La sesquipedale Terza Sinfonia di Mahler
è comunemente etichettata (stando anche alle molteplici indicazioni
programmatiche lasciate a più riprese dall’Autore medesimo) come una lunga e
faticosa ascesa dalle… stalle alle stelle. Un percorso così schematizzabile: natura
inorganica > vegetali > animali > esseri umani sottosviluppati >
santificazione > ineffabilità dell’assoluto.
Mahler poi ritirò quei programmi, invitando l’ascoltatore ad apprezzare quella sua musica senza caricarla di (più o meno plausibili) significati extra-musicali o filosofico-religiosi, ma a fruirne come il frutto del lavoro di quel sesto senso che guida il rapsodo a decifrare, per poi esprimerle in suoni, le oscure sensazioni che nascono dal suo io profondo.
E tuttavia è innegabile che proprio la musica di questa Sinfonia ci conduca inevitabilmente su un cammino di progressiva elevazione spirituale, culminante nel finale beethovenian-parsifaliano, dove ci sembra di abbandonare la dimensione spazio-temporale per entrare in……
Ecco, Daniele Gatti – una direzione, appunto, mistica, la sua, degna del più ascetico dei Celibidache - ci ha proprio portato per mano in questa faticosa ma gratificante avventura. Dobbiamo ringraziare lui, l’Orchestra, i cori (femminile di Malazzi e dei piccoli di Casoni) oltre alla calda voce di Elina Garanča, se abbiamo avuto ancora una volta la fortuna di poterci emozionare.
Applausi interminabili per tutti in un Piermarini con qualche vuoto di troppo, francamente. Poi, ahinoi, si torna a casa a domandarci in che mondo viviamo…
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