Ieri
sera è andata in onda - con intermezzo giallo
- la terza delle otto recite de Il Pirata, che tornava alla Scala
dopo 60 anni di assenza. Teatro gruviera come capita spesso, con pubblico abbastanza
caloroso, tanto che non si sono ripetute le vivaci contestazioni seguite alla prima (vittime sacrificali il cattivone
di turno Alaimo, il concertatore Frizza e il regista Sagi) ascoltata per radio
venerdi.
Fino a
ieri la registrazione di quella recita era disponibile in
rete, prima che il Teatro la facesse rimuovere d’autorità. Io nel frattempo mi
ero preso la briga di analizzarla da vicino per cercare di comprendere le
ragioni (o i pretesti) del fiasco iniziale e del (relativo) riscatto successivo.
Ovviamente potendo giudicare l’agogica (tempi) e gli accenti, assai meno le
dinamiche, che vengono fatalmente distorte - leggi: appiattite - dalla ripresa
radio. Ho deciso (per non buttare l’investimento fatto... haha) di pubblicare
comunque queste note a futura memoria - di fatto contengono anche una succinta
esegesi del soggetto, oltre che riferimenti ai tagli apportati - anche se
fatalmente vi manca il riscontro in-corpore-vili,
ma tant’è. Lascio anche i riferimenti di minutaggio, a conferma della...
serietà del lavoro.
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Comincio dal mio conterraneo Frizza e dall’Ouverture, che è un serio banco di prova per il Direttore. La prima
parte dell’Introduzione (Allegro con
fuoco, RE maggiore, 3/4) è staccata con piglio apprezzabile. Personalmente
gradirei una freschezza ancor maggiore, ma accontentiamoci: certe pur blasonate
interpretazioni del ‘900 sono letteralmente esasperanti, trasformando il tempo
in Andante maestoso, che caratterizza
invece la seconda parte dell’Introduzione (38”, 4/4, RE minore - FA maggiore).
Frizza la presenta correttamente, mette in risalto gli incisi dei violoncelli,
poi gestisce in modo apprezzabile (1’44”) il passaggio in marcato che porta verso l’attacco (2’19”)
del primo tema (Allegro agitato, 4/4,
RE minore). Qui gestisce bene lo slentando
(2’26”)
e poi il ritorno in tempo che separa
il soggetto dal controsoggetto, quindi carica leggermente il ritmo per il
passaggio (2’44”) al RE maggiore, dove troviamo la transizione che porta (3’24”)
al secondo tema, bipartito, nella relativa FA maggiore (qui Frizza fa tutto in staccato, di sua iniziativa). Efficace
il passaggio alla seconda sezione (3’42”) con il moderato crescendo che la caratterizza (e che
terrà banco alla fine del primo atto). Ecco poi la ripresa dei due temi,
dapprima (4’59”) quello in RE minore, assai scorciato, e poi (5’23”)
il secondo (ora canonicamente in RE maggiore) dove Frizza del tutto
arbitrariamente scatena un presto,
certo di facile effetto, ma francamente un po’ pacchiano. Tutto sommato però
l’accoglienza è abbastanza positiva.
L’Introduzione con il coro e Goffredo non si presta a particolari
critiche (forse la voce di Riccardo Fassi
viene qua e là travolta da quella del coro...) e quindi passiamo (15’11”)
all’esordio del tenore, di gran lunga la parte più importante, difficile e ostica,
sotto il profilo espressivo, oltre e più che sotto quello strettamente vocale.
Dopo il recitativo con Goffredo, ecco la cavatina
di Gualtiero (Nel
furor delle tempeste, 17’29”) in SOL minore e SIb
maggiore: la voce di Piero Pretti non
è per niente male (salirà anche al RE acuto con relativa scioltezza, nella
cadenza finale) ma ciò che lascia a desiderare è l’espressività (Come un angelo celeste, 18’06”) che Bellini
richiede in forti dosi, mentre il tenore continua a cantare con piglio
inalterato. Stessa cosa anche alla ripresa. Sono magari sfumature, ma fanno la
differenza, almeno ad un orecchio attento. Il pubblico comunque pare aver
apprezzato, pur senza particolari entusiasmi.
