affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

10 dicembre, 2017

Faust in versione Berlioz apre le danze a Roma


Lasciato spazio (noblesse oblige) al SantAmbrogio meneghino, anche il centro-sud sta aprendo la stagione 17-18. Ieri sera il SanCarlo ha ospitato la pucciniana Fanciulla (non disprezzabile, almeno all’ascolto radiofonico) mentre l’Opera di Roma si appresta ad inaugurare il suo cartellone con una proposta non meno intrigante dello Chénier milanese: La damnation de Faust, affidata alla coppia Gatti-Michieletto, o Michieletto-Gatti, per chi dà più importanza a ciò che il regista si inventerà, rispetto a ciò che il musicista ha composto 170 anni orsono e quindi è già noto a (o notabile da) tutti. Allestimento che si trasferirà poi a Valencia (2018, con Roberto Abbado sul podio) e più in là al Regio di Torino, teatri co-produttori.

La natura stessa dell’opera (légende dramatique, la sottotitolò l’Autore) ha fatto sì che tradizionalmente – a partire proprio dalla prima, all’Opéra-Comique, domenica 6 dicembre, 1846 – essa sia stata proposta in forma di concerto, e solo sporadicamente in versione scenica. Lo stesso Berlioz (piuttosto narcisisticamente, o forse per sfiducia nei registi, chissà...) riconobbe che “la musica ha ali talmente ampie che i muri di un teatro non le permettono di espandersi completamente”. Da qui la curiosità particolare che si riversa sul regista, atteso al varco su opposte sponde, da fan e detrattori. Già ovviamente si conosce l’approccio di fondo di questo allestimento, ma come al solito sarà meglio fare i santomaso...

Intanto val la pena notare (per stigmatizzarlo) il taglio che il Teatro ha dato alla presentazione-video dello spettacolo. Parlano i due responsabili, prima Gatti e poi Michieletto. Chiunque si aspetterebbe che il Direttore dica qualcosa sulla musica di Berlioz, sulla sua grandezza e magari anche su qualche sua magagna... Invece Gatti che fa? Un maldestro pistolotto psico-socio-politico sui problemi dell’uomo moderno, schiavo del cosiddetto progresso e delle tecnologie, che gli precludono la possibilità di provare empatia (parole sue) per il resto dell’umanità. Insomma, un discorso da Regisseur, che spiega il suo Konzept di ciò che verrà messo in scena. Musica? Nemmeno una parola, una virgola, che dico, un accenno anche remoto (???!!!) Poi arriva il vero regista e spiega con grande efficacia ciò che ha ideato per lo spettacolo, che effettivamente si preannuncia coinvolgente ed accattivante.   
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L’opera nacque negli anni-40 dell’800 come completamento e riadattamento della primissima fatica del giovine Berlioz: Huit scènes de Faust (qui l’unica incisione conosciuta) che risale al 1828. La lista sottostante riporta le relazioni fra quel primo abbozzo (titoli fra parentesi) e la stesura definitiva della Damnation:

Prémière Partie

Scène I Plaines de Hongrie
Scène II Ronde de paysans (2. Paysans sous les Tilleuls)
Scène III Une autre partie de la plaine – Marche hongroise

Deuxième Partie
Scène IV Nord de l’Allemagne  
   Chant de la Fête de Pâques (1. Chants de la Fête de Pâques)
Scène V Méphistophélès et Faust
Scène VI La cave d’Auerbach à Leipzig
   Choeur de buveurs
   Chanson de Brander (4. Ecot de joyeux compagnons, histoire d'un rat)
   Chanson de Méphistophélès (5. Chanson de Méphistophélès, histoire d'une puce)
Scène VII Bosquets et prairies du bord de l’Elbe – Air de Méphistophélès
   Choeur de Gnomes et de Sylphes, songe de Faust (3. Concert de Sylphes)
   Ballet des Sylphes
Scène VIII Final
   Choeur de soldats (7b. Choeur de soldats, Joyeuse insouciance)
   Chanson d’étudiants 

Troisième Partie
Scène IX Tambours et trompettes sonnant la retraite (7b. Choeur de soldats)
   Air de Faust
Scène X Méphistophélès et Faust
Scène XI Marguerite
   Le roi de Thulé, chanson gothique (6. Le Roi de Thulé, chanson gothique)
Scène XII Une rue devant la maison de Marguerite
   Evocation
   Menuet des Follets
   Serenade de Méphistophélès (8. Sérénade de Méphistophélès, effronterie)
Scène XIII Chambre de Marguerite
Scène XIV Trio et Choeur

Quatrième Partie
Scène XV  Romance de Marguerite (7. Romance de Marguerite - 7b. Choeur de soldats)
Scène XVI Forêts et cavernes - Invocation à la Nature
Scène XVII Récitatif et chasse
Scène XVIII Plaines, montaagnes et vallées - La course à l'abîme
Scène XIX Pandemonium
   Epilogue sur la terre
   Dans le Ciel
   Apothéose de Marguerite
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Balza subito all’occhio come nella composizione giovanile manchi totalmente la presenza di Faust, che invece nella Damnation entra in scena già all’ottava battuta. Inoltre le Huit Scènes appaiono come una serie di squarci scarsamente connessi fra loro, anche se la sequenza è sostanzialmente rispettosa di quella del testo del Faust-I al quale Berlioz (come più tardi Gounod) si ispirò; sequenza che invece la Damnation non rispetta completamente, come si deduce dallo stesso elenco sopra riportato.

Va anche aggiunto che Berlioz rimaneggiò più o meno ampiamente le parti riprese dalla composizione giovanile: un esempio eclatante è l‘ultima delle Huit Scènes, la Serenata di Mefistofele, che vi è accompagnata dalla sola chitarra, del tutto assente nella Scena XII della Damnation, dove la voce è supportata dalla piena orchestra. Altro esempio è il Canto della festa di Pasqua, che nelle Huit Scènes prevede due cori (Angeli e Discepoli) mentre nella Damnation al coro dei Cristiani si aggiunge la voce di Faust, che poi chiude la scena con un recitativo.

Quanto alle voci, Faust è un tenore lirico, Marguerite un mezzosoprano (Berlioz peraltro la indicò come soprano) e Méphistophélès un basso o baritono, laddove nelle Huit Scènes aveva una tessitura decisamente più alta, da baritenore, se non proprio da tenore lirico.

Quanto alla fedeltà al testo di Goethe (tradotto da Gérard de Nerval) Berlioz se ne occupò relativamente, o proprio per nulla; e di proposito, come lui stesso spiegò, sostenendo come assurdo il solo pensare di mettere in musica l’intero dramma di Goethe; per cui tanto valeva prenderlo solo come base di riferimento e ispirazione. Ecco quindi che il finale di Berlioz vede Faust irrimediabilmente perduto (da cui il titolo dell’opera); e l’apertura viene disinvoltamente quanto arbitrariamente trasportata in Ungheria, solo ed esclusivamente (lo ammette candidamente lo stesso compositore nella prefazione alla partitura) per avere il pretesto di infilarci un trascinante pezzo di bravura orchestrale, la celebre Marcia di Rácóczy...
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In attesa dello spettacolo romano, come termine di paragone (a futura memoria) si può proporre questa produzione belga de La Monnaie (2002) con Kaufmann e Pappano.

Martedi 12 la prima, ripresa in diretta (19:00) da Radio3 e in differita (21:15) da RAI5.

09 dicembre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°8


Romeo and Juliet tengono banco nell’ottavo concerto all’Auditorium, diretto da uno dei Direttori Principali Ospiti de laVerdi, Patrick Fournillier, arrivato già al suo quarto dei cinque concerti stagionali. In programma tre celebri brani che l’Orchestra conosce a menadito per averli quasi stabilmente in repertorio; il che è di per sè una garanzia di qualità.

