In questi giorni nell'ambiente dei melomani si fa un gran parlare del libro di Alberto Mattioli Anche stasera – Come l'opera ti cambia la vita. Sono meno di 200 pagine che l'Autore definisce come la cronaca di una passione.
E infatti nel suo libro il 43enne Mattioli ci presenta una specie di catalogo dongiovannesco (invero invidiabile!) di tutte le sue imprese (le recite cui ha assistito, che sono al momento di andata in stampa del libro 1100, quindi già più delle 1003 spagnole del Don, ma circa la metà delle 2065 totali… auguri): una lista ovviamente lunga (e talvolta parecchio noiosa, mi permetto di dire) di titoli, luoghi e interpreti; arricchita poi da resoconti di tour-de-force francamente velleitari e poco raccomandabili (la vacanza intelligente?) quali 13 opere in 13 giorni, o 2 opere in un pomeriggio-sera a distanza di centinaia di Km, oppure ancora frenetiche spole fra Bayreuth, Monaco e Salzburg, con annesse indigestioni di Wagner, Strauss e Mozart. Ecco, se Mattioli ci voleva dare l'idea della sua dipendenza dal teatro musicale, come da una droga, il suo scopo l'ha raggiunto. Resta da vedere se – come lui si ripromette programmaticamente – tutto ciò lo aiuti a fare proseliti per la causa… o invece a far prendere semplicemente lui per… matto (smile!)
Ci racconta poi moltissimi aneddoti (tipo l'ambiente di Bayreuth, o quello del MET, o Salzburg o Zurigo) qualche volta umoristici, altre volte piuttosto patetici; e anche i soliti luoghi comuni, primo fra tutti il SantAmbrogio scaligero: con tanto di irrisione per la colorita fauna che lo popola e per l'incompetenza (musicale, e non solo) che vi regna sovrana. Poi però si lascia andare ad una lode per il pubblico (e per i relativi giudizi) che affolla la primina del 4 dicembre: lì sì che, essendo tutti (o quasi) giovani, vi regna sovrano il sincero interesse per l'opera e si danno giudizi ed apprezzamenti intelligenti. Può darsi, ma che i giudizi di questi giovani siano da prendere quasi come oro colato mi pare francamente eccessivo: perché è da dimostrare che anche quei giovani, in media e in maggioranza, non abbiano lo stesso livello di ignoranza dei loro ingioiellati e impomatati papà-mamme (o nonni!) del 7 dicembre.
Il principale argomento serio che Mattioli tratta nel suo libro riguarda i problemi e gli approcci alla regìa dell'opera, o in generale alla messinscena. Chi legge abitualmente i suoi resoconti e recensioni sa benissimo che lui è un tifoso del modernismo (o magari del post-modernismo) e un fautore del cosiddetto teatro-di-regìa. E nel libro si sprecano le lodi per Robert Carsen, Claus Guth e compagni, puntualmente affiancate da denigrazioni anche poco soft nei confronti dei vari Zeffirelli, Pizzi e Pier Alli. Per carità, tutte esternazioni legittime, come quelle di qualunque manicheo. E ad essere presi di mira non sono soltanto i registi tradizionalisti, ma soprattutto quella parte di pubblico e critica che dileggia le mirabili intuizioni di quelli di avanguardia. A questa parte di pubblico e critica, colpevole di non apprezzare le regìe dei Carsen di turno, Mattioli riserva un trattamento assai sbrigativo: sono dei cretini. Perché non sono in grado di capire ed afferrare quelle mirabili intuizioni. Peccato però che poi il dottor Freud si insinui subdolamente nella sua psiche, allorchè il nostro ammette candidamente di non aver capito la recente regìa (quella coi i topi, per intenderci) del Lohengrin di Hans Neuenfels! Allora, caro Alberto, chi è qui il cretino? (smile!) Sì, perché quella regìa è di sicuro agli antipodi della sostanza dell'opera wagneriana, ma si basa su un Konzept chiarissimo e – in sé e per sé - pure molto intelligente. Ma il peggio è che dal giudizio negativo su una regìa (che lui non è arrivato a capire) Mattioli tragga la conclusione che tutto Neuenfels sia da buttare e da evitare come l'aids. Invece - toh! – la regìa della Butterfly di Damiano Michieletto (che riduce l'opera pucciniana a volgare racconto di turismo sessuale) sarebbe un capolavoro!
