Brahms è al centro dell’appuntamento settimanale de laVerdi. Sul podio Aziz Shokhakimov, una specie di Battistoni uzbeko (smile! hanno la stessa età… ma
pare che nessuno si chieda da chi sia raccomandato!)
Il quale Aziz (un nome che richiama alla mente personaggi peraltro assai poco
raccomandabili…) apre il concerto con la Tragische Ouvertüre (anche qui: un
nome, un programma!) Che principia con due poderosi accordi sulla scala di RE
minore: dominante/tonica – sopratonica: solitamente si cita l’incipit del beethoveniano
Coriolan come riferimento ambientale
del brano; personalmente
tendo a sentirci di più quello del Manfred
del grande mentore, sponsor ed amico Schumann.
Di certo non esiste un preciso soggetto letterario dietro a questo lavoro
che – nella più classica applicazione delle teorie Hanslick-iane sulla musica che deve rispondere esclusivamente a se
stessa e solo in se stessa trovare ragion d’essere – ci presenta un Actus tragicus di carattere puramente speculativo.
Questa piange, mentre quell’altra ride
pare dicesse Brahms alludendo all’Akademische
Fest-Ouvertüre, composta quasi contemporaneamente nell’estate del 1880: quella peraltro era nata dietro stimoli
extramusicali e conteneva persino precisi riferimenti ambientali (Gaudeamus Igitur…)
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La Tragische
ha una struttura riconducibile a quella di un movimento in forma-sonata, pur con parecchie libertà. Vi si possono comunque
individuare le tre classiche sezioni (Esposizione
– Sviluppo – Ricapitolazione) seguite da una Coda. Dopo i due pesanti accordi che la aprono, l’esposizione presenta i due canonici
temi: il primo nella tonalità di base (RE minore) e il secondo nella relativa
FA maggiore.
Il primo è a sua volta scomponibile in
tre motivi: uno ascendente da dominante a dominante, con ricaduta su
sopratonica; un secondo che scende da sopratonica a dominante, ricadendo ancora
sulla sopratonica sottostante; il terzo che è un ritmo di marcia con increspature
trocaiche:
Il tema viene subito ripetuto a piena orchestra
e poi ulteriormente sviluppato da nuovi motivi in archi e fiati (derivati da
quelli principali) e chiude su una pesante riproposizione degli accordi di
apertura. Una transizione lunga e calma – sulle quinte vuote di fagotti e
corni – vede impegnati gli oboi in lente ma brevi scale ascendenti, poi tromboni
e tuba che fanno il loro apparire, insieme all’ottavino: tutti richiamano l’intervallo
di quarta degli accordi iniziali. L’atmosfera muta quindi al FA maggiore, per l’ingresso del secondo tema (nell’ipotesi Manfred,
una fugace apparizione di Astarte?) dove
non è difficile scorgere tracce della serena, pastorale seconda sinfonia:
La serenità peraltro non dura molto, e nel suo successivo evolversi il tema
subisce diverse modulazioni, con presenza di figurazioni trocaiche e successioni
di accordi, caratteristiche di molti sviluppi brahmsiani. Un ritorno del primo
tema porta alla conclusione dell’esposizione,
sui due pesanti accordi che l’avevano aperta.
Lo sviluppo inizia sommessamente,
sul rullo del timpano, con le prime due sezioni del primo tema, negli archi. Dopodichè
è la terza sezione (marziale) – in tonalità LA minore - che viene a costituire
la parte più corposa dello sviluppo, occupandolo praticamente tutto. Suonata a
tempo assai lento (la metà rispetto all’Allegro
ma non troppo iniziale) prima dagli strumentini, poi dagli archi, poi da
tutta l’orchestra, ha proprio l’aspetto di una marcia faticosa (qualcosa di
simile a quella dei briganti nel terz’atto di Carmen!) Viene sottoposta a diverse modulazioni lungo il circolo delle quinte (LA-MI-SI-FA#) e,
tramite una lunga scala discendente, sfocia in modo assai drastico nella ricapitolazione.
Questa inizia con le quarte ascendenti e discendenti negli strumentini e
nei violini, mentre gli archi bassi ricordano – dapprima in SI minore, su
richiami dei corni - la prima sezione del tema principale. Si torna al RE
minore d’impianto, sempre con spezzoni del primo tema negli archi e con i
fagotti a creare un’atmosfera piuttosto pesante. Che miracolosamente muta in gloria,
con un grandioso corale dei corni in RE maggiore, supportati da tromboni e
tuba, che ricorda da vicino il finale della prima
sinfonia:
Applicando i sacri canoni della forma-sonata, ecco che il secondo tema
(nell’esposizione apparso in FA maggiore) ricompare adesso nelle viole, adeguandosi
(volente o nolente, smile!) all’imperante
RE. Il tema è ripreso dai fiati, poi si torna a RE minore, con gli scatti di ottave
discendenti in archi e strumentini, contrappuntate da ottave ascendenti nei
corni. Poi ancora il secondo tema, che compare in SOL minore, prima del
passaggio alla coda.
Qui ancora il primo tema viene esposto
in sequenze ascendenti, a partire dal FA# minore, dagli archi bassi e fagotti,
poi ecco gli accordi iniziali, quindi la sezione marziale del tema anche negli
ottoni. Ancora il primo tema, fortissimo in RE minore, in tutti gli archi, poi
ribadito, a velocità dimezzata, dai fiati. Ora l’atmosfera si fa rarefatta, e
spezzoni del tema principale compaiono ancora negli archi bassi, supportati
subito dai fiati. Una lunghissima scala discendente che scende dai flauti giù
giù fino ai fagotti sembra far svanire il tutto nel nulla.