Si va per via temporale a dente di sega, partendo dal tardo ‘800 dell’Ouverture di Ciajkovski (versione 1880) costruita sui tre temi: di Frate Lorenzo (un corale dal taglio religioso); della faida Capuleti-Montecchi (violenti strappi dell’intera orchestra) e – ovviamente – dell’amore sbocciato fra i due rampolli delle famiglie rivali (il famoso tema sbudellante reiterato in varie forme). Un brano di grande effetto che è sempre un piacere riascoltare. Fournillier non risparmia proprio nulla del romanticismo magari un po’ mieloso del russo, ma ottiene così applausi calorosi da una sala abbastanza gremita.
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Si retrocede quindi di quasi mezzo secolo, al Roméo di Berlioz, di cui viene eseguita la scena d’amore, ovviamente escludendo la parte iniziale cantata dal doppio coro dei ragazzi Capuleti reduci dal ballo e attaccando dall’Adagio. Musica sublime che il francese Fournillier evidentemente ha nel sangue, e ce la sa quindi proporre con grande delicatezza e sensibilità, proprio con il più autentico esprit-de-finesse...
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Chiude la serata un salto nel ‘900 (ogni volta che sento questa musica non posso esimermi dal manifestare una mia convinzione: è la musica più grande del secolo scorso!) Si tratta di Prokofiev e di un assemblaggio di brani dal suo Romeo e Giulietta. Forse lo ripeto per la settima volta, ma se anche si pescassero random 5-6-7-10 brani dai numeri del balletto e li si suonasse poi in sequenza casuale, ne uscirebbe sempre ed invariabilmente qualcosa di mirabile. Fournillier ce ne propone una decina, ma verrebbe voglia di ascoltare anche gli altri 42!

Si spiega così l’accoglienza trionfale riservata a Maestro e Professori.


07 dicembre, 2017

Chénier in TV


RAI1 ogni tanto ne combina una giusta, a livello di programmazione, e anche quest’anno ci ha permesso di godere la prima di SantAmbrogio senza dover chiedere prestiti in banca per potervi assistere dal vivo. Sulla qualità delle riprese (audio e video) mi pare che qualcosa sia migliorato rispetto al passato (sui conduttori un po’ meno...)

Detto ciò – e rimandando all’audizione dal vivo i giudizi su cantanti e suonatori – è possibile commentare per ora la messinscena che (pur con il filtro della regìa televisiva) penso si possa valutare anche senza andare materialmente a teatro.

Partiamo da un fatto abbastanza scontato: un soggetto come questo, per mille ragioni, è praticamente impossibile da ri-ambientare (o ri-concettualizzare) sia a livello spazio-temporale, che a livello di relazioni fra i personaggi. Sostituire a Chénier ghigliottinato dal terrore di Roberspierre, per dire, un Mejerchol'd fucilato dal terrore di Stalin (solo perchè a noi un po’ più vicino) farebbe semplicemente ridere. Così come trasformare la lotta politica fra giacobini e girondini in una guerra fra moderne cosche mafioso-camorristiche (corleonesi vs casalesi). O anche ambientare il classico triangolo amoroso in un paesino siciliano, scimmiottando la Cavalleria...

E quindi il buon Martone – che con i suoi Oberto e Beffe scaligeri si era preso libertà per me eccessive - ha dovuto fare buon viso e restare allo scenario originale, cosa che di per sè farà magari venire l’orticaria a qualcuno che non può soffrire i musei, ma peggio per quel qualcuno. A me l’allestimento – che ha fatto tesoro delle minuziose ed efficacissime didascalide di Illica - non è per nulla spiaciuto e vi ho ritrovato tutto ciò che ci si può aspettare precisamente leggendo il libretto. Ed anche sbirciando la partitura – qui faccio una piccola invasione nel campo musicale – che Chailly ha presentato proprio come Giordano la pensò e la fece pubblicare, cioè come un continuo flusso sonoro (tipo Wagner, per intenderci) e senza soluzioni di continuità. In ciò assecondato dalle scene girevoli della Palli, che consentono rapidi mutamenti di quadro. Ben fatti i costumi (di ricchi&poveri) ideati dalla Patzak così come assai efficace l’impiego delle luci da parte di Mari. Anche il Corpo di Ballo della Schiavone ha avuto modo di distinguersi nella scenetta delle Pastorelle.

I tre protagonisti hanno mostrato diverse qualità, diciamo così, attoriali: Salsi è stato decisamente quello che (mi) ha convinto di più, anche perchè il suo è un ruolo così poliedrico e sanguigno (veramente... verista) che di per sè si presta (se il cantante non è proprio una cariatide) a grandi effetti scenici e drammatici. Eyvazov ha un fisico da armadio (il futuro è da Pavarotti, a parte la voce...) che non pare proprio il più confacente  a quello dello smilzo poeta francese, e per di più – per non correre troppi rischi sul piano musicale – canta quasi sempre volgendo lo sguardo al Direttore, con grave danno alla scioltezza di movimenti e di espressioni. Ma peggio ha fatto la signora Eyvazov (haha!!) che ha proprio cantato come una bambolotta (dal faccione purtroppo gonfiatosi pericolosamente in questi ultimi tempi) piuttosto rigida e quasi priva di reazioni proprie.

Più sciolti gli altri comprimari, dei quali citerò la Stroppa, Sagona e Bosi per tutti. Ben guidati dal regista i movimenti delle masse, esemplare al proposito la scena del processo.


Per ora è quanto basta, in attesa di mettere il dito.

06 dicembre, 2017

En attendant Chénier (2)


Il 7 dicembre è ormai alle porte e chi è interessato anche ai contenuti dell’opera – oltre a quelli dei décolleté e déchappé (volgarmente detti: lati A-B) della fauna che popolerà il Piermarini - si prepara (o dovrebbe farlo...) all’evento con una qualche forma di ripasso della lezione, per non farsi cogliere poi di sorpresa dagli avvenimenti.

Mentre ai neofiti di Chénier il sempre semiserio Amfortas ha pensato bene di proporre un autentico decalogo, io provo a dare una mano - per prender confidenza con l’opera - a coloro che sono sprovvisti di CD e DVD (recenti o vintage) affidandomi a registrazioni del tubo (nel senso di presenti in internet, non di fatte con l’organo riproduttivo maschile...)

E fra le numerose offerte disponibili in rete ho scelto quella che da molte parti è considerata tuttora come di riferimento: Vienna 1960, il leggendario vonMatacic sul podio e un trio da favola sul palco, Corelli (il più grande di tutti gli Chénier?) Tebaldi e Bastianini. Come era usanza a quei tempi (ma lo è spesso ancora oggi) le pseudo-arie (o romanze che dir si voglia) dei protagonisti (che secondo partitura mai si chiudono con le classiche cadenze per strappare l’applauso a scena aperta, ma si concatenano direttamente alla scena successiva... un po’ à-la-Wagner) vengono regolarmente interrotte dopo il momento-topico, proprio per lasciare spazio alle esternazioni del pubblico. (Chailly ha dichiarato che farà di tutto per evitare che ciò accada, in modo da rispettare la continuità drammaturgica dell’opera, come voluta dall’Autore.)

