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consulta e zecche rosse

31 dicembre, 2012

Capodanni a Vienna e Venezia


Il tradizionale Concerto dal Musikverein quest’anno propone, in omaggio ai bicentenari-associati, un po’ di Wagner (Lohengrin, preludio atto III) e un po’ di Verdi (balletto dal terz’atto di Don Carlos, la Peregrina).

 

A Venezia invece niente Wagner (gia è fin troppo che sia morto lì, smile! e un Tristan è bastato) in compenso – accanto a Rossini e Verdi - un Ciajkovski ucraino (in omaggio alle simpatiche badanti approdate in laguna, chissà…)

 

Per chi vuol fare sul serio: a Milano l’ultima replica della Nona in Auditorium.

29 dicembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.15 (epilogo in… Schiller)


Gran trionfo questa sera per Zhang Xian, Erina Gambarini e laVerdi nella prima delle quattro serate di fine-inizio anno dedicate alla Nona, in un Auditorium stipato all’inverosimile.

Un’esecuzione di altissimo livello, a conferma della qualità di orchestra e coro. Certo, volendo proprio scovare un pelo nell’uovo, dirò che le voci soliste non sono proprio state impeccabili, ma ciò non ha guastato la festa, chiusa, more-viennensi, da un grido di auguri di buon anno e dal bis delle ultime battute della sinfonia.

Il nuovo anno comincia però con un ennesimo forfait direttoriale: quello di Claus Peter Flor per l’importante concerto n°16. Ci consoleremo rivedendo sul podio il più che promettente Gaetano D’Espinosa.

24 dicembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.15 (prologo in... Goethe)


laVerdi, ormai da anni, festeggia Capodanno con quel monumento musicale che va sotto il nome di Nona. A rompere la monotonia (si scherza…) ci ha pensato Zhang Xian, e così lo faccio anch’io, scrivendo di questo concerto prima delle sue quattro repliche.

Dato che siamo ormai in pieno bicentenario wagneriano, mi sono riletto quanto Wagner scrisse a proposito della nona, per la quale il genio di Lipsia letteralmente stravedeva, considerando le innovazioni che Beethoven vi aveva introdotto (l’impiego del testo e delle voci, in particolare) come una conferma della bontà delle innovazioni che lui stesso fantasticava – nei suoi trent’anni - per il teatro musicale.

In occasione della Domenica delle Palme del 1846, a Wagner, che era Kapellmeister alla corte di Dresda, fu dato l’incarico di organizzare il consueto concerto di beneficienza (a favore di una cassa mutua per vedove e orfani). Invece che al solito Oratorio, lui subito pensò alla nona, a dispetto del fatto che da quelle parti (a suo dire) l’ultima sinfonia di Beethoven fosse praticamente stata bandita dalle sale da concerto, perché considerata una specie di… pagliacciata ineseguibile, composta da un uomo ormai completamente uscito di senno.     

E così Wagner, contro tutto e tutti, preparò l’esecuzione in modo quasi scientifico, occupandosi di orchestra e cori, ma anche degli aspetti, come dire, di marketing dell’evento: invase – more-silvio – le prime pagine del principale quotidiano locale per sponsorizzare e magnificare la sinfonia; della quale scrisse anche un dettagliato programma-di-sala, Faust-oriented (vedi sotto).

Durante le prove e studiando la partitura si accorse (bontà sua) di alcuni madornali errori di orchestrazione commessi da Beethoven. Uno di questi riguardava il passaggio dello Scherzo (da battuta 93) dove i legni espongono, in DO maggiore, il secondo tema, mentre gli archi insistono sulla martellante figurazione trocaica delle ottave di DO ribattuti:


Come si può osservare, tutti gli strumenti sono notati in fortissimo (FF) il che, data la preponderanza degli archi, secondo Wagner finiva per rendere inudibile la linea melodica principale dei legni. Il nostro decise quindi: a) di raddoppiare (per quel passaggio) i legni stessi e b) di chiedere agli archi di suonare semplicemente forte invece di fortissimo.    

Altro passaggio critico, nel Finale, il fugato in 6/8 che segue la perorazione del tenore accompagnato dal coro (…wie ein Held zum Siegen) nella sezione Alla marcia, che Beethoven prescrive Allegro assai vivace: Wagner lo presenta come un autentico rompicapo per il direttore e per venirne… a capo lo fece eseguire in tempo vivacissimo e con il più gran dispiego di forza, quasi fosse un gioioso e battagliero assalto.

Ancora Wagner riservò speciale attenzione  al recitativo di violoncelli e contrabbassi che apre il Finale e a cui dedicò nientemeno che dodici prove speciali! In modo da ottenere il fraseggio più spontaneo e la più efficace espressione di tenerezza ed insieme di energia.

