affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

12 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#13

Il penultimo concerto del Festival ha avuto come protagonisti l’Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano (una delle tante facce artistiche de laVerdi, formata solo da under-25) e Ruben Jais (che riunisce in sé le cariche di Direttore Generale e Artistico della Fondazione).

Mahler qui era presente come ri-orchestratore di Bach, e incapsulato fra due opere di Beethoven: insomma, una gran bella compagnia!

Si è aperto con l’Ouverture Coriolano, che Beethoven compose per la tragedia di vonCollins. A proposito di tragedie, in questa vecchia pubblicità - che si conclude proprio con le note di apertura del Coriolano - compare a più riprese il teatro di una recente tragedia che ancora grida vendetta…

L’Ouverture poggia classicamente su due temi contrastanti, che evocano la vicenda di Coriolano:

Il primo, DO minore, introdotto da poderosi schianti dell’intera orchestra, è davvero drammatico, come l’intera esistenza del condottiero romano, conclusa - almeno stando a Cicerone - con tanto di suicidio.

Il secondo, nella relativa MIb maggiore, di carattere elegiaco, femminile, contemplativo, vuol evocare la figura della madre che scongiura Coriolano di non attaccare la sua città.

I ragazzi della Giovanile, guidati dal Konzertmeister (fuori-quota…) Dellingshausen hanno fatto così il loro esordio ufficiale in Auditorium, accolti da applausi di simpatia e incoraggiamento. 
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Ecco poi la Suite bachiana, che Mahler approntò a NewYork nel 1909 per una serie di concerti storici della NYPO, di cui era Direttore Musicale; la prima fu eseguita mercoledi 10 novembre, cui seguirono numerose esecuzioni in USA in quella stagione e nella successiva, fino a quel fatale febbraio 1911 quando a Mahler fu diagnosticata la nuova e letale malattia cardiaca che lo portò alla tomba nel giro di tre mesi.

La tabella seguente rappresenta la struttura delle due Suite bachiane originali e le corrispondenti sezioni di quella mahleriana, che principalmente consta nell’aggiunta della parte al clavicembalo, dove sedeva lo stesso Mahler:

Bach
Mahler
Suite 2 (BVW 1067)
Suite aus den Orchesterwerken von J.S. Bach
            1. Ouverture  
      1. Ouverture  
            2. Rondeau
      2. Rondeau
 
 
 
 
 
 
           Badinerie
   
            3. Sarabande
            4. Bourrée I
            5. Bourrée II
            6. Polonaise
            7. Double
            8. Menuet
            9. Badinerie
Suite 3 (BVW 1068)
            1. Ouverture  
            2. Air
      3. Air     
            3. Gavotte I
      4. Gavotte I
          Gavotte II
   
   
            4. Gavotte II
            5. Bourrée  
            6. Gigue

Qui una pregevole esecuzione di Riccardo Chailly ai tempi della sua lunga permanenza al Concertgebouw.

A proposito di questa Suite, va ricordato che essa – insieme alla Quarta di Schumann-Mahler, diretta con la NYPO - fu l’unica opera (e pure non originale…) dell’antico rivale diretta da Arturo Toscanini, precisamente alla Scala mercoledi 12 ottobre del 1927!  

Jais, in considerazione del ruolo di spicco che ha nella Suite (soprattutto nei primi due numeri), ha portato Alessia Scilipoti e il suo flauto al proscenio, alla sua sinistra. Per lei e per tutto il complesso ancora convinti applausi.
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Ha chiuso il programma l’inflazionata Quinta, che ha messo a dura prova la compagine dei giovani, che hanno risposto con entusiasmo e dedizione, nuovamente ricambiati da lunghi applausi. Per loro un felice battesimo: così nel prossimo futuro avranno l’opportunità e l’onore di suonare con Direttori del calibro di Robert Treviño (2/12), Emmanuel Tjeknavorian (17/2) e Claus Peter Flor (11/5).

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#12

L’ultima Orchestra Ospite del Festival è la Toscanini di Parma, guidata da Omer Meir Wellber (al suo esordio in Auditorium) che ci ha presentato un concerto già dato nei giorni scorsi a Como e a Parma (quindi ormai… collaudato).

Vi troviamo le tre principali componenti della produzione mahleriana esplorate dal Festival: Sinfonia, Lieder e orchestrazioni di musica altrui (Schumann, nella fattispecie).