Illica, oltre a corpose parti di testo che Giordano ha cassato senza pietà, ha infarcito il libretto di lunghe e meticolose didascalie, che non solo rappresentano (per chi le volesse seguire) preziose indicazioni di regìa, ma spesso dicono cose – anche di una certa rilevanza - che il testo cantato non include, e così: o l’ascoltatore se le legge prima, oppure si perde ciò che vi si trova scritto, e non sono proprio cosette trascurabili. Ad esempio, il nome con cui la donna sconosciuta (Maddalena) si firma nell’ultima lettera a Chénier (Speranza) è solo citato nella didascalia che ci descrive Roucher mentre legge silenzioso la missiva: così noi non lo veniamo a sapere; ma così poco dopo ci sfugge la ragione dell’eccitazione di Chénier (che corre via per armarsi) quando la Bersi gli comunica che la donna che sta arrivando per incontrarlo si chiama proprio... Speranza! Nel terzo quadro è solo la didascalia ad informarci di contenuto e destinatario di un biglietto che Gérard ha scritto per il Presidente Dumas, per proclamare l’innocenza di Chénier; biglietto di cui poi si perdono le tracce. Esemplare infine l’ultimissima annotazione: mentre la musica chiude il dramma, Gérard si dispera leggendo – ma senza recitarla e quindi tenendocela nascosta – la negativa risposta di Robespierre al suo estremo appello per la grazia, risposta che cita addirittura Platone (pure lui mandava a morte i poeti...)  

Il primo quadro, ambientato in una residenza nobiliare di campagna appena fuori Parigi nei giorni immediatamente precedenti lo scoppio della Rivoluzione, ha lo scopo di presentarci i tre protagonisti del dramma: innanzitutto Gérard che, essendo un personaggio inventato, viene impiegato da Illica-Giordano per impersonare simbolicamente la Rivoluzione medesima nella sua storica evoluzione, dai sacrosanti presupposti alla (inevitabile?) degenerazione in dittatura/terrore; quindi naturalmente Chénier, che entra in scena in tono dimesso, per poi sparare quel po’ po’ di Improvviso che ne caratterizza la personalità visionaria (e come tutti gli inguaribili visionari, lui così resterà fino alla fine, senza tentennamenti e senza ripensamenti); infine Maddalena, personaggio storico – incontrato da Chénier in carcere - che gli Autori manipolano però a loro vantaggio, trasformandola da cinica approfittatrice - quale fu in realtà - in eroina pronta a tutti i sacrifici, ma esclusivamente in nome dell’amore, di null’altro.

Al contorno si muove tutto il bestiario dell’establishment nobilastro che la Rivoluzione cercherà (senza riuscirci del tutto) di mandare in pensione diviso in due tronconi ben distinti e separati: capoccia da una parte e resto del corpo dall’altra.

Dopo una breve (solo 16 battute) e concitata introduzione, ecco apparire (40”) Gérard, che ci introduce al costume dei tempi, raccontandoci ciò che accadeva su un lussuoso divano, fra cicisbei e vecchie babbione. Ma l’atmosfera si incupisce (1’45”) all’arrivo del vecchio padre di Gérard, di cui apprendiamo la miserevole condizione esistenziale, cantata dal figlio che poi sbotta (3’49”) nella sua feroce imprecazione (T’odio, casa dorata!) contro quel mondo pieno di cinismo e vuoto di umanità, sfogo che culmina (4’38”) nella terrificante profezia (È l’ora della morte!) dell’imminente avvento del redde-rationem.

Senza soluzione di continuità (4’53”) l’atmosfera cambia, rasserenandosi non appena l’obiettivo della cinepresa (Illica e Giordano sono unanimemente indicati come precursori del cinema) si sposta su Maddalena, che fa il suo ingresso in scena presentando subito il suo animo sensibile, contrappuntata dalle parole di ammirazione di Gérard (5’18”, Quanta dolcezza ne l’alma tetra per te penetra) che immediatamente chiariscono l’attrazione che il servo ha per la padroncina, attrazione che sarà uno dei pilastri portanti dell’opera.

Ma la scena ritorna ad animarsi (5’56”) quando la Contessa padrona di casa si informa da Gérard sui preparativi per la festa e poi (6’35”) rimprovera la figlia di non essersi ancora abbigliata a dovere. Maddalena (con la servetta Bersi che le fa il verso) si lamenta (6’45”) della scomodità di gonne e cappelli e decide (8’25”) di vestirsi più... sobriamente.

Arrivano gli ospiti (8’40”) e l’atmosfera si ravviva nuovamente, mentre la Contessa (9’11”) comincia a scambiare complimenti tanto fatui quanto ipocriti con gli invitati. Fra i quali il romanziere Fléville (10’30”) che sfoggia il ridicolo termine persiflaggio (francesismo per canzonatura) e presenta altri due ospiti: il musicista Fiorinelli e il giovin poeta Chénier.

Ma ora al centro dell’attenzione ecco l’Abate (11’22”) che porta ferali notizie da Parigi, divorando a quattro palmenti una tazza di marmellata: il Re inetto, consiglieri incapaci, il Terzo Stato che incombe e atti di violenza... Il romanziere (12’40”) impiega tutta la sua prosopopea per invitare i convenuti a dimenticare queste disgrazie e a godere dell’imminente primavera. L’atmosfera (13’29”) si fa rarefatta e idilliaca, per accogliere (14’46”) un coro danzato di pastorelle!

Ma adesso è il momento di occuparci di Chénier (17’21”) che la Contessa tira in ballo chiedendogli di far parlare la sua Musa, ma ottenendone un malinconico diniego. Al che la padrona di casa se ne va dal musicista italiano che (18’05”) comincia a strimpellare qualcosa al clavicembalo. Maddalena, che evidentemente è stata colta da improvviso interesse per Chénier, scommette con le amiche che riuscirà a schiodare il poeta dalla sua apatia e così (18’30”) lo invita a declamare un’egloga.

Chénier (19’01”) si schermisce ancora, paragonando i capricci della poesia a quelli dell’amore. All’udire quella parola (19’23”) Maddalena e le amiche scoppiano a ridere e la padroncina di casa spiega (19’50”) scimmiottando il tono aulico del poeta, il contenuto della scommessa: Chénier avrebbe poeticamente tirato in ballo l’amore, quella stessa parola che gli altri rozzi invitati le avevano rivolto senza alcuna poesia!

Chénier è punto sul vivo e ribatte quasi con severità (20’24”): l’Amore è una cosa terribilmente seria ed ora ve ne darò dimostrazione. L’Improvviso (21’08”) – l’aria-romanza Un dì all’azzurro spazio che è divenuta simbolo dell’opera – mette finalmente in primo piano il tenore, impegnandolo in un lungo e articolato percorso: una prima frase che dal SIb d’impianto sale (21’08”) al SOL (dominante di DO) sulla parola firmamento; una seconda, che partendo dalla dominante MIb torna alla tonica fino al SIb acuto (T’amo, 22’27”); poi una seconda esternazione (22’43”) dove Chénier condanna l’ipocrisia della religione e le ingiustizie del potere, chiudendo con una specie di anatema (le lacrime dei figli!) Altra accorata dichiarazione, di simpatia per Maddalena, che gli era parsa subito l’unica persona sensibile in quella casa; qui (23’37”, Ecco la bellezza della vita!) ascoltiamo in orchestra un tema che tornerà ancora nel corso dell’opera a impersonare l’amore; ma poi il comportamento offensivo della giovane lo aveva profondamente ferito; e così il poeta, partendo ancora dal MIb sale nuovamente al SIb acuto (25’01”) implorando: Amor, divino dono, non lo schernir del mondo anima e vita è l’Amor!

La chiusa, sulla mediante RE (25’25”) dovrebbe direttamente portare, dall’Andante della romanza, all’Allegro vivo del successivo perdonatemi! di Maddalena e della fuga precipitosa di Chénier. Come si può notare, il Direttore invece si ferma dopo l’accordo di SIb per dar modo al pubblico di sfogare (per 65”) il suo entusiasmo.