Un’altra grande preoccupazione di Wagner riguardò la composizione del Coro: così lui rinforzò quello in organico del Teatro con innesti di voci da altri cori cittadini, e in particolare da un coro di voci bianche di una scuola e da quello di ragazzi di un Seminario, mettendo insieme circa 300 esecutori! Fece innumerevoli prove del passaggio Seid unschlungen, Millionen! chiedendo ai bassi di gridarlo col più grande trasporto.

Infine fece riallestire completamente le pedane di orchestra e coro, disponendo quest’ultimo ad anfiteatro, ad incastonare gli strumentisti, posti al centro del palco.
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Per chiarire i contenuti dell’opera a spettatori che molto probabilmente la udivano per la prima volta, oltre ad averne sentito parlar male, Wagner stese un programma di sala ispirandosi a versi del Faust di Goethe. Ne faccio qui un bigino

Il minaccioso tema del primo movimento (nel quale secondo Wagner si evoca la lotta dell’anima contro le forze che si oppongono alla felicità terrena) viene interpretato con il verso (Faust I – Studio-2) con cui Faust impreca contro tutto ciò che impedisce all’uomo di raggiungere la felicità:

Entbehren sollst du! sollst entbehren!
Tu te ne asterrai! Tu ne farai senza!

Nonostante l’uomo lotti con tutte le sue forze, lo scenario di totale assenza di gioia continua a prevalere, ben rappresentato dalla tremenda esternazione di Faust (Faust I – Studio-2):

Nur mit Entsetzen wach ich morgens auf,
Ich möchte bittre Tränen weinen,
Den Tag zu sehn, der mir in seinem Lauf
Nicht einen Wunsch erfüllen wird, nicht einen,
Der selbst die Ahnung jeder Lust
Mit eigensinnigem Krittel mindert,
Die Schöpfung meiner regen Brust
Mit tausend Lebensfratzen hindert.
Auch muß ich, wenn die Nacht sich niedersenkt,
Mich ängstlich auf das Lager strecken;
Auch da wird keine Rast geschenkt,
Mich werden wilde Träume schrecken.
Io mi desto con terrore il mattino, e
provo una triste voglia di piangere veggendo apparire il giorno, — il quale nel suo corso non adempirà nessuno de' miei desiderj, non uno!
Anzi mi scemerà con capricciose sofisticherie insino al presentimento del piacere, e con le mille sue sconce necessità spegnerà nel mio vigile petto ogni virtù di creare. E quando cade la
notte, ecco io devo tornare triste e miserabile al mio covile; ed ivi pur nessun riposo mi sarà conceduto e fieri sogni mi spaventeranno.

Alla fine del movimento questa totale assenza di gioia pervade con terribile maestà il mondo intero, quel mondo che Dio ha però creato per la Gioia!

Il secondo movimento, con il suo ritmo ossessionante, ci trasporta in una specie di orgiastica esaltazione, alla ricerca di una sconosciuta felicità. Goethe rappresenta questa tensione con le parole di Faust (Faust I – Studio-2):

von Freud' ist nicht die Rede.
Dem Taumel weih ich mich, dem
schmerzlichsten Genuß,
Laß in den Tiefen der Sinnlichkeit
Uns glühende Leidenschaften stillen!
In undurchdrungnen Zauberhüllen
Sei jedes Wunder gleich bereit!
Stürzen wir uns in das Rauschen der Zeit,
Ins Rollen der Begebenheit!
Da mag denn Schmerz und Genuß,
Gelingen und Verdruß
Miteinander wechseln, wie es kann;
Nur rastlos betätigt sich der Mann.
io non miro già a darmi buon tempo.
Io voglio l'ebbrezza, — la vertigine;
voglio le voluttà che generano tormento;
Saziamo le nostre ardenti passioni nel golfo delle sensualità; e l'inferno prepari i portenti che sa con le arcane sue arti operare; battiamoci dove più incalza la corrente del tempo; voliamo
con la ruota della fortuna, e dolore e piacere, conseguimento e sazietà si avvicendino quanto sanno senza riposo. L'uomo non dimostra la sua natura fuorché in un perpetuo affaccendarsi.

Poi la sezione centrale dello Scherzo ci porta in uno scenario di gioia, per quanto semplice e modesta, ben rappresentato dalle parole di Mefistofele (Faust I – La cantina di Auerbach a Lipsia):

Dem Volke hier wird jeder Tag ein Fest.
Mit wenig Witz und viel Behagen
Dreht jeder sich im engen Zirkeltanz,
Per costoro ogni dì è festa; e con poco cervello e grande ilarità ballano in giro entro un piccolo cerchio,

Ma noi non siamo disposti ad accontentarci di questa gaiezza un po’ banale, e subito il nostro sguardo si incupisce e torniamo alla ricerca di quella beatitudine che però ci resta irraggiungibile; così, alla fine del movimento, veniamo riportati alla precedente scena di gaiezza, che però subito gettiamo lontano da noi.

