Ancora Zhang Xian alla ribalta con un programma
di gran
tradizione, Beethoven e Mahler, in un
Auditorium finalmente affollato, dopo qualche puntata un po’ stanca.
Sono tre
moschettieri de laVerdi: Luca Santaniello al violino, Mario Shirai Grigolato al violoncello e
il residente Simone Pedroni al
pianoforte a proporci dapprima il cosiddetto Triplo Concerto in DO maggiore di Beethoven. Opera da sempre relegata in quel limbo delle
composizioni giudicate minori,
disimpegnate e mancanti di quel tasso di eroismo
che l’agiografia ha affibbiato alla produzione del genio di Bonn.
E magari
solo perché composta per gratificare un illustre allievo, l’Arciduca Rodolfo che da poco si era
messo a prender lezioni di pianoforte dal già rinomato Ludwig (siamo nel 1803-1804,
ai tempi dell’Eroica, per intenderci…
ma l’opera non verrà eseguita se non nel 1808, chissà, forse perché l’Arciduca ebbe
bisogno di molte lezioni? smile!) O
perché, prevedendo tre solisti – invece di uno solo, come è caratteristica dei Concerti – finisce per apparire, ai
solisti medesimi, come un lavoro poco gratificante e in fin dei conti da…
snobbare.
E così,
normalmente si sottovaluta (un po’ troppo, pare a me) la struttura stessa della
composizione, per il suo primo movimento privo dei caratteristici contrasti
(temi poco distinguibili) e in compenso ricco di enfasi, affettazione e di
eccessive lungaggini e divagazioni tematiche (tutti aspetti considerati
estranei alla tipica scrittura di Beethoven); un movimento centrale troppo
breve e lezioso e uno conclusivo da… festa campestre.
Sarà, ma
personalmente trovo in questo apparente disimpegno un voluto omaggio a forme
settecentesche, fatto con garbo e con un po’ di ironia, ma sempre con grande
sapienza e ispirazione. Un pezzo assolutamente godibile, anche se non manda messaggi universali né evoca chissà
quali scontri fra ragione e tenebre!
___
L’Allegro è una
corposa costruzione, in forma-sonata
assai liberamente interpretata: una lunga esposizione,
dove si possono individuare parecchi motivi; uno sviluppo piuttosto breve e da essa quasi indistinguibile; una ripresa a sua volta molto complessa e
infine una veloce coda a concludere
il movimento.
Sono gli archi bassi ad esporre immediatamente, soli e pianissimo, il motivo principale (1):
Poco dopo l’orchestra presenta una specie di
introduzione, in crescendo, basata su una variante del motivo (1), che culmina
in fortissimo e per due volte sulla sottodominante FA, poi (con curiosa
presenza di due intervalli di tritono
ascendenti – FA-SI e SOL-DO#) si sposta sulla dominante SOL, dove i primi
violini espongono un secondo motivo (2):
Che viene ripreso quasi subito dai fiati, ma in DO (!)
Sulla tonalità di impianto ecco poi i primi violini esporre un nuovo motivo
(3):
ripetuto poi un’ottava sopra, che sfocia in fieri incisi
trocaici (MIb-DO) dell’intera orchestra, a chiudere, prima sul SOL, poi sul DO
la prima esposizione.
