affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

30 giugno, 2016

Mirandolina ceca a casa sua


La veneziana Fenice metterà in scena fra poco la più famosa commedia del più veneziano dei letterati, ma la musica e pure il libretto sono di un... ceco! Ecco in sintesi la Mirandolina di Bohuslav Martinů, composta nel 1954 e andata per la prima volta in scena domenica 17 maggio del 1959 (poco più di 3 mesi prima della scomparsa dell’autore, a Liestal) al Teatro Nazionale di Praga, con testo tradotto in lingua ceca da Rudolf Vonásek (un tenore che cantò anche la parte del Conte, nel secondo cast) e con aggiunta di balletti. Qui la locandina della recita del 2 giugno:


Il soggetto per certi versi richiama quello del Fritz, che la Fenice ha ospitato poche settimane addietro, trattando di un uomo che si proclama inossidabile alle tentazioni dell’amore e finisce per cadere come una pera cotta ai piedi di una donna. E inoltre sono simili la durata (circa 100 minuti) e la struttura (suddivisione in tre atti) così come la collocazione di un Intermezzo strumentale in apertura del terz’atto. Le somiglianze però finiscono qui, chè 15 lustri non sono passati invano e la musica di Martinů, per quanto saldamente ancorata al diatonismo, contiene elementi di innovazione (di stampo neoclassico) che ne sottolineano la modernità.

Per costruire il suo libretto, Martinů – aiutato dall’Aniante (Antonino Rapisarda) - prese come base il testo de La locandiera di Goldoni (1751) intervenendoci poi prevalentemente per sottrazione. Così ritroviamo nell’opera intere frasi prese di peso dalla commedia originale, parola per parola. Lo schema che segue mostra sinteticamente la struttura del lavoro di Goldoni e del libretto di Martinů. Vi si possono notare le differenze più macroscopiche (scene omesse e varianti apportate) accanto a quelle puramente formali (Goldoni seguiva più pedissequamente la regola dei cambi di scena ad ogni diversa composizione della presenza di personaggi, Martinů ha invece accorpato parecchio). Da notare anche che il compositore ha ignorato il personaggio del Servitore del Conte, invero insignificante: con ciò però rompendo la perfetta e quasi esoterica simmetria numerica goldoniana (9 personaggi: 3 uomini della nobiltà, 3 donne borghesi e 3 servitori). Ha anche ripristinato la corretta dizione di Forlimpopoli, che Goldoni (non si sa quanto involontariamente, peraltro) aveva storpiato in Forlipopoli.


