Ieri sera alla Scala (scandalosamente
semivuota in platea e palchi) terza rappresentazione (col cosiddetto secondo cast) del DonPasquale di Gaetano Donizetti, in una produzione del
Teatro Comunale di Firenze ripresa
dall’Accademia della Scala.
Comincio con una piccola curiosità. La
locandina del teatro esplicita che si tratta della Revisione, secondo la partitura autografa, di Piero Rattalino. Il
quale ci ragguaglia – sul programma di sala – in merito a tanti piccoli
particolari in cui l’originale autografo e le edizioni successivamente
impiegate divergono. Uno di questi - il primo citato dal revisore - riguarda
una nota del corno in DO, che a battuta 23 della Sinfonia risponde al violoncello che aveva esposto la prima sezione
del tema (in FA maggiore) Com’è gentil (quello che Ernesto canterà a mo’ di
serenata – in LA maggiore - nel terzo atto). La terza nota (che si ripete
4 battute più avanti) viene solitamente, e
come da tradizione, eseguita come SI
naturale (è la cosa che sembrerebbe più… naturale, appunto):
Rattalino ha invece scoperto sugli
autografi che quello sarebbe un – abbastanza bizzarro, si direbbe a prima vista
– SI bemolle. Ma in realtà è proprio
il motivo cantato da Ernesto che lascia teoricamente aperte entrambe le
possibilità, in quanto vi compaiono in successione le due diverse figurazioni:
Adesso, tutto questo stucchevole
tormentone non avrebbe alcun senso se non vi dicessi come il corno accademico scaligero ha suonato quella
nota; ebbene: proprio un SI bemolle,
che magari qualcuno avrà scambiato per una stonatura (smile!)
A parte questo
dettaglio (e altri su cui non val la pena soffermarsi) Rattalino riporta un’interessante
considerazione riguardo la strumentazione dell’opera, che potrebbe essere, per
così dire, male interpretata, con il risultato di appesantirne eccessivamente
il tessuto musicale: fa l’esempio dei tre tromboni, che suonano quasi sempre le
stesse linee, e che potrebbero ingrassare
i suoni in modo eccessivo, dato che oggi si dispone degli strumenti a coulisse, assai più corposi di quelli a pistoni in uso ai tempi di Donizetti.
Non è un caso
che gli stessi concetti esprima Riccardo
Muti in questo video ripreso alle
prove aperte del DonPasquale di Piacenza, nel 2006, ricordando gli ascendenti napoletani e mozartiani
dell’opera. E dove il maeschtro non
perde l’occasione (3:20 nel video) per confutare il luogo comune che
attribuisce alla musica capacità descrittive…
A me è parso
che Enrique Mazzola abbia
sostanzialmente seguito i dettami di Rattalino e Muti, cercando di evitare ogni
appesantimento eccessivo del suono, sempre tenuto su livelli di accettabile
trasparenza. Nella Sinfonia ha
accentuato in modo forse esagerato alcuni salti di tempo (come il Più Allegro e il Più stretto ai numeri 5 e 6 della partitura) creando effetti magari
interessanti, ma un pochino pacchiani. Comunque a lui e ai ragazzi strumentisti
dell’Accademia va un doveroso plauso per l’ottimo livello dell’esecuzione. Una
citazione particolare per William
Castaldi, prima tromba, per come ha eseguito la lunga melodia (cantabile) che introduce il lamento di
Ernesto all’inizio del second’atto. (Chissà perché a me ricorda sempre il Deguello di Dimitri Tiomkin, nel western
Un dollaro d’onore…)
E a proposito
di reminiscenze, DonPasquale era un’opera praticamente fuori tempo già al suo apparire, in uno scenario musicale dove il comico era ormai scomparso e tutt’al più
sopravviveva il genere semiserio. Eppure
lo straordinario carico di novità che contiene ne ha garantito non solo il
successo immediato, ma la presenza stabile nel repertorio di teatri, direttori
e cantanti. E nell’opera si trovano spunti che altri hanno preso a modello: ad
esempio, non è dato sapere con certezza se Wagner ebbe modo di ascoltarla, ma
di certo l’atmosfera di Ah, un foco insolito, che il patetico DonPasquale
canta nell’Introduzione, tutto eccitato dopo che Malatesta gli ha magnificato
le doti della futura moglie, sembra ritrovarsi nell’esternazione del patetico Beckmesser (terzo atto dei Meistersinger) dopo che ha avuto da
Sachs il permesso di impiegare il suo Lied
per la tenzone canora.
Gli interpreti
di ieri hanno fatto del loro meglio per mettere in risalto le caratteristiche
(psico-)musicali dei diversi personaggi: il senescente incartapecorito, ma
ringalluzzito Don, che Nicola Alaimo ha impersonato con bravura scenica e discreta
prestazione vocale (sorvolerò su qualche sguaiatezza…); lo sbifido faccendiere Malatesta, che Filippo Polinelli ha ben proposto sul
piano scenico, con qualche riserva invece su quello della voce, non sempre
penetrante; il pavido Ernesto, cui Leonardo
Cortellazzi ha prestato la sua voce piccola, ma ben impostata e gradevole;
la birbantella intraprendente Norina, che Ludmilla
Bauerfeldt (forse la migliore del gruppo) ha caratterizzato in modo assai
efficace, proprio sul piano musicale; e il notaio, una particina musicalmente
davvero esigua, ma che Mikeil Kiria –
grazie al regista - ha interpretato con efficacia. Su un buon livello il coro
di Alfonso Cajani.
E a proposito
di regìa, direi che l’allestimento di Jonathan
Miller – assolutamente tradizionale – è quanto mai gradevole e in sintonia
con lo spirito dell’opera. La scena è immutabile e mostra la sezione della casa
di DonPasquale, disposta su tre livelli (il più alto credo poco visibile dalla
seconda galleria…) con le diverse stanze in cui si muovono i protagonisti.
Due gigantesche
ante si aprono a inizio opera per mostrarcela e si richiudono nel terzo atto, a
partire dalla scena nel boschetto. Al piano terra di norma si muovono tre
domestiche, addette più che altro a faccende di cucina (tipo tirare la sfoglia col
mattarello) che intrattengono ospiti in attesa di essere ricevuti in casa:
dapprima Malatesta e poi il Notaio, che se la spassano mangiando e bevendo
mentre al piano superiore il Don se la vede con Ernesto (atto I) e poi ci si
prepara alla registrazione del finto matrimonio (atto II): sono siparietti simpatici,
anche se proprio per questo rischiano di distrarre l’attenzione dello
spettatore da ciò che accade di sopra…
La fissità della
scena comporta che la casa del Don sia anche quella di… Norina. E non a caso perciò,
all’apertura del sipario, vediamo il Don che sta per alzarsi da letto, al primo
piano, mentre al secondo (toh!) Ernesto e Norina concludono evidentemente una
simpatica notte, con la ragazza in pigiama che sale ulteriormente le scale, scomparendo
alla vista, per poi ritornare a fine atto per la sua cavatina.
All’inizio dell’atto
III abbiamo anche un inserto pubblicitario, allorquando il piano terra viene invaso
da scatoloni rosa colmi di capi d’abbigliamento ordinati dalla vulcanica Norina,
e recanti con grandi e ben leggibili scritte i marchi Versace, Prada, Gucci e Valentino:
forse per invitare il pubblico popolare di una serata come questa a vestirsi come
quello del 7 dicembre (smile!)
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