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Contrariamente alle altre serenate mozartiane, che sono
più corpose, contenendo fino a 9-10 movimenti (escludendo i trii) questa ne
presenta solo 3. Come accadeva non di rado, viene introdotta da una Marcia (cui ben si addice la presenza
dei timpani) costituita da due sezioni, ripetute. Nella prima troviamo un’introduzione,
invero marziale:
seguita da due temi, il primo in RE (ripetuto) che sbocca sulla dominante LA, su cui udiamo il secondo tema, costituito da due motivi. In questa sezione è sempre il quartetto principale a guidare, mentre l’altro lo supporta saltuariamente.
seguita da due temi, il primo in RE (ripetuto) che sbocca sulla dominante LA, su cui udiamo il secondo tema, costituito da due motivi. In questa sezione è sempre il quartetto principale a guidare, mentre l’altro lo supporta saltuariamente.
La seconda sezione presenta un nuovo motivo in LA, sempre nel primo
quartetto, interrotto qui per due volte dal secondo con interventi puramente
ritmici, in pizzicato, e timpani in
primo piano. Poi il primo quartetto, seguito a ruota dall’altro, propone un
ponte modulante per tornare all’introduzione e al tema iniziale (ora non
ripetuto) in RE, alla cui tonalità si adegua anche il secondo, a chiusura del Maestoso.
Ecco poi un Menuetto (+ Trio) in RE maggiore (3/4). La struttura
del Menuetto è assai semplice: tema (da ripetere) poi motivo secondario che lo
reintroduce, dopo breve intervento del solo secondo quartetto (anche questa
sezione da ripetersi).
Il Trio – eseguito dal solo primo
quartetto - è nella sottodominante di SOL maggiore e consta di due sezioni, da
ripetersi. Nella prima viene presentato – dal primo violino, contrappuntato dal
secondo con rapide terzine - un tema che sale da tonica a dominante e di lì
ancora su fino a toccare la dominante superiore, per poi rapidamente ridiscendere
per tornare da dove era partito. La seconda sezione inizia con un motivo in RE,
che tosto modula al SOL dove viene ripresentato il tema iniziale. La
riproposizione del Menuetto chiude il
movimento.
In conclusione ecco un Rondo, 2/4
in RE maggiore, di struttura piuttosto articolata. Inizia con un Allegretto in 5 sezioni (le prime 4 col
ritornello) dove il tema ricorrente è esposto subito dal primo violino:
Nella seconda sezione troviamo un breve motivo, che si chiude su una cadenza (che tornerà spesso) di accordi fra sensibile e tonica, eseguita dalle due orchestrine insieme, e che resta sospesa (corona puntata) dopo il DO#:
Nella seconda sezione troviamo un breve motivo, che si chiude su una cadenza (che tornerà spesso) di accordi fra sensibile e tonica, eseguita dalle due orchestrine insieme, e che resta sospesa (corona puntata) dopo il DO#:
In questa sua prima apparizione è seguita dal tema
principale. La terza e la quarta sezione presentano un nuovo tema e un suo
controsoggetto. Nella quinta troviamo la seconda comparsa della cadenza
tonica-sensibile, seguita dal tema principale.
Ora, abbastanza sorprendentemente, ecco una sezione (3/4,
SOL) di 10 battute in Adagio. È il
solo primo quartetto a suonarla, conferendole un carattere elegiaco e
intimistico. Si passa poi in Allegro
(2/4) sempre in SOL maggiore con un nuovo, lungo tema – ondeggiante fra
sopratonica e dominante – eseguito e poi sviluppato prevalentemente dal primo
quartetto, che viene bruscamente interrotto dai timpani e dal secondo, con un marziale
arpeggio. Il quale culmina sul LA, dominante del RE su cui torna il tema
principale, seguito dal motivo della seconda sezione e dalla cadenza
tonica-sensibile e ancora dal tema principale. Tornano i motivi della terza e
quarta sezione, sempre seguiti dalla cadenza e dal tema principale.
Qui il primo quartetto sembra però avere un’esitazione,
emette piccole note in pizzicato e poi – unico caso nell’intera serenata – fa
da accompagnamento al secondo quartetto (il timpanista tace) che riespone – adesso
in RE maggiore, canonicamente – il tema che avevamo udito in SOL all’inizio dell’Allegro.