Goldoni
Martinů
ATTO I
Scena I: Marchese, Conte
Il Marchese e il Conte vantano le rispettive prerogative: l’uno il lignaggio di lunga data e l’autorevolezza, l’altro i quattrini.
Scena II: Marchese, Conte, Fabrizio
Il Conte spiega a Fabrizio la differenza che lo separa dal Marchese, dandogli uno zecchino, cosa che il Marchese si guarda bene dal fare.
Scena III: Marchese, Conte
segue Scena II: Marchese, Conte
Ancora schermaglie fra Marchese e Conte a proposito del denaro e della nobiltà.
Scena IV: Marchese, Conte, Cavaliere 
Scena III: Marchese, Conte, Cavaliere 
Marchese e Conte spiegano le ragioni per cui amano Mirandolina al Cavaliere, il quale afferma di non voler saperne assolutamente di donne.
Scena V: Marchese, Conte, Cavaliere, Mirandolina
Scena IV: Marchese, Conte, Cavaliere, Mirandolina
Il Marchese vorrebbe invitare Mirandolina in camera sua, mentre il Conte pubblicamente le fa omaggio di un paio di orecchini. Il Cavaliere pretende biancheria migliore e se ne va.
Scena VI: Marchese, Conte, Mirandolina
segue Scena IV: Marchese, Conte, Mirandolina
Mirandolina si lamenta delle maniere del Cavaliere, e il Marchese e il Conte le promettono di aiutarla a liberarsi di lui.
Scena VII: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
Scena V: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
Fabrizio annuncia al Conte l’arrivo di un gioielliere. Il Conte va ad incontrarlo: vuol acquistare un nuovo gioiello per farne dono a Mirandolina.
Scena VIII: Marchese, Mirandolina
segue Scena V: Marchese, Mirandolina
Il Marchese mostra finalmente di invidiare il Conte per i suoi denari: fosse in lui, assicura Mirandolina che la sposerebbe!
Scena IX: Mirandolina sola
Scena VI: Mirandolina sola
Monologo di Mirandolina, ch disprezza tutti gli uomini che fanno i cascamorti con lei, ma non sopporta che il Cavaliere la ignori. Così decide di farlo innamorare!
Scena X: Mirandolina, Fabrizio
Scena VII: Mirandolina, Fabrizio
Mirandolina avverte Fabrizio che andrà lei personalmente a recare la biancheria al Cavaliere. A lui che le chiede di ricordare l’avvertimento del padre (di sposarlo) risponde che ci penserà quando verrà il momento opportuno. Per ora lo tiene sulla corda. Fabrizio resta interdetto.
Mirandolina avverte Fabrizio che andrà lei personalmente a recare la biancheria al Cavaliere. Per ora lo tiene sulla corda. Fabrizio resta interdetto.
Scena XI: Cavaliere, Servitore
omessa
Il Servitore recapita al Cavaliere una lettera da Siena: è morto tale Conte Manna e la figlia eredita una fortuna. Tutti vorrebbero che fosse lui a sposarla. Il Cavaliere straccia la lettera: a lui non interessa il denaro se vi è legato un vincolo matrimoniale.
Scena XII: Cavaliere, Marchese
omessa
Il Marchese fa visita al Cavaliere, sparlando del Conte. Il Cavaliere gli rimprovera il suo innamoramento per una borghese, ma improvvisamente il Marchese gli accenna ad un problema...
Scena XIII: Cavaliere, Marchese, Servitore
omessa
Il Servitore reca una cioccolata. Il Cavaliere ne ordina una seconda per il Marchese. Appreso che è finita, offre la sua all’ospite, che la beve senza complimenti e poi gli rivela finalmente il suo problema: è completamente al verde e gli chiede in prestito venti zecchini! Il Cavaliere gli mostra una sua borsa, che contiene poco più di uno zecchino e il Marchese si accontenta di quello.

Scena XIV: Cavaliere solo
omessa
Il Cavaliere si rallegra di aver perso solamente uno zecchino: è più che altro dispiaciuto per aver rinunciato alla cioccolata!
Scena XV: Cavaliere, Mirandolina
Scena VIII: Cavaliere, Mirandolina
Mirandolina reca la biancheria al Cavaliere, che sulle prime la tratta scorbuticamente. Ma lei comincia ad interessarlo mostrandosi premurosa e condividendo la di lui diffidenza verso le donne che fanno le civette e criticando gli uomini che fanno i cascamorto. É sicura di aver fatto colpo su di lui e si ripromette di farlo capitolare.
Mirandolina reca la biancheria al Cavaliere, che sulle prime la tratta scorbuticamente. Ma lei comincia ad interessarlo mostrandosi premurosa e condividendo la di lui diffidenza verso le donne che fanno le civette e criticando gli uomini che fanno i cascamorto.
Scena XVI: Cavaliere solo
Scena IX: Cavaliere solo
Il Cavaliere ribadisce a se stesso la sua regola di vita. Però, sorpreso della sua stessa crescente ammirazione per Mirandolina, si ripromette di starne il più possibile alla larga.