Si è quindi aperto con l’Andante-Adagio, unico movimento portato (quasi) a compimento della Decima, che Mahler mise sulla carta nell’estate del 1910 a Toblach, la sua ultima estate e per di più quella più dolorosa (almeno quanto quella del 1907 a Maiernigg): perché vi arrivò la terza martellata che il superstizioso Mahler aveva cancellato dal finale della sua Sesta (anzi, potremmo dire fosse in realtà la quarta martellata): il tradimento di Alma! Un colpo che peraltro il compositore, riavutosi dallo choc della sorpresa, incassò con grande dignità, ammettendo le sue colpe (inadempienze ai doveri del letto matrimoniale, per essere precisi) nei riguardi della moglie e correndo fino a Leiden per farsi aiutare da Freud a rimediare alla catastrofe. 

Ed in effetti Alma decise di rimanere stoicamente al suo fianco, mentre il marito arricchiva gli schizzi della nascente Sinfonia costellandoli non già di note, ma di sfoghi, invocazioni, imprecazioni e lamenti. Mahler si dovette poi occupare della trionfale prima dell’Ottava a Monaco e infine partì per NewYork, dove imperterrito continuò a lavorare alacremente con la NYPO, dirigendo un concerto dietro l’altro, fino a che… il cuore già da sempre malmesso fu attaccato dallo sbifido virus che provocò la fatale endocardite. 

E della Sinfonia Mahler lasciò quindi solo lo scheletro (ma una specie di Frankenstein, senza una chiara indicazione di quali fossero le braccia, le gambe, il torso e il bacino, tanto per dire…) Lo stesso movimento completato doveva essere presumibilmente il secondo dei cinque sbozzati in Particell (1-2-3-4-5 righi musicali al massimo) e arrivati a noi dalla moglie Alma che li rese pubblici nel 1924.

E persino su questo movimento giuntoci in manoscritto nella sua interezza (orizzontale e… verticale) possiamo star tutt’altro che certi che sarebbe rimasto proprio così se l’Autore avesse avuto il tempo materiale per ulteriormente rivisitarlo e rifinirlo, come fece per tutte le sue Sinfonie precedenti.

Ne è prova che persino curatori diversi della pubblicazione di questo Adagio non hanno concordato fra loro. Ad esempio, nell'ormai lontano 1964, proprio nel periodo in cui Deryck Cooke – Alma permettendo - stava facendo eseguire la sua prima versione dell'intera sinfonia, Erwin Ratz, nella sua prefazione all'edizione Universal del solo Adagio, scriveva papale-papale: 

Ciò che sta scritto su questi fogli (i manoscritti mahleriani, ndr) era completamente intellegibile dal solo Mahler, e nemmeno un genio sarebbe capace, da questo stadio di sviluppo del lavoro, di divinare l'approccio alla sua forma definitiva. 

Ma questa sentenza - un grosso siluro a Cooke - veniva pubblicata proprio nella prefazione all’Adagio, che Ratz aveva a sua volta editato (come risulta dal corposo Revisionsbericht…) in quanto incompleto la sua parte, e in base alla considerazione che ormai quel movimento era entrato nel repertorio di tutte le orchestre, e tanto valeva dargli una veste, per così dire, ufficiale, con la benedizione della Internationale Mahler Gesellschaft di Vienna.  

Se si confrontano le due partiture dell’Adagio – di Ratz e Cooke – si possono rilevare differenze di varia natura: alcune sono bizzarrìe belle e buone, come notare un FA bequadro (Cooke) invece di un MI diesis (che Ratz non si accontenta di indicare in chiave, ma scrive esplicitamente davanti alle note); in altri casi troviamo indicazioni agogico-dinamiche divergenti (dove Cooke è assai più ricco ed esplicito di Ratz); infine abbiamo differenze non da poco nell'orchestrazione, dove ad esempio Cooke impiega flauti, oboi, clarinetti e tromboni a4 (mentre Ratz li limita a3), prevede clarinetto basso e controfagotti (assenti nella versione Ratz) e a volte ispessisce il suono aggiungendo oboi e flauti sopra gli ottoni (peraltro sempre in modo distinguibile rispetto al contenuto del manoscritto).

Certo, ad un ascolto superficiale son differenze magari impercettibili, che non cambiano poi di molto la sostanza, ma che testimoniano dell'incompletezza del lavoro mahleriano, che dobbiamo accontentarci di immaginare, più che di assaporare compiutamente.

Meir Wellber – a giudicare dagli strumenti messi in scena – deve aver dato ragione a Ratz. Comunque, Ratz o Cooke, sempre Mahler é… e il Direttore israeliano e la Toscanini lo hanno valorizzato al massimo, facendo emergere i tratti più espressionisti della partitura (che si muove ormai ben oltre i confini della tonalità) insieme alla nobile cantabilità del tema principale. 
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Ancora Mahler con i cinque Rückert-Lieder (qui alcune mie brevi note sui contenuti) interpretati da quel Christoph Pohl che avevamo giorni fa ammirato ed applaudito, con la SantaCecilia, nei Lieder dal Wunderhorn.