Ah, con quale differenza la musica del terzo movimento arriva al nostro cuore! E come acqueta celestialmente la nostra collera, trasformandola in delicata malinconia! È come se si risvegliassero in noi ricordi di purissima gioia di giorni passati (Faust I – Notte):

Sonst stürzte sich der Himmelsliebe Kuß
Auf mich herab in ernster Sabbatstille;
Da klang so ahnungsvoll des Glockentones Fülle,
Und ein Gebet war brünstiger Genuß;
Un tempo, nell'austero riposo della domenica, scendeva sino a me il bacio del divino amore. Dalla piena armonia delle squille mi uscivano non so che incogniti
presentimenti, e nell'orazione era un
ardente diletto.

Questi ricordi ci restituiscono quel tenero anelito così mirabilmente evocato dal secondo tema (Faust I – Notte):

Ein unbegreiflich holdes Sehnen
Trieb mich, durch Wald und Wiesen hinzugehn,
Und unter tausend heißen Tränen
Fühlt ich mir eine Welt entstehn.
Un fervore incomprensibilmente santo m'invogliava d'uscir fuori a divagarmi per selve e per prati, ed ivi versando dirottissime lagrime io mi sentiva entrare in un mondo novello.

È l’aspirazione all’amore, che trova sua volta risposta nella riapparizione, ora più viva, del primo tema, che infonde speranza; è come se amore e speranza arrivassero mano-nella-mano per esercitare la loro forza di persuasione sul nostro spirito turbato (Faust I – Notte):

Was sucht ihr, mächtig und gelind,
Ihr Himmelstöne, mich am Staube?
Klingt dort umher, wo weiche Menschen sind.
Soavi, angeliche note, a che venite a cercarmi nelle dolorose mie tenebre? Fatevi udire là dove sono uomini meno indurati di me.

Il nostro cuore fremente sembra voler mettere da parte il loro conforto; ma la loro dolce potenza è più forte del nostro orgoglio: conquistati, ci buttiamo nelle braccia di questi dolci messaggeri di pura felicità (Faust I – Notte):

O tönet fort, ihr süßen Himmelslieder!
Die Träne quillt, die Erde hat mich wieder!
Oh! tornate a risonare, inni soavi e benedetti! Ecco, le mie lagrime scorrono, e la terra mi ripossiede.

Ecco, il cuore rimargina la sua ferita, riacquista forza e prende coraggio verso nobili decisioni, mentre ci si prepara al quasi trionfale passaggio verso la chiusa del movimento. Ancora l’esaltazione non si è liberata dei postumi della passata tempesta, ma ogni ritorno del dolore è contrastato dalla forza di quell’incanto, finchè la tempesta cessa definitivamente.

La transizione al quarto movimento, caratterizzata da una specie di urlo di dolore, è bene evocata dalle parole di Faust (Faust I – Studio-1 / Notte):

Aber ach! schon fühl ich, bei dem besten Willen,
Befriedigung nicht mehr aus dem Busen quillen.
Welch‘ holder Wahn! Doch ach, ein Wähner nur!
Wo fass ich dich, unendliche Natur?
Euch Brüste, wo? Ihr
Quellen alles Lebens,
An denen Himmel und Erde hängt,
Dahin die welke Brust sich drängt-
Ihr quellt, ihr tränkt, und schmacht ich so vergebens?
Ma, oimé! che col miglior volere del mondo, io sento già esaurita la contentezza del mio petto.

Che spettacolo! Ma, oimé, non altro che uno spettacolo! Dove mi spererò io di raggiungerti, infinita natura?
Dove cercherò voi sue mamme? Ubertose fonti di ogni vita, a voi il cielo e la terra stanno sospesi, come due lattanti; e a voi ingordamente anela l'esausto mio petto. Voi scaturite, voi inaffiate, ed io arderò sempre di sete indarno?

Qui Wagner fa una lunga digressione per giustificare l’impiego del testo e della voce umana in un genere musicale che per sua natura era sempre stato esclusivamente popolato da suoni di strumenti. È la crisi del mezzo espressivo che richiede, irresistibilmente, il ricorso alla voce. E l’entrata della voce è preparata mirabilmente dal lungo recitativo degli archi bassi, che sfocia in un tema propriamente cantabile (a differenza dei classici temi concisi, caratteristici del genere sinfonico, ndr); qui si raggiunge l’estremo confine dell’espressione di gioia attraverso il mezzo puramente strumentale: come un mare in tumulto, ondate sonore penetrano nelle nostre orecchie, finchè la voce non arriva a confrontarsi con gli strumenti, indirizzando loro il suo ispirato richiamo:

O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern laßt uns angenehmere
anstimmen und freudenvollere.
O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.
  
