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02 agosto, 2015

Da Wagner a Rossini

 

Archiviato (dal mio punto di vista e senza troppi rimpianti) il Festival wagneriano, sta arrivando l’ora (10 agosto) di quello rossiniano: un virtuale trasferimento dalla verde collina di Franconia alle calde sabbie dell’Adriatico.

 

Il che mi dà lo spunto per qualche considerazione sui rapporti e i reciproci apprezzamenti (veri o presunti tali) fra questi due compositori che – nel giro di 50 anni – produssero le due più epocali svolte nella storia del teatro musicale.

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È opinione diffusa che Rossini avesse scarsissima considerazione di Wagner, e al proposito circolano da sempre aneddoti di ogni tipo. Al musicista Michele Carafa (Caraffa) wagneriano convinto, si narra che Rossini fece servire a cena una portata di pesce guarnito con diverse salse, ma dove mancava proprio… il pesce: spiegando che chi apprezzava la musica di Wagner (tutto contorno e niente melodia) avrebbe dovuto quindi apprezzare la sola salsa senza il pesce. Sappiamo peraltro (da quanto riferito da Wagner stesso nella terza delle sue Censuren - Eine Erinnerung an Rossini – vergata in occasione della morte di Rossini e da quanto dettagliatamente riferito da Edmond Michotte, testimone oculare) che in occasione dell’incontro che i due musicisti ebbero a Parigi nel 1860 (quando Wagner era là per preparare Tannhäuser) l’anziano maestro italiano smentì categoricamente ogni malignità che gli era stata attribuita nei suoi riguardi dai giornali, cui dichiarò di aver chiesto formali smentite di queste dicerie.

Un’altra citazione rossiniana che si legge ovunque riguarda Lohengrin: Rossini avrebbe affermato che per giudicare compiutamente l’opera fosse necessario almeno un secondo ascolto, che lui però… si sarebbe ben guardato dal fare. Ora sappiamo benissimo che, Rossini vivente, di Lohengrin a Parigi si eseguirono soltanto pochi brani antologici (la prima rappresentazione si ebbe nel 1877…) il che rende assai poco verosimile quella battuta. Così come altre, del tipo: Wagner ha qualche momento buono e interi quarti d’ora insopportabili; oppure: finalmente riesco a capire qualcosa di questo Tannhäuser (ma la partitura è capovolta…); e così via.

Quel che è certo è che Rossini non poteva condividere la visione wagneriana sul futuro dell’opera (sono figlio del mio tempo…) ma nemmeno si può escludere che la giudicasse con un minimo di tolleranza e senza farci guerre di religione.
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E Wagner, cosa pensava di Rossini?

Beh, che Wagner non avesse in simpatia l’establishment culturale e musicale del suo tempo è assodato. Ed è noto come avesse aspramente criticato - particolarmente in Oper und Drama - lo sviluppo del teatro musicale e dell’opera così come maturato negli anni di massimo fulgore di Rossini. Nel capitolo L’Opera e la natura della musica Wagner dedica pagine e pagine a Rossini, analizzandone l’approccio compositivo: in primo luogo il ruolo preminente destinato proprio alla melodia, tanto genialmente ispirata da profumare i fiori finti delle sue opere facendoli apparire come veri! Certo, Wagner si scaglia contro quella che considera un’autentica degenerazione dell’arte musicale, ma riconosce a Rossini una specie di stato di necessità, che lo aveva portato ad assecondare le tendenze di mercato: che privilegiavano i cantanti, le voci, i gorgheggi, sacrificando ad essi – pura forma – la sostanza dei contenuti del dramma per musica.  

Ma è significativo notare come il citato capitolo si apra con queste precise parole: dieser große Künstler war Joachimo Rossini, questo grande artista fu Rossini. Il che ci fa pensare che di lui Wagner avesse un’alta considerazione (così come di Bellini, del resto; al contrario di Donizetti, che Wagner detestava probabilmente per aver dovuto sbarcare il lunario trascrivendone per trombetta alcune arie). Interessante notare il trattamento riservato (sempre nel citato Oper und Drama) a Giacomo Meyerbeer, accreditato di capacità musicali pari a zero! Evidentemente per lui non valeva la giustificazione delle esigenze di mercato! (Poi, per dimostrare che i suoi non erano ciechi pregiudizi, Wagner fa una lode sperticata del passaggio in SOLb maggiore – Tu l’as dit – di Raoul-Valentine dal quarto atto di Les Huguenots, che forse gli ispirerà qualcosa nel Tristan…)  

Ci sono poi le controverse citazioni che Wagner fa di motivi rossiniani nei Meistersinger. La prima riguarda Beckmesser, che i sostenitori (Gutman, Zelinsky, Millington, Leeson, Nicholson, Brach, etc.) della tesi secondo cui l’anti-semitismo sarebbe organicamente connaturato alle opere di Wagner, definiscono come rappresentante della razza semitica, individuo artisticamente inferiore che però cerca di conquistare Eva con tutti i mezzi, anche illeciti, a spese del puro ariano Stolzing. Orbene, dato che a lui Wagner mette in bocca una parodistica citazione della serenata di Lindoro dal Barbiere, ne deriverebbe il facile e offensivo parallelo: Rossini=Beckmesser=verme. Ma basterà ascoltare come quel motivo viene da Wagner magistralmente sviluppato per rendersi conto dell’assurdità di tale parallelo.


Poi è soprattutto la citazione del motivo Di tanti palpiti dal Tancredi ad essere presa di mira. Vediamo come e perché. Il presupposto filosofico è l’astio razionale che Wagner avrebbe nutrito per l’arte degenerata (rappresentata principalmente dagli ebrei Mendelssohn e Meyerbeer, ma anche dall’imperante opera italiana) che avrebbe minacciato di inquinamento la pura Arte tedesca.  