Esposizione che viene ora affidata ai solisti, a partire
(sarà sempre così…) dal violoncello
(pare che in origine il concerto fosse proprio stato concepito per questo
strumento). È lui che, nel registro acuto, ci propone il motivo (1) che viene
sviluppato, salendo alla sesta per poi scendere sulla dominante SOL, dove il violino solista ripropone il motivo,
sulla cui conclusione si innesta un arabesco (terzine puntate) dei due, che
riconduce al DO sul quale finalmente entra anche il pianoforte. Esso sviluppa ulteriormente il tema, con veloci
quartine di semicrome, contrappuntate dagli altri due solisti, fino
all’esplosione, sempre in DO maggiore, di un nuovo motivo (4), enfaticamente
colmo di prosopopea:
Il violoncello però, riprendendolo e ampliandolo (5), mostra
come quel tema in fondo non sia poi così becero:
Motivo che subito è sviluppato con veloci quartine di
semicroma insieme al violino, cui poi si aggiunge il pianoforte con veloci
scale ascendenti in ottava, che intercalano un inciso (6) degli altri due
solisti, ripreso poi dall’orchestra:
È il pianoforte a svilupparlo dapprima, poi imitato dal
violoncello e quindi dal violino, con terzine in staccato che fanno lentamente virare l’atmosfera verso il LA, sulla
cui dominante MI si afferma una perentoria cadenza dell’orchestra (7), due
discese di ottava, da tonica a tonica, passando per dominante e mediante:
Il Pianoforte con arpeggi di semicrome ci porta ora verso
la riproposizione del motivo (2) nella tonalità abbastanza lontana di LA
maggiore (è sempre il violoncello ad aprire le danze…); gli risponde il violino
ribadendo il tema, ma nella sottodominante RE. Presto si torna a LA con lo
stesso motivo riproposto dall’orchestra, mentre i solisti si lasciano poi
andare ancora a svolazzi di semicrome, spostando l’atmosfera verso il LA
minore, dov’è ancora il violoncello a introdurre un nuovo motivo (8) dal ritmo
trocaico:
che poi si sviluppa con terzine in staccato dei due archi
solisti, per accelerare con semicrome all’arrivo del pianoforte, che fa
ristagnare l’atmosfera sul LA minore, finchè il violoncello, poi il pianoforte
e quindi il violino presentano un nuovo motivo (9) che insiste sulla
sopratonica SI e, ancora in ritmo trocaico, se ne discosta scendendo di un
semitono:
Violino, poi
pianoforte e quindi violoncello si imbarcano in svolazzi di semicrome che
portano ad un crescendo vorticoso, chiuso da un trillo dei tre solisti
sull’accordo di sensibile, che sfocia platealmente sul LA fortissimo di tutta l’orchestra. La quale, muovendo da quel LA come
mediante di FA, reitera il retorico motivo (4) in questa nuova tonalità.
A differenza della prima comparsa, qui il tema non è
ripreso né sviluppato, ma l’orchestra passa direttamente ad esporre gli stessi
incisi trocaici uditi dopo il motivo (3) a chiusura dell’esposizione
orchestrale, ma qui ancora in LA minore (DO-LA). Qui si potrebbe parlare di
fine dell’esposizione canonica.
Lo sviluppo è
aperto dal violoncello, che su quel LA passa a maggiore dove, dopo una breve transizione, riespone il motivo (1).
Il violino lo imita nella dominante MI maggiore, poi ancora sul LA arriva il
pianoforte che però vira a RE minore, e da qui, con arpeggi in cui tornano
intervalli di tritono (DO#-SOL), tramite
sesta napoletana, a SIb, dove i tre
solisti si rincorrono con terzine in staccato,
mentre oboe e fagotto contrappuntano con uno spezzone del motivo (1). Altre
modulazioni portano finalmente a DO minore, dove è ancora il violoncello
protagonista dell’esposizione di un nuovo motivo (10) sottolineato cantabile in partitura; è l’unico motivo
che non riudiremo più nel seguito:
Manco a dirlo segue il violino, e poi il pianoforte, che
in realtà non ripete questo tema, ma si limita ad accompagnarlo. Scale
ascendenti negli archi solisti, contrappuntate da un ritmo sincopato ci portano
con un grande crescendo alla conclusione dello sviluppo, con un poderoso accordo di DO maggiore dell’orchestra,
che dà inizio alla ripresa.
A piena orchestra e in fortissimo viene esposto il motivo (1) che in origine avevamo
ascoltato dai soli bassi e in pianissimo.
Quindi l’introduzione, con le esplosioni in fortissimo
sui FA (come all’inizio) intercalate qui però dai solisti; ma poi, che succede?
Niente temi principali, ma improvvisamente compare il motivo (5), nel
violoncello naturalmente, in FA maggiore! Che è seguito, come nell’esposizione,
ma sempre in FA, dall’inciso (6) che porta a sua volta alla perorazione (7), le
due discese di ottava, ma qui sul SOL.
Da qui, come nell’esposizione, ma in DO (le sacre
regole!) ecco il motivo (2) esposto, indovinate da chi? dal violoncello, natürlisch! Il violino risponde, ma
adesso in FA, che vira quindi al DO, dove l’orchestra ribadisce il motivo (2).
I solisti lo sviluppano fino a modulare su DO minore, dove – sempre nel
violoncello – riudiamo il motivo (8) che nell’esposizione era in LA minore.