Ora la luce trionfa sul caos, e possiamo avvertire chiaramente come la straziante ricerca di gioia trovi finalmente la sua benedizione nella più alta e durevole felicità:

Freude! Freude!
Freude, schöner Götterfunken
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlische, dein Heiligtum!
Deine Zauber binden wieder
Was die Mode streng geteilt;
Alle Menschen werden Brüder,
Wo dein sanfter Flügel weilt.
Wem der große Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein;
Wer ein holdes Weib errungen,
Mische seinen Jubel ein!
Ja, wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund!
Und wer's nie gekonnt, der stehle
Weinend sich aus diesem Bund!

Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur;
Alle Guten, alle Bösen
Folgen ihrer Rosenspur.
Küsse gab sie uns und Reben,
Einen Freund, geprüft im Tod;
Wollust ward dem Wurm gegeben,
Und der
Cherub steht vor Gott.
Gioia! Gioia!
Gioia, bella scintilla divina,
figlia di
Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
Il tuo fascino riunisce
ciò che la moda separò
ogni uomo s'affratella
dove la tua ala soave freme.
L'uomo a cui la sorte benevola,
concesse il dono di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, - chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c'è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
vanno i buoni e i malvagi
sul sentiero suo di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!

Ora si avvicinano suoni di battaglia e ci pare di vedere schiere di giovani che marciano con gioioso cipiglio eroico, espresso dalle parole:

Froh, wie seine Sonnen fliegen
Durch des Himmels prächt'gen Plan,
Laufet, Brüder, eure Bahn,
Freudig, wie ein Held zum Siegen.
Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.

Ciò porta ad una brillante contesa, in cui vediamo i giovani guadagnarsi, come vittoria, la gioia; è ancora Goethe ad evocarla (Faust II – Grande cortile nel Palazzo):

Nur der verdient sich Freiheit wie das Leben,
Der täglich sie erobern muß.
È solo degno della libertà e della vita colui che sa conquistare ogni giorno.

Questa vittoria, mai messa in discussione, sancisce il conseguimento definitivo della felicità, il cui sorriso di gioia viene nuovamente esposto dalle voci:

Freude, schöner Götterfunken
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlische, dein Heiligtum!
Deine Zauber binden wieder
Was die Mode streng geteilt;
Alle Menschen werden Brüder,
Wo dein sanfter Flügel weilt.
Gioia, bella scintilla divina,
figlia di
Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
Il tuo fascino riunisce
ciò che la moda separò
ogni uomo s'affratella
dove la tua ala soave freme.

Ora un grido di fratellanza universale trabocca dal nostro petto ed elevati nello spirito abbracciamo l’intera umanità e insieme il Creatore della Natura, che nell’estasi crediamo di scorgere in uno squarcio fra le nubi:

Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuß der ganzen Welt!
Brüder, über'm Sternenzelt
Muß ein lieber Vater wohnen.
Ihr stürzt nieder, Millionen?
Ahnest du den Schöpfer, Welt?
Such' ihn über'm Sternenzelt!
Über Sternen muß er wohnen.
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!

È come se una rivelazione ci avesse confermato nella fede che ogni essere umano è nato per la gioia! E così ci gridiamo l’un l’altra:

Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuß der ganzen Welt!
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!

E ancora:

Freude, schöner Götterfunken
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlische, dein Heiligtum.
Gioia, bella scintilla divina,
figlia di
Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.

Ora che Dio ha consacrato il nostro amore universale, osiamo assaporare la gioia più pura. Così, non solo negli spasimi del dolore, ma deliziati dalla verità che ci è stata rivelata, noi possiamo rispondere alla domanda:

Ihr stürzt nieder, Millionen?
Ahnest du den Schöpfer, Welt?
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?

con la risposta:

Such' ihn über'm Sternenzelt!
Brü
der, über'm Sternenzelt!
Über Sternen muß er wohnen.
Cercalo sopra il cielo stellato!
Fratelli, sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!

Ora siamo nel pieno possesso della felicità, della riacquistata giovanile esuberanza, abbiamo ritrovato l’innocenza del cuore, e la gioia stende le sue ali sopra di noi:

Freude, Tochter aus Elysium,
 Deine Zauber binden wieder
Was die Mode streng geteilt;
Alle Menschen werden Brüder,
Wo dein sanfter Flügel weilt.
Gioia, figlia di Elisio,
 Il tuo fascino riunisce
ciò che la moda separò
ogni uomo s'affratella
dove la tua ala soave freme.

Passiamo dalla felicità al giubilo della gioia: stringiamo a noi il mondo intiero; grida e sorrisi riempiono l’aria, come tuoni dal cielo o rimbombo del mare, le cui incessanti maree portano vita alla terra e conservano dolce la vita, per la gioia dell’uomo, cui Dio consegnò la terra come casa della felicità:

Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuß der ganzen Welt!
Brüder, über'm Sternenzelt
Muß ein lieber Vater wohnen.
Freude! Freude, schöner Götterfunken!
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero!
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Gioia! Gioia, bella scintilla divina!

