intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

21 gennaio, 2017

2017 con laVerdi – 4


Il nuovo Direttore Principale Ospite, Patrick Fournillier, torna dopo meno di un anno in Auditorium con un programma – noblesse oblige – tutto francese. Salito sul podio, si volta verso il pubblico per commemorare la figura di Georges Prêtre, con il quale si è detto onorato di aver avuto stretti rapporti (e direi proficui, a giudicare dai risultati...)

Poi attacca la versione orchestrale del Tombeau de Couperin di Maurice Ravel. Che era stato composto durante la Grande Guerra (Ravel si era volontariamente arruolato, 39enne, come autista di ambulanze) per il pianoforte solo e constava di 6 brani, proprio a mo’ di una Suite barocca, in omaggio al grande musicista francese, autore di ben 27 Ordres (Suite) per clavicembalo (in 4 libri, fra il 1713 e il 1730) ma anche in memoria di sei commilitoni, con i quali Ravel aveva rapporti stretti, caduti nella guerra. E fu Marguerite Long, moglie di uno di costoro (il musicologo Joseph de Marliave) ad interpretarla per la prima volta nel 1919. L’anno successivo Ravel approntò due nuove versioni del Tombeau: la prima (che si ascolta qui) è una trascrizione per orchestra di 4 dei 6 brani dell’originale; la seconda è una parte di questa trascrizione (3 brani) destinata ad accompagnare un balletto della compagnia svedese di Jean Borlin.

Qui un quadro riassuntivo dell’opera nelle sue tre versioni:

originale per pianoforte
versione per orchestra
versione per balletto
I – Prélude
I – Prélude
I - Forlane
II - Fugue
II - Forlane
II - Menuet
III – Forlane
III - Menuet
III - Rigaudon
IV – Rigaudon
IV - Rigaudon

V - Menuet


VI - Toccata



Come si nota, la versione orchestrale manca dei due movimenti più marcatamente caratteristici della tastiera (Fuga e Toccata); quella per il balletto è di fatto la versione orchestrata priva del Preludio. Nella versione per orchestra Menuet e Rigaudon si scambiano il posto, in modo che il brano si chiuda (in assenza della Toccata) con un movimento vivace.

Per essere un elogio funebre, è assai elogiativo e ban poco... funereo. A chi glie lo faceva osservare, Ravel rispondeva che quei poveracci avevano avuto abbastanza sfortuna, e che non era il caso di rincarare la dose.

Personalmente sono convinto che la strada più appropriata per conoscere quest’opera sia quella di approcciarne l’originale per pianoforte (qui propongo l’ascolto di una simpatica conoscenza de laVerdi, Angela Hewitt). La versione per orchestra (Ravel era uno strumentatore sopraffino, i Quadri sono lì a dimostrarlo!) è addirittura lussureggiante, ma forse proprio per questo perde un po’ della cristallina purezza dell’originale (proprio come accade a Musorgsky). Ecco qui un grande della musica interpretarla dirigendo altri grandi...

Il successo del Tombeau è stato tale che diversi musicisti si sono sbizzarriti a farne versioni cameristiche personalizzate; e qualcuno ha pure deciso di essere più smart dell’Autore e si è permesso di orchestrare anche i due movimenti che Ravel aveva deliberatamente lasciato alla sola tastiera. Fra i tanti un pianista e direttore d’orchestra, Zoltán Kocsis, del quale qui possiamo ascoltare la suite completa (con i brani nella sequenza dell’originale).    
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Seguiamo il Tombeau originale, sempre con la Hewitt.

Preludio (dedicato al tenente Jacques Charlot, musicista, parente dell’editore di Ravel, Jacques Durand). È in tempo di 12/16 (12 semicrome a battuta) con un metronomo davvero pazzesco: 92 semiminime puntate! Il che significa che l’esecutore deve suonare (mano destra e sinistra alternativamente) più di 9 note (semicrome) al secondo per quasi 3 minuti! Nella versione orchestrata il carico di... lavoro, invero massacrante nell’originale per tastiera, si distribuisce fra gli strumentini (oboe in-primis) e gli archi. Contrariamente alla struttura barocca, che prevedeva un brano monotematico, Ravel dà al Preludio una veste bi- (o addirittura tri-) tematica e una struttura vagamente sonatistica (esposizione col da-capo, sviluppo e ripresa). La tonalità (praticamente di tutta la suite, come da tradizione) è MI minore (e relativa SOL maggiore) ma in omaggio all’arcaismo dell’ispirazione il MI minore ha inflessioni modali (eolio) mancandovi sempre la sensibile RE#. Dopo un’introduzione di 4 battute, ecco (6”) l’esposizione del primo tema spiritato (MI minore modale) cui segue (29”) il secondo, più rilassato (SOL maggiore). L’esposizione viene ripetuta (47”) dopodichè inizia (1’28”) lo sviluppo, cui segue (2’06”) una specie di ripresa, che conduce alla conclusione, dopo un paio di battute di presa di respiro (2’51”) con un’esilarante volata, un tremolo e la croma finale sul MI.
   
