Programma russo questa settimana (più Campogrande, in Thailandia). A dirigerlo non è, come da remoto
annuncio, Wayne Marshall, ma Stanislav
Kochanovsky, che pare diventato il tappabuchi-principe (devo dire che se la
cava sempre assai bene) de laVERDI.
Il primo brano vede protagonista Nicola Benedetti: chi mai direbbe
trattarsi di un’avvenente ragazza 28enne? No, tranquilli, non è un maschietto che ha
cambiato sesso: il nome – per noi italiani impensabile per una femmina – si
spiega col semplice fatto che lei non è italiana, ma scozzese (sia pure di
padre toscano). Lassù Nicola è femmina, il maschio è Nicholas, e allo stesso
modo Andrea è nome femminile, essendo Andrew il maschile.
Chiarito il piacevole equivoco, parliamo del Concerto per violino di quel simpatico alcolizzato che
rispondeva al nome di Aleksandr Konstantinovich
Glazunov. Concerto composto nel 1904 ed eseguito nel 1905 a SanPietroburgo,
proprio a ruota di quello del suo dirimpettaio di Helsinki, Jean Sibelius, giusto per inquadrarlo
storicamente e pure geograficamente. Ma mentre il finlandese (che pure non
lesinava corpose libagioni di… spirito) si era attenuto alla struttura più
tradizionale, limitandosi a qualche bizzarra trovata in fatto di acrobazie
tonali, il russo costruì il suo concerto con un’ardita operazione di incastro. Nel bel mezzo del primo
movimento, dopo la canonica esposizione
dei due temi, invece di far seguire lo sviluppo
e il resto, cosa ci combina? Infila una sezione tematicamente del tutto nuova,
quasi fosse un secondo tempo, conclusa la quale riprende lo sviluppo dei primi due temi, poi li ricapitola, ci aggiunge una cadenza e da qui attacca il rondo conclusivo!
Beh, c’è da riconoscere che i fumi dell’alcol a volte danno frutti
strani, ma interessanti. Seguiamone una storica esecuzione di David Oistrakh.
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Su terzine ribattute di clarinetti e fagotti (triade di LA minore) il
solista apre subito esponendo il primo tema, Moderato, 4/4:
È una lunga e languida melodia con inflessioni orientaleggianti, che a 53” (animato) assume un carattere momentaneamente più brioso (tutto in terzine) per poi sfociare (1’11”) in un ponte a mo’ di cadenza,
dove le folate ascendenti del violino si alternano ad interventi più pesanti
dei legni e in cui (1’45”)
pare di riconoscere Ciajkovski nell’introduzione del suo concerto per violino. È
in effetti l’introduzione al secondo tema (2’04”) tranquillo, in
FA maggiore (relativa della sottodominante minore della tonalità d’impianto):
Il tema si sviluppa con inflessioni in minore (2’36”) poi torna al maggiore e viene seguito (3’12”) da una coda che si anima con
un serrato dialogo fra il solista e l’orchestra, culminante (3’44”) in un secco accordo di FA
maggiore, dove possiamo collocare la chiusura dell’esposizione. Ora inizia un progressivo calando, che porta (4’18”)
ad un ponte (tranquillo) di 6
battute, che parrebbe proprio essere la preparazione ad una sezione di sviluppo. Ma qualcosa ci dice che non
sarà così: la tonalità infatti è passata chissà come a REb maggiore!
(video2)
Ed infatti, sorpresa-sorpresa, ecco apparire un nuovo tema, anzi un’intera
sezione in Andante, col tempo che
muta a 3/4, quasi fosse un secondo
movimento del concerto:
Tema invero dolce e sognante, ancora à-la-Ciajkovski, sviluppato anche in
corda doppia, che (1’33”) vira,
attraverso un’enarmonia LAb-SOL#, al
LA maggiore, da cui modula ulteriormente, con il solista impegnato in grandi
virtuosismi (da 1’49”) sullo
sfondo di ampie folate dell’arpa. Si torna a REb maggiore (2’20”) dove il solista riprende la
melodia portandola alla sua conclusione, con un pizzicato sulla dominante LAb.
Qui ecco la seconda sorpresa, con il ritorno (Tempo I, 4/4) alla fine dell’esposizione
dei due primi temi, che ora – 3’53”,
la tonalità vira nuovamente a LA - vengono sottoposti a sviluppo, dalla sola orchestra. Così si ascolta il primo tema
(fagotto e viole) e subito dopo (4’13”)
il secondo, tuttora in FA (in flauto e oboe).
A 4’53” irrompe
gagliardamente (più animato) il
solista, che si imbarca in una specie di spiritato scherzo, culminante (5’18”,
pesante) in quella che possiamo
considerare la ricapitolazione: preceduta
da un paio di batti-e-ribatti fra intera orchestra e solista in corda doppia sul
primo tema (un tono sopra) e con il solista che poi (5’32”) lo ripresenta in LA, ma assai variato ed impreziosito di
virtuosismi; poi (6’59”) ecco
tornare il secondo, questa volta canonicamente in DO maggiore.
Si arriva ora, sempre come prescrivono le regole non scritte del concerto
solistico, alla cadenza, introdotta (8’08”) da due accordi a piena
orchestra. La prima parte (dove riconosciamo il secondo tema, poi il primo) viene
chiusa a 9’20” da sette
accordi in pizzicato.