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Sì, d’accordo, Wagner era sempre enfatico e sopra-le-righe… ma fatto sta che riuscì ad essere assai convincente, se è vero che quel concerto delle Palme del 5 aprile 1846 registrò un tutto esaurito come poche volte era accaduto.

Ora, chiuso questo inFausto (soprattutto per via della bufala Maya, smile!) 2012, prepariamoci alla sbornia (già peraltro in corso) dei bicentenari associati.

Wagner sarà in calendario (oh, pardon professore… in agenda!) all'Auditorium – per interposto Bruckner - già il 3 gennaio, in occasione di un vero e proprio… concertone.

21 dicembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.14


Siamo ormai in pieno 21.12.12 e fino a questo momento non si è visto ancora nulla… però chissà se dipende dal fuso orario o dall’ora legale dei Maya… quindi ci resta forse qualche spicciolo di tempo per sperare ancora… dopodiché mi sa tanto che dovremo tornarcene abbastanza disgustati allo spread, al Berlusconi:0 e all’Amleto Mario

Per ingannare l’attesa, vediamo cosa ci propina questa settimana il concerto n°14 de laVerdi, sul cui podio è ancora Ruben Jais.

In apertura un’opera di Fabio Vacchi del 2008, commissionata dalla Filarmonica della Scala e la cui prima fu diretta nel 2009 da Riccardo Chailly: Prospero o dell’armonia, un melologo per voce recitante ed orchestra.

Il titolo viene dal protagonista principale della Tempesta shakespeariana, di cui Ferdinando Bruni (che fu anche la voce recitante alla prima) ha tradotto ed adattato dieci esternazioni che esprimono appunto la faticosamente conquistata attitudine di Prospero verso la tolleranza, il perdono, la serenità di giudizio, in fin dei conti… l’armonia.

Vacchi li ha rivestiti di musica davvero accattivante, aggiungendovi un’introduzione ed un intermezzo puramente strumentali, per un totale quindi di dodici numeri (per così dire). Assecondando lo spunto letterario, la musica si incarica ora di evocare suoni di natura, ora sensazioni e sentimenti dell’animo umano. Michele Di Giacomo ha interpretato i testi con grande pathos e piena identificazione con la filosofia dell’opera.

L’Autore, presente in sala (in compagnia di un suo giovane collega, Orazio Sciortino, già ospite a sua volta dell’Auditorium) è stato chiamato sul podio e lungamente applaudito dal folto pubblico: evidentemente (certa) musica contemporanea ha ancora molto da dire a cuori e cervelli.

Dopo l’intervallo, tutto Mozart, dapprima con il più alto (per me) dei concerti per pianoforte, il K466, con il trentunenne francese David Fray alla tastiera. Lo avevo sentito suonare questo stesso concerto con Salonen e la Philharmonia nel giugno 2011 al Ravenna Festival, e ne avevo potuto apprezzare le grandi qualità. Qualità che sono emerse anche ieri sera: pulizia estrema e assenza di qualunque romanticheria fuori luogo, insomma un Mozart fresco e trasparente, cui ha contribuito Jais tenendo l’orchestra sempre in atmosfere rarefatte, anche nei momenti più drammatici dell’Allegro iniziale. Una curiosità: le due cadenze non sono quelle celebri di Beethoven (chissà se sono di sua mano…)

Successo pieno per lui e bis con una bachiana Sarabanda.

In chiusura l’immortale Jupiter. Una vera e graditissima sorpresa la direzione di Jais, davvero ispirata e – come nel Concerto - improntata a grandissimo equilibrio e leggerezza; correttamente rispettato anche il da-capo dell’esposizione, cosa che non tutti fanno.

Lunghi quindi, e meritati gli applausi per Orchestra e Direttore.   
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Nel frattempo: dal fronte Maya ancora tutto tace… comincio a temere che bisognerà pazientare fino al 21.12.2112. Vuol dire che ci consoleremo a Capodanno con la Nona, come ormai tradizione qui.

19 dicembre, 2012

La Lucia del circuito chiude la corsa a Pavia


Dopo essere passata da Como, Brescia e Cremona, la Lucia donizettiana chiude il suo percorso lombardo al Fraschini (oggi la seconda e ultima rappresentazione).

La locandina online (così come il programma cartaceo della stagione del teatro pavese) annuncia un finale a sorpresa: Nel cimitero dei Ravenswood, Edgardo, non potendo sopportare di continuare a vivere senza Lucia, verrà ucciso da Enrico. Ecco, mi ero detto, un’altra invenzione di qualche regista troppo amico dell’alcool (perché nemmeno l’originale di Scott la racconta così…) Invece l’invenzione è evidentemente del redattore del programma, quindi tranquilli, Edgardo si suicida, proprio come da copione, nell’apprendere della fine dell’amata.