Alla ripresa (26’30”) la Contessa invita tutti a perdonare la figlia capricciosetta e a godere di una meritata gavotta, la cui leziosa melodia irrompe (26’46”) a rasserenare l’atmosfera. Ma è presto disturbata (27’17”) da voci cupe e minacciose che provengono da lontano e si avvicinano rapidamente: è una torma di diseredati che (27’51”) lamenta le sue miserevoli condizioni di vita; e che presto irrompe nella lussuosa residenza, guidata ed introdotta (27’51”, Sua grandezza la miseria!) da Gérard. 

La Contessa lo licenzia sui due piedi, facendo allontanare quella feccia introdottasi in casa sua; e allora Gérard (28’05”) togliendosi la livrea, scaglia contro lei e tutta la nobiltà la sua filippica, proclamando la decisione di unirsi ai diseredati per combattere la loro battaglia; trascina con sè (28’36”) anche il vecchio padre che cercava di scusarsi con i padroni. È la Contessa invece (29’10”) che si scusa per Gérard con gli ospiti (L’ha rovinato il leggere!) e poi, dopo aver ipocritamente vantato le proprie virtù di persona caritatevole, come nulla fosse torna (30’01”) ad invitare i presenti alle danze! Così la gavotta (30’17”) riappare in primo piano a chiudere questo prologo al dramma. Ma è - attenzione! - una chiusura in SI minore...
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Il secondo quadro ci mostra uno spaccato (non proprio verosimile al 100%, specie negli aspetti di turbinosa animazione delle strade e dei locali pubblici) della Parigi sotto il Terrore giacobino: vediamo quindi in scena protagonisti minori (Mathieu) e maggiori (Robespierre, ma solo di riflesso) della vita di quei giorni, insieme a figure che in realtà scenderanno in piazza solo più avanti, dopo la decollazione dei due protagonisti e del capintesta giacobino, sotto il Direttorio: Incredibili e Meravigliose. In questo ambiente matura il nuovo e decisivo incontro fra Chénier e Maddalena (sorpresi poi da Gérard) che li porterà infine al patibolo.

Come il primo, anche questo secondo quadro (31’09”) inizia con 16 battute introduttive, prima che compaia (31’26”) il sanculotto Mathieu, rivoluzionario fanatico di Marat, del quale spolvera il busto eretto in una piazza. Ora l’attenzione si sposta sulla servetta Bersi, che ha cambiato vita con la Rivoluzione (che per altro mostra di odiare) e che si sente spiata da Incredibile (una spia di Gérard, appunto) con il quale innesca un battibecco per poi (32’24”) raccontare le sue esperienze di vita nel nuovo corso rivoluzionario. Passa un carro che reca condannati alla ghigliottina, accompagnato in sottofondo (33’48”) dal ça ira, il celebre canto rivoluzionario.

Incredibile (34’17”) ha anche osservato Chénier (sul quale ora si sposta l’inquadratura) che sembra in ansiosa attesa di qualcuno(a). Per ora chi arriva (35’11”) è un suo amico, Roucher, che gli ha portato un passaporto e lo invita ad allontanarsi da Parigi, dove è in grave pericolo. Chénier gli risponde attaccando  (35’54”) una nuova aria-romanza (Credo a una possanza arcana) in cui accetta il suo destino di poeta e di amore. Sogna una donna angelicata, che gli parla con voce ardente, dicendogli Credi all’amor! (dal SIb acuto) e poi confessa all’amico di ricevere strane lettere, precisando (38’48”): Scrive una donna misteriosa ognora! Queste sue parole sono sottolineate dal tema dell’amore (comparso nell’Improvviso).

Chénier ora mostra all’amico l’ultma lettera ricevuta e Roucher (39’23”) crede di decifrarne la provenienza: a scrivere dev’essere una Meravigliosa (donna di facili costumi, almeno secondo... Illica). Chénier (40’57”) vede tutto il suo castello di poesia e di amore crollare miseramente al suolo (Ah, mio bel sogno, addio, ancora dal SIb acuto).

Il poeta sembra convinto a lasciare Parigi, mentre uno stentoreo motivo dei corni (41’22”) che poi sottolinea l’intera scena, annuncia il passaggio dei membri dell’Assemblea (Robespierre compreso) fra cui Gérard. Qui abbiamo un complesso concertato con tre linee di canto parallele (indicate su colonne affiancate nel libretto): Chénier-Roucher-Mathieu / La folla / Incredibile-Gérard. Mentre i primi tre personaggi e la folla osservano e/o acclamano i rappresentanti del popolo, Gérard e Incredibile (42’22”) si scambiano informazioni sulla donna (Maddalena) che Gérard ha incaricato lo spione di rintracciargli. E Incredibile (43’43”) lo rassicura: la sera stessa la vedrà.

Roucher (43’52”) scorge le Meravigliose e le indica a Chénier: le disinibite donne parigine arrivano (44’19”) giusto dopo il passaggio dei politici e la loro sfilata è accompagnata da una musica leggera e svolazzante, come i loro abiti trasparenti... Fra esse Bersi, che chiede a Roucher di trattenere Chénier: lei è spiata da Incredibile, che poi si presenta e la invita al bar (per scoprire dove si trova Maddalena, evidentemente). Mentre Chénier è sempre più desolato (45’32”) e se ne vorrebbe andare (O mio bel sogno, addio!) Bersi ritorna (sempre spiata da Incredibile) e annuncia a Chénier (45’51”) l’arrivo di Speranza (qui ancora il tema dell’amore fa capolino).

Un breve intermezzo strumentale (46’37”) accompagna l’accensione dei lampioni in strada e il passaggio di pattuglie della Rivoluzione, cui segue quello del solito Mathieu (47’17”) che canticchia la Carmagnola. Incredibile si apposta (48’06”) in attesa di eventi, ed infatti su un ponte sulla Senna compare una figura di donna.

É Maddalena, venuta all’appuntamento con Chénier (48’59”) e piena di paura. Pochi attimi e (49’49”) ecco arrivare anche il poeta, avvolto in un mantello. Maddalena lo chiama per nome, lui si fa riconoscere e chiede a lei da chi sia mandata a parlargli. Maddalena (50’38”) si fa riconoscere sulle parole (Non conoscete amor!) e sulla musica dell’Improvviso! Incredibile ha visto e udito tutto, e corre ad avvertire Gérard; Maddalena (51’02”) crede di aver visto un’ombra allontanarsi, ma Chénier la tranquillizza, suggerendole peraltro di abbandonare quel posto poco raccomandabile. Lui (51’22”) sembra ancora incredulo di aver incontrato la donna dei suoi sogni e così Maddalena (51’41”) attacca un cantabile per raccontargli le sue pene, le ragioni delle sue lettere e per implorare aiuto e protezione.

Adesso (54’19”) - sulle parole di Chénier Ora soave - inizia il grande duetto fra i due innamorati (punteggiato ancora dal tema dell’amore) chiuso in SOLb (accordo di terza - con SIb acuto del tenore – o sesta opzionalmente, delle due voci) da uno stentoreo fino alla morte insiem!

Qui (56’44”) sono doverose almeno due osservazioni: la prima riguarda la durata della nota finale del duetto (...siem) che Giordano (un maniaco del metronomo) fissa precisamente in 17 semiminime a 63, il che significa 16,19”, una bella apnea, bisogna ammetterlo. Ma Corelli/Tebaldi cantano per 5” scarsi (ahi ahi). La seconda ha a che fare con il tempo che, secondo l’Autore, deve separare il duetto dal drammatico altolà di Gérard: si tratta di sole tre crome, pari a 1,43”. Invece il direttore ferma tutti per dar modo al pubblico di applaudire e osannare le due voci per ben 120”!