ATTO II
Scena XVII: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
Scena I: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
Fabrizio accoglie nella locanda Ortensia e Dejanira, credendole due dame.
Scena XVIII: Ortensia, Dejanira
omessa
Le due donne si rivelano per ciò che sono: due commedianti, che si fingono dame. Verranno raggiunte a giorni dai rispettivi uomini, che arrivano da Pisa in barca.
Scena XIX: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
Fabrizio accerta le (false) generalità delle due: Baronessa Ortensia del Poggio (da Palermo) e Contessa Dejanira del Sole (da Roma).
Scena XX: Ortensia, Dejanira, Mirandolina
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Mirandolina
Mirandolina sospetta subito che le due non siano delle nobili e poco dopo loro finiscono per ammetterlo apertamente.
Scena XXI: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese
Il Marchese arriva mostrando un fazzoletto nuovo, facendolo apprezzare alle due dame e poi a Mirandolina, alla quale lo regala. Mirandolina prima rifiuta, poi accetta dietro le insistenze del nobiluomo.
Scena XXII: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese, Conte
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese, Conte
Arriva il Conte che regala a Mirandolina un gioiello per fare da pendant con gli orecchini. Lei rifiuta, ma poi lo accetta, facendo ingelosire ulteriormente il povero Marchese, che perde anche l’invito a cena delle due dame, che se ne vanno con il Conte.
Scena XXIII: Mirandolina sola
omessa
Monologo di Mirandolina, che non si fa corrompere dalle ricchezze del Conte e dalla protezione del Marchese. Lei adesso si è impegnata (per puro puntiglio e non perchè veramente interessata a lui) a far cadere nella sua rete il Cavaliere e, visto che lui non le ha subito chiuso la porta in faccia, nutre buone speranze di poter riuscire nell’impresa.
ATTO II
Scena I: Cavaliere, Servitore, Fabrizio
Scena II: Cavaliere, Servitore, Fabrizio
Fabrizio ha recato la zuppa e il Servitore invita il Cavaliere a tavola: Mirandolina lo ha espressamente fatto servire per primo. Il Cavaliere è sempre più colpito dalle attenzioni della locandiera (anche il Servitore mostra ammirazione per lei) ma è deciso a partire per Livorno per sfuggire alle tentazioni.
Scena II: Cavaliere, Servitore
segue Scena II: Cavaliere, Servitore
Un nuovo manicaretto manda in estasi il Cavaliere, che ricomincia ad apprezzare le qualità di Mirandolina e chiede al Servitore di portare i suoi complimenti alla locandiera.
Scena III: Cavaliere, Servitore
segue Scena II: Cavaliere, Servitore
Il Servitore torna con i ringraziamenti di Mirandolina, che sta preparando un nuovo intingolo. Il Cavaliere è sempre più colpito dalle qualità della donna, ma vuol resistere e andarsene al più presto. Poi si informa su Marchese e Conte, del quale non manca di criticare l’atteggiamento sempre disponibile verso le donne, non ultime Ortensia e Dejanira.
Il Cavaliere è sempre più colpito dalle qualità della donna, in particolare dalla sua sincerità.
Scena IV: Cavaliere, Servitore, Mirandolina
Scena III: Cavaliere, Servitore, Mirandolina
Mirandolina arriva e serve personalmente un nuovo squisito manicaretto al Cavaliere, che ne rimane soggiogato. Fra i due ha luogo uno scambio di complimenti che viene suggellato da un brindisi a base di Borgogna.
Scena V: Cavaliere, Mirandolina, Marchese
Scena IV: Cavaliere, Mirandolina, Marchese
Il Marchese fa irruzione nella stanza dove il Cavaliere sta brindando con Mirandolina. Lei spiega la cosa con un piccolo malore. Il Marchese chiede di assaggiare il vino per valutarlo.
Il Marchese fa irruzione nella stanza dove il Cavaliere sta brindando con Mirandolina. Il Marchese chiede di assaggiare il vino per valutarlo.
Scena VI: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Servitore
segue Scena IV: Cavaliere, Mirandolina, Marchese
Dopo aver mangiato e apprezzato il manicaretto di Mirandolina, il Marchese disprezza il vino di Borgogna e offre a lei e al Cavaliere del vino di Cipro. Il Cavaliere mostra di apprezzarlo (mentendo) mentre Mirandolina lo definisce apertamente disgustoso, dando una lezione di sincerità al cavaliere. Il Marchese manda il Servitore con tre bicchierini del suo vino dal Conte (che sta pranzando con le due dame). Poi chiede al Cavaliere se ha visto il fazzoletto che ha regalato a Mirandolina, che dichiara di amare perdutamente.