E la regìa di Henning Brockhaus è in effetti assai rispettosa dell’originale di Cammarano, limitandosi ad una delle consuete (in questo caso innocue) deviazioni: ambientazione (ma lo si desume solo dai costumi di Patricia Toffolutti, chè altro in scena quasi non v’è) spostata di qualche secolo in avanti nel tempo. Per il resto l’allestimento è dominato dalle immaginifiche scene del compianto Josef Svoboda, che si riducono ad un velario mobile e semitrasparente - sul quale appaiono immagini che rimandano di volta in volta ai contenuti psicologici (o psichiatrici…) del dramma – ad uno scalone che occupa in larghezza l’intero palco e su cui si muove prevalentemente il coro, oltre ad ospitare l’arpa solista nella terza scena; e a qualche semplicissimo piece-of-furniture (un tavolo, una cassa, le bare degli avi miei…)    

Sul piano musicale, il giovane e bravo Matteo Beltrami – che ascoltavo dal vivo per la prima volta e mi ha fatto un’eccellente impressione alla guida dei ragazzi dei Pomeriggi - propone per la pazzia una variante alla tradizionale cadenza Marchesi-Melba, che dà modo a Ekaterina Bakanova di mettere in mostra le sue ottime qualità.

Il sestetto del second’atto è, con la suddetta scena della pazzia, uno dei piatti forti dell’opera: personalmente fatico sempre a liberarmi, ascoltandolo, dal truce ricordo della famosa Balena disneyana (da 25”) che per prima mi portò quella musica alle orecchie, quando ancora portavo le braghe corte (smile!) Un po’ come il rossiniano finale del Tell, cui non mi riesce di non associare quella specie di catena-del-dna che chiudeva le prime trasmissioni TV. Peccato, perché è grande musica, che sembra fare da cerniera fra Bellini e Verdi, incastonata com’è fra il Per te d’immenso giubilo, che richiama il belliniano Suoni la tromba, e il finale Esci, fuggi il furor, di cui Verdi si ricorderà nel Nabucco.

A fianco della Bakanova, dignitosi tutti gli altri (vedi locandina, compreso il sostituto di Giovanni Battista Parodi) che hanno dato vita, con il coro di Antonino Greco, ad un’esecuzione più che accettabile, accolta con (contenuto) entusiasmo dal non proprio oceanico e piuttosto infreddolito pubblico del Fraschini.

Al ritorno a casa, accendo la TV è chi ti trovo? Lord Enrico Asthon che proclama l’abolizione dell’IMU per Ravenswood!  

15 dicembre, 2012

Ultimi strascichi del Freudhengrin della Scala


Ieri sera, in una Scala non proprio esaurita (solo causa-neve?) e ulteriormente spopolatasi nei due intervalli, terza rappresentazione dell’opera che ha inaugurato l’ultima celebrazione centenaria di Wagner (+Verdi) dell’era moderna. Perché dico ultima? Perché son pronto a scommettere (oh... tutte le ricchezze di Berlusconi, mica noccioline eh!) che nel 2113 e oltre, di Wagner e Verdi (e forse, ma questo non è sicuro, anche del suddetto Berlusconi) si sarà persa ogni e qualsivoglia traccia. Gli unici teatri d’opera in attività saranno piccole sale esclusive di Pechino e Shanghai frequentate dall’élite del PCC, dove si rappresenterà ininterrottamente Turandot, tassativamente col finale di Hao Weiya, e con Calaf cantato alternativamente da tenori nordcoreani e tibetani.  

Dell’allestimento di Guth si è già (e ho già) scritto abbastanza, e certo non è che a teatro, dal vivo, le cose siano cambiate rispetto a quanto visto in TV. La sola trasposizione dell’opera in epoca moderna ne comporta l’irrimediabile castrazione (via il testicolo storico, via il testicolo religioso, hai detto niente!) Dopodiché tutto si focalizza su… Hauser e Freud, cioè sulla gratuita psicanalisi di Lohengrin ed Elsa.

Parliamoci chiaro: sovvertire la rappresentazione dei caratteri dei personaggi di un’opera - da come emergono in modo inequivocabile (parole e musica) dal testo originale dell’Autore – per inoltrarsi nella sfera del loro subconscio, o del loro inconscio, è operazione massimamente riprovevole, truffaldina e disonesta, in quanto consente al regista di cambiare a suo piacimento (quindi subdolamente, perché nessuno lo può contraddire, fatti alla mano) e addirittura di stravolgere completamente quei caratteri, con ciò stravolgendo anche l’intero impianto e l’intera natura di quell’opera.