Dato che Mahler non indicò alcuna tassativa sequenza di esecuzione, Pohl ha comprensibilmente posto in coda alla sua performance i due Lieder più corposi e di maggior effetto: Um Mitternacht e Ich bin der Welt. Per lui scroscianti applausi, ovazioni e ripetute chiamate.
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Ha chiuso la parte ufficiale del concerto la Quarta di Schumann rivisitata da Mahler. Le differenze rispetto all’originale che anche un non esperto può individuare sono: la mancanza del da-capo dell’esposizione nel movimento iniziale (ma questo è ciò che può fare chiunque…) e i rinforzi dei corni a dare splendore ad alcuni passaggi topici.

Meir Wellber l’ha diretta a memoria, non negandosi/negandoci suoi personali tocchi interpretativi, soprattutto a livello agogico, che hanno impreziosito la Sinfonia ben al di là del valore aggiunto mahleriano.

Alla fine il trionfo (applausi ritmati, urla) non è mancato, cosicchè è stato ricambiato dal mascagniano Intermezzo dalla Cavalleria.    

09 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#11

Ieri sera il Duomo di Milano ha ospitato quello che certamente era il concerto-clou del Mahler-Festival: l’esagerata Ottava, che l’Orchestra Sinfonica di Milano eseguiva per la seconda volta nella sua storia, dopo quella prima esperienza del novembre 2013 (20° anniversario) alla vecchia Fiera, con Chailly.

Pubblico che neanche a Natale o Pasqua… lunghissime code in piazza attendendo l’apertura del giganteschi portoni della Cattedrale in durissima pietra sotto le cui navate sono poi risuonate le note di tutt’altro tipo di Cattedrale!

Impressionante lo spettacolo dei Musikanten schierati nell’abside (con la banda isolata - che nei finali di ciascuna delle due parti suona i temi principali della parte susseguente / antecedente - sul pulpito di sinistra): oltre agli strumentisti, ecco sul fondo, al centro, i Pueri Cantores del Duomo (preparati e guidati da Marta Guassardo e Massimo Palombella); più sotto le piccole del Coro di Voci Bianche di Milano (emanazione de laVerdi, dirette da Maria Teresa Tramontin); sopra, ad avvolgere i… minorenni, i due cori misti associatisi per l’occasione: quello di casa e quello AsLiCo  (Massimo Fiocchi Malaspina).

I solisti di canto erano davanti all’orchestra, ai lati del podio: soprani Flurina Stucki, Eleanor Lyons e Elisabeth Breuer; mezzosoprani Bettina Ranch (già protagonista della Auferstehung) e Annely Peebo; tenore Tuomas Katajala (ha cantato nell’inaugurazione alla Scala Das Lied von der Erde); Jochen Kupfer, baritono e Samuel Youn, basso.

Sul podio Claus Peter Flor, che ha già inciso con l’Orchestra di cui è Direttore Emerito le sinfonie dispari di Mahler, ed ora ha fatto il battesimo della più complicata (almeno materialmente) sinfonia pari!

Che dire? È una musica che allo stesso tempo ti stordisce e ti emoziona. Dall’inno medievale di Hrabanus (da infarto l’Ac---cende Lumen) al finale metafisico di Goethe (dove si sale dalla solitudine di valli rocciose su su verso l’ineffabile ed eterno Weibliche) è un viaggio davvero unico in tutta la storia della musica! Oratorio? Cantata? Messa? Forse un insieme di tutto ciò, che molti hanno giudicato e giudicano velleitario, tacciando il suo Autore di megalomania ma che, ascoltato dal vivo come capita (e tutto sommato è forse un bene) così di rado, non può non prenderti per la gola.

Ieri, in un ambiente che, quanto ad acustica, non è certo dei migliori, la prestazione complessiva è stata più che soddisfacente e mi sento di assegnarle un voto più che positivo. 

Claus Peter Flor ha come minimo il merito di aver saputo tenere insieme con grande autorevolezza quello sterminato esercito che si trovava a dover guidare (piccole imperfezioni o sbavature in questi casi sono all’ordine del giorno); i solisti, specie in Goethe dove devono emergere al di sopra dell’oceano dei cori, si sono onorevolmente portati; e i tre cori, appunto, che hanno un ruolo immane in quest’opera, lo hanno interpretato con grande efficacia, negli stentorei passaggi dell’Inno, come negli oscuri sussurri degli anacoreti, nel misterioso e straordinario attacco dell’Alles Vergängliche, e nella finale esplosione dello zieht uns hinan!        