Il successivo coro (con interventi
minori di Gualtiero e Itulbo) include anche (22’43”, Per te di vane
lagrime, in SIb maggiore) una nuova esternazione del tenore, che Pretti
risolve dignitosamente, accolto da moderati applausi.
Arriviamo quindi (26’36”) all’esordio del
soprano (recitativo e cavatina). Dopo
la breve introduzione orchestrale in MIb maggiore, che Frizza affronta a ritmo
svelto, Sonya Yoncheva si presenta (27’35”)
con il recitativo Sorgete, e in me quella pietade, MIb maggiore, ove il
soprano bulgaro mette subito in bella mostra la sua voce potente e ben tornita.
Che esplode poi nella cavatina (29’39”,
Lo sognai
ferito esangue, SOL minore) e ancora (31’44”, Quando a un
tratto il mio consorte, SI maggiore) si inerpica in difficli
vocalizzi nel ricordo dell’incubo che la colse vedendo l’amante straziato dal
marito! Segue un nuovo passaggio in MIb (Muta, oppressa, sbigottita) con i pertichini
di Itulbo, Adele e coro. Dopo l’arrivo di Gualtiero (33’52”) del qule Itulbo
ancora cerca di nascondere a Imogene l’identità, riprende (35’13”) in SOL maggiore
la cavatina (35’32”, Sventurata
anch’io deliro) con ripetizione abbellita (37’48”) e cadenza finale (40’00”)
con il coro. Mah, si potrà sempre eccepire sulla relativa piattezza
dell’esposizione della Yoncheva, ma francamente gli applausi sono davvero
convinti (e per me meritati).
Segue il coro libagioso dei pirati,
francamente piuttosto dozzinale (Bellini non deve averci dedicato più di un
quarto d’ora...) che Frizza e Casoni (più Pittari) mi pare abbiano sfangato con
onore, nell’indifferenza generale.
Dopo il breve incontro fra Imogene e
Adele, aperto (45’00”) da 8 mirabili battute strumentali in SIb (non si
saprebbe se farle risalire a Bach o anticipare Mendelssohn...) dove Adele ha
preannunciato alla sua Signora la visita di Gualtiero (modulando a SOL minore)
si arriva alla corposissima scena dell’incontro fra i due amanti (46’45”).
Il recitativo accompagnato dei due sfocia (50’54”) in una pregevole frase in LAb
maggiore di Imogene (Se un giorno fia che ti tragga) che la
Yoncheva espone con bel portamento. Frase musicale che subito dopo è ripresa un
tono sopra (SIb) da Gualtiero (51’45”, Voce suonava un giorno): qui
Pretti ha una partenza difficoltosa sull’intonazione, poi però si riprende
discretamente. Si modula ancora in alto di un tono intero (DO maggiore, 52’16”)
e Imogene (Tu
sciagurato) invita Gualtiero a fuggire dalla casa di Ernesto, nome
che la Yoncheva scandisce efficacemente (con
forza) su una discesa di quattro veloci gruppi di semicrome. La tonalità è
virata a SOL maggiore per la risposta di Gualtiero (Lo so, 52’47”) sostenuta dai
violini su un inciso anapestico, che si ripeterà ancora nel seguito del duetto,
la cui tonalità modula ancora (53’44”) a FA maggiore dove Imogene (Il genitor
dolente) va a chiudere la sezione con una pregevole scala
discendente (dal LA acuto al DO sotto il rigo). Ora inizia (55’11”,
DO minore) una nuova sezione del duetto con Gualtiero (Pietosa al padre) che accusa di
crudeltà Imogene, la quale (56’47”, Ah tu, d’un padre antico) si
difende ricordando lo stato di necessità (scegliere lui o il padre) che l’aveva
imprigionata, difesa che però non convince Gualtiero. Il quale modulando a DO
maggiore (57’58”, Vivea vivea per te soltanto) conduce insieme a
Imogene alla conclusione di questa sezione del duetto, accolta ancora da
moderati applausi. Segue il drammatico arrivo del figlioletto di Imogene, che
Gualtiero vorrebbe sopprimere, convinto poi dalla donna a desistere dall’insano
proposito. Inizia qui (1h00’26”) ancora in DO maggiore, la
parte conclusiva del duetto, con Gualtiero (Bagnato dalle lacrime) che reitera le sue
accuse ad Imogene, che invece (Non è la tua bell’anima, 1h01’01”) gli riconosce
l’antica nobiltà d’animo. Anche qui la Yoncheva sembra assai a suo agio, un po’
meno Pretti, che comunque - prendendo fiato a scapito di qualche battuta - stacca
con lei un apprezzabile DO acuto, trascinando il pubblico ad applausi
abbastanza convinti.