Fuga (dedicato al sottotenente Jean Cruppi, la cui madre si era adoperata per la messa in scena di L’heure espagnole). È una fuga a tre voci, sempre in MI minore eolio, Allegro moderato e strutturata in modo tripartito: esposizione, sviluppo e coda. L’esposizione (3’11”) presenta il soggetto della fuga ripreso a due battute di distanza dalla seconda e dalla terza voce, mentre sulla seconda voce si ode un controsoggetto (3’21”) caratterizzato da una terzina che squilibra un po’ la regolarità del ritmo. L’esposizione riprende (3’34”) in forma variata e porta direttamente(3’51”) allo sviluppo. Qui Ravel impiega parecchi dei tradizionali artifici fiamminghi, come (4’12”) l’inversione, il pedale (4’35”) il canone stretto (5’04”) oltre a giocare con le tonalità. Lo sviluppo (5’51”) si chiude e lascia spazio per la conclusione, che sfocia (6’08”) in una coda assai lenta. È una quinta vuota (MI-SI) a por fine alla fuga, una mirabile mistura di tradizione e di modernità quasi impressionista.

Forlane (dedicato al tenente Gabriel Deluc, pittore basco che probabilmente aveva ispirato alcuni lavori di Ravel). Il quale aveva appena trascritto proprio una Forlane di Couperin (nemmeno a farlo apposta, in MI minore) dal quarto dei Concerts roayaux (1722) ed evidentemente se ne ricordò per la stesura di questo movimento della sua suite. Il tempo è Allegretto in 6/8 e la forma è di Rondo. Il ritmo prevalente è puntato (croma puntata – semicroma – croma). La struttura è rappresentabile dalla sequenza A-B-A’-C-A-Coda. A 6’39” ecco il ritornello A che si chiude a 7’52” per far spazio al primo episodio interno (B). A 9’04” abbiamo una fugace apparizione di A (ma si tratta proprio di un frammento di 8 sole battute) cui segue (9’17”) il secondo episodio (C) che si chiude a 10’20” per far posto all’ultimo ritorno di A. A 11’22” si modula a MI maggiore per la Coda, che ritorna presto (11’42”) al minore, per chiudere con una nuova quinta vuota (MI-SI) nel grave.    

Rigaudon (dedicato ai fratelli Pierre e Pascal Gaudin, amici di famiglia di Ravel). É un’antica danza popolare del sud della Francia, di dove erano originari i fratelli dedicatari del brano, disgraziatamente morti, uno al fianco dell’altro, precisamente nel primo giorno del loro arrivo a Oulches, sul fronte nordorientale, il 12 novembre del ’14. Tempo Assez vif, in 2/4, tonalità (una delle due eccezioni al MI minore nella Suite) di DO maggiore. La macro-struttura è A-B-A’, dove la prima sezione (12’24”) si presenta divisa in due parti, rispettivamente di 8 e 28 battute, entrambe da ripetersi (A a 12’32” e poi B a 12’40”-13’08”). Curiosamente le prime due battute sono quelle che assumeranno il ruolo di cadenza finale, sia dell’esposizione di A che dell’intero  movimento. Si noti (12’57” e poi ripetuto a 13’24”) un esilarante passaggio nell’acuto della tastiera, che porta alla conclusione della sezione A (poi ripetuta). La sezione centrale (B) si presenta con tempo Moins vif e vira a DO minore (13’37”). Riecco il DO maggiore e poi (14’25”) un passaggio che ricorda atmosfere gitano-spagnolesche, prima di un allargamento della melodia che porta al ritorno della prima sezione (A’) con il suo incipit crudo (14’53”): la differenza dalla prima comparsa risiede nella mancanza dei due da-capo, quindi in una maggiore stringatezza, e in un sottilissimo, ma significativo cambio di armonia (15’22”, una specie di cadenza plagale) che precede la chiusa. Il tutto fa rassomigliare il brano ad una specie di Scherzo (A) con Trio (B).