Un’ultima osservazione: nel giro di soli sei mesi l’Ottava è risuonata per ben quattro volte nel cuore di Milano: tre esecuzioni a maggio, con Chailly, nel tempio della musica; e questa nel tempio della religione. Un vero record, per una città che evidentemente non sa offrire solo shopping

07 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#10

L’Orchestra ospite per questa puntata del Festival era la Haydn di Bolzano&Trento, guidata dal suo Direttore Principale, Ottavio Dantone.

Ecco quindi, proseguendo il mahleriano pellegrinaggio in rigorosa sequenza, la Settima. Sicuramente la Sinfonia meno eseguita (e quindi meno conosciuta e amata dal pubblico) forse per colpa del sistema mediatico di divulgazione, che deve sempre trovare qualunque stereotipo – extramusicale, si badi bene! - atto a colpire l’immaginazione dell'ascoltatore.

Così, ad esempio: Mahler, il titano che trionfa nella Prima e poi viene sepolto e risorge nella Seconda, quindi viene bastonato (anzi… martellato) nella Sesta; o il Mahler sdolcinato e fischiettabile della Quarta; oppure quello ipertrofico e sesquipedale della Terza e dell’Ottava; o quello supposto decadente (Adagietto della Quinta) che viene impropriamente strumentalizzato da Visconti; o quello disperato che sente il suo cuore perder colpi e tirare gli ultimi (Lied von der Erde e Nona…)   

Insomma, per la Settima il marketing non trova un posto adeguato in tale agiografia, e così l’opera finisce direttamente – quanto immeritatamente - nel dimenticatoio… (E allora mi permetterò di proporne una mia velleitaria analisi, con citazione illustre...)      

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Devo dire che l’esecuzione della Haydn mi ha convinto a metà: Dantone (che ha diretto a mani nude, come Angius la Sesta) ha mostrato di padroneggiare assai bene questa sbifida partitura (in fondo è un Mahler che si picca di rivaleggiare con… Bach, che il Direttore conosce come le sue tasche). L’orchestra invece ha avuto qualche défaillance, in specie negli ottoni: anche il Tenor-Horn ha sbucciato proprio l’entrata… un vero peccato, poiché in seguito si è riscattato alla grande. E poi l’amalgama tra le sezioni non sempre mi è parso ottimale. 

Ma, come accaduto per le altre Orchestre ospiti, anche la Haydn è stata accolta dal folto pubblico dell’Auditorium con vivaci manifestazioni di consenso. Il che, per Orchestra e Direttore, rappresenta comunque un buon viatico per le due riprese… a casa loro, di giovedi e venerdi.

05 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#9

Siamo ormai alla seconda metà del ciclo delle sinfonie, e per la Sesta in Auditorium è arrivata un’altra Orchestra ospite, quella dell’Arena di Verona, guidata da Marco Angius.

Sulle (tante) banalità cresciute attorno a questa Sinfonia - alimentate anche dallo stesso compositore ma soprattutto dalla moglie (forse per farsi perdonare i… tradimenti) - mi sono dilungato assai molti anni fa e quindi non faccio che rimandare a quel lungo e articolato commento, in appendice al quale ho allegato quello, assai più autorevole, di Ugo Duse.

Un tormentone interminabile è nato intorno alla collocazione dei due movimenti centrali della Sinfonia: lo Scherzo e l’Andante (e in più anche sul numero – 2 o 3 – di martellate nel Finale).  Basti dire che Gastón Fournier-Facio, curatore del recente Tutto Mahler, dedica non meno di 14 pagine a censire le principali esecuzioni (a partire proprio dalla prima di Essen, diretta dall’Autore, nel 1906) della Sinfonia, e poi tutte le edizioni ed anche i razionali che portano le diverse scuole di pensiero a privilegiare una o l’altra delle due possibili sequenze.