Segue il recitativo fra Imogene e Adele,
mentre si ode sopraggiungere il corteo che riporta a casa Ernesto, dopo la
vittoria sui pirati di Gualtiero. Il coro in FA maggiore che segue, aperto da
un’introduzione strumentale piuttosto leziosa (1h05’04”) ha un
portamento nobile, ma anche (1h07’40”) passaggi da marcetta
accompagnata dalla banda del paese. Frizza e Casoni lo accorciano
opportunamente di 25 battute di ripetizione.
Finalmente (1h08’56) fa la sua
entrata in scena anche il terzo protagonista del triangolo amoroso, il Duca
Ernesto, cui Nicola Alaimo subito cerca
di dare l’importanza che merita (Sì, vincemmo). La sua aria in FA - con tanto
di ripetizione - accompagnata dal coro, anticipa future conquiste belliniane
per baritoni e bassi. Alaimo mostra fiero cipiglio e non demerita nemmeno sui
virtuosismi cui Bellini lo chiama. Certo la voce è troppo chiara per fare la
parte del cattivone, si adatta meglio
ai Dulcamara o anche ai Falstaff, oltre che ai tanti buffi di rossiniana memoria, tuttavia il pubblico ha per lui solo
applausi.
Segue l’incontro di Ernesto con Imogene
(1h15’11”)
un recitativo di cui vengono tagliate - inspiegabilmente - 9 battute: il Duca
si meraviglia dello stato depresso della moglie, alla quale domanda conto
dell’aiuto portato ai naufraghi, che arrivano al suo cospetto (1h16’55”).
La scena - prevalentemente in DO maggiore - è occupata dall’interrogatorio di
Ernesto a Itulbo, che si è presentato come il capo dei pirati, per proteggere
Gualtiero. Ci troviamo poi un’esternazione - in SOL maggiore - di Ernesto (1h18’06”)
che decide di tener prigionieri i naufraghi; e poi una (ancora in DO) di
Imogene (1h18’49”) che chiede invece al consorte di consentire loro di
tornare alle loro terre, permesso subito accordato.
Ha inizio ora il quintetto (con coro) che porterà alla conclusione dell’Atto. Vi
sono impegnati - in LA minore, con modulazioni a maggiore - dapprima (1h19’36”)
Gualtiero (che si rivolge a Imogene, chiedendole un’ultima udienza, pena
qualche strage che lui metterà in atto) ed Ernesto (che mette i suoi sgherri
sull’avviso, avendo sospetti sui naufraghi e su nuovi possibili sbarchi
nemici). Quindi interviene Imogene (che risponde a Gualtiero, implorandolo di
desistere dai suoi propositi). Ecco poi entrare anche Adele, Itulbo e il coro,
che contrappuntano le esternazioni dei tre protagonisti. Alla chiusa in LA
maggiore (1h23’38”) ancora applausi non fragorosi (e con qualche sommesso
ululato in sottofondo...)
Attacca poi (1h23’53”) la stretta finale del quintetto, introdotta
da un recitativo in FA dove Gualtiero tenta di aggredire Ernesto, ma ne viene
impedito da Itulbo e Goffredo, mentre Imogene quasi sviene ed Ernesto ordina
venga accompagnata nelle sue stanze. Imogene (1h25’00”, Ah, partiamo,
in SIb minore) attacca la stretta,
incalzata subito da Adele, Gualtiero, Ernesto, Itulbo, Goffredo e coro, che
modulando a SIb maggiore innescano (Infelice, quali accenti, 1h25’35”) il crescendo già udito nell’Ouverture. Dopo
un drammatico rallentando, Imogene (1h26’16”)
riattacca la stretta (SIb minore) e
quindi riecco (1h26’46”) il crescendo
in SIb maggiore, che qui viene tagliato di 22 battute (di ripetizione, incluso il
vocalizzo del soprano). Alla chiusa ancora applausi abbastanza convinti.