Ecco ora l’ultima delle apparizioni della cadenza
tonica-sensibile, a 14 battute prima della chiusa. Di solito – e così è accaduto
anche ieri sera - si approfitta della pausa per introdurre una cadenza solistica dei timpani, in
omaggio all’insolita presenza dello strumento. In questo caso (ad esempio qui a 4’02”) a me pare di vederci la finestra della dedicataria della serenata che si
spalanca per dar luogo ad una pioggia di oggetti non proprio complimentosi (smile!); dopodiché i serenatori si danno una scrollatina agli
abiti, riespongono il tema principale e chiudono come da contratto la loro
esibizione…
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Qui in
realtà il secondo complesso è formato da una corposa porzione degli archi de laVerdi – disposti per tutto il concerto
in configurazione alto-tedesca - anche se Flor ne tiene sempre assai basso il
volume per non coprire il quartetto principale (le prime parti dell’Orchestra) che
è dislocato davanti a lui, al proscenio. Ciascuno dei solisti ha anche modo di
esibirsi in mini-cadenze nel Rondo, prima dell’ultima dedicata ai timpani. Esecuzione
davvero impeccabile, che scatena applausi convinti.
Ora arriva
al proscenio – avendo così modo di mostrare anche il suo gran fisico da modella
(!) - la bravissima prima arpa
dell’Orchestra Verdi, Elena Piva, per
cimentarsi con un Concerto in RE maggiore composto – qualche anno dopo la
serenata mozartiana - da Haydn per
uno strumento a tastiera (clavicembalo o pianoforte). In effetti la sonorità
dell’arpa richiama da lontano (pur essendo assai più morbida e meno… metallica)
quella del clavicembalo - in fin dei conti sono entrambi strumenti a corde pizzicate! - e ben si adatta a
questa brillante partitura.
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Haydn qui non cerca complicazioni particolari:
nell’iniziale Vivace gli basta un
tema per cavarsela da par suo:
Poi lo impiega per il passaggio sulla dominante LA, quindi lo sviluppa – con veloci quartine di semicrome del solista - modulando anche alla relativa SI minore… insomma con una sola idea ci costruisce l’intero primo movimento! Che si chiude dopo una cadenza del solista.
Poi lo impiega per il passaggio sulla dominante LA, quindi lo sviluppa – con veloci quartine di semicrome del solista - modulando anche alla relativa SI minore… insomma con una sola idea ci costruisce l’intero primo movimento! Che si chiude dopo una cadenza del solista.
Stessa economicità di risorse per il centrale Un poco adagio, 3/4 in LA maggiore. Il tema principale, di una
disarmante semplicità, pari alla bellezza, dopo essere stato introdotto
dall’orchestra, viene esposto dal solista:
Quindi viene sviluppato – con l’impiego di terzine di semicrome e note delicatamente ribattute - in una poetica sezione centrale nella dominante MI, prima di tornare sul LA per la ripresa. Anche qui è una cadenza solistica a precedere la chiusura del movimento.
Quindi viene sviluppato – con l’impiego di terzine di semicrome e note delicatamente ribattute - in una poetica sezione centrale nella dominante MI, prima di tornare sul LA per la ripresa. Anche qui è una cadenza solistica a precedere la chiusura del movimento.
Chiude il concerto un Rondo
all’ungherese, Allegro assai, 2/4
in RE maggiore. È il solista ad esporre per primo il tema principale, poi imitato
dall’orchestra:
Anche qui Haydn non si smentisce e costruisce il Rondò (A-A’-B-A-C-A) con elaborazioni continue di questo tema. Dapprima modulando, tramite SI minore, alla dominante LA maggiore, dove viene sviluppato dal solista con veloci quartine di semicrome e diverse ulteriori modulazioni (MI, DO) prima di tornare al LA. Ecco poi una sezione in RE minore, dove il tema è ancora variato, con pesanti interventi dei corni (tonica-dominante) prima di tornare in RE maggiore. Altro episodio nella relativa SI minore prima del definitivo ritorno alla tonalità d’impianto.
Anche qui Haydn non si smentisce e costruisce il Rondò (A-A’-B-A-C-A) con elaborazioni continue di questo tema. Dapprima modulando, tramite SI minore, alla dominante LA maggiore, dove viene sviluppato dal solista con veloci quartine di semicrome e diverse ulteriori modulazioni (MI, DO) prima di tornare al LA. Ecco poi una sezione in RE minore, dove il tema è ancora variato, con pesanti interventi dei corni (tonica-dominante) prima di tornare in RE maggiore. Altro episodio nella relativa SI minore prima del definitivo ritorno alla tonalità d’impianto.
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Grandissima
la prestazione della solista, che padroneggia da par suo una parte ostica, a
volte impervia (l’arpa non è una tastiera!) ed è accolta da scroscianti
applausi.