Menuet (dedicato a Jean Dreyfus, alla cui madre Ravel ea molto attaccato, e alla quale indirizzò una lunga corrispondenza). É l’altro movimento della Suite che devia rispetto al MI minore che la caratterizza: essendo nella tonalità relativa di SOL maggiore, con inserto centrale in RE minore. Il tempo è Allegro moderato, 3/4 e la struttura A-B-A-Coda. La sezione A (15’37”) è composta, come nel Rigaudon, da due parti, di 8 e 24 battute, entrambe da ripetersi (A a 15’54” e poi B a 16’10”-16’59”). La sezione B (Musette) è in RE minore (17’50”) ed è costtuita da due parti, di cui la prima si ripete (18’05”) e la seconda (18’21”) presenta un culmine (18’36”) in fortissimo per poi ritornare alla prima parte (18’54”) per la conclusione. Ricompare quindi (19’11”) la sezione A ma questa volta con la Musette che all’inizio l’accompagna nel basso. Si arriva quindi (20’16) alla Coda, che stempera ulteriormente (20’41”) i suoni in pianissimo e chiude su un Ralentir beaucoup e poi Très lent, esalando un tremolo sospeso su un rivolto dell’accordo di dominante.

Toccata (dedicato al capitano Joseph de Marliave, musicologo, per molto tempo amico di Gabriel Fauré, marito di Marguerite Long, prima interprete del Tombeau). Si tratta di un movimento assimilabile ad un Allegro di sonata. Il tempo è Vif, 2/4, MI minore. Anche qui il metronomo è da... brividi: 144 semiminime, peggio che nel Preludio! L’esposizione (21’26”) presenta in 9 battute ben 5 cellulle motiviche, che costituiranno i tasselli dell’intero movimento. Il primo gruppo tematico si estende fino a 22’13”, dove gli subentra il secondo tema (Un peu moins vif). L’esposizione si chiude a 22’40” per far spazio allo sviluppo, di proporzioni assai ampie, dove (22’48”) si modula inaspettatamente di un semitono in basso (RE# minore). A 23’29” torna il MI minore d’impianto per la chiusura dello sviluppo (24’33”) dove inizia una rapida ed eterodossa ricapitolazione, in MI maggiore, che ripropone, trasfigurato ed esultante, il secondo tema dell’esposizione, fino alla chiusa, su un’ottava di MI nel grave.
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Bene, ribadito che la versione orchestrale accontenta certamente più l’orecchio che... lo spirito, devo dire che Fournillier ha mostrato di padroneggiarla al meglio (l’esprit de finesse evidentemente non gli manca) e l’Orchestra lo ha in pieno assecondato. Sugli scudi, ça va sans dire, tutti i legni, fra i quali mi limito a citare, come vessillifero, l’oboe di Emiliano Greci.    
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Ecco poi Francis Poulenc e il suo Concerto per due pianoforti. Presentato qui quasi 4 anni orsono da Wayne Marshall e dal duo Lupo-Pedroni (di cui a suo tempo ho riferito). Questa vola c’è ancora una valida risorsa de laVerdi, Carlotta Lusa, ad affiancare il più navigato Orazio Sciortino, che alterna continuamente le sue prestazioni di solista al pianoforte con quelle di compositore (che con laVerdi ha già proficuamente collaborato).

Fournillier cerca di dare il massimo rilievo ai due solisti e così smagrisce la formazione degli archi rispetto alla tassativa prescrizione dell’Autore (8-8-4-4-4) riducendo... gli estremi, violini e contrabbassi (a suo tempo Marshall aveva fatto esattamente l’opposto). Anche i due solisti sembrano suonare... in punta di piedi e così ne esce una cosa assai gradevole, che anche il pubblico gradisce, ricambiato proprio con lo stesso bis poulenchiano proposto a suo tempo dalla coppia Lupo-Pedroni (questi polacchi esagerano per davvero e lo suonano con un’orchestra di 6 pianoforti e tanto di direttore!)
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Chiude la serata Georges Bizet con la sua Sinfonia in DO maggiore, composta quando ancora non erano arrivati sulla scena sinfonica Bruckner, Brahms, Dvorak e Ciajkovski... ma vi erano appena usciti (nel senso di... trapassati) Mendelssohn e Schumann. Quindi a chi poteva ispirarsi per una sinfonia un giovin musicista con chiare propensioni melodrammatiche? Non certo a Beethoven, ma più propriamente a Schubert.

Come quelli del viennese (della Piccola e pure della Grande, per parlare di DO maggiore) i temi sono tutti accattivanti, orecchiabili, lunghi e melodici, come si addice ad arie d’opera o romanze. Sinfonia?  Beh, diciamo una simpatica pastorale, ecco.

Fournillier la dirige a memoria, evita solo il da-capo dell'ultimo movimento (cosa condivisibile) e trascina il pubblico all’entusiasmo con un Finale travolgente. Peraltro la perla resta pur sempre l’Adagio, dove l’altra prima parte all’oboe (Luca Stocco) si merita due citazioni singole dal Direttore.

Beh, è musica che consola, e non è poco, in momenti in cui ci si domanda se davvero Dio esiste.

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