La registrazione porta direttamente al
secondo atto (1h28’24”) e manca quindi la testimonianza del trattamento
riservato dal pubblico a Frizza al rientro: personalmente non ricordo di aver
udito per radio alcuna contestazione al Direttore.
L’atto inizia con un Coro introduttivo
in DO maggiore, tempo 6/8, protagoniste le damigelle di Imogene, con Adele in
primo piano, preoccupate per lo stato di prostrazione in cui versa la Signora.
La sezione femminile del coro di Casoni lo interpreta con apprezzabile
leggerezza e Marina de Liso ha modo
di mettere in mostra le sue buone qualità. Adele invita ora (1h32’12”)
Imogene a recarsi all’appuntamento con Gualtiero: lei dapprima recalcitra, poi
si decide, ma in quel momento arriva Ernesto. Segue un recitativo (1h33’49”)
in cui Ernesto accusa la moglie di sfuggirlo, e alle rimostranze di lei, la
accusa apertamente per il suo amore per Gualtiero. Imogene lo accusa di
crudeltà, ricordandogli di avergli dato un figlio, ma Ernesto (1h36’03”)
attacca in LA maggiore il duetto (Tu m’apristi in
cor ferita) tacciandola di empietà e iniquità. Imogene gli ribatte (1h37’40”)
che il suo amore per Gualtiero era ben noto a tutti, quando lui la strappò al
padre e pretese di averla in moglie senza essere amato. Ernesto (1h39’21”)
ora ha avuto la sua confessione e rincara la dose (L’ami? Parla... l’ami?) Imogene
si difende (1h39’46”) degradando la tonalità di un semitono, a LAb, riconoscendo
di amare Gualtiero, ma di un amore senza più speranza, quello che si prova per
un defunto. Ora si è passati in FA maggiore e in tempo Larghetto (1h41’27”) i due cantano i rispettivi
moti dell’animo, dapprima per terze,
poi (1h42’26”)
disgiunti, poi ancora insieme. C’è un piccolo taglio di 7 battute (una
ripetizione) prima dei due vocalizzi (lei e poi lui) che chiudono questa
sezione del duetto. Ernesto - siamo passati a DO maggiore - riceve una missiva
(1h44’52”)
che lo informa della presenza di Gualtiero nel palazzo e va su tutte le furie,
chiedendo invano alla moglie di rivelargli dove l’amante si nasconda. Inizia
quindi, tornando a LA maggiore (1h46’00”) la parte conclusiva del
duetto, con i due coniugi che manifestano gli opposti stati d’animo: lei teme
una carneficina, quella che lui sta ostentatamente programmando. Qui ci sono
due tagli (18+16 battute) che levano parecchie castagne dal fuoco ai due
cantanti, risparmiandogli il fiato per esibirsi in un un LA acuto finale, non
scritto in partitura e, per quanto riguarda il baritono, tanto velleitario
quanto estraneo al personaggio. Il pubblico applaude moderatamente (ma Alaimo forse
avrebbe meritato qualche dissenso, diciamolo pure).
Siamo ora tornati da Gualtiero. Gualtiero
ingaggia un recitativo - che si muove fra le tonalità di LA minore, DO e MIb maggiore - con Itulbo (1h47’59”)
durante il quale manifesta il proposito di incontrare a tutti i costi Imogene,
vanamente sconsigliatone dal compagno. E proprio in quel momento compare la
donna (1h49’33”) intenzionata a convincere Gualtiero a fuggire.