Finalmente (58’44”) Gérard può irrompere sulla scena, sbarrando la strada ai due amanti con un perentorio Maddalena di Coigny!
  
Chénier affida la donna a Roucher e affronta Gérard (mediocre spadaccino) ferendolo al volto. Gérard, quando riconosce il poeta nel suo feritore, ha un inconscio senso di colpa, avverte Chénier che il suo nome è sulle liste di proscrizione e lo prega di salvare Maddalena. All’arrivo (sulle note dell’inno rivoluzionario) di Incredibile e dei giacobini, Gérard (59’53”) non rivela il nome del suo aggressore. Il sanculotto Mathieu accusa dell’assassinio gli avversari politici, e il quadro si chiude con il grido Morte ai girondini!
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Nel terzo quadro ci troviamo in una sede della Rivoluzione ospitata nei locali del tribunale rivoluzionario, dove gli aspetti politici del processo si mescolano con quelli di carattere patetico e personale: il sacrificio della povera vecchia Madelon e il rapporto triangolare Gérard-Chénier-Maddalena, con la posizione del primo che ondeggia fra l’ubriacatura da potere (le false accuse contro Chénier) e l‘impotente rimorso per tutto il male che da quel potere discende. Alla fine la macchina del fango messa in moto dall’ex-lacchè di Maddalena travolgerà Chénier e, con lui, anche la povera ragazza.

Il quadro si apre (1h00’34”) con sole 7 battute di pesanti accordi dell’orchestra, che introducono il pistolotto di Mathieu ai cittadini e cittadine convenuti per assistere ai processi (sommari) e che nell’attesa vengono invitati a fare donazioni alla Patria, messa in pericolo da nemici interni ed esterni. Gli appelli di Mathieu – sostenuti anche con minacce di ricorso alla ghigliottina - non sortiscono grande effetto, ma ecco che arriva (1h02’47”) inatteso, Gérard, prontamente rimessosi dalla ferita infertagli da Chénier, come lui stesso spiega (1h03’05”) ai cittadini che lo accolgono calorosamente.

Mathieu (1h03’33”) riprende la sua pedante arringa contro i nemici della Patria, ma accorgendosi che la sua pipa si è spenta, passa la parola a Gérard. E costui (1h03’54”) attacca una perorazione (assai più convincente, anche... musicalmente, di quella del sanculotto) della necessità che ciascuno offra qualcosa di superfluo (e non) per aiutare la Rivoluzione che corre gravi pericoli. L’orchestra supporta il suo accorato appello con efficaci interventi, come (1h04’14”) il baluginare di lingue di fuoco che accompagnano il richiamo alla Vandea in fiamme. Servono oro e sangue (1h04’33”) per difendere la Francia!

Le donne presenti (1h05’05”) accorrono a gettare nella grande urna di raccolta oggetti preziosi e denaro, poi ecco (1h05’47”) farsi largo la vecchia Madelon, che è venuta ad offire... il suo ultimo nipotino! Il suo racconto è davvero strappalacrime (pare che Illica abbia quasi costretto il riluttante Giordano a conservarlo, per farlo cantare ad un suo protetto mezzosoprano!) Gérard (1h07’59”) accetta di coscrivere il ragazzetto e qui abbiamo (1h08’36”) un’altra scena commovente: il distacco della vecchia, ormai morente, dal suo piccolo Alberto, accompagnato da una toccante melopea del violoncello.

Terminata la riunione di raccolta fondi il locale si svuota per essere attrezzato a tribunale. La gente fuori riprende (1h09’52”) a danzare cantando la Carmagnola. Ma intanto Incredibile è tornato e annuncia a Gérard (1h10’37”) che la sua preda è nella rete. Ma non è Maddalena, bensì Chénier, che Incredibile ha scovato e preso al Lussemburgo. Gérard però (1h10’52”) è interessato (personalmente) alla donna, e si mostra scettico (1h11’09”) sulla previsione di Incredibile, che Maddalena si faccia viva per cercare l’innamorato. Ma Incredibile, indicandogli i ragazzini-strilloni che percorrono le strade e le piazze parigine gridando ai quattro venti la notizia dell’arresto del poeta, gli spiega (1h11’34”, Donnina innamorata) come Maddalena, sentendo la notizia dell’arresto dell’amato, si precipiterà in strada e cadrà nella loro rete. Gérard a questo punto (1h12’55”) si preoccupa che Maddalena finisca per odiarlo, ma Incredibile gli spiega con sommo cinismo che la donna è fatta d’anima e corpo e lui... si accontenti del corpo! Poi lo invita a scrivere l’atto d’accusa contro Chénier.

Qui (1h13’41”) inizia il lungo monologo di Gérard, combattuto fra due opposti sentimenti: la vendetta personale (oltre che politica) contro Chénier e la consapevolezza di compiere una viltà contro un innocente. A spingerlo al misfatto (1h14’07”) è una fugace apparizione di Incredibile, che risveglia in lui desideri di piacere. Così (1h14’31”) Gérard comincia a stendere l’atto d’accusa (Nemico della Patria?!) Ma ha presto un ripensamento (1h15’28”) e canta una spietata autocritica, ripassando attraverso le fasi della sua esistenza da rivoluzionario, che lo hanno trasformato da puro e disinteressato (1h15’50”, Un dì m’era di gioia passar fra gli odii e le vendette) a servo di un nuovo padrone (1h16’19”). E qui (1h17’02”) l’ex-lacchè a Coigny ricorda il suo iniziale fervore rivoluzionario, che si sta ormai spegnendo; ricorda commosso (1h18’07”, La coscienza nei cuor ridestar de le genti) i suoi alti ideali di fratellanza e amore.

Qui (1h19’13”) dopo il RE tenuto di Tutte le genti amar!, Giordano prevede meno di due battute (5”) strumentali, prima della parte finale dell’esternazione di Gérard. Ma, come da tradizione, il Direttore fa eseguire un accordo pieno di RE maggiore per consentire al pubblico di portare in trionfo (per 55“) il baritono di turno! Il quale riprende poi (1h20’09”) il suo canto per chiudere l’aria-romanza con l’atroce confessione di essere divenuto schiavo delle più basse passioni. Così (1h20’45”) firma l’atto d’accusa e lo consegna a Incredibile, tornato in quel preciso momento, accompagnato dalla sua musica impertinente.

Ma ora si prepara la scena madre di questo quadro (1h21’32”): sta arrivando, come Incredibiile aveva previsto, Maddalena, ammessa da Mathieu alla presenza di Gérard. La donna (1h21’55”) si fa riconoscere, implorando aiuto. Gérard (1h22’16”) risponde che la stava aspettando e poi (1h22’46”) con una lunga esternazione le declama tutti i retroscena della sua infatuazione per lei, fin da quando lei era bambina e giocava con lui, figlio di uno dei suoi servi... Poi ha uno scatto (à-la-Scarpia) e rivela (1h24’12”, ...un pazzo grande e vile) tutta la sua abiezione e la libidine che lo divora. Maddalena prova a reagire, minacciando di uscire in strada a cercare la morte, piuttosto che concedersi a lui. Il quale la blocca e si prepara a prenderla con la violenza.

Ecco che Maddalena (1h25’21”) ha un’improvvisa ispirazione: si concede al porco senza far resistenza, chiedendo in cambio la libertà per Chénier. E Gérard (1h25’53”), tramortito da tanto coraggio, mentre il violoncello recita stupendamente il tema dell’amore, deve ammettere: Come sa amare!

