Il Ravenna Festival ha proposto ieri
un’edizione in forma di concerto del verdiano Macbeth diretto dal consorte
della padrona di casa, tale Riccardo Muti.
Si è trattato in pratica di una terza esecuzione dopo le due date al Maggio Musicale nei giorni scorsi (anch’esse
senza messinscena) per celebrare i 50 anni dall’esordio del Maeschtre a Firenze. E lui non ha perso
l’occasione per auto-festeggiarsi anche nella sua città di... accasamento.
L’immenso PalaDeAndrè non è certo l’ambiente ideale per questi tipi di
spettacolo e l’acustica, nonostante le diffuse pannellature, non è paragonabile
a quella non solo dell’OF, ma di un
qualsiasi teatro. Ciononostante la recita non ha tradito le attese e le tribune
dell’arena erano gremite di gente cosmopolita (inclusi francesi e croazzi, reduci
da tutt’altro tipo di spettacolo...)
Versione parigina del 1865, completa di
ballabili, che è stata eseguita (abbastanza inspiegabilmente, o per accordi con
il... bar) con due intervalli (1-2 e 2-3) il che ha portato la fine dello
spettacolo (iniziato alle 21:00) ben oltre le 00:30 (...ma tanto siam qui in
vacanza). Orchestra disposta con le viole al proscenio e cantanti dislocati
proprio sotto il podio di Muti, che poteva letteralmente... imboccarli come fa
una mamma con i pargoletti. E imbeccare anche il pubblico, con palesi
ammiccamenti ad attivare applausi a scena aperta dopo le arie più famose.
Un Muti in gran spolvero, che quando l’oggetto
è Verdi lascia infallibilmente il segno, dall’alto della sua ormai
semi-secolare esperienza. Stacco di tempi esemplare, attenzione ai dettagli e alla
varietà di dinamiche, attacchi a voci e coro sobri ma efficaci, insomma una
direzione di livello assoluto.
Direzione assecondata al meglio dagli
strumentisti e dal coro (di Lorenzo
Fratini) del Maggio, esemplari nel ricreare le atmosfere ora cupe, ora
irridenti (le streghe) ora meste (Patria
oppressa... un capolavoro) o esaltanti che costellano la partitura.
Le
voci dei protagonisti tutte all’altezza, a cominciare da Luca Salsi, un Macbeth autorevole, voce di gran spessore e accenti
sempre adeguati alla circostanza drammatica. Alla Lady di Vittoria Yeo si può forse rimproverare una certa freddezza di esposizione,
ma la voce è ben impostata e la tecnica (richiesta da Verdi in alcuni passaggi
assai difficili) più che apprezzabile. Ottimo come sempre Francesco Meli (Macduff) in una parte peraltro non proibitiva (una
perla però, la sua Ah, la paterna mano)
ed autorevole il Banco di Riccardo
Zanellato, per il quale Muti ha quasi... imposto l’applauso di commiato
dopo la sua brutta fine nella quarta scena dell’Atto II. Bella voce da tenore
leggero ha sciorinato Riccardo Rados
(Malcolm) conducendo il finale Arrivano-i-nostri.
La damigella di Lady e il medico, Antonella
Carpenito e Vito Luciano Roberti
hanno dignitosamente completato il cast. Domestico, sicario, araldo e prima
apparizione erano impersonati da artisti del coro (Vito Roberti, Giovanni Mazzei,
Egidio Naccarato e Nicolò Ayroldi) mentre le altre due
apparizioni erano cantate da due voci bianche (Pietro Beccheroni e Arianna Fracasso).
Successo grandissimo, siglato da
ovazioni per tutti: davvero una serata da incorniciare.
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