Mattioli cerca poi di spiegarci i razionali che giustificherebbero queste regìe moderne, il primo dei quali sarebbe quello di allineare, per così dire, la presentazione delle opere alla nostra attuale civiltà, alle nostre conoscenze, alle esperienze che l'umanità ha maturato da quando quelle opere liriche furono composte. Bene, fin qui ci siamo. Ma allora, visto che il citato Lohengratt di Neuenfels interpreta precisamente queste esigenze, ponendo (sia pur gratuitamente e surrettiziamente) al centro dell'opera i problemi filosofici, psicologici e persino politici della nostra civiltà, perché mai Mattioli lo dileggia, esponendolo al pubblico ludibrio?
E infatti poi arrivano degli esempi che sono tutto fuorchè convincenti. Prendiamo Rigoletto. Mattioli rileva giustamente come nella prima scena dell'opera ci troviamo in presenza di una festa tutt'altro che pura e casta, anzi propriamente di un'orgia (come dice espressamente Monterone). Quindi – e fin qui possiamo concordare – presentarla come hanno fatto e fanno troppo spesso le regìe tradizionali, che ci mostrano una scena degna di un menuetto dove gli individui si toccano solo col mignolo, è sbagliato e ridicolo. Ma Mattioli va oltre: essendo un'orgia, oggi che non abbiamo più le censure dell'800 e abbiamo infranto tutti i tabù del sesso, è logico e giusto che venga presentata come tale, quindi: vai con lo stupro e vai con scene di pura pornografia. Ecco, qui francamente mi pare che Mattioli sia fuori strada. Perché non lo sfiora nemmeno il dubbio che quella scena del Rigoletto sia stata costruita e musicata da Piave e Verdi con caratteristiche, diciamo così, soft, non solo e non tanto per evitare gli strali della censura o per non urtare la suscettibilità dello spettatore di allora, quanto per ragioni squisitamente estetiche: in sostanza, per poetizzare anche una vicenda truculenta. La quale, se invece viene presentata in modalità hard, con pieno e nudo realismo, ridiventa appunto truculenta e perde tutta la sua poesia! Lo stesso ragionamento applicasi a Giacosa-Illica-Puccini e alla loro Butterfly.
In fatto di allineamento ai tempi moderni, Mattioli fa anche un accenno ai contenuti musicali (mica sarà una velata proposta perché, oltre ai libretti, si cominci anche a metter mano alla strumentazione?) Quando fa l'esempio della scena del cimitero nel DonGiovanni. Lì (ed è l'unico momento in tutta l'opera) Mozart impiega, per sottolineare i versi cantati dalla statua del Commendatore (11 battute in tutto) i tre tromboni (oltre ai legni e ai contrabbassi). Ora, credo che anche un bambino capisca che ciò sia legato ad esigenze drammaturgiche: accentuare la forza evocatrice di quei versi minacciosi, che arrivano propriamente dall'oltretomba, attraverso il suono profondo di quegli strumenti gravi. Mattioli come lo spiega, invece? Con un ragionamento che definire capzioso è fargli un complimento: siccome siamo in luogo sacro (cimitero=chiesa) ecco che Mozart impiegherebbe uno strumento che ai suoi tempi si usava – secondo lui - solo in chiesa e non in orchestra; ma oggi che udiamo il trombone quasi in tutte le opere musicali, questo significato si perde e quindi sarebbe opportuno sostituire il trombone con altro strumento (!?!)
Mattioli ripete più volte che il suo libro, più ed oltre che ai melomani, vorrebbe indirizzarsi a chi non si sia ancora avvicinato al teatro musicale. E allora, giustamente, propone un elenco di buoni motivi per invogliarlo a fare il primo passo. Ora, chiunque abbia un minimo di cognizione di tecniche del convincimento, sa benissimo che il miglior risultato si ottiene proponendo pochissime (magari una soltanto) ragioni, purchè veramente efficaci e tali da scatenare nella vittima non solo la curiosità, ma proprio la voglia matta del prodotto che viene proposto. Fare una lista interminabile di motivi più o meno plausibili ottiene di solito l'effetto contrario. Ecco, Mattioli di motivi - in ordine sparso - ne elenca addirittura 100 (tanto per dare un esempio di motivazione sospetta bizzarra, al n°44 troviamo: Verdi diretto dal giovane Omer Meir Wellber!)