Anch’io, nel mio piccolo, ho qualcosa da proporre, e riporto un estratto di un mio vecchio commento al proposito, basato su tre possibili prospettive di ascolto:

1. Se si guarda all’equilibrio dell’opera in termini di durate temporali, sembrerebbe pacifico mettere lo scherzo in seconda posizione (come per la Nona beethoveniana, per dire…): abbiamo in questo caso i movimenti 1+2 (animati) che occupano 35 minuti e poi l’andante di 15 minuti che serve a prender fiato prima dell’altra mezz’ora del finale burrascoso. In questa soluzione la Sesta si avvicina quasi alla Quinta (che ha tre movimenti mossi, poi il calmo Adagietto, che vagamente anticipa l’Andante della sesta, prima del finale allegro)

2. Se si guarda alla forma classica - che secondo taluni, Adorno in testa - sarebbe alla base della concezione artistica della Sesta, allora l’Andante dovrebbe venire prima dello Scherzo (in fondo anche Beethoven fece uno strappo alla regola soltanto con la sua Nona, appunto; per il resto restò fedele alla tradizione, collocando sempre il movimento più lento in seconda posizione, in modo poi da animare progressivamente l’atmosfera, con il Minuetto - poi Scherzo – in vista dell’Allegro finale).

3. Poi c’è la vista da poema sinfonico, autorizzata sia dai riferimenti extramusicali e autobiografici, che dalle arditezze di certe indicazioni dinamiche e dall’uso di strumenti che nulla hanno a che fare con la sinfonia classica (celesta, campanacci da mucca, martello e altre percussioni). Secondo tale approccio verrebbe ancora da preferire lo scherzo in posizione avanzata, in quanto avremmo: il ritratto di Alma, poi le piccole Putzi e Gucki che giocano in riva al lago, quindi un accorato sguardo all’indietro verso i bei giorni passati, e infine le tre mazzate del destino che abbattono definitivamente l’artista e l’uomo.  
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Marco Angius? Come ci sia arrivato lo saprà lui, ma ha deciso per la soluzione Scherzo-Andante. La cosa curiosa è che aveva sotto gli occhi una partitura (verosimilmente la seconda di Kahnt) che reca la sequenza Andante-Scherzo: prova ne sia che si è munito di segnalibri per fare gli spostamenti avanti-indietro durante l’esecuzione. (I colpi di martello erano solo due, ma questo è ormai universalmente accettato.)

La prestazione dei veronesi è stata non meno che eccellente (strepitoso il corno di Andrea Leasi, letteralmente acclamato alla fine). Angius, che dirige a mani nude, ha mostrato un’assoluta padronanza di quest’opera complessa tecnicamente ma soprattutto esteticamente, e ne è venuto a capo alla grande.

L’Orchestra veronese ha dimostrato che non sa distinguersi solo all’aperto in Verdi e Puccini, ma che non ha nulla da invidiare alle migliori orchestre internazionali anche in questo repertorio.

Auditorium (colmo anche oggi) letteralmente in visibilio, con ripetute chiamate e battimani ritmati, a suggellare un’altra memorabile giornata di questo Festival.

04 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#8

Lungo la strada delle Sinfonie mahleriane siamo arrivati alla Quinta. Che è stata affidata (alla quarta replica in 4 giorni!) alle mani premurose di Robert Treviño a capo della OSN-RAI. Nelle cui file milita da qualche tempo la tromba di Alex Caruana, storica prima parte de laVerdi. (Giovedi scorso si era rivisto anche Max Crepaldi, primo flauto passato da pochi anni alla Scala. Dove alberga anche Eriko Tsuchihashi, che per anni fu la vice-Santaniello. Segno che la fucina di Largo Mahler sforna ottimi prodotti!)

Rispettando l’impaginazione del concerto dell’OSN, l’apertura è affidata a Charles Ives e alla sua breve The unanswered Question, che con Mahler ha qualche affinità… cronologica (è del 1908). Qui Ives intende presentarci – e lo scrive esplicitamente nella prefazione alla partitura – una specie di scenario universale, caratterizzato da tre diversi elementi:

1. l'immutabile ed eterna quiete cosmica (solitudine indisturbata la definisce) impersonata dagli archi (fuori scena) che suonano lentamente (il tempo è 4/4 Largo molto sempre) con valore di note che normalmente si assesta su semibreve e minima e solo in poche occasioni scende alla semiminima;

2. la perenne domanda sull'esistenza, come lo stesso Ives definisce il motto che la tromba (isolata) ripete per sette volte; e

3. la ricerca della risposta (la caccia alla risposta invisibile) affidata a quattro flauti (o strumentini) che ci provano per sei volte, con risultati sempre più scoraggianti, che li portano in uno stato di totale isteria.

Quale significato filosofico ci sia dietro è materia di molte possibili interpretazioni (una di queste è del Direttore Treviño, intervistato prima dell’esecuzione torinese) ma, trattandosi di musica, a qualcuno questo breve brano apparve come una visione profetica di ciò che, appunto in musica, sarebbe accaduto nei decenni successivi a quel 1908, e quindi contenere un messaggio profetico abbastanza chiaro riguardo alla futilità delle risposte che la musica del futuro avrebbe dato alla perenne domanda sull'esistenza. Nel 1973 il grande Lenny Bernstein apriva così il suo ciclo di lectures ad Harvard, intitolato precisamente al brano di Ives, e lo concludeva esponendo il suo credo nella tonalità e nelle serie armoniche!

