intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

06 novembre, 2022

Una gran Tempesta si abbatte sulla Scala

Eccomi a commentare questa prima scaligera di The Tempest di Thomas Adès, diretta dall’Autore e presentata con la messinscena del MET (2012) ad opera di Robert Lepage (qui ripresa da Gregory A. Fortner).

Di quella produzione restano presenti qui (oltre all’Autore/Direttore) quattro degli 11 interpreti, e precisamente: Audrey Luna (Ariel); Isabel Leonard (Miranda); Toby Spence (che però qui fa il Re di Napoli e non il golpista Antonio, mentre nel 2004 a Londra era l’innamorato Ferdinand!) e Kevin Burdette (Stefano, l’ubriacone).

Della regìa si conosceva praticamente tutto, essendo disponibile in rete una registrazione del MET. Certo, per avere in teatro lo stesso livello di qualità dello spettacolo garantito da una buona regia cinematografica (o televisiva) è necessario armarsi di binocolo per poter apprezzare almeno i primi piani dei cantanti o importanti dettagli della messinscena; ciò detto, la resa complessiva mi è parsa di grande impatto ed efficacia.

Sul fronte sonoro è da apprezzare la duttilità che l’Orchestra scaligera ha messo in mostra, rispondendo da par suo alle sollecitazioni del Direttore/Autore (che aveva avuto modo – per puro caso – di prenderci confidenza dirigendo un concerto sinfonico ai primi di ottobre). L’orchestrazione di Adès è assai raffinata e ricca di sottili dettagli che sono emersi nitidamente lungo l’intero arco della rappresentazione.     

In opere come questa le voci vanno (secondo me) giudicate più per l’efficacia nel presentare i personaggi che non nella stretta aderenza ai tradizionali canoni tecnici del melodramma. Il che non significa che si sia autorizzati a cantar male, ci mancherebbe. Tuttavia qui il parlato, il declamato, lo Sprechgesang e i falsettati sono all’ordine del giorno, alternandosi a momenti di canto spiegato come lo si intende comunemente.

La parte sicuramente più eterodossa (se così si può dire) è quella affidata al soprano di coloratura che interpreta lo spiritello di Ariel: una parte tanto improba da far impallidire quella di Astrifiammante (arriva a toccare opzionalmente il SOL iperacuto!) che comporta – già dalla prima comparsa in scena - intervalli vertiginosi, quindi di problematica intonazione, e virtuosismi davvero impervi. Stesso dicasi per i suoi interventi a seminare zizzania fra i naufraghi e poi a spaventarli con la sua apparizione da arpia. Ma non mancano al personaggio momenti di autentico lirismo: il mesto racconto a Ferdinand per risvegliarlo e portarlo da Prospero; il breve intermezzo masque; la compassionevole descrizione delle condizioni del Re e di Antonio, prima del perdono finale. La specialista nel ruolo Audrey Luna ha confermato quanto di buono si può ascoltare – ma anche vedere! - nel video del MET. Per lei un autentico trionfo.  

Il protagonista Prospero (baritono che ha una tessitura ampia, dal FA grave al LA acuto) è interpretato da Leigh Melrose (già passato con profitto qui alla Scala in Fin de partie). A differenza del personaggio di Shakespeare, questo Prospero è un uomo ancora relativamente giovane, e ciò spiega il muoversi del suo canto prevalentemente nella zona alta della tessitura. Il suo stato d’animo è caratterizzato da rancore e desiderio di vendetta: solo alla fine si scioglierà nel perdono e nella riconciliazione con chi lo aveva tradito. Melrose ne dà un’interpretazione convincente: la sua corposa voce quasi da baritenore è assolutamente calzante sul personaggio.

Sua figlia Miranda è impersonata dalla pregevole Isabel Leonard (altra superstite delle recite del MET). Capace di esprimere apprensione, stupore e anche rimprovero verso il padre, ma poi soprattutto donna innamorata, coraggiosa nelle sue scelte e disposta a sfidare il padre troppo possessivo, convincendolo alla fine a riconoscere il suo diritto alla libertà. Mertita un voto più che buono.

Al suo innamorato Ferdinand dà voce Josh Lovell, tenore leggero che sa bene rendere la personalità piuttosto timida e ingenua di questo figlio-di-papà cresciuto nella bambagia, sognatore e idealista.

A proposito di tenori, ce ne sono altri tre nel cast: il primo di costoro è addirittura il padre di Ferdinand (cosa apparentemente bizzarra) cioè il Re di Napoli, qui interpretato da Toby Spence. Il quale - come detto - ha già in passato sostenuto i ruoli (assai diversi) di Ferdinand e di Antonio (gli manca ora solo di fare anche il 4° tenore, Caliban). In realtà il Re ha una personalità piuttosto debole (talis filius, talis pater…) e così Spence non deve faticare troppo ad entrare nel ruolo.  

Il secondo è il golpista Antonio, un Robert Murray sufficientemente villain, nel suo viscido tramare contro il Re, servendosi della dabbenaggine del di lui fratello Sebastian. Apprezzabile in particolare il suo accorato e fatalistico mea-culpa finale. 

L’ultimo tenore è il selvaggio Caliban, cui dà voce Frédéric Antoun. La parte è fra le più difficili, dovendo far convivere diversi sentimenti: l’orgoglio derivantegli dall’essere figlio della defunta Regina dell’isola; la frustrazione e l’invidia legate al suo essere diventato schiavo di Prospero; l’attrazione che prova per Miranda; ed infine l’omicida desiderio di prendersi la rivincita sull’invasore/usurpatore. Tutto ciò implica per l’interprete la necessità di sciorinare una variegata palette di sfumature e accenti. Bene, Antoun si è dimostrato davvero all’altezza del compito.

I personaggi baritonali di Gonzalo e Sebastian sono probabilmente quelli che più si avvicinano al canto tradizionale. Il primo è interpretato da Sorin Colban, che ha una voce in realtà di basso-baritono, assai appropriata per il ruolo, ed è stato barvo a mettere in luce la magnanimità e la nobiltà d’animo del Consigliere del Re (ma ben disposto verso Prospero). Il secondo è un personaggio debole di carattere, fatalista e pusillanime: Paul Grantne ha dato un’interpretazione onorevole e onesta.

I due ubriaconi hanno voci complementari: Kevin Burdette (Stefano, anche 10 anni fa al MET) da baritono acuto e Owen Villetts (Trinculo) da controtenore. Entrambi meritevoli di elogi ed applausi.

Il coro (di Alberto Malazzi) ha degnamente completato il quadro delle voci. Non ha un ruolo quantitativamente esteso, ma deve esprimere una varietà di accenti: terrore, ansia, rassegnazione, depressione fisica e infine sollievo e tripudio per il lieto-fine.   

Pubblico abbastanza numeroso (stante il titolo non proprio popolare e il finale di stagione davvero autunnale) ma assai prodigo di applausi per tutti quanti. In definitiva: la stagione scaligera si chiude in bellezza, ed ora ci si prepara all’ormai vicino SantAmbrogio, con un redivivo (dopo 20 anni) Musorgski. 

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