(video3)
La seconda parte della cadenza (più
sostenuto) ripropone il primo tema virtuosisticamente esposto in corda
doppia dalla voce superiore, mentre quella inferiore crea un tappeto di
velocissime biscrome. A 1’18” la
cadenza si conclude con il rientro molto discreto dell’orchestra (archi bassi e
corni, poi timpani) e il solista che attacca in DO maggiore con altre biscrome.
La tonalità poi modula fino a sboccare, sul MI sovracuto del violino, al
LA maggiore con cui una smaccata fanfara di trombe (1’42”) irrompe come il proverbiale elefante in cristalleria, attaccando
l’Allegro conclusivo (un Rondo sui generis, in 6/8) con l’esposizione
del ritornello A, subito ripreso dal
solista in corda doppia:
Ancora l’orchestra con il controsoggetto del tema, imitata subito dal
violino, che poi riesegue soggetto e controsoggetto un’ottava sopra e con
piglio squisitamente virtuosistico. A 2’26”
è la sola orchestra a riproporre due volte il tema del ritornello.
Ecco poi il primo episodio (B): un bel tema cantabile che il solista
espone (2’38”) sulla dominante
di MI maggiore:
Torna a 3’34” il ritornello
A in LA maggiore nella sola orchestra (due ripetizioni senza controsoggetto). A
3’45” abbiamo l’episodio C nel
violino, tonalità RE maggiore:
È
una saltellante melodia di sapore vagamente contadino, interrotta a 4’09” dall’orchestra che ne
ripropone una variante, seguita (4’20”)
dal ritorno del violino. A 4’30”
ecco un cullante motivo di semiminime puntate nel solista, appoggiato da
accordi dell’arpa e sul quale si innestano pregevoli interventi di corno e
legni, finchè si giunge (4’49”)
alla ripresa del ritornello A, ma assai variato e in DO maggiore, nel solista.
Lo riprende l’orchestra, poi ancora il violino, ma modulando bruscamente (5’06”) a LA maggiore, quindi ancora
a RE maggiore, poi a SI maggiore, fino a tornare al LA, dove (5’22”, più animato) il solista con una serie di quintine prepara il ritorno del ritornello A (5’30”) che viene eseguito poi nella
sua interezza dall'ottavino e dai campanelli, col solista che batte il ritmo in pizzicato (quasi guitarra, sic):
Il tutto fa quasi l’effetto dell’incantesimo del fuoco…
Il tutto fa quasi l’effetto dell’incantesimo del fuoco…
A 5’52” riecco il tema A
nel violino, sempre in LA, che inizia calmo (tempo mutato in 3/4) per poi
presentare una continua accelerazione. A 6’26”
si torna a LA maggiore per il gran finale (tempo 6/8): tre scambi di… cortesie
fra orchestra e solista, poi (6’40”,
sempre animando) il tempo passa a 2/4
(per tutti tranne che per il solista, che continua con le sue terzine in 6/8) e
si accelera continuamente fino alla cadenza conclusiva (7’02”) dove anche il solista si allinea al tempo di 2/4 per gli
ultimi battibecchi con l’orchestra che concludono il concerto, con il penultimo
accordo del solista che impegna tutte le 4 corde del violino (dal basso:
LA-MI-DO#-LA).
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La bella McBenedetti – presentatasi
in un elegantissimo lungo nero, con
ampia vista sul… ehm, lato-b (zona superiore, cosa credete!) – sciorina tutta
la sua gran tecnica. Se posso farle un appunto, ma qui è questione di gusti, mi
è parsa eccessivamente metronomica, ad
esempio nel finale, dove un maggiore stacco dei tempi nei due episodi centrali
non avrebbe guastato.
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C’è forse un legame sotterraneo fra Glazunov e la Seconda sinfonia di Rachmaninov:
la quale sarebbe probabilmente tutta diversa, se non fosse accaduto che la Prima (assai più innovativa, devo dire) venisse pesantemente contestata al suo
esordio (César Cui arrivò a
sentenziare che avrebbe potuto trovare gradimento soltanto all’inferno…)
riducendo il Rach in uno stato di tale prostrazione da fargli rischiare la salute.
E che c’entra con tutto ciò Glazunov? C’entra perché fu lui, salito sul podio
verosimilmente inzuppato di vodka, a far fallire miseramente quella prova del
giovane e promettente Sergei!
Il quale, ricominciando a vivere e comporre dopo anni di robuste cure di
natura psicanalitica, decise verosimilmente di percorrere – sul piano artistico
– strade più sicure e meno perigliose di quella imboccata in precedenza. Così
la Seconda resta abbondantemente anacronistica, rispetto agli sviluppi coevi (si
pensi a Mahler…) Personalmente su di essa mi sono espresso piuttosto negativamente
– per usare una formula farmacologica: mi pare contenga 5 minuti di principio attivo e 45 di eccipiente - in occasione di una performance
di Pappano alla Scala; il quale Pappano (avrà ragione lui!) si dice invece
innamorato di quest’opera (e lo si vede bene qui).
Quando ascolto musica di questo genere mi verrebbe voglia di non
applaudire (pensando che mi veda l’autore); ma dato che chi mi vede sono i
ragazzi, che devono comunque fare una fatica d’inferno (il direttore un po’
meno…) ecco che – loro, non l’autore – meritano un encomio solenne. Però una
sinfonia come questa, fossi Jais, la
programmerei una volta ogni 20 anni, ecco.
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