Una volta sconfinato sul terreno freudiano, Guth potrebbe tranquillamente proporci Lohengrin nei panni di Hitler (che pure subì, come Hauser, una reclusione fisica, prima di essere cooptato come Führer) ed Elsa in quelli di Winifred Wagner (che ben sappiamo quale infanzia travagliata avesse vissuto) trasformando l’opera nel racconto delle compromissioni di Bayreuth col Terzo Reich (il che non sarebbe poi nemmeno una novità…)

Per di più, questo trucco è strumento miserabile, perchè buono per tutte le stagioni e per tutte le opere che hanno un tenore e un soprano per protagonisti: applicandosi indifferentemente a Lohengrin-Elsa come ad Alfredo-Violetta o a Pollione-Norma, a Tamino-Pamina e persino a Lindoro-Rosina…      

Ma non c’è bellezza nè genialità di presentazione che possa mascherare la (quasi) totale incoerenza fra l’originale e… l’originato. L’unica eccezione è lo squarcio finale del second’atto, dove la recitazione dei personaggi è consistente con l’originale, ma per la semplicissima ragione che lì era stato proprio Wagner ad introdurre una buona dose di psicanalisi! E a parte questo scorcio, se a Wagner fosse stato chiesto di musicare il soggetto di Guth, non avrebbe tenuto buona una sola nota di quelle che vergò sui pentagrammi del suo Lohengrin. È la musica di Wagner che sconfessa ignominiosamente un Konzept siffatto: it’s the music, stupid! In definitiva, qui da psicanalizzare sarebbe il regista, per scoprirne le remote, oscure e rimosse ragioni del suo disprezzo per questo capolavoro. Siamo quasi ridotti a invocare: aridatece li topi…!

Passando alla musica, ancora un’osservazione che si ricollega alla regìa: dopo la prima, si sono alzate alcune voci dispiaciute per la forzata assenza della Harteros. La cosa inquietante è che il rammarico di costoro non riguardasse l’interpretazione della Elsa di Wagner, ma quella della Elsa di Guth! O tempora, o mores! (ecco perché un tri-centenario non ci sarà…)
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Di Kaufmann ormai si sa tutto ed è inutile sperare che lui cambi (in meglio, s’intende): un grande, anzi grandissimo attore che canta assai bene quando la parte prevede voce aperta e spiegata; per il resto canta di… esofago (o al massimo di naso).

La Harteros essendo tuttora in convalescenza (le presenti nevicate le daranno un motivo in più per disertare anche le restanti repliche? smile!) è stata la Petersen ad impersonare Elsa, facendo quasi quasi rimpiangere la pur modesta Dasch: la dote naturale di voce c’è, e come, ma è tutta potenza che… non si scarica a terra, come direbbe il talent-scout Briatore.

Herlitzius come al solito: ci mette tutto il suo mestiere, che non è poco, però non sempre la foga dà buoni risultati sul piano squisitamente musicale. Comunque ne esce dignitosamente e quasi più applaudita del bel Jonas.

Tomasson è costretto a sbraitare e schiamazzare a più non posso, per non far la figura del… pesce: e così, matematicamente, alla fine (e meno male per lui che è quella del secondo atto, smile!) più non ne può, accidenti a lui.

La professionalità di Pape garantisce qualcosina in più del minimo sindacale, ma francamente non è il massimo per un Teatro che ha le pretese di… Lissner.

Lucic è appena appena meno-peggio di Tomasson, anche se ne mutua l’espressione, costantemente quanto gratuitamente truce; ci dobbiamo accontentare?

I quattro brabantini passano davvero inosservati e soprattutto… inascoltati (smile!

Il coro di Casoni così-così, non so se per colpa della regìa che lo relega quasi sempre all’interno di… ma cos’era, Alcatraz o un Holiday Inn anni ’50?    

Barenboim non mi ha particolarmente entusiasmato: ho l’impressione che – avendo mille impegni, musicali e soprattutto extra - faccia ormai della comoda routine, vivendo sugli allori e cercando di adattarsi alle qualità non superlative della sua orchestra, invece di provare ad alzarne il livello (ma appunto: per questo servirebbe… provare!) Imperdonabile il fracasso del finale primo, dove ha coperto tutte le voci (a parte quella della Petersen). In più ha voluto far vedere (anzi… sentire) che lui rispetta alla lettera la partitura (sarà mica una frecciatina a Guth? smile!) e così nella scena finale, oltre a quelle che suonavano ai due lati in palcoscenico, ha piazzato due coppie di trombe – per nulla impeccabili, fra l’altro - anche in loggione, col risultato di rompere i cog… timpani a qualche decina di spettatori colà dimoranti. Peccato che le didascalie di Wagner prescrivano, oltre alla dislocazione a quadrilatero delle trombe, anche quella di cori e di… cavalli (sic! e Wagner pretendeva fossero in carne ed ossa!) Insomma, questa di Barenboim mi è proprio parsa una gigionata pazzesca.
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Concludo ripetendo una litania che ormai sta annoiando (accezione anglosassone)  anche me medesimo: tra allestimenti lunatici e prestazioni musicali appena sufficienti, l’andazzo scaligero si mantiene su un livello di performance/price ampiamente deficitario. Ho ancora davanti agli occhi (e nelle orecchie) l’accoppiata lagunare Otello-Tristan, che pure non fu certo stratosferica: ebbene, il raffronto è (per monsieur Lissner) piuttosto imbarazzante.