Anche qui è stata proposta la stessa scenografia torinese: buio completo (salvo le lucine sui leggii), tromba solista (Roberto Rossi) fuori dalla sala e i flauti in balconata. L’effetto scenografico è sicuramente suggestivo, quello musicale (al netto della qualità degli esecutori) francamente discutibile. 
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La Quinta mahleriana è normalmente etichettata come la prima di un ciclo di tre (insieme a Sesta e Settima) perchè segnerebbe il punto di dipartita di Mahler dal fanciullesco-folklorico mondo del Wunderhorn al quale apparterrebbero le tre precedenti, infarcite di Lieder (con e/o senza voce) provenienti dalla collana di vonArnim-Brentano, cui Mahler aveva dedicato grande attenzione nei suoi primi anni da compositore.

La Quinta segnerebbe quindi l’aprirsi di una nuova era nel mondo estetico mahleriano, come dimostrerebbero i riferimenti in essa contenuti a Lieder di Rückert, oltre che ad aspetti più strettamente legati alla forma (ad esempio l’impiego del contrappunto e quello del Rondò). E le due successive sinfonie confermerebbero questa tesi. Anche il prezioso libro Tutto Mahler, curato da Gastón Fournier-Facio in occasione del Festival, indirettamente avalla questa tesi, separando il Capitolo dedicato alla Quarta da quello che tratta della Quinta con un Intermezzo sui Lieder di Rückert.

Peccato che si tratti di una tesi ampiamente contraddetta (non certo da me, ma da personalità quali Ugo Duse, autore della prima e ancor oggi fondamentale monografia italiana su Mahler; e da H.L. de La Grange, che su Mahler ha scritto qualcosa come 3600 pagine!!!) proprio dai contenuti di questa Quinta, che accoglie spunti da Mahler messi per iscritto già ai tempi della composizione di quei precedenti lavori, addirittura dai tempi della Terza (!) come documenta un abbozzo della struttura della Quarta Sinfonia che Mahler chiamò Humoreske, sei movimenti, di cui solo il primo, il terzo e l’ultimo restarono poi nella Quarta; degli altri: Das irdische Leben fu espunto, Morgenglocken divenne il 5° movimento della Terza; e Die Welt ohne Schwere diverrà lo Scherzo della Quinta!

Dove poi troviamo quelle iniziali terzine di trombetta che già avevano fatto una fugace comparsa nel primo movimento della Quarta, alla quale quindi rimandano scopertamente. La marcia funebre che apre l’opera è una riedizione della Totenfeier dalla quale sbocciò poi la Seconda Sinfonia. Come detto, lo Scherzo in RE maggiore fu pensato in origine come 5° movimento della Quarta sinfonia…

Quanto ai Lieder, è vero che vi si trovano richiami e citazioni di Rückert (Nun will die Sonn’ e Ich bin der Welt abhanden gekommen) ma è anche vero che la marcia funebre del primo movimento richiama quelle dei tamburini del Wunderhorn (di Revelge poi è una chiara citazione nel finale, al numero 29 negli strumentini). Inoltre, il quinto ed ultimo movimento riprende esplicitamente Lob des hohen Verstandes (l’acuta intelligenza di un... asino!) sempre dal Wunderhorn. 

E ancora, la forma: la struttura in 5 movimenti richiama la versione originale della Prima, poi la Seconda e, per difetto, la Terza. Ai quattro movimenti della tradizione Mahler era già arrivato con la versione definitiva della Prima e con la Quarta, prima di tornarci con la Sesta, poi (surrettiziamente) con l’Ottava, e infine con la Nona, mantenendo invece per Settima e Decima la struttura in 5 movimenti. E l’eterogeneità dei contenuti (bizzarra concatenazione tonale, irruzioni di motivi sguaiati, un corale nel secondo movimento, l’interminabile tiritera del corno obbligato nello Scherzo (parente di quella della cornetta da postiglione della Terza) non si discosta certo da quella delle sinfonie precedenti...    

È ben vero che Mahler stesso parlò più volte, a proposito di quest’opera, di un suo nuovo stile, che peraltro non si manifestò mai compiutamente, se già prima della pubblicazione Mahler mise drasticamente mano all’orchestrazione (percussioni, in particolare) sull’onda delle pesanti critiche di Alma! E se ancora dopo il Lied von der Erde e la Nona Mahler si vide costretto ad altri ritocchi.

