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consulta e zecche rosse

19 luglio, 2012

Storielle della verde collina


Si avvicina anche quest’anno la fatidica data del 25 luglio, giorno in cui tradizionalmente si apre il Festival di Bayreuth, che nel bene e nel male (ultimamente più male che altro…) fa sempre parlare di sé. E già ne ha scritto un altro wagnerite.

Questo è il secondo anno consecutivo di astinenza dal Ring, che nel 2010 chiuse il quinquennio Thielemann-Dorst, in vista del colossale lancio di quello del bicentenario, già in preparazione e già in mezzo a guai e problemi di ogni genere… ma ci sarà tempo per occuparsene al momento opportuno.

Quindi ci sono cinque titoli in programma, ciascuno con 6 recite: quattro già presentati nelle scorse stagioni (Tannhäuser, Lohengrin, Tristan e Parsifal) e uno di nuovo allestimento, l’Holländer, che rimpiazza, rispetto al 2011, i famigerati Meistersinger di Kathi, la pronipotina terribile del vecchio Richard, che dal 2009 è - insieme alla sorellastra Eva - alla guida del baraccone inaugurato dal bisnonno nel 1876.

Sul podio dell’Olandese ci sarà Christian Thielemann, ormai di fatto, se non proprio di diritto, Direttore musicale del festival; il quale, oltre alla nuova produzione, si accollerà anche la ripresa di Tannhäuser. Così aggiungerà ben 12 gettoni di presenza sul podio di Bayreuth, totalizzandone 123 e superando di slancio al quarto posto James Levine, fermo a 117. Anche il routinario Peter Schneider, con i 6 Tristan, farà un passo avanti in classifica, scavalcando al secondo posto, con 142 presenze, il compianto Horst Stein (138). Al comando resta, ma con vantaggio ridotto, Daniel Barenboim (161 gettoni).

E a proposito di statistiche, pur avendo diretto soltanto 14 recite, Richard Strauss è tuttora il recordman in fatto di tempo trascorso fra la prima e l’ultima direzione, avendo diretto per la prima volta nel 1894 e per l’ultima nel 1934, a 41 anni di distanza. Lo segue da vicinissimo (e potrebbe in teoria superarlo) Pierre Boulez, che ha diretto 97 recite, la prima nel 1966 e l’ultima ben 40 anni dopo, nel 2005.    

Andris Nelsons dirigerà ancora il contestato Lohengrin di Neuenfels, mentre l’ultima edizione del ciclo del Parsifal di Herheim perderà la direzione musicale del nostro Daniele Gatti, al cui posto sarà il giovane esordiente Philippe Jordan.

Escludendo dal conto alcuni concerti speciali, al termine di questa edizione saranno 2532 le alzate di sipario complessive del Festival, totalizzate nelle sue 101 edizioni (dal 1876).
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Ecco quindi la novità del 2012: Der fliegende Holländer (che sarà a quanto pare l’unica opera trasmessa in diretta da Radio3, ma altri faranno di più, come gli spagnoli che ci rifilano altri 4 gol di scarto, trasmettendo in diretta tutte le cinque prime, dal 25 al 29 luglio, e di norma corredate da commenti in studio di altissimo livello).

Intanto una curiosità: osservando l’orario di inizio (18:00, come è consuetudine per il Rheingold, che non ha intervalli, e non 16:00, come per tutte le altre opere e drammi) si deve pensare che l’opera venga rappresentata tutta d’un fiato, come Wagner l’aveva concepita in origine, e non suddivisa su tre atti, cosa che lo stesso Wagner fu costretto a fare su richiesta del Teatro Reale di Corte di Dresda che ospitò la prima, riscrivendo all’uopo le parti di raccordo (fine e inizio atti). Questa dell’esecuzione in atto unico (suddiviso in tre quadri) è del resto una tradizione bayreuthiana che a suo tempo (1901) fu la stessa Cosima ad introdurre (qui un’esecuzione in piena era nazista). La durata è circa 2h20’ (meno del Rheingold, appunto) il che metterà comunque a dura prova la resistenza fisica dei pellegrini che affolleranno il sacro tempio.

