Pochi giorni prima del concerto, la Filarmonica ha annunciato la defezione di Constantin Carydis per il 7 febbraio. Indisposizione è la giustificazione ufficiale (capita, siamo in pieno inverno…) Senza spiegazioni (salvo forse che l'una non può far a meno dell'altro) il forfait anche di Anna Vinnitskaya (la partner solista per il concerto di Ciaikovski).
A salvare capra e cavoli è stato Riccardo Chailly – un discreto maestro sostituto (smile!) – che ha confermato metà del programma, il concerto ciajkovskiano, suonato da un altro interprete di tutto rispetto, Arcadi Volodos, mentre ha rimpiazzato l'impegnativa Decima di Shostakovich con la più abbordabile Settima di Dvorak. Senza sconti sul prezzo del biglietto (ari-smile!)
Del concerto di Ciajkovski se ne hanno piene (in senso buono!) le orecchie e anche per un solista non è facile apportarvi novità clamorose (salvo non mettersi ad imbrattare la partitura). Più facile – di questi tempi – è il rischio di sovraesposizione o di gigionismo (mi viene in mente il Lang Lang dell'ultimo MI-TO, tanto per non far nomi, ma cognomi…) Volodos mostra di cosa è capace la sua straordinaria tecnica; si prende anche un paio di libertà, ma abbastanza veniali. Chailly, da parte sua, lo supporta bene, sia nei fracassi che – soprattutto – nei passaggi intimistici, come l'Andantino semplice, dove flauto e violoncello solisti si mettono in bella mostra, giustamente chiamati per un applauso speciale. Volodos ci regala anche un paio di bis, con Vivaldi-Bach e la Malaguena di Ernesto Lecuona.
Dopo l'intervallo ecco la Settima sinfonia (la seconda, stando al primitivo catalogo predisposto dallo stesso autore, che considerava evidentemente puri esercizi accademici le prime 5) di Antonin Dvorak. Opera composta su invito londinese, ma anche sull'onda del rinnovato interesse per la sinfonia, promosso dalle ultime imprese del grande Johannes. Che il buon ceco non esitava a citare a destra e manca, come dimostra il secondo tema del primo movimento, che è un chiaro tributo all'amico-sponsor, di cui è copiato quasi alla lettera il tema dell'Andante del Secondo Concerto per pianoforte:
Ma Dvorak non dimenticava nemmeno Beethoven, a giudicare da una cadenza dello Scherzo, che ricorda assai il tracotante tema dell'Egmont:
E anche nel secondo movimento (Poco Adagio) l'assolo del corno (discesa mediante-tonica-dominante) mostra la sua chiara ascendenza brahmsiana (dall'Adagio del concerto per violino). A proposito di questo movimento, Dvorak, dopo le prime esecuzioni e prima di mandare la partitura alle stampe, lo accorciò considerevolmente nella sezione centrale, tagliandovi una quarantina di battute (francamente pleonastiche e ripetitive) portandolo così da 150 a 110 misure (e da quasi 13' di durata a molto meno di 10'). Oggi si può però ascoltare l'originale, riesumato in vista dell'edizione critica (?) presso Bärenreiter.
Brahms fa infine capolino anche nell'Allegro conclusivo, in quell'inciso giambico chiaramente mutuato dal primo movimento della Sinfonia in DO minore:
Insomma, nessuno denuncerà Dvorak per plagio reiterato... ma qui non è proprio tutta farina del suo - pur ricco - sacco! (Certo la decima del Dimitri è di altro spessore…)
I Filarmonici e Chailly ci fanno comunque un bel regalo, con un'esecuzione più che dignitosa, accolta da unanimi consensi.
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