Insomma, suddividere la produzione di Mahler in blocchi chiusi è proprio fare un torto al compositore, che invece per l’intera sua opera ha seguito contenuti e strutture formali dettate esclusivamente dall’ispirazione, e da un approccio estetico-filosofico che non è mai mutato, tanto da far pensare ad uno sviluppo continuo (evoluzione vs rivoluzione) quasi che i Lieder, le dieci Sinfonie (più il Lied von der Erde) costituiscano un unico, gigantesco e - a suo modo - coerente monumento sinfonico. 

Chiudo riproponendo alcune citazioni e aneddoti riguardanti questa Sinfonia.

Ecco cosa scriveva Arturo Toscanini (fine 1904, quindi molto prima dell’incontro-scontro con Mahler a NY) proprio a proposito della Quinta, al cognato-violinista Enrico Polo, che gli aveva spedito una copia della partitura: “Non puoi immaginare con quanta gioia e curiosità ho ricevuto il tuo plico inatteso e come lo abbia subito letto, anzi divorato! Malauguratamente, gioia e curiosità sono sparite e si son mutate in triste, assai triste ilarità. Credimi, caro Enrico, Mahler non è un artista serio. La sua musica non possiede né personalità, né genio; è una mistura di Italianità alla Petrella e Leoncavallo accoppiata alla magniloquenza musicale e strumentale di Ciajkovski, e con la ricerca di bizzarrìe straussiane (anche se lui si vanta di avere tendenze opposte) ma senza l’originalità né dell’uno né dell’altro. Ad ogni piè sospinto cade non già nel clichè ma nel triviale. Guarda qui (8 misure iniziali del tema della Trauermarsch): Petrella e Leoncavallo proverebbero solo sdegno di fronte a questo piccolo motivo di marcia che Mahler non si vergogna di introdurre nel primo movimento di una sinfonia. E potresti immaginare una boiata più tremenda di quest’altro passaggio (le 13 battute dei corni dal numero 7 della partitura)? L’idea di un’esecuzione a Torino è da scartarsi.” 

Beh, come accoglienza, non è davvero male! E il grande Arturo aveva un occhio, oltre che un orecchio, infallibile: ad esempio non doveva essergli sfuggita – nel Trio del primo movimento - la chiara reminiscenza dello straussiano Zarathustra

A proposito di Richard Strauss, ecco il suo giudizio, positivo, ma con qualche frecciatina. Scrive a Mahler, dopo la prima di Berlino: “La sua Quinta sinfonia mi ha donato nuovamente un’immensa gioia, che si è velata solo un poco durante il breve Adagietto. (…) I primi due tempi sono veramente grandiosi; il geniale Scherzo è risultato forse un po’ troppo lungo…

Un altro ricordo assai curioso ci arriva dai Briefe di Alma: “La Quinta era stata la prima opera alla cui nascita avevo assistito e a cui avevo pienamente partecipato! Ne avevo copiato tutta la partitura, anzi più ancora: Mahler aveva lasciato in bianco dei righi interi, perché sapeva che conoscevo le parti, e si fidava ciecamente di me. In primavera ne aveva fatto una prova di lettura con l’Orchestra Filarmonica, a cui avevo assistito nascosta in galleria. Io che avevo sentito tutte le melodie nel copiarle, ora non riuscivo a sentirle, perché Mahler fece suonare la batteria col tamburo piccolo tutto il tempo tanto selvaggiamente che, al di fuori del ritmo, non si percepiva quasi nulla. Corsi a casa in lacrime. Mi seguì. Non volli parlargli per parecchio tempo. Finalmente dissi singhiozzando: <<Hai scritto una sinfonia per batteria!>> Egli rise, prese la partitura e cancellò con una matita rossa tutta la parte del tamburo piccolo e la metà della batteria.

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O.T. Se ascoltiamo l’intervista di Susanna Franchi a Treviño dobbiamo rilevare un clamoroso lapsus dell’intervistatrice, che nella sua traduzione dall’inglese mette in bocca al Maestro una grande stupidaggine: tutta la Sinfonia sarebbe in tonalità Maggiore (!?) Quando è chiaro che il malcapitato Treviño si sta riferendo solo all’ultimo movimento! (Ed è la RAI ancora non impoverita da Meloni&C…)

Ormai dal Maestro mexico-texano ci possiamo solo aspettare grandi cose, e questo pomeriggio siamo stati del tutto accontentati! Del resto già l’ascolto dell’esecuzione torinese aveva mostrato la qualità del Direttore e della sua lettura dell’opera, oltre a quella, scontata, dell’Orchestra. Oggi addirittura mi pare di aver sentito ulteriori miglioramenti, e non saprei proprio trovare nemmeno il classico pelo nell’uovo.