Dopo aver mangiato e apprezzato il manicaretto di Mirandolina, il Marchese chiede al Cavaliere se ha visto il fazzoletto che ha regalato alla locandiera, quindi assaggia il vino di Borgogna e dichiara di amare perdutamente Mirandolina.
Scena VII: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Servitore
omessa
Il Conte ha ricambiato il favore del Marchese (vino di Cipro) con vino delle Canarie. Il Marchese lo disprezza, ma se ne va via portandosi dietro la bottiglia.
Scena VIII: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
segue Scena IV: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
Dopo avere canzonato il Marchese, il Cavaliere invita Mirandolina ad un ultimo brindisi, che lei accompagna cantando una curiosa ed ammiccante filastrocca: Viva Bacco, viva Amore.
Dopo avere canzonato il Marchese, il Cavaliere invita Mirandolina ad un ultimo brindisi, che lei accompagna cantando una curiosa ed ammiccante filastrocca: Viva Bacco, viva Amore. Filastrocca ripetuta subito a due voci.
Scena IX: Cavaliere, Servitore
Scena V: Cavaliere, Servitore
Il Cavaliere si sente in trappola e per l’ultima volta decide di fuggirsene a Livorno.
Scena X: Conte, Ortensia, Dejanira
omessa
Il Conte confida alle due (finte) dame di essere innamorato di Mirandolina e poi esprime i suoi giudizi sul Marchese e sul Cavaliere. A proposito di quest’ultimo, chiede alle due comiche di provare a farlo innamorare.
Scena XI: Conte, Ortensia, Dejanira, Servitore2
omessa
Il Conte manda il suo Servitore a chiamare il Cavaliere, dopo aver promesso alle dame di procurare i regali che il Marchese ovviamente non può fare.
Scena XII: Conte, Cavaliere, Ortensia, Dejanira
omessa
Il Cavaliere arriva e il Conte gli presenta le due (finte) dame, che cominciano a fargli domande vaghe, mentre lui è impaziente di andarsene via, a Livorno. Il Conte li lascia soli.
Scena XIII: Cavaliere, Ortensia, Dejanira
omessa
Ortensia e Dejanira cercano di stuzzicare il Cavaliere che - finchè le crede dame - vorrebbe andarsene al più presto. Quando però gli rivelano di essere commedianti, allora si distende, non avendo nulla da temere da donne come quelle. Così le tratta con il loro stesso linguaggio e quelle se ne vanno scornate.
Scena XIV: Cavaliere, Servitore
segue Scena V: Cavaliere, Servitore
Il Cavaliere si compiace di aver licenziato le due commedianti, ma continua a sospirare per Mirandolina. Il Servitore avverte il Cavaliere che nella sua camera è arrivato il Marchese, che il Cavaliere vuole evitare a tutti i costi. Così chiede al Servitore di preparare i bagagli. Però nel suo animo si manifesta un vivo contrasto.
Il Cavaliere chiede al Servitore di fargli preparare il conto, avendo deciso di partire subito. Però nel suo animo si manifesta un vivo contrasto.
Scena XV: Cavaliere, Fabrizio
omessa
Fabrizio comunica al Cavaliere che Mirandolina gli porterà il conto, ma non in camera, dove c’è il Marchese. Fabrizio non perde occasione per dileggiare il nobile: Mirandolina non sarà mai sua.
Scena XVI: Cavaliere solo
segue Scena V: Cavaliere solo
Il Cavaliere vede Mirandolina arrivare con il conto e si prepara a reggere l’ultimo assalto.
Scena XVII: Cavaliere, Mirandolina
Scena VI: Cavaliere, Mirandolina
Mirandolina arriva con il conto e con le lacrime agli occhi, mostrando dolore per l’improvvisa partenza del Cavaliere. Infine finge uno svenimento, al che il Cavaliere riconosce di essere innamorato pazzo di lei. Va a prendere dell’acqua per farla rinvenire e si ripromette di rimanere.
Scena XVIII: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
segue Scena VI: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
Il Servitore arriva con i bagagli, ma il Cavaliere lo manda al diavolo, poi si china su Mirandolina per farla rinvenire.
Scena XIX: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Conte
segue Scena VI: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Conte, Ortensia, Dejanira
Arrivano il Marchese e il Conte che si prendono gioco del Cavaliere, che se ne va via furioso, rompendo il vaso dell’acqua ai piedi del Marchese. Mirandolina gongola per la vittoria conseguita.
Arrivano