Ma per lei
non finisce qui, poiché dopo l’intervallo è ancora lei ad esibirsi, questa
volta con il Mozart francese - come
qualcuno ha battezzato François–Adrien
Boieldieu (avvertenza importante per i francesisti-fai-da-te:
il cognome non è, anche se ne ha tutta l’apparenza, una bestemmia!) - e il suo Concerto
per arpa e orchestra, composto proprio all’alba del nuovo secolo e nel
quale si sentono per la verità stilemi che – più che mozartiani – paiono
anticipare il Paganini dei concerti
per violino.
Andato perduto
l’originale, ne sono state conservate solo alcune parti (arpa, per fortuna!, violini
primi e contrabbassi) presso il Conservatorio
di Bruxelles. Così il concerto ha dovuto essere, per così dire, ricostruito. Fino a pochi anni fa
circolava solo la versione di Carl
Stueber (pubblicata nel lontano 1939 da Ricordi)
poi negli anni ’90 ne è stata approntata una dal compositore e musicologo Marc-Olivier Dupin e dall’arpista Marielle Nordmann,
pubblicata nel 1999 da Billaudot.
Quest’ultima versione presenta una particolare cadenza del finale e propone -
ma non impone di certo - un organico orchestrale classico completo: flauto,
oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba, timpano, archi a 5; quella di Stueber
– usata qui - è forse più mozartiana,
escludendo clarinetto, tromba e timpani. Esistono anche esecuzioni con
orchestre da camera, senza fiati. Ma sono dettagli tutto sommato marginali,
dato che il concerto è incentrato sulla parte solistica, e dove i tutti si limitano all’esposizione
iniziale e poi a collegare le diverse sezioni.
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L’Allegro brillante in 4/4 tagliato (che occupa più della metà del concerto) è nella classica forma-sonata, ma con sviluppo assai
ridotto. L’orchestra, dopo 8 battute marziali introduttive, presenta inizialmente
i due temi, in DO e SOL maggiore rispettivamente, i quali vengono poi ripresi
dall’arpa solista:
La quale li arricchisce con veloci quartine di semicrome
inframmezzate a terzine di crome: l’esposizione è assai più corposa rispetto a
quella orchestrale, soprattutto nel secondo tema che viene sviluppato assai, anzi
affiancato da un nuovo soggetto, da cui esso riparte poi modulando alla
relativa MI minore. Il ritorno a casa passa
attraverso un’altra relativa minore (LA): quella del DO di impianto, dopodiché
la ripresa ripresenta entrambi i temi in quest’ultima tonalità.
Segue un breve Largo
in DO minore, 4/4. Sono solo 26 battute, dove l’arpa, introdotta
dall’orchestra, espone una melodia dolce, principiante con un arpeggio di ottava,
ricca di increspature. L’atmosfera pare quasi beethoveniana (a me richiama alla
mente l’Andante con moto del 4°
concerto dell’op.58…) Segue una sezione di 8 battute in DO maggiore, molto più
mossa, per poi tornare al minore, con
4 battute di quasi-cadenza del
solista.
Le quali introducono il Rondeau, Allegro agitato (4/4) in DO minore. La forma è piuttosto
semplice: A-B-A-C-A, con le sezioni sempre ripetute (più o meno variate). Il
soggetto principale è costituito da una frase che sale (prima al SOL, poi al
MI) per discendere al DO e da un controsoggetto - ripetuto due volte – che si
limita a salire da DO a LAb prima di tornare alla tonica:
L’orchestra risponde con cadenze marziali, che paiono
anticipare Paganini, come detto. I
soggetti B e C sono esposti nelle due relative:
MIb maggiore il primo, DO maggiore il secondo, che lascia spazio anche ad una cadenza virtuosistica, che precede e
introduce la chiusa ancora in DO minore.
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Anche qui,
straordinaria la prestazione di Elena Piva, letteralmente portata in trionfo
alla fine e che, per nulla stanca dopo il doppio massacrante impegno, regala
anche un bis!
Chiude il
concerto un ritorno a fine ‘700 con la Sinfonia cosiddetta degli
addii di Haydn, ascoltata qui più di un anno fa con Adam
Fischer. Si potrebbe anche chiamare la sinfonia dello sciopero, benché il parallelo fra il bonario e
accomodante Josephus e la irriducibile pasionaria Camusso suoni assai
improbabile (smile!)
La
sceneggiatura è sempre la stessa, con il palco al buio e i lumi sui leggii che alla
fine vengono via via spenti dagli orchestrali che se ne vanno alla spicciolata:
il tutto sempre fatto con un certo buon gusto e senza parodia.
Bella l’ultima immagine degli strumentisti che rientrano e si schierano tutti al proscenio
per ricevere, col Direttore, il meritato applauso del (non oceanico) pubblico.
Per il
concerto n°31 resterà sul podio Flor, ma con un programma sontuoso.