Alla fine pubblico (oceanico) in autentico delirio, con ovazioni speciali per il corno di Ettore Bongiovanni e la tromba di Roberto Rossi.

03 novembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#7

L’Orchestra Regionale della Toscana ha riunito le sue forze con quelle dei ragazzi fiesolani dell’Orchestra Giovanile Italiana per offrirci il settimo concerto del Festival (con lo stesso programma inaugurano la loro nuova stagione). Sul podio il 58enne Markus Stenz, con i Lieder affidati alla sudafricana-canadese Sophie Harmsen.

La prima parte del concerto è appunto occupata dai cinque Kindertotenlieder, più o meno coevi (e ad essa collegati da sottili legami) della Quarta Sinfonia che completa il programma. (Qui alcune mie personali note, redatte in occasione di un concerto dello scorso gennaio).

La Harmsen li ha interpretati con grande sentimento, peccato che la sua bella voce di mezzosoprano acuto manchi un poco di… volume e di proiezione; e Stenz da parte sua poco ha fatto per evitare di coprirla con l’orchestra. Comunque calorosa accoglienza per lei.
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Ecco quindi la Quarta, una sinfonia difficile da inquadrare, avendo un carattere piuttosto ambiguo, a volte parodistico, se non addirittura ipocrita. Ideata già ai tempi della Seconda, presenta un primo movimento dal sapore leggero (Haydn-iano fu subito etichettato) ma non privo di quelle che Adorno definì irruzioni improvvise (inclusa quella della trombetta che anticipa l’atmosfera cupa dell’incipit della Quintain un’atmosfera apparentemente calma. Poi uno Scherzo demoniaco, con il suono del dis-cordato violinetto di strada - che Mahler stesso, in una nota poi espunta, chiamava l’amico Hein,  cioè la morte, nientemeno! - affiancato da un Trio – in cui spiccano altre irruzioni, del clarinetto - che in realtà sembra anticipare le beatitudini di là da venire… cioè il Poco Adagio, tranquillo e contemplativo, che tuttavia presenta al suo interno quel breve inciso dall’Aida che tornerà nel secondo dei Kindertotenlieder (ascoltati in apertura) e dove per il resto si nota la chiara eredità dal finale della Sinfonia precedente. A proposito della quale, nelle prime intenzioni di Mahler doveva chiudere con un settimo movimento, indovinate quale?: proprio il Lied che invece Mahler dirottò sulla Quarta!

Certo, tutto poi finisce col plateale e scolastico MI maggiore - canonica tonalità di pace, tranquillità ed estasi – con canti e danze sotto la bacchetta autorevole di Sankt Cäcilia. Ma prima non erano mancati squarci assai poco paradisiaci: non per nulla, il tutto viene dal Wunderhorn, una raccolta di stornelli, poesiacce da strada, canti disperati di gente dall’esistenza subumana, inferni terreni (Das irdische Leben, ascoltato proprio una settimana fa con la Santa Cecilia) e paradisi posticci (Das himmlische Leben, appunto) dove si divertono, insieme, il pescatore volante San Pietro ed Erode, il macellaio. Il Sant’Uffizio evidentemente al tempo doveva avere cose più importanti di cui occuparsi, altrimenti Arnim&Brentano se la sarebbero vista brutta, a pubblicare cose come Der Himmel hängt voll Geigen...

Insomma, un pot-pourri di idee, sensazioni, umori – non per nulla Humoreske erano chiamati i sei brani preesistenti addirittura alla Terza che dovevano in origine costituire la Sinfonia, solo i due estremi rimasti poi al loro posto, gli altri impiegati nella Terza, appunto, e nella Quinta! – che può apparire disarticolato e privo di una chiara narrativa

Dopodichè si tratta pur sempre di… Mahler, magari nel bene e nel male, ecco. Stenz mi pare abbia tenuto ad accentuare fortemente i contrasti, il che non è una colpa, ma una conferma che la Sinfonia si presta, per le ragioni esposte, ad interpretazioni diverse, da quelle più intimistiche a quelle più espressioniste o persino sguaiate. L’orchestra ha mostrato grandi pregi e anche notevoli individualità.

La voce leggera della Harmsen non ha fatto rimpiangere quelle di soprano (quasi universalmente impiegate) o anche quelle di voci bianche (talvolta scelte in passato da Bernstein).

Alla fine un autentico trionfo ha accomunato tutti: applausi ritmati e ovazioni si sono sprecate per questa bella realtà del panorama musicale italiano.