Come nell’esposizione, pianoforte e violoncello ci riportano al motivo (9) nel
violoncello, qui incardinato sulla sopratonica (RE) di DO (là era sul SI…)
Quindi i tre solisti con vorticose ascese raggiungono il
DO, dove tutta l’orchestra ripete la poderosa perorazione (4) che, partendo dal
DO come mediante, cade sul LAb maggiore. Ancora gli incisi trocaici MIb-DO con
caduta sul SI, che torna sensibile di
DO, dove – sempre il solito violoncello – espone ora il motivo (3), il quale
prende però una strada tutta diversa rispetto all’esposizione; strada che
conduce, passando anche da modulazioni a FA, alla chiusura della ripresa e al passaggio diretto alla coda.
La quale consta di 18 battute (Più Allegro) dove, aizzati dall’orchestra, i tre solisti si
scatenano prima in scalette ascendenti, poi in trilli e quindi in scale
discendenti, fino ai due secchi accordi conclusivi.
Beh, il risultato puramente estetico potrà magari far
storcere il naso a qualcuno, ma mi pare che come strutturazione questo
movimento non sia poi tanto banale, anzi si potrebbe concludere che configuri
una complessità che si fatica a riscontrare anche in opere più mature di
Beethoven.
Il Largo
centrale, in LAb maggiore (3/8) è invece di una semplicità assoluta: una
brevissima introduzione degli archi, poi il tema presentato – c’è da dubitarne?
– dal violoncello. Tema languido, carezzevole, di 17 battute, scomponibile in
tre frasi di 5-6-6 battute:
Si ripete l’introduzione (con i fiati) e poi sono i due
archi solisti a riesporre il tema, per terze,
con il pianoforte ad arpeggiare languidamente. Ora inizia un ponte che modula lentamente
un semitono sotto, a SOL maggiore (una cosa analoga farà Beethoven, più
bruscamente, nell’Adagio non troppo
dell’Imperatore, scendendo dal SI al
SIb in vista del MIb del Rondo), per preparare l’attacco del conclusivo Rondo alla Polacca.
Il quale ha – come il primo movimento – una struttura
assai articolata, così sommariamente interpretabile: A-B-A-C-A-B-A’-A”. Il
tempo è sempre 3/4, salvo che per A’ (2/4).
Immancabilmente è il violoncello, che ha concluso in
solitaria (salvo un pizzicato degli
archi) l’Adagio con una serie di biscrome e semibiscrome sempre più affrettate,
ad introdurre il Rondo, la cui sezione ricorrente A è inizialmente presentata
con una struttura interna in cui si distinguono tre motivi: A1, A2 e A3. Il
violoncello espone A1:
Lo chiude modulando a MI maggiore, dove lo riespone il
violino, che a sua volta lo chiude virando a minore e rimodulando quindi a DO. Ora
abbiamo il motivo A2, nell’orchestra:
che viene sviluppato poi dai tre solisti e in particolare
dai due archi, fino ad una cadenza dell’orchestra sull’accordo di settima. Torna
il motivo A1, nei tre solisti e subito dopo – accorciato - ad orchestra piena. Da
qui si diparte, negli strumentini, un ponte in semicrome che porta, dopo
marziali accordi che anticipano il ritmo di polacca,
ad un nuovo motivo (A3) esposto primi
violini e poi ripreso dai legni:
La sezione A si chiude con decisi accordi di DO in staccato dell’orchestra. E subito
compare la sezione B, con il violoncello e in contrappunto il violino che
espongono il motivo B1:
Poco dopo è il pianoforte a riprendere il motivo,
modulando verso SOL, dove il solito violoncello presenta il motivo B2,
contrappuntato dal violino, mentre il pianoforte arpeggia in sestine:
Dopo che i solisti si sono sbizzarriti in svolazzi con
sestine di semicrome è l’orchestra a riprendere il motivo B2, con i solisti ad
interloquire e poi a riprendere in mano il pallino, con le loro sestine che
conducono alla chiusa in DO della sezione B.
