra. Il maestro aveva bene il diritto di prendersi un
po' a giuoco gli avversari delle sue felici innovazioni. Egli aveva creato uno dopo l'altro,
quattro de' suoi più grandi capolavori ed in un genere tutto affatto diverso.
La viva commedia del Barbiere, la possente tragedia shakespiriana dell'Otello,
il racconto della Cenerentola, ed il melodramma della Gazza Ladra.
___
Evidentemente il rodaggio delle due prime
rappresentazioni è servito: personalmente ho avuto l’impressione di un certo
miglioramento complessivo della prestazione di tutti, rispetto alla non
entusiasmante prova dell’inaugurazione, ascoltata alla radio. Confermo
l’apprezzamento per la concertazione di Renzetti,
che mi pare abbia colto lo spirito dell’opera, che è – a parte l’introduzione
ed il finale – un dramma serioso, se non proprio una tragedia. L’orchestra del Comunale di Bologna lo ha ben assecondato,
nell’insieme e nelle parti solistiche.
Quanto alle voci, sempre sugli scudi Alex Esposito (cui perdonerei un paio di
calate non determinanti) che propone
un Fernando davvero autorevole. Anche gli altri due bassi non hanno sfigurato: Mirko Mimica è un più che discreto
Podestà, che tende forse a incupire eccessivamente una voce chiara e ben
impostata; e Simone Alberghini, un
Fabrizio dignitoso.
Nino
Machaidze
non ha fatto miracoli (che penso siano fuori dalla sua portata) semplicemente
mi è parsa meno urlacchiante e vetrosa negli acuti rispetto alla prima: la vociona ce l’ha, ma dovrebbe
amministrarla meglio, ecco. Teresa
Iervolino ha messo in mostra una voce dal timbro fin troppo scuro, ma
proprio per questo abbastanza adatto ad impersonare la severa Lucia. Un filino
sotto (a mio avviso) il Pippo di Lena
Belkina, la cui voce fatica a passare
adeguatamente.
René
Barbera
(Giannetto) è quello che mi è parso progredire di più rispetto alla prima; il tenorino yankee ha messo in mostra voce squillante, acuti sicuri e buon
fraseggio. Lo risentiremo a giorni nello Stabat
Mater che chiuderà il Festival. Da tutti gli altri (vedi locandina)
prestazioni complessivamente accettabili. Assai bene anche il coro di Andrea Faidutti.
Doverosa citazione per la Gazza – Sandhya Nagaraja – che Damiano Michieletto ha elevato a
protagonista dell’opera. E così parliamo della messinscena, che era conosciuta
fin dalla sua comparsa nel 2007, quando venne pure premiata (!?) e poi dalla
successiva fruibilità in web. Una proposta tutto sommato dignitosa e godibile
(non parliamo però di capolavori, please…) che ha il pregio di non raccontarci
una storia inventata dal regista al posto di quella scritta dal librettista,
ecco.
Sì, perchè l’idea
di farci apparire la vicenda come il brutto sogno di una ragazzina che si mette
nei panni del volatile (della famigerata serie bracardiana: la donna c’ha ‘n cervello de galina) è tanto gratuita quanto
innocua, non inducendo lo spettatore a distrarsi dallo spettacolo (la musica, soprattutto!) per cercar di
decifrare il Konzept del regista. Poi
la cosa assume qualche aspetto di incoerenza, come il pentimento che la (ra)gazza
sembra provare al vedere la frittata che ha combinato (alla povera Ninetta) col
furto del cucchiaio, che non le impedisce poi di tornare ladra, innescando però
in tal modo il lieto fine per Ninetta e un incubo per sé medesima, trovatasi di
fronte il plotone d’esecuzione destinato alla protagonista, dal quale si salva
grazie al brusco risveglio (!?)
Per il resto,
detto della miracolosa guarigione del Podestà (che nel 2007 – Michele Pertusi -
era affetto da chiara zoppìa, ora perfettamente scomparsa) resta da chiedersi
la ragione per la quale l’intero secondo atto si debba svolgere in un
acquitrino provocato da una pioggia torrenziale che investe la prigione di
Ninetta proprio all’inizio dell’atto. Acqua che oltretutto ha fatto proprio da
menagramo, a giudicare dai temporali che in questi giorni flagellano la
riviera.
Ma insomma, alla
fine Rossini non delude mai e il pubblico, per la verità non proprio… oceanico,
ha accolto con gran calore questa riproposta pesarese.
(coming soon: Messa e Inganno… o inganno di una messa?)
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