14 dicembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.13


Decisamente questa stagione dovrebbe farsi esorcizzare, perché mai le sono piovute addosso in poche settimane tante defezioni di Direttori. Stavolta a venir meno quasi all’ultimo momento – pare per una banale scivolata - è toccato ad Aldo Ceccato (titolare del ciclo del suo amatissimo Dvorak) e al suo posto sul podio è stato catapultato in fretta e furia il canguro Daniel Smith, un trentenne con la faccia da ragazzino, che bazzica spesso in Italia.

Il programma ha la classica struttura che prevede un brano per orchestra seguito da un concerto solistico e in chiusura da una sinfonia. Il percorso che facciamo è precisamente a ritroso nella cronologia delle composizioni di Dvorak: si parte dal 1896, si retrocede al 1894, per chiudere con il 1880.

L’apertura è quindi affidata al poema sinfonico Vodník, il primo di una fitta serie di cinque che Dvorak compose in meno di due anni, fra il 1896 e il 1897. Brahms era ormai in pensione (morirà proprio nel 1897) e anche Hanslick aveva fatto il suo tempo (tuttavia gli sopravviverà di qualche mese, pur avendo una quindicina d’anni più di lui); insomma, i suoi vecchi protettori erano forse meno agguerriti di un tempo e così lui pensò di potersi affrancare dalla loro soffocante tutela, facendo un’autentica indigestione di quel genere di composizioni che ai due suddetti esteti provocava regolarmente l’orticaria!

Il soggetto letterario della composizione è un poemetto fiabesco di Karel Jaromír Erben, in realtà una fiaba piuttosto truculenta e con una conclusione addirittura raccapricciante: Vodník (letteralmente il folletto acquatico) è una specie di elfo anfibio che si diverte (!?) a catturare belle fanciulle per… usarle e gettarle, trasformandole in pesciolini. E così si prepara a fare anche con una ragazza che, incurante dei profetici avvertimenti materni, si avvicina allo stagno e vi precipita finendo direttamente nelle sue braccia; dopo averla sposata (e prima di essersene stancato) il folletto mette al mondo anche un pargolo, che la mammina cerca di consolare con delicate nenie; le quali fanno però imbestialire lo sposo che minaccia di far fare alla moglie la fine delle altre prede. La ragazza lo impietosisce ottenendo una libera uscita di poche ore per rivedere la madre; l’incontro fra le due è assai triste e viene interrotto dall’elfo che dichiara finita l’ora d’aria. All’opposizione della madre della ragazza di ridargli la figlia, il simpaticone che ti fa? Recapita sulla soglia di casa delle due donne il corpo del figlioletto… in due pacchi separati: uno contenente la testolina e l’altro il corpicino (!!!)    

È davvero incredibile come Dvorak abbia saputo poetizzare questo soggetto, a prima vista ributtante, costruendoci sopra una specie di Rondo dove il tema principale (di Vodník) si alterna in modo mirabile a quelli della ragazza e della madre.

Una curiosità: il dolce tema della ragazza ha certo un fondo di Boemia, ma richiama anche scopertamente (pur con diversa scansione ritmica e tonalità) quello celeberrimo del beethoveniano Freude schöner

Esecuzione più che dignitosa dei ragazzi de laVerdi sotto la guida del… ragazzo Smith.

Riecco poi in Auditorium Enrico Dindo per interpretare quell’autentico gioiello che è il Concerto per violoncello. Del tutto convincente la sua prestazione, che si cala in pieno nello spirito (tardo)romantico di questo capolavoro. Gran trionfo per lui e bis bachiano.

La serata si chiude con la Sesta sinfonia. Pubblicata col titolo di prima, per Dvorak in effetti era la seconda, dato che il compositore considerava le sue prime quattro come semplici esercizi, non degni di essere messi in lista. E chissà che non sia stata questa circostanza a portare Dvorak ad ispirarsi ad un’altra Seconda, ben più famosa, quella del suo quasi-idolo e sponsor Johannes Brahms. Lo testimonierebbero la pastoralità del contenuto e persino la tonalità e il tempo (RE maggiore, 3/4) del primo movimento.

Sinfonia assolutamente legata ai modelli formali classici, mentre i contenuti vengono come al solito dalla tradizione popolare boema (uno su tutti: la furiant che caratterizza lo Scherzo). Opera che però, insieme ad una fresca inventiva, porta con sé anche qualcosa di stucchevole, come di dolciastro e affettato: di certo è (a mio modesto parere) ancora lontana dai risultati che si materializzeranno nelle tre successive sinfonie.

Ottima prestazione dell’Orchestra (eccellente il corno di Amatulli, chiamato a lunghi e difficili passaggi) lungamente applaudita con il suo Direttore… improvvisato.

Ruben Jais ci terrà compagnia con Mozart (e Vacchi) prima di Natale.