Invano, chè lui conferma i propositi di prenderla con sè o morire. Inizia qui (1h51’28”)
il duetto (che poi diverrà terzetto con il sopraggiungere di
Ernesto). Gualtiero, in DO maggiore, invita Imogene a fuggire con lui (Vieni, cerchiam
pe’ mari) chiuso da una salita (non scritta, ma efficace) al DO
acuto. La risposta di Imogene (1h59’33”, Taci, rimorsi amari) arriva
sulla stessa linea melodica, ma dopo una modulazione a LA maggiore: la donna
prefigura i rimorsi che coglierebbero lei e l’amante per il resto della loro
esistenza. I due (1h55’36”) ancora si scambiano opposti propositi, ma sta
sopraggiungendo Ernesto (1h56’36”) che già pregusta il
piacere di catturare Gualtiero. Qui inizia (1h56’55”) il terzetto
vero e proprio, in tonalità di RE, poi di LA maggiore: Gualtiero si prepara al
peggio (Cedo
al destin orribile) e a sfidare la morte; Imogene ancora lo supplica
di desistere; Ernesto (ancora non visto dai due) già prefigura una punizione
esemplare per i fedifraghi. Qui mi pare che Frizza trattenga eccessivamente i
tempi, i tre sono impegnati anche in alcuni virtuosismi che culminano, per
tenore e baritono, in due non facili cadenze, sulla prima delle quali Pretti
raggiunge (2h00’35”) con qualche affanno il RE acuto (questo scritto in
partitura) mentre Alaimo (2h00’50”) cala vistosamente (MIb al
posto di MI naturale) sul culmine della sua. Anche qui c’è un applauso non
certo entusiasta. Attacca ora (2h01’38”) la parte conclusiva del
terzetto. Gualtiero ancora indugia, ma Ernesto si palesa e fra i due si
ingaggia una reciproca sfida mortale. Siamo ora alla stretta finale (2h02’51”) in DO maggiore, tutta su
un ritmo puntato che ben evoca l’agitazione dei tre. La conclusione è, diciamo
così... semplificata.
Ora abbiamo il recitativo di Imogene e
Adele 2h04’47”): questa cerca di calmare la Signora, che invece vorrebbe
precipitarsi per separare i due litiganti, marito e amante. Ci si muove da DO a
RE minore, LA minore per tornare a DO maggiore. Le ultime 12 battute
strumentali vengono tagliate, per passare direttamente (2h06’01”) alla scena
successiva, che ci presenta già il risultato del duello fra i due contendenti:
Ernesto ha evidentemente avuto la peggio, visto che i suoi guerrieri gli stanno
facendo il funerale... Dopo l’introduzione strumentale, che va dal SOL a DO
maggiore, ecco il coro (2h07’16”) cantare l’elogio funebre
del Duca. Per un po’ Frizza tiene il tempo maestoso,
effettivamente adatto ad un mortorio (pur se in DO maggiore...); poi però a un
certo punto accelera vistosamente, e il coro si chiude con passo garibaldino.
Arriva ora Gualtiero (2h09’56”)
accolto da improperi dei sudditi di Ernesto; ma lui getta la spada e si offre
alla vendetta dei nemici; i quali tuttavia gli vogliono assicurare un giusto
processo (!) Lui li sprona a far presto, altrimenti potrebbe pentirsi... E
canta, rivolto ad Adele, la sua aria con coro in DO maggiore (Tu vedrai la
sventurata, 2h12’00”). Pretti non se la cava poi
troppo male, cerca anche di dare un po’ di espressione al canto, sale al DO
acuto, e così alla fine, fra gli applausi, spunta anche un bravo! Segue un breve recitativo (2h15’32”) che prepara la
sezione finale, sempre in DO, dell’aria di Gualtiero (Ma non fia
sempre odiata, 2h16’48”). Anche qui Pretti mostra
buona saldezza di voce, si permette anche di chiudere con un DO acuto non
scritto, e gli applausi si ripetono.
Soppresso il breve recitativo di Adele e
damigelle, che compiangono Gualtiero, ecco arrivare la scena finale (davvero la
scena-madre) dell’opera (2h21’18”) aperta da un richiamo di
corni in FA maggiore, cui segue un breve preludio caratterizzato da arcane sonorità
e chiuso da un cupo accordo dell’orchestra. L’arpa attacca (2h22’35”)
la mesta introduzione del corno inglese (in FA minore) all’ingresso in scena di
una vaneggiante Imogene (2h25’04”) che canta un breve e
straniato recitativo, compianta dalla fida Adele. Poi (2h26’57”, Ascolta)
si imbarca nella narrazione di un sogno, un incubo, una visione tragica, il
corpo trafitto di un uomo, non Gualtiero, ma Ernesto, che, sulla ripresa della
melodia, reclama il figlio... E lei il figlio l’ha salvato e lo trascina verso
il padre. Il figlio in carne ed ossa le viene portato e lei (Deh, tu
innocente) lo abbraccia e lo bacia, chiedendogli di implorare al
padre il perdono per lei.
