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20 settembre, 2018

MI-TO al capolinea



Il MI-TO 2018 ha chiuso ieri a Milano con un concerto al Dal Verme, che replicava quello torinese della sera precedente, all’Auditorium Toscanini. Sala non proprio ricolma; sul podio il sempre più convincente Stanislav Kochanovsky, alla guida della OSN-RAI.


Con lui il grande Enrico Dindo che - dopo la sempre interessante e colta introduzione di Gaia Varon - si è esibito in quel particolarissimo Concerto per violoncello (, fisarmonica, percussioni) e orchestra che va sotto il nome di Azul, composto nel 2006 da Osvaldo Noé Golijov, ebreo argentino di origini rumeno-ukraine (58 anni il prossimo 5 dicembre) trapiantato a Boston.
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Opera fascinosa e accattivante, ispirata da esperienze vissute dal compositore (letture di Neruda, lo spettacolo del pianeta visto dalla stazione orbitante, l’Intifada del 2000) ma che si fa apprezzare come musica pura, un festival di suoni che appagano l’orecchio e toccano il cuore.

La struttura è in quattro movimenti - di quasi pari durata, 6-8 minuti ciascuno - che si legano senza soluzione di continuità, e i cui sottotitoli richiamano vagamente le fonti di ispirazione del lavoro. Sorprendente la semplicità dei piani armonici: con poche eccezioni, tutto il concerto si muove nelle zone tonali fra il DO e il SOL! Senza per questo indurre mai sensazioni di monotonia.     

Originariamente dedicato a Yo-Yo Ma, che lo suonò alla prima assoluta del 2006 a Tanglewood e che ne ha interpretato anche la versione riveduta, incidendola nel 2016,  il concerto è stato poi eseguito da diversi interpreti in diverse parti del mondo. Qui una performance a Buenos Aires nel 2017, introdotta da interventi dell’Autore, della Direttora d’orchestra e dei due solisti:

I. Paz Sulfúrica (21’36”) ispirato dal Macchu Picchu di Pablo Neruda, precisamente da un passaggio dell’ultima quartina della prima delle 12 parti del poema:

Puse la frente entre las olas profundas,
descendí como gota entre la
paz sulfúrica,
y, como un ciego, regresé al jazmín
de la gastada primavera humana.

Il violoncello suona ininterrottamente, alternando melodie sognanti a motivi via via più mossi, culminanti in un crescendo quasi affannoso dell’intera orchestra, chiuso dall’intervento delle percussioni.

II. Silencio (29’30”) L’Autore ha definito la sua opera come un viaggio interstellare, in assenza di gravità: ecco, la musica di questo movimento sembra proprio evocare i suoni dello spazio vuoto, prima di trasformarsi in una pesante marcia di tutti gli strumenti, che porta senza soluzione di continuità al...

III. Transit (35’50”) che si configura come una vera e propria, lunghissima cadenza del violoncello (su un ostinato della fisarmonica) assai articolata, dove atmosfere dell’Europa orientale e klezmer tengono banco, ma ammiccando anche a Bach... Anche qui si raggiunge un climax, grazie al concertino di percussioni (con annessi urletti!) dal quale si diparte una cupa, poi sempre più eterea transizione verso...

IV. Yrushalem (43’35”) introdotta da un assolo del corno, che riprende ciclicamente il motivo udito all’inizio dell’opera, imitato dal violoncello. L’atmosfera si fa poi sempre più rovente (ricordi di Palestina?) e infine ecco due cadenze che il compositore indica esplicitamente con i termini di Pulsar e Stelle cadenti, prima del ritorno al sienzio degli spazi siderali (in questa occasione il pubblico bairense ha però rovinato la conclusione con applausi decisamente anticipati).
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Davvero trascinante l’esecuzione di ieri, che ha catturato l’attenzione del pubblico senza mai lasciare un attimo di respiro, il che ha guadagnato agli interpreti un autentico trionfo, che ha replicato quello torinese della sera precedente.
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Kochanovsky ha poi guidato la OSN-RAI nella Quarta di Brahms. Approccio assai sostenuto, anche se mai pesante, nel primo tempo, con qualche tocco personale (piccole pause di respiro prima delle grandi arcate in legato). Poi massima trasparenza nell’Andante e quindi briglie sciolte per i due Allegri. Senza sbavature la prestazione dell’Orchestra, come sempre compatta in ogni sezione.

Come a Torino, commiato a dir poco travolgente con la quinta ungherese.  

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