Il MI-TO 2018 ha chiuso ieri a Milano con
un concerto
al Dal Verme, che replicava quello torinese della sera precedente,
all’Auditorium Toscanini. Sala non proprio ricolma; sul podio il sempre più
convincente Stanislav Kochanovsky,
alla guida della OSN-RAI.
Con lui il grande Enrico Dindo che - dopo la sempre interessante e colta introduzione
di Gaia Varon - si è esibito in quel
particolarissimo Concerto per violoncello
(, fisarmonica, percussioni) e orchestra che va sotto il nome di Azul,
composto nel 2006 da Osvaldo Noé Golijov,
ebreo argentino di origini rumeno-ukraine (58 anni il prossimo 5 dicembre)
trapiantato a Boston.
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Opera fascinosa e accattivante, ispirata
da esperienze vissute dal compositore (letture di Neruda, lo spettacolo del pianeta visto dalla stazione orbitante, l’Intifada
del 2000) ma che si fa apprezzare come musica pura, un festival di suoni che
appagano l’orecchio e toccano il cuore.
La struttura è in quattro movimenti - di
quasi pari durata, 6-8 minuti ciascuno - che si legano senza soluzione di
continuità, e i cui sottotitoli richiamano vagamente le fonti di ispirazione
del lavoro. Sorprendente la semplicità dei piani armonici: con poche eccezioni,
tutto il concerto si muove nelle zone tonali fra il DO e il SOL! Senza per
questo indurre mai sensazioni di monotonia.
Originariamente dedicato a Yo-Yo Ma, che lo suonò alla prima assoluta del 2006 a Tanglewood e
che ne ha interpretato anche la versione riveduta, incidendola
nel 2016, il concerto è stato
poi eseguito da diversi interpreti in diverse parti del mondo. Qui una
performance a Buenos Aires nel
2017, introdotta da interventi dell’Autore, della Direttora d’orchestra e dei
due solisti:
I. Paz Sulfúrica (21’36”) ispirato dal Macchu
Picchu di Pablo Neruda, precisamente da un passaggio dell’ultima quartina
della prima delle 12 parti del poema:
Puse la frente entre las
olas profundas,
descendí como gota entre la paz sulfúrica, y, como un ciego, regresé al jazmín de la gastada primavera humana. |
Il
violoncello suona ininterrottamente, alternando melodie sognanti a motivi via
via più mossi, culminanti in un crescendo quasi affannoso dell’intera
orchestra, chiuso dall’intervento delle percussioni.
II. Silencio (29’30”) L’Autore ha definito la sua opera come un viaggio interstellare, in assenza di gravità: ecco, la musica di questo movimento sembra proprio evocare i suoni dello spazio vuoto, prima di trasformarsi in una pesante marcia di tutti gli strumenti, che porta senza soluzione di continuità al...
III. Transit (35’50”) che si configura come una vera e propria, lunghissima cadenza del violoncello (su un ostinato della fisarmonica) assai articolata, dove atmosfere dell’Europa orientale e klezmer tengono banco, ma ammiccando anche a Bach... Anche qui si raggiunge un climax, grazie al concertino di percussioni (con annessi urletti!) dal quale si diparte una cupa, poi sempre più eterea transizione verso...
II. Silencio (29’30”) L’Autore ha definito la sua opera come un viaggio interstellare, in assenza di gravità: ecco, la musica di questo movimento sembra proprio evocare i suoni dello spazio vuoto, prima di trasformarsi in una pesante marcia di tutti gli strumenti, che porta senza soluzione di continuità al...
III. Transit (35’50”) che si configura come una vera e propria, lunghissima cadenza del violoncello (su un ostinato della fisarmonica) assai articolata, dove atmosfere dell’Europa orientale e klezmer tengono banco, ma ammiccando anche a Bach... Anche qui si raggiunge un climax, grazie al concertino di percussioni (con annessi urletti!) dal quale si diparte una cupa, poi sempre più eterea transizione verso...
IV. Yrushalem (43’35”) introdotta da un assolo del corno, che riprende ciclicamente il
motivo udito all’inizio dell’opera, imitato dal violoncello. L’atmosfera si fa
poi sempre più rovente (ricordi di Palestina?) e infine ecco due cadenze che il compositore indica
esplicitamente con i termini di Pulsar e Stelle cadenti, prima del ritorno al sienzio degli spazi
siderali (in questa occasione il pubblico bairense ha però rovinato la
conclusione con applausi decisamente anticipati).
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Davvero trascinante l’esecuzione di ieri, che ha catturato l’attenzione del
pubblico senza mai lasciare un attimo di respiro, il che ha guadagnato agli
interpreti un autentico trionfo, che ha replicato quello
torinese della sera precedente.
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Kochanovsky ha poi guidato la OSN-RAI
nella Quarta di Brahms.
Approccio assai sostenuto, anche se mai pesante, nel primo tempo, con qualche
tocco personale (piccole pause di respiro prima delle grandi arcate in legato). Poi massima trasparenza nell’Andante e quindi briglie sciolte per i
due Allegri. Senza sbavature la
prestazione dell’Orchestra, come sempre compatta in ogni sezione.
Come a Torino, commiato a dir poco travolgente
con la quinta ungherese.
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