In sostanza, da melomane (spero: non ignorante) ho trovato il libretto di scarso valore aggiunto, non dico utilità. Mettendomi viceversa nei panni di un non-melomane, francamente dubito che sarei arrivato in fondo alla lettura.
Comunque, per par-condicio, ecco qua una recensione politically-correct del sempre più famoso Amfortas.
9 commenti:
Straquoto ogni sillaba! E meno male che, nel coro delle recensioni elogiative e lecchine, ogni tanto salta fuori qualcuno che queste cose ha il coraggio di dirle! Bravo!
Ciao Daland, ora linko sul blog e su OC la tua recensione.
E, ovviamente, grazie per la citazione.
Ciao!
@mozart2006
troppo buono!
@Amfortas
contraccambio ringraziamenti!
grazie e ciao a tutti!
Cosa intendi con "ignoranza"?
Da giovane che avrebbe voluto essere alla primina del 4 Dicembre sapevo che l'opera era nata per essere popolare e non d'elite.
Non ritengo si debba essere edotti per apprezzare un Don Giovanni o una Valchiria, ma penso basti essere sensibili alla musica.
Personalmente ritengo ignorante coloro (giovani e non, ingioiellati e non) che con arroganza sentenziano ciò che è buono da ciò che è cattivo, cio che è brutto da ciò che è bello ecc.
@Marco
La mia era una critica all'approccio dell'autore del libro, per il quale i genitori o nonni del 7 dicembre non hanno capito nulla (nella fattispecie: della regìa di Carsen) mentre i loro figli e nipoti avrebbero capito tutto.
Credo che la realtà sia un pochino meno... bianco-nera. Tutto qui, nessuna offesa per alcuno.
Ciao e grazie del commento!
Hai morso abbuono, caro Amfortas. Il libro, sinceramente, lo trovo irritante per quel concentrato di provincialismo snobbistico e sinistrorso che trapela quanto più con apparente nonchalance si fa sfoggio di internazionalismo ad oltranza.
Hai tralasciato, nella tua analisi, un altro elemento che lo rende come dire ... ulteriormente capzioso. Il trattare i gay, che nel mondo dell'opera siamo parecchi ma non necessariamente i soli ed in maggioranza, con una condiscendenza sospetta di chi adotta l'atteggiamento "poichè sono simpatizzante e friendly, come ora usa dire, ne posso dire di cotte e di crude, irridendo le melochecche e citando Arbasino e Giudici a modello. Ma sarebbe del pari onesto, in tal caso, che il signor Mattioli facesse definitivamente ed una volta per tutti l'outing e così ci avrebbe risparmiato il capitoletto dell'ELISIR ad Hamsterdam con battutine del genere "i gay cuccano per primi" e la risposta data ad una valchiria bionda,che avrebbe commesso l'imperdonabile errore di scambiarlo per un macho, confessando in pubblico di non aver avuto mai un "boy frend italiano" nemmeno lui.
Scsate lo sfogo, ma di certa borghesia eroica e radical chic che aligna nel mondo dell'opera, ne faccio volentieri a meno. Tutto sommato le irrise "carampane" sono più autentiche e veraci. E fanno più "Anche stasera" senza scriverne un libro...
@Rustighello
Grazie del commento... però non so se Amfortas lo condivide (smile!)
Guarda, io mi sono limitato ad osservazioni, per così dire, tecniche o di mera logica (tipo mettere in luce qualche contraddizione dell'Autore). E a esprimere una valutazione sul (mancato) valore aggiunto che il libro mi ha personalmente apportato.
Sul tono generale del libro e sulle attitudini "esistenziali" dell'Autore non ho elementi per emettere alcuna sentenza (nè mi interessa farlo, a dir la verità).
Ciao e grazie!
Sorry ho confuso i nick! :-D
@Rustighello
Di nulla!
Guarda caso proprio oggi Mattioli è stato ospite in TV di Corrado Augias: non so chi dei due abbia fatto la peggior figura, quanto a pressapochismo e banalizzazione dell'argomento "opera lirica".
Ciao!
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