Torna in Auditorium la Xian (Direttore emerito, la sua nuova carica in laVerdi) per dirigere una specie di ritardato Concerto di Capodanno.
In mezzo ai più o meno tradizionali e
conosciuti walzer, polke e operette degli Strauss (il più famoso Johann jr e il di lui fratello, di 10
anni più giovane, Eduard) e al sempre
gradevole von Suppè di un’intera giornata a Vienna, abbiamo la
simpatica intrusione di un altro viennese, del ‘900 peraltro, del quale il
prossimo 27 gennaio ricorreranno i 17 anni dalla prematura scomparsa (aveva
meno di 70 anni): Friedrich Gulda.
Che fu soprannominato terrorista per le sue dissacranti
esecuzioni ed anche per certi suoi comportamenti provocatori. Trovandomi per lavoro
in Germania, primi anni ’80, mi capitò di vedere in televisione una performance
in cui lui e la sua compagna Ursula
Anders si esibivano in completa nudità (no, veramente lui indossava la sua
inseparabile kippah...): lui suonando
peripateticamente il flauto (o qualcosa di simile) proprio come un autentico Pan... e lei accompagnandolo alle
percussioni!
Di lui il
trentenne scandinavo Andreas Brantelid
ci presenta il simpatico Concerto per violoncello e fiati (ci
sono poi anche una chitarra e un contrabbasso, più batteria). Ecco una sua interpretazione con accompagnatori connazionali. Qui invece vediamo l’Autore dirigere il suo Concerto con Heinrich Schiff, che ne
fu anche il primo interprete, nel 1981.
Al proscenio
fanno bella mostra di sè due diffusori di suono: è infatti prescritto da Gulda che
la chitarra venga amplificata (insomma, come nelle jam-sessions che si rispettino) ma – sorpresa! – in 4 dei 5 movimenti
(cadenza esclusa) lo deve essere anche lo strumento solista!
Si apre con Ouverture, che attacca con un tema squisitamente rock-jazzistico, nervoso,
cui fa da contraltare (in stile forma-sonata) un motivo dal taglio contemplativo
e dal sapore vagamente schubertiano. Ecco poi Idyll, introdotto da una dolce fanfara
di corni, che a me ricorda Freischütz, alla quale risponde il violoncello, prima dell’arrivo di una sezione
spiritosa dove oboi e chitarra trascinano il solista in una specie di valse triste. Ancora i corni e il cello chiudono
l’idillio. Ora segue una lunghissima, estenuante Cadenza del solista dove troviamo di tutto, dal cantabile al
virtuosismo più sfrenato. Ecco ancora Menuett,
dal sapore orientaleggiante, con il suo trio dove dialogano amabilmente flauto
e violoncello. Il Finale alla marcia
pare uscito da una colonna sonora di Morricone
per Fellini. Insomma, un pot-pourri
di tutto lo scibile musicale!
Beh, ogni
tanto un po’ di... distrazione dai soliti Beethoven e Bruckner non fa male!
Però che contrasto con il Bach (Sarabanda dalla prima suite) che il disinvolto
nordico – dopo aver fatto i complimenti a Milano e alla (mezza) Orchestra che
lo ha accompagnato - ci propina come bis!
Per il resto,
si scimmiotta (non è la prima volta qui in Auditorium) il Musikverein a Capodanno: chiuso il programma ufficiale, ecco
arrivare, reduce dalla scoppola rifilata a noi poareti taliani, il feldmaresciallo Johann Josef
Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky, che chiude il concerto accompagnato dai battimani
ritmati del pubblico.
Per la verità qui lo spettacolo era
piuttosto... ehm... dimesso: perchè l’Auditorium era pieno (o vuoto, a seconda
dei punti di vista) a metà.
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