Attacca ora (2h30’04”) l’aria più
famosa dell’opera (Col sorriso d’innocenza): dopo l’introduzione
del flauto, ecco Imogene (2h31’00”) rivolgersi al figlio
perchè interceda per lei con il genitore. Il suono del gong (2h33’46”) avverte che la sentenza
contro Gualtiero è stata emessa. Lo conferma subito (2h34’20”)
il coro dei guerrieri e Imogene (2h35’23”, Oh sole, ti vela) vorrebbe
scacciare la visione dell’amante decapitato. La Yoncheva regge discretamente lo
sforzo, anche se stranamente evita (2h36’16”, D’orrore morrò) il DO acuto,
fermandosi al SIb. Dopo il pertichino del coro, si ripete la strofa e la frase Oh sole
(2h36’51”) e lo stesso abbassamento da DO a SIb (2h37’49”)
già registrato prima. DO che viene passabilmente cantato sulla chiusa, accolta
da applausi abbastanza intensi.
Ora, nella registrazione incriminata non
ci sono le accoglienze finali, che hanno visto sonore contestazioni ad Alaimo,
poi a Frizza e infine al regista Sagi. Per quel che posso giudicare dalla
ripresa audio (sempre poco fedele, per definizione) queste contestazioni al
baritono e al Direttore mi sono parse quanto meno eccessive, per non dire
premeditate, ecco: possibile che durante tutta la serata non si sia udita una
sola voce di dissenso, ma esclusivamente (sia pur moderati) applausi e poi
soltanto alla fine esplodano contestazioni così vivaci?
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Chiuso l’esame (ormai virtuale, ahimè) della prima, vengo a
ieri sera, raccontando subito del citato giallo
prima dell’inizio del second’atto: l’intervallo si è protratto per almeno 20
minuti supplementari, il che ha dato la stura alle più svariate congetture
(malore di qualche interprete, o magari uno sciopero selvaggio di sezioni dell’orchestra...)
finchè Pereira (maleducatamente
accolto da improperi dal loggione, subito rintuzzati dal soprintendente) ha
annunciato l’indisposizione di Pretti (un calo di pressione, ufficialmente). Ma
aggiungendo che il tenore avrebbe comunque proseguito la recita.
In
effetti Pretti lo ha fatto, ma cantando quasi sempre da seduto (su sedie, poltrone, persino alla base del sarcofago di
Ernesto) a conferma delle sue precarie condizioni. Sulla sua prestazione di
ieri nel second’atto sarà doveroso astenersi da giudizi di merito, ma va
comunque dato atto al tenore di aver fatto il possibile per garantire un
livello dignitoso alla sua performance
(sono mancati gli acuti, per comprensibili ragioni).
Per il
resto devo dire che ieri l’accoglienza ai singoli numeri e quella finale sono state assai calorose per tutti (per
Frizza anche al rientro dopo la pausa) con ovazioni - per Yoncheva e il Coro in
testa - che si sono aggiunte agli applausi, sia alle uscite di gruppo che a
quelle singole. Per me nel complesso - pur tenendo conto della menomazione di
Pretti - si è trattato di una performance
musicale più che accettabile, fatte le riserve che ho espresso via via lungo
l’esame della prima. In sostanza,
una riproposta che personalmente ritengo meriti ampia sufficienza.
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La messinscena è francamente - a mio
modesto parere - ingiudicabile, nel senso che pare del tutto estranea al
soggetto in questione. È già una fortuna che gli sia semplicemente estranea e
non pervicacemente offensiva, ecco. La pagina di Note di regìa pubblicata sul programma di sala (contiene un sunto
della posizione di Sagi) è un condensato di banalità e insensatezze: precisamente
ciò che si vede in scena.
2 commenti:
Caro Daland, è un piacere leggerti per i contenuti e per la pacatezza dei toni. Ovviamente oggi sono doti sconosciute ai più. Pazienza. Ciao 😉
@Amfortas
Grazie, come sempre troppo buono, Ciao!
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