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22 novembre, 2020

Un’opera di Donizetti mai sentita prima

Il terzo titolo del Festival Donizetti 2020 era l’opera buffa Le nozze in villa, praticamente una novità assoluta. È un Gaetano 22enne quello che si cimenta (quasi) per la prima volta in teatro, a Mantova, nel 1819, con quest’opera composta in fretta e furia, su libretto di quel Bartolomeo Merelli che diventerà famoso qualche anno dopo per aver catapultato tale Giuseppe Verdi verso la gloria. (Come si vede, fra Donizetti e Verdi ci sono anche legami sotterranei...)

Opera accolta con freddezza al suo apparire e che ebbe poche repliche in quegli anni: qui il libretto stampato per una rappresentazione del 1822 a Genova (i testi di alcune arie divergono da quelli cantati a Bergamo) col titolo I Provinciali, titolo col quale il testo era apparso in traduzione italiana della commedia brillante Die deutschen Kleinstädter di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue (lo stesso che scrisse Re Stefano e Le rovine di Atene, di beethoveniana memoria).

Poi... l’oblio completo fino alla riesumazione odierna, che ha comportato anche il rifacimento di sana pianta (Elio&Rocco Tanica, con Enrico  Melozzi) del quintetto dell’Atto II, Scena VII (Aura gentil, protagonisti Sabina, Anastasia, Claudio, Petronio, Trifoglio) andato perduto.

Lavoro che inevitabilmente si rifà a Rossini, e non solo nei crescendo dei concertati, ma anche - un esempio per tutti - in quel mirabile Oppressa/o e stupida/o che precede la stretta del finale primo, degno davvero del Fredda/o ed immobile del Barbiere! E comunque si cominciano ad intravedere i segnali di ciò che arriverà nei 20 anni successivi!

Stefano Montanari - che ha accompagnato al fortepiano i recitativi - ha diretto da par suo  Gli Originali, dotati di strumenti d’epoca accordati sul diapason a 430 (quello tanto caro a... Verdi!) e il Coro Donizetti Opera di Fabio Tartari.

Cast piacevolmente all’altezza: Fabio Capitanucci e Gaia Petrone su tutti, ma bene anche Omar Montanari e Giorgio Misseri. Sempre più giovane l’inossidabile Manuela Custer e bravi Claudia Urru e Daniele Lettieri nelle rispettive particine.
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Simpatico oltre che istruttivo il siparietto prima dell’inizio, dove una partitella di calcetto in platea è stata interrotta dal Direttore che si è fatto consegnare il pallone per poi perforarlo ripetutamente: un chiaro riferimento - credo - ai troppi trattamenti di favore riservati al calcio e negati alla cultura!

Vengo ora alla messinscena intelligente e piacevole di Davide Marranchelli, coadiuvato da Anna Bonomello per le scene (giustamente minimaliste ma azzeccatissime) da Linda Riccardi per i moderni e simpatici costumi e da Alessandro Carletti per le luci. Un’ideazione davvero adatta alle circostanze, che anzi dalle limitazioni imposte dalle regole-Covid ha addirittura tratto vantaggio!

Insomma: una conclusione in bellezza di questo Festival 2020 stream-diffuso che ha permesso al Teatro e ai suoi nativi di continuare ad esistere, e a noi che ne siamo occasionali abitanti di non rimanere... al freddo e al buio, ecco. E di ciò dobbiamo essere grati a tutti coloro che hanno resa possibile questa impresa.

Il lungo silenzio della sala e il successivo auto-applauso di tutti i protagonisti a me (ma son certo di non essere il solo) hanno davvero messo i brividi e fatto salire in gola il proverbiale magone.

Sono immagini che resteranno nei nostri ricordi di un periodo disgraziato, ma alla fine superato, anche grazie a serate come questa.

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