Orbene, nel terzo atto dei Meistersinger Wagner mette in scena l’arrivo delle diverse corporazioni di Norimberga presso la spianata sulla Pegniz dove si celebrerà la festa di SanGiovanni (che includerà anche la tenzone canora): ciascuna corporazione marcia fra uno sventolio di bandiere e stendardi, cantando le lodi delle proprie professionalità e i meriti acquisiti in passato presso la città e il popolo. Dopo che per primi sono sfilati i calzolai (la corporazione di Hans Sachs) ecco arrivare i sarti illustrando i meriti di un loro rappresentante che – tempo addietro - nientemeno aveva salvato Norimberga da un assedio nemico, mettendo in fuga gli assedianti con un curioso quanto geniale stratagemma: cucendosi addosso una pelle di caprone ed esibendosi in corse e salti sulle mura della città. Al che il nemico, disgustato dalla prospettiva di dover affrontare non esseri umani ma mandrie di cornuti, aveva deciso fosse meglio lasciar perdere l’assedio… (evabbè)

È qui che Wagner cita, in modo parodistico, i famosi palpiti dal Tancredi. Ed ecco che diventa facile sostenere che la citazione, fatta nel contesto di una storia di assedio della città tedesca, in realtà rappresenterebbe, secondo Wagner, l’assedio che la cultura straniera (qui quella italiana, impersonata da Rossini) starebbe portando a quella tedesco-luterana. Da ciò i successivi incitamenti di Sachs a difendere l’arte tedesca da queste minacce, e la profezia che essa, se onorata e custodita dal popolo, avrebbe potuto sopravvivere anche al tracollo del Sacro Romano Impero.

Insomma: citandone un motivo musicale del Tancredi in modo tendenzioso se non addirittura calunnioso, Wagner avrebbe offeso e dileggiato Rossini come un pericoloso nemico dell’arte germanica. Ma sarà proprio così?

Proviamo ad analizzare un po’ più da vicino lo scenario, dando un’occhiata all’unica fonte certa, autentica e inoppugnabile di cui disponiamo: la partitura (testo e musica di Wagner). Ecco cosa ci troviamo precisamente nel momento in cui i sarti cantano l’inizio della loro storiella: nove battute, che possiamo suddividere in due parti uguali. Nelle prime 4 e mezza c’è il ricordo dei giorni tragici dell’assedio, nelle successive 4 e mezza l’anticipazione dello scampato pericolo, grazie al coraggio e all’inventiva del sarto:



L’entrata dei sarti si accompagna ad una repentina modulazione: dal DO maggiore precedente (con i festosi squilli di tromba) si passa al LA minore, poiché il coro deve raccontare il pericolo mortale vissuto dalla città assediata (sono le prime 4 battute e mezza). Poi abbiamo la transizione verso il consolatorio e allegro ricordo dell’impresa del sarto che occupa, tornando a DO maggiore, le successive 4 battute, contenenti appunto la citazione - la tonalità originale è FA - dei palpiti.

Ergo: la melodia rossiniana è impiegata qui da Wagner per supportare l’epinicio dei sarti per il loro valoroso collega, non già la minaccia portata dagli assedianti, che è stata evocata con il LA minore precedente, che nulla ha a che fare con Tancredi. Ed è quindi una citazione del tutto positiva, un vero e proprio omaggio al compositore italiano di cui Wagner – lo abbiamo già appurato - apprezzava il genio, pur criticandone l’involuzione delle forme musicali. Altro che considerarlo un… assediante! Anche il tono allegro e scanzonato della citazione (i tre ein Schneider che devono essere cantati quasi… belando, in omaggio al travestimento del sarto) non è certo irriguardoso né offensivo nei confronti di Rossini, ma simpaticamente appropriato ad evocare un’impresa dai contenuti più spassosi che drammatici (e del resto non fu proprio Rossini il campione dell’impiego della medesima musica per supportare il serio e il giocoso?)

In ogni caso la prova definitiva l’abbiamo chiedendoci: chi è Tancredi? Guarda caso un patriota, precisamente come l’anonimo quanto bizzarro sarto di Norimberga! (O vogliamo concludere che l’eroe di Wagner fosse in realtà una macchietta da avanspettacolo? E che quindi tutti i Meister siano una farsesca presa in giro, predica finale di Sachs inclusa?)
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Tornando a Pesaro, i tre titoli principali (per 4 recite cadauno) dell’Edizione n°36 del ROF (dedicata significativamente alla memoria di Luca Ronconi) sono Gazza ladra, Gazzetta e Inganno felice. Cartellone assai diverso da quello prospettato un anno addietro in chiusura del n°35 che prevedeva - oltre a Gazzetta - Donna del Lago e Adelaide di Borgogna (della serie: mica siamo a Bayreuth!) In compenso è un programma arricchito dal ritorno (dopo un ventennio e più: 1992 e 1995) della Messa di Gloria (più Pianto d’Armonia e Morte di Didone, con due giganti rossiniani di nome Pratt e Florez!) e chiuso (sabato 22, con diffusione in piazza) da una ripresa dello Stabat Mater (più Danze dal Tell) con Mariotti, come nel 2010.  


Quanto agli allestimenti, la novità è La Gazzetta (regìa di Marco Carniti e concertazione di Enrique Mazzola) mentre La Gazza ladra riprende la fortunata produzione targata Michieletto del 2007 e L’inganno felice quella ancor più stagionata di Vick del 1994.

 

Radio3, continuando una ormai lunghissima tradizione, irradierà in diretta - il 10, 11 e 12, sempre alle ore 20 - le prime delle tre opere del cartellone principale. 

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