L’opera fu originariamente composta negli anni 1840-41 a Parigi, subito a ridosso del Rienzi e – come questa – rappresentata in prima a Dresda (dove Wagner era da poco divenuto Hofkapellmeister, sull’onda del trionfo di Rienzi) il 2 gennaio del 1843, con scarsissimo successo.



Il che convinse Wagner a mettervi continuamente mano, tanto che l’edizione oggi più comunemente eseguita è quella approntata nel 1864 – quasi 5 lustri dopo la composizione – per Re Ludwig II di Baviera. Ma si sa che Wagner pensò ancora ad altri rimaneggiamenti nientemeno che fino al 1881, due anni prima della scomparsa: evidentemente, oltre al Tannhäuser, anche l’Holländer gli rimase sempre un po’ sullo stomaco.

Il soggetto, che Wagner mutuò liberamente da racconti ed opere teatrali diverse, è incentrato sul concetto di redenzione, che una donna più o meno schizofrenica è chiamata dal destino a portare ad un uomo più o meno complessato e peccatore, destinato da una scommessa con Satana a vagare sui mari per cicli di sette anni, in attesa dello sbarco che gli faccia appunto incontrare la donna disposta a redimerlo a costo della stessa vita.

C’è chi ci vede Ahasvero e chi – col senno di poi – anche lo stesso Wagner, perennemente in fuga per sfuggire ai creditori (o alla polizia). Il viaggio avventuroso e da clandestino che nel 1839 portò il compositore, con moglie e cane, da Riga a Londra (e da qui a Parigi) con un mezzo naufragio e conseguente sosta forzata in un porto norvegese, furono poi lo stimolo concreto alla definizione dell’inverosimile trama dell’opera.

Dove, tanto per dire, troviamo un onest’uomo (?) marinaio norvegese, a nome Daland - costretto da un fortunale a gettare l’ancora a qualche miglio da casa - che incontra l’Olandese, cui per combinazione sono scaduti precisamente in quel momento i sette anni di peregrinazioni forzate sui mari e prende terra proprio lì. I due si presentano e – toh! – dopo due minuti, alla vista del classico forziere pieno di oro e perle, il simpatico Daland già offre la figlia Senta in moglie all’Olandese, che non vede l’ora di conoscerla per esserne redento (!)

Ma il colmo del ridicolo determinismo di tutta la storia è che (siamo nel secondo quadro) in casa di Daland è appeso alla parete un dipinto raffigurante precisamente… l’Olandese, di cui la pia Senta (promessa sposa a tale Erik, si badi bene) pare conoscere la storia, che infatti lei ci racconta, anzi ci canta per filo e per segno nella celebre Ballade, un’aria col da-capo seguito da una terza strofa (!) Manifestando insieme il suo impegno… umanitario di esser lei a portare la redenzione al pallido navigatore. Alla faccia delle rimostranze del fidanzato che – da parte sua – ha già visto in sogno tutto ciò che sta per accadere (il mancato suocero che si accorda con lo straniero per rifilargli la sua Senta!)

Il quale straniero arriva poco dopo, presentato e sponsorizzato da Daland, e va subito alle spicce, mostrando di gradire assai la fanciulla da cui farsi redimere. Fine del quadro con duetto d’amore fra redentrice e redento, con la benedizione del suocero. (Ma mica può finire così, diamine!)

Il terzo quadro è occupato quasi interamente da un'abominevole scena corale, che ci assorda per quasi un quarto d’ora con sguaiati canti degli avvinazzati marinai norvegesi (ma potremmo essere benissimo all'Oktoberfest, smile!) eccitati a dovere dalle ragazze del posto, e poi dell’equipaggio della nave maledetta dell’Olandese, che pare prepararsi a salpare in un’atmosfera cupa e colma di mistero.