Ma d’improvviso, ecco gli archi (a
partire dai medio-bassi) scatenare scale ascendenti su cui i fiati innestano il
motivo marziale del primo tema. Che dopo 5 reiterazioni – a distanze accorciantesi
– porta ai cinque pesantissimi accordi – l’ultimo tenuto, su corona puntata – dell’intera orchestra.
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Qualche piccola indecisione dei corni all’inizio non ha danneggiato più di tanto l’esecuzione, che il capelluto Aziz ha diretto con veemenza. Lui, come molti giovani, è assai esuberante, ha un gesto apparentemente sporco, a volte si agita gratuitamente, insomma: cerca di attirare l’attenzione su di sé… come sta facendo, a quanto pare, da quando aveva 6 anni!
La parte centrale della serata è però tutta di Silvia Colasanti (di cui già nel novembre 2009 laVerdi aveva ospitato il Canto d’Atropo per violino ed orchestra): si tratta di una giovane compositrice di cui siamo i primi in assoluto ad ascoltare – roba da raccontare ai nipotini! – il Concerto per violoncello. Il quale ha ben due sponsor: l’Orchestra Verdi, che lo ha commissionato, e il solista lituano David Geringas, classe 1946, che ne è stato l’ispiratore.
Cosa racconteremo ai nipotini? Per metterli a loro agio potremo pontificare che …il linguaggio possiede un’innegabile inclinazione eidetica… con un carattere ipotipico… e plasticità iconiche… di iconicità sonora… che aggiunge un nuovo lessema… che rammemora gli elementi figurali… con un moderato ductus agogico (strasmile!… e grazie a Guido Barbieri, mannaggia a lui, e a ciò che ha scritto sul programma di sala!)
A parte le battute, un pezzo assolutamente digeribile, segno che i vari Stockhausen e Cage non hanno poi fatto danni irrimediabili alla nostra civiltà musicale (!)
Infine il pezzo forte della Prima di Brahms, già ascoltata qui dalla bacchetta di Zhang Xian poco più di un anno fa. L’orso uzbeko, che la dirige a memoria, deve per forza metterci del suo valore aggiunto (sennò che ci sta a fare su quel podio?) così si inventa subito un insopportabile rallentando (da battuta 9) che avrà fatto rivoltare l’Autore nella tomba. Poi, sempre per distinguersi dall’anonima folla dei direttori, fa venire quasi sempre in primo piano anche ciò che dovrebbe stare in background, a fare da riempitivo. Nel Finale, l’Allegro non troppo, ma con brio assomiglia vagamente alla marcetta dei sette nani, tutti impettiti e rigidi come baccalà (smile!)
Insomma,
come parodia non c’è male. Ma i professori mostrano di essere formidabili anche
nel suonare le parodie! Così si meritano grandi ovazioni i vari Amatulli,
Ciapponi, Mologni, Stocco, Magnani, Santaniello e Grigolato. Quanto al
simpatico Aziz, temo che Brahms lo stia rincorrendo per chiedergli i danni (e ri-smile!)
Prossimamente protagonisti l’arpa, serenate e commiati.
Qualche piccola indecisione dei corni all’inizio non ha danneggiato più di tanto l’esecuzione, che il capelluto Aziz ha diretto con veemenza. Lui, come molti giovani, è assai esuberante, ha un gesto apparentemente sporco, a volte si agita gratuitamente, insomma: cerca di attirare l’attenzione su di sé… come sta facendo, a quanto pare, da quando aveva 6 anni!
La parte centrale della serata è però tutta di Silvia Colasanti (di cui già nel novembre 2009 laVerdi aveva ospitato il Canto d’Atropo per violino ed orchestra): si tratta di una giovane compositrice di cui siamo i primi in assoluto ad ascoltare – roba da raccontare ai nipotini! – il Concerto per violoncello. Il quale ha ben due sponsor: l’Orchestra Verdi, che lo ha commissionato, e il solista lituano David Geringas, classe 1946, che ne è stato l’ispiratore.
Cosa racconteremo ai nipotini? Per metterli a loro agio potremo pontificare che …il linguaggio possiede un’innegabile inclinazione eidetica… con un carattere ipotipico… e plasticità iconiche… di iconicità sonora… che aggiunge un nuovo lessema… che rammemora gli elementi figurali… con un moderato ductus agogico (strasmile!… e grazie a Guido Barbieri, mannaggia a lui, e a ciò che ha scritto sul programma di sala!)
A parte le battute, un pezzo assolutamente digeribile, segno che i vari Stockhausen e Cage non hanno poi fatto danni irrimediabili alla nostra civiltà musicale (!)
Infine il pezzo forte della Prima di Brahms, già ascoltata qui dalla bacchetta di Zhang Xian poco più di un anno fa. L’orso uzbeko, che la dirige a memoria, deve per forza metterci del suo valore aggiunto (sennò che ci sta a fare su quel podio?) così si inventa subito un insopportabile rallentando (da battuta 9) che avrà fatto rivoltare l’Autore nella tomba. Poi, sempre per distinguersi dall’anonima folla dei direttori, fa venire quasi sempre in primo piano anche ciò che dovrebbe stare in background, a fare da riempitivo. Nel Finale, l’Allegro non troppo, ma con brio assomiglia vagamente alla marcetta dei sette nani, tutti impettiti e rigidi come baccalà (smile!)
Prossimamente protagonisti l’arpa, serenate e commiati.