Maddalena attacca adesso (1h26’51”) la sua nobile aria (La mamma morta) in cui ricorda i drammatici momenti della perdita di tutto: tutto, tranne però l’amore, l’unica ragione ormai della sua vita. E sulle parole Ah! io son l’amor! ecco una nuova gratuita pausa di 55” (1h31’23”) che il Direttore inventa – Giordano prevede solo una semiminima prima della successiva frase - per consentire l’applauso a scena aperta al soprano. Che continua (1h32’20”) offrendo il suo corpo a Gérard. Il quale (1h32’51”) è talmente scosso da proprompere in un disperato grido di pentimento e di maledizione contro le degenerazioni della Rivoluzione, dichiarandosi pronto a sacrificare la vita per salvare Chénier. Maddalena implora aiuto, ma la situazione precipita, e Gérard (1h33’44”, Il tuo perdono è la mia forza!) può solo promettere di difendere il poeta.

La folla (1h34’03”) invade la sala del tribunale, sono principalmente donne, popolane, mercatine che, tenute faticosamente a bada da Mathieu, si accalcano per godersi lo spettacolo, raccontandosi gli ultimi pettegolezzi. Ecco però entrare la corte (1h35’00”) per dar inizio al processo. Arrivano anche gli imputati, ultimo Chénier, quasi indifferente e assorto nei suoi pensieri. Maddalena (1h36’22”) esclama: Egli non guarda! Ah, pensa a me! e il tema dell’amore spiega più delle parole i sentimenti che animano i due pur lontani innamorati.

Dopo che Mathieu ha imposto il silenzio, il Presidente Dumas comincia a chiamare gli imputati e per ciascuno il Procuratore Fouquier annuncia la sua accusa. C’è anche una donna (1h37’29”) tale Legray, una giovane madre che ritroveremo nel quarto quadro, e infine (1h37’37”) Andrea Chénier, per il quale viene formulata l’accusa di tradimento! Il poeta reagisce con veemenza (1h37’59”, Tu menti!) e poco dopo attacca la sua aria in LAb (1h38’07”, Sì, fui soldato) per proclamare a tutto il mondo i suoi grandi ideali e il suo amore per la Patria. Chiude la sua perorazione (1h40’26”, Ma lasciami l’onor) sulla dominante MIb, e una sola semiminima dovrebbe precedere la replica di Fouquier, mentre ancora ci si ferma per 45” ad applaudire il tenore.

Il Procuratore chiama i testimoni e Gérard (1h41’11”) si fa avanti, confessando di aver sottoscritto una denuncia falsa contro Chénier. Ma nessuno vuol credergli, anzi tutti lo accusano di tradimento. Lui allora (1h42’15”) esaltando le giovani reclute che si avviano a combattere per la Patria, accusa il tribunale di uccidere i poeti patrioti. Chénier (1h42’41”, O generoso!) è commosso e – mentre fa capolino in orchestra il Tristankkord! - va a ringraziare del suo coraggio Gérard, che gli indica Maddalena. Poi si illumina e si prepara a morir contento, mentre Gérard ancora vuol sperare. Ma tutto è ormai scritto e Dumas (1h43’35”) pronuncia il fatidico Morte!  

A Maddalena non resta che gridare il nome di Andrea e supplicare Gérard di farglielo ancora rivedere un’ultima volta. Il sipario cala accompagnato da un tragico RE minore.
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Il breve quarto quadro chiude il dramma con il sacrificio di Maddalena e l’inutile, estremo tentativo di Gérard di salvarli.

Sono le solite sette battute orchestrali ad introdurre (1h44’20”) il cupo scenario di morte che caratterizza il cortile del carcere in cui sono rinchiusi Chénier e l’amico Roucher. È notte fonda e Chénier ancora scrive versi, gli ultimi, che l’amico lo prega di recitare, dopo aver convinto il carceriere Schmidt di pazientare ancora. E così Chénier (1h45’43”) canta l’ultima sua romanza in SOLb (Come un bel dì di maggio) che è un vero e proprio addio alla vita e contemporaneamente un supremo inno alla poesia! E l’aria chiude (1h48’33”) con le parole darò per rima il gelido spiro d’un uom che muore. Ancora una volta, invece di attaccare quasi subito con la cantilena di Mathieu, ci si ferma (qui per solo 25”) ad applaudire il tenore.

Mathieu, appunto, si ode da lontano (1h48’58”) cantar la Marsigliese, mentre alla prigione arriva Gérard (1h49’30”) con Maddalena, cui è stato concesso un ultimo colloquio. Andrea Chénier, risponde Gérard alla domanda del carceriere su chi sia il condannato. Maddalena (1h49’50”) ricorda a Gérard la sua promessa, di cui scopriamo presto l’oggetto, allorquando la donna (1h50’03”) accenna alla condannata Legray, che dovrà essere liberata. In sua vece lei stessa (1h50’32”) salirà sul carro che reca i condannati al patibolo!

Schmidt si lascia convincere da gioielli e denaro passatigli da Maddalena, che (1h51’32”) benedice il suo destino di morte. Gérard, sempre più addolorato, mentre in orchestra (1h51’50”) si ode un tema wagneriano che ricorda l’amore (di Sieglinde per Siegmund) decide di fare ancora un tentativo, addirittura con Robespierre.

Intanto Chénier si avvicina e l’orchestra (1h52’22”) scoppia in un lungo accordo, che porta al REb con cui inizia il duetto finale fra i due amanti. Chénier (1h52’46”, Vicino a te s’acqueta l’irrequieta anima mia) lo introduce, poi Maddalena – la tonalità vira a FA maggiore - gli risponde confermandogli tutto il suo amore. E gli rivela lo stratagemma che le consentirà di morire con lui. Poi (1h55’20”) mentre la tonalità modula a SIb, lo invita ad un ultimo abbraccio e così i due si abbandonano alla più grande estasi, che ci ricorda l’esaltazione tristaniana al ritrovare Isolde.

La morte si avvicina con l’aurora, la tonalità modula a SOLb per accogliere le ultime esternazioni dei due amanti fino all’estremo (1h58’33”): Amor!

Dal SOLb per enarmonia si sale al SI, mentre il carceriere fa l’appello dei condannati, cui rispondono prima Chénier e poi Maddalena. Che sul SI acuto gridano (1h58’54”) l’ultimo Insiem!

Giordano muta quel SI in mediante di SOL, sulla quale tonalità l’opera si conclude trionfalmente.
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Bene, ora non ci resta che attendere al varco i coniugi Netrebko!

02 dicembre, 2017

Milano Musica chiude all'Auditorium


Largo Mahler ha ospitato ieri una delle tappe (anzi l’ultima, che si replica domenica) della rassegna Milano Musica, dedicata come sappiamo a Salvatore Sciarrino. Del quale era in programma la prima esecuzione italiana del Libro notturno delle voci, una specie di eterodosso Concerto per flauto dedicato all’esecutore di oggi, Mario Caroli (speriamo il flauto non si offenda, e nemmeno il concerto...) del 2009.

L’opera (!) si suddivide in tre parti, con tanto di sottotitoli:

1. In val d'abisso
2. Fauci dell'emozione
3. Mario Caroli e l'iridescenza di un Re

Purtroppo nè i titoli, nè (soprattutto) i contenuti musicali ci aiutano a distinguere chiaramente una parte dall’altra. Quindi possiamo sentenziare trattarsi di un’opera caratterizzata da grande unità tematica...