Ecco infatti il finale, tragi… miracolistico. Erik non ci sta a far la figura del pirla, e reclama da Senta il rispetto della sua solenne promessa di matrimonio. L’Olandese, per puro caso, è lì a due passi, ascolta tutto e ne deduce che l’abnegazione redentrice della fanciulla era tutta una messinscena predisposta in combutta con lo sbifido Daland per impossessarsi di oro e perle, e così pianta in asso tutto e tutti, sale rapidamente a bordo del suo vascello fantasma (per i meno giovani, una 500 Abarth!e si allontana alla velocità del fulmine per un nuovo ciclo settennale di oceaniche peregrinazioni.

Al che Senta sale su una roccia del fiordo, grida la sua fedeltà eterna all’Olandese e si tuffa in mare, per dimostrare la sua volontà di sacrificio. Ed ecco che la nave maledetta cola a picco come un piombino, mentre dalle acque si vede emergere uno scoglio su cui stanno, abbracciati, Senta e l’Olandese che – trasformatosi lo scoglio in una nuvoletta – vengono trasportati in cielo avvolti da una luce sfolgorante (!)

Insomma, una cosa a metà fra l’Assunzione in cielo e la chiusa del Faust (smile!)

Musicalmente, siamo ancora abbastanza ancorati agli stilemi e alle regole dell’opera italiana, con tanto di numeri chiusi, arie, duetti e cori. I personaggi-chiave sono quattro: l’Olandese (baritono), Daland (basso), Senta (soprano) e Erik (tenore). Più Mary (tata di Senta, mezzosoprano) e il timoniere di Daland (tenore). Grande ruolo hanno i cori: marinai norvegesi e olandesi, ragazze norvegesi.

L’opera consta precisamente di 8 numeri principali, con il seguente contenuto:

Quadro I:
1. Coro dei marinai norvegesi; canzone del timoniere;
2. Recitativo e aria dell’Olandese;
3. Scena; duetto (Olandese, Daland); coro;

Quadro II:
4. Coro delle filatrici; Ballade di Senta;
5. Duetto (Erik, Senta);
6. Aria di Daland; duetto (Olandese, Senta); terzetto (Daland, Olandese, Senta);

Quadro III:
7. Coro dei marinai e delle ragazze norvegesi, poi degli olandesi;
8. Duetto (Erik, Senta); cavatina di Erik; finale (Olandese, Senta, cori).

La principale innovazione risiede nella mancanza di cadenze chiuse, rimpiazzate da transizioni che danno continuità al flusso musicale (ma nulla a che vedere con ciò che Wagner inventerà a partire dal Ring).

Insomma, un Wagner trentenne  ancora incerto sulla strada estetica da seguire, e sempre in bilico fra il grand opéra (vedi Rienzi) e l’opera romantica: Holländer, Tannhäuser, infine Lohengrin, pur battezzate con la seconda categoria, recano tutte, quale più, quale meno, tracce evidenti della prima. Ed anche la Siegfrieds Tod, antesignana del Ring, nascerà nella mente di Wagner con quelle caratteristiche, che Götterdämmerung conserva in buona misura (vedi il second’atto). Solo dopo la fuga da Dresda (1848) il nostro maturerà le sue convinzioni sui drammi musicali, che troveranno realizzazione a partire dal Rheingold (1853).
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Chi rimanesse deluso (smile!) dalla direzione di Thielemann potrà rifarsi con Gianandrea Noseda, che avrà il battesimo wagneriano da venerdi 12 ottobre, inaugurando con l’Olandese la stagione 12-13 del Regio di Torino.

1 commento:

Amfortas ha detto...

Mah, probabilmente nella mancata diretta della RAI c'entra lo spending review! Ne saranno contenti i numerosi antiwagneriani che a loro volta non spenderanno soldini per mandare sms velenosi. Un ciclo virtuoso, insomma, all'insegna del risparmio. Chissà che non ne guadagni anche lo spread, eh?
Eppure gli spagnoli dovrebbero essere messi peggio di noi...
Puoi stare certo che su Thielemann ci saranno i soliti discorsi, ma peraltro va bene così, almeno si parla e si scrive di musica.
Ottima la scelta di un Olandese agile da bere in un fiato, l'opera ne guadagna, a mio parere.
Grazie per la segnalazione e per il link alla radio spagnola, che riporterò subito da me.
Ciao!