Si ripete ora la sezione A, praticamente identica alla
sua prima apparizione, ma solo fino al motivo A1 nell’orchestra, al termine del
quale un nuovo ponte, invece di portare ad A3, conduce direttamente alla
sezione C, preparandone con incisi dattilici il caratteristico ritmo di polacca. La tonalità è mutata nel
frattempo nella relativa LA minore. Qui, per l’unica volta nel Concerto, tocca
al violino solista aprire le… danze, con l’esposizione del motivo C1:
Il motivo viene poi reiterato più volte dai solisti, che se lo rimpallano con
continue variazioni e modulazioni di tonalità. Finalmente compare un nuovo
motivo più cantabile ed espressivo
(C2) che è sempre il violoncello ad esporre per primo, subito imitato dal
violino:
Il pianoforte si limita ad un accompagnamento in
semicrome, come a mantenere il ritmo, aiutato qua e là dai fiati. Poi avvia un
breve crescendo in cui trascina gli altri solisti e l’orchestra, dopo il quale
è ancora compito suo esporre una cadenza in terzine, quindi rallentando, fino a
chiudere la sezione C sul SOL, da cui riprende una nuova ricorrenza della
sezione A, col violoncello, costituita peraltro dal solo motivo A1, cui però
non segue come al solito il violino, ma direttamente il tutti orchestrale.
Ultima comparsa della sezione B, sempre in DO, con B1 in
violoncello, poi violino e pianoforte e quindi B2 nel violoncello, cui si
aggiungono gli altri due solisti che si imbarcano ancora in veloci sestine di
semicrome. L’intera orchestra ripropone B2, finchè sono i solisti a portarlo a
compimento.
Ora un’autentica sorpresa, con la ricomparsa, dapprima nel
pianoforte, del motivo di polacca C2, ripreso subito da violino e violoncello
che vanno poi a chiudere la sezione sul LA.
Altro scombussolamento, con il tempo che passa ad Allegro
in 2/4. È il violino ad esporre un il motivo A1 variato e velocizzato. Poi lo
seguono gli altri due solisti, che sembrano ingaggiare una gara di velocità,
finchè l’orchestra non interviene riproponendo ancora A1 sempre nel tempo
marziale di 2/4.
Un ultimo ponte, con i solisti impegnati in terzine, porta – col ritorno a 3/4 e al Tempo I - alla conclusiva comparsa del
tema A1, o meglio di suoi spezzoni, nei solisti. Quindi si riaffaccia nel violino
anche il motivo A3, reiterato dal pianoforte e poi dall’orchestra che innesca
la coda dove ancora i solisti si
sfogano con veloci sestine, prima dei tre pesanti accordi conclusivi.
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Prestazione discreta – non eccezionale, secondo me
- dei solisti, che non sono andati esenti da qualche pecca, specie nell’iniziale
Allegro, dove può darsi che un po' di emozione gli abbia giocato qualche scherzetto... E anche il Rondò,
soprattutto la sezione polacca, non mi ha entusiasmato. Forse anche per colpa della
direzione di Xian, che mi è parsa piuttosto
anonima e priva di mordente: chissà, magari proprio per non accreditare le
critiche di eccessiva appariscenza che vengono tradizionalmente mosse al Concerto.
Ma trattandosi dei beniamini del pubblico il
successo non è mancato di certo, ricompensato anche da un bis…
Poi Mahler e Das Lied von der Erde,
già da Xian interpretato in Auditorium poco più
di due
anni fa. Qui la
cinesina (stante che con quest’opera si deve sentire… a casa propria, smile!) ha
offerto di nuovo un’interpretazione assolutamente convincente, cavando fuori
tutti i tesori di questo capolavoro, fin dal magnifico attacco iniziale dei
corni. Assecondata in ciò da un’orchestra quasi perfetta, nell’insieme e nelle
diverse parti solistiche che questa partitura impegna assai, a partire dall’oboe
di Luca Stocco, dal flauto di Massimiliano Crepaldi e dal fagotto di Andrea Magnani, per non tacere poi della
sezione dei corni guidati da Giuseppe Amatulli.
Di assoluto livello, in particolare, gli interludi dell’Abschied.
Peccato
che il canto abbia invece lasciato parecchio a desiderare: in particolare il tenore
John Daszak,
voce magari potente, ma assai sguaiata e impiccata
(la scusa che deve interpretare gente che brinda, che beve e che si ubriaca non
giustifica schiamazzi da osteria, smile!)
mentre il contralto Carina Vinke ha
mostrato qualche buona qualità, soprattutto nell’ottava alta, laddove mi è
parsa deficitaria in quella bassa (in particolare, il passaggio concitato del quarto Lied ne ha
sofferto assai).
Anche qui
comunque grandi applausi, da parte mia riservati soprattutto a direttora e
orchestra.
Prossimamente
si rifarà vivo il Direttore principale
per proporre un programma
moderno con intermezzo… caramelloso.