Sciarrino si è specializzato nel riprodurre in musica qualunque tipo di suono(/rumore) in ciò prendendo spunto dalla filosofia di Mahler (a proposito dei suoi Naturlaute) ma portandola all’estremo. Così non ascoltiamo più i classici cuculi, o le melodie stiracchiate di un violino di strada, o i campanacci di vacca su un alpeggio... ma arrivano alle nostre orecchie muggir di buoi, latrar di cani o miagolar di felini in calore, per citare solo qualche esempio. Poi ci sono anche sirene antifurto, porte metalliche di vecchi ascensori che sbattono, sinistri cigolìi, sgocciolar di rubinetti guasti... tutti suoni che rompono il silenzio notturno, ci pare di udirli nel dormiveglia, ritmato dal respiro affannoso di due violoncelli.

Il flauto qui è usato nel primo movimento come un fischietto di quelli che un tempo corredavano i nostri vestitini da marinaretto; nel secondo come strumento per produrre... starnuti; e nel terzo per emettere il suono che si ottiene naturalmente soffiando in una canna di bambù.

Che dire, restarne rapiti? Farci prendere da esasperazione? Sghignazzarci sopra? Beh, ognuno si attrezzi un po’ come gli pare... c’è libertà di scelta, di gusti e di critica; e per fortuna (dei compositori, soprattutto) non c’è in giro nessun nipotino di Zdanov, ecco. Però dobbiamo riconoscere che qualche progresso si è compiuto: rispetto alla registrazione della prima assoluta in terra tedesca (citata più sopra, del 2009) ieri la durata del brano ha superato di poco i 25 minuti. Grazie!

PS: Caroli deve avere comunque un buon rapporto con il suo flauto: per farsi perdonare di averlo bistrattato a quel modo, ha concesso un bis dove lo strumento è stato impiegato precisamente per lo scopo per il quale fu inventato: emettere suoni e non rumori (!)
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La serata era stata aperta (come da prassi che vuole che, in presenza di un brano moderno, gli si anteponga uno di tradizione, per in qualche modo obbligare il pubblico a sorbirsi il moderno...) da Ravel, con la sua Valse, ovviamente in versione orchestrale. Si tratta di un grottesco sberleffo alla Vienna presuntuosa e godereccia di metà ‘800, dove sentiamo raffinate atmosfere impressioniste intercalate a volgarità da fetida balera… Però il tutto è sempre un piacere per l’ascolto, e qui difficilmente si pone il problema di come reagire di fronte a ciò che arriva alle nostre orecchie. Va da sè che i ragazzi (e Angius ovviamente) han dato il loro fattivo contributo alla riuscita dell’impresa..
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Dopo la pausa ecco Debussy, con in suoi tre Nocturnes, una particolare variante di musica-a-programma.

Nuages, lo dice il titolo, evoca un incessante passare di nuvole sopra la Senna, precisamente presso il ponte di Solférino, ma qui l’indicazione è tanto minuziosa quanto ininfluente sul contenuto musicale, che mai pretende l’impossibile (la descrizione di un fenomeno naturale) bensì esprime in modo mirabile l’impressione provata da chi osserva il muoversi delle nuvole, sempre diverso, ma allo stesso tempo sempre uguale a se stesso. Chissà se quella specie di Dies Irae esposto da clarinetti e fagotti è un riferimento voluto o casuale... 

In Fêtes Debussy si ispira poeticamente ad una serata al Bois de Boulogne, evocandone però non tanto le prosaiche manifestazioni (tarantelle, marce della Guardia repubblicana, fanfare che arrivano da lontano, passano e si perdono) ma le sensazioni (meglio… le impressioni) che esse provocano nel suo animo, e sono queste che il compositore ci vuol trasmettere con i suoi suoni.

Sirènes si riallaccia in quache modo a Sciarrino, che ha trattato il mito di Orfeo più volte, non ultima la sua recente opera data in prima mondiale alla Scala. In più, è davvero raro ascoltare questo brano in sala da concerto, poichè richiede tassativamente la presenza di un coro femminile (che fa solo vocalizzi peraltro): così è un merito de laVerdi (che un coro, e coi fiocchi, ce l’ha) averci fatto questo bel regalo. Per la cronaca Angius ha schierato le signore di Erina Gambarini proprio in mezzo all’orchestra, scelta appropriata data la natura degli interventi canori.
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Ha chiuso la serata un ennesimo bolerodisciarrinoravel, che il tamburino militare del solito Ivan Fossati (rimastosene stavolta in piccionaia fra i colleghi percussionisti, invece di accomodarsi davanti al Direttore, come fa di solito) ha scandito imperterrito, dalla prima all’ultima battuta. Anche questa è musica discutibile e persino offensiva nella sua struttura, eppure - chissà mai perchè? - la si ascolta sempre con gran trasporto e alla fine la sala addirittura trema sotto lo scrosciare degli applausi.   


Ma ora vedo profilarsi minacciosa all’orizzonte un’affilatissima ghigliottina...

30 novembre, 2017

En attendant Chénier


Si avvicina ormai a grandi passi (e minacciosamente...) l’appuntamento che (quasi) tutto il mondo sta attendendo con ansiosa trepidazione fin dallo scorso 8 dicembre: un nuovo 7 dicembre (!) Naturalmente tutti gli occhi saranno puntati su Maddalena Netrebko, mentre le orecchie passeranno al micro(steto)scopio la voce del di lei maritino, sospettato dai soliti malpensanti di essere capitato lì solo in forza del sacrosanto e universale diritto al ricongiungimento familiare...

In attesa dell’evento gli inguaribili perditempo come il sottoscritto si esercitano (con la scusa di un ripasso della lezione) a cazzeggiare su questo o quell’aspetto del testo e della musica che allieteranno (si spera, stante la montagna di euri investita nell’operazione) il pomeriggio di SantAmbrogio e poi le meno effimere (sempre si spera) sette serate successive, fin quasi alla Befana.

Comincio con il plot messo in piedi dal buon Luigi Illica. Sul fatto che si tratti di soggetto verista sono in molti ad avanzare dubbi: perchè la vicenda sentimentale (il classico triangolo tenore-soprano-baritono) non è ambientata in qualche remoto villaggio del sud del mondo, in prosaici scenari di stampo popolaresco, ma precisamente dalle parti di Parigi, e in un periodo storico segnato da grandi eventi socio-politici, insomma qualcosa che assomiglia più ad Aida (il finale, poi...) che a Cavalleria! E i protagonisti non paiono proprio sanguigni esemplari di figli del popolo, che esternano passioni forti e incontrollate, ma al contrario lui è un nobil poeta, mite e visionario, e lei una ragazza non solo di famiglia nobile, ma pure colta, sensibile e idealista, in una parola: gente romantica. Ecco, forse il solo Gérard presenta – per sua estrazione sociale, ahilui – qualche tratto di verismo.

Ma ora passo ad occuparmi di quella che a prima vista parrebbe essere una gratuita forzatura riscontrabile nel testo di Illica. Domandandomi la ragione della presenza in scena di un Incredibile e di una frotta di Meravigliose (Inc’oyables et Me’veilleuses, secondo la pronuncia degli anti-giacobini, che avevano abolito la r-come-rivoluzione). Personaggi che nell’opera hanno la funzione di perseguitare il povero Chénier: il primo cercando le prove (proteggere una nobile) del suo tradimento della rivoluzione, le seconde – involontariamente, ma tramite gli inequivocabili riferimenti che ne fa Roucher – distruggendo provvisoriamente la visione angelicata che il protagonista si era fatto della misteriosa donna che lo inseguiva con le sue missive. La presenza di quei bizzarri personaggi è però del tutto incoerente con il resto della vicenda (a basi storiche) narrata da Illica e musicata da Giordano.

Incroyables (o Muscadins) et Merveilleuses furono in realtà due movimenti di costume (potremmo dire: due mode) nati all’interno della ricca borghesia, del ceto dei boiardi pubblici e della pur decaduta nobiltà parassitaria (insomma: tutti figli-di-papà o... figli-dei-fiori ante-litteram) che mettevano al centro delle loro esistenze il puro esibizionismo: i maschi attraverso abbigliamenti bizzarri ed appariscenti (più una nodosa clava – chiamata simpaticamente constitution o potere esecutivo - da impiegare in caso di... discussioni); le femmine con altre forme di esibizionismo, del corpo tipicamente, ricoperto da vestimenti pseudo-antica-grecia o simili, roba spesso trasparente e al limite dell’oscenità-in-luogo pubblico (Illica ne deduce conclusioni drastiche quanto eccessive: eran tutte prostitute!)

Orbene, va detto che queste mode esplosero soltanto (anche se subito) dopo la defenestrazione di Robespierre, e proprio in reazione alla di lui (ehm) severità (ghigliottina per chi si vestiva in modo stravagante) e quindi soltanto dopo la fase storica che fa da sfondo all’opera. Che oltretutto ci presenta l’Incredibile nelle vesti di una spia – che deve incastrare due nobili illuminati, Chénier e Maddalena - al servizio di Gérard, fedelissimo di Robespierre: cosa del tutto inverosimile, per quanto si è detto, ai tempi del famigerato (ma forse ben meritato) Terrore. Saranno proprio i padri degli Incredibili e delle Meravigliose a separare Robespierre dal potere (e la testa dal suo collo) per imporre – col loro Direttorio - un altro tipo di terrore (bianco) contro le classi proletarie, serbatoio indispensabile per i loro lauti profitti con cui si foraggiò anche l’esibizionismo di quella prole di gaudenti!

E allora, torniamo a chiederci: perchè introdurre surrettiziamente in un soggetto che ha uno sfondo storico ben preciso e per protagonista un personaggio realmente esistito, elementi estranei e incoerenti con lo stesso scenario del dramma? Elementi oltretutto (e ovviamente) assenti anche nelle opere (vedi Méry) che lo stesso Illica cita esplicitamente come riferimenti per il suo testo?  

Ognuno può dare le sue spiegazioni... e di sicuro una plausibile riguarda l’opportunità drammaturgica di tale scelta. Ma io ne azzardo anche un’altra che ha a che fare con la posizione, diciamo così, politico-ideologica del librettista (principalmente, ma forse anche del compositore). Se guardiamo la sequenza dei fatti e la presenza dei personaggi nel libretto, cosa possiamo stabilire? Che si parte da una situazione di profonda e cronica ingiustizia sociale (il primo atto, 1789) per approdare ad un’altra (1794) che è caratterizzzata – pur in un assetto socio-politico opposto al precedente – da altrettanta ingiustizia (alla faccia del tricolore e dei tre sostantivi che rappresenta). Ebbene, nel second’atto Illica, mostrandoci anzitempo (e fuori tempo) Incredibili&Meravigliose (per denigrarli: spie e puttane) intende mostrarci anche ciò che verrà dopo il Terrore (cioè precisamente subito dopo il sacrificio di Chénier e Maddalena, che precede di pochi giorni la ghigliottina per Robespierre): una nuova forma - magari più subdola perchè ammantata di futili libertà - di terrore, dove nuove classi andate al potere sottometteranno altre classi per perpetuarne lo sfruttamento. 

In sostanza, qual’è il messaggio che Illica ci vuol trasmettere? Di totale presa di distanza non solo dal potere assoluto pre-rivoluzione e dal potere terroristico di Robespierre, ma anche da ciò che venne dopo, in reazione alle degenerazioni giacobine. E siccome da quel dopo era nato il presente in cui Illica viveva, ecco che Chénier diventa l’occasione per prendere le distanze anche dall’establishment contemporaneo, il che è in perfetta coerenza con le idee politiche e i conseguenti comportamenti del librettista.

Alla fine ciò che emerge alla catastrofe è Chénier-Illica, il poeta, l’artista, il visionario, l’utopista, che è però anche il vero patriota:

Fui letterato,
ho fatto di mia penna arma feroce
contro gli ipocriti!
Colla mia voce
         ho cantato la patria!

29 novembre, 2017

Jansons e i bavaresi incantano la Scala con Bruckner

 

Ieri sera la Scala (concerto in memoria di Umberto Veronesi e a sostegno della sua Fondazione contro il cancro) ha ospitato la mitica Orchestra della Radio bavarese, guidata da colui che ne è da quasi 15 anni non solo l’alfiere, ma quasi un padre: Mariss Jansons.

In programma la sterminata Ottava di Anton Bruckner (versione 1890) che il 74enne Maestro lettone ha diretto per la prima volta con la sua orchestra pochi giorni fa a Monaco (qui una entusiastica recensione di quel concerto).

Dedicata all’Imperatore Franz Joseph (che si vuole compaia a cavallo nel Finale... mentre la successiva ed incompiuta Nona avrà come dedicatario nientemeno che... il buon Dio!) questa penultima sinfonia è un’ennesima (perchè tali sono tutte le altre) ardita costruzione architettonica, una di quelle cattedrali barocche tanto care al sempliciotto organista di SanktFlorian (precisamente il luogo dove lui è sepolto e dove Karajan si esibisce qui con i viennesi.) Sinfonia sulla cui struttura e contenuto ho scritto alcune note anni fa, in occasione di un concerto de laVerdi con Flor.

Prima dell’inizio, doveroso richiamo al nobile fine cui è devoluto l’incasso del concerto: lo fa Paolo Veronesi, figlio e continuatore dell’opera paterna. Meno doveroso, anche se ha a che fare in qualche modo (!) con la musica, l’intervento dell’altro rampollo del grande Umberto, tale Alberto, che ci viene a raccontare di aver convinto suo padre ad apprezzare Puccini e Mahler, che l’illustre genitore considerava troppo sentimentali. Evabbè...

In via Verdi erano parcheggiati un tir e un camion&rimorchio dei radiofonici bavaresi (reduci da Vienna) roba di lusso, che evidentemente loro si possono permettere: forse perchè... se li meritano, almeno a giudicare da ciò che si è udito ier sera. Jansons li ha schierati in configurazione rigorosamente alto-tedesca, con violini secondi al proscenio, bassi a sinistra e corni a destra. A proposito dei quali, agli otto di ordinanza (4 prendono alla bisogna le tubette wagneriane) si è aggiunto significativamente il primo corno scaligero, Danilo Stagni, che ha preso posto proprio a fianco del pari-grado bavarese: per lui dev’essere stata, immagino, una bella soddisfazione suonare a fianco di cotanti colleghi e di cotal Direttore.

E Jansons, con il suo gesto ampio che sembra voler abbracciare l’immensa compagine dei suoi Musikanten non ha tradito le aspettative, con una lettura invero magistrale di questo monumento di suoni. Difficile fare graduatorie dei momenti più coinvolgenti, poichè tutto, da primo all’ultimo degli 80 minuti, è stato di una straordinaria bellezza, creata dalla purezza del suono di questa orchestra che merita in pieno la sua fama. Ricorderò solo a mo’ di esempio l’Adagio, con i poderosi interventi degli archi, i nobili passaggi delle tubette e soprattutto la stupefacente cadenza finale di violini e ottoni.

Alla fine pareva di esser tornati ai tempi della Callas e della Tebaldi: pioggia di fiori sull’orchestra e addirittura nuvole di coriandoloni sberluscenti (quelli con cui si festeggiano le vittorie nello sport). Insomma, un trionfo come pochi è dato vedere oggigiorno in teatro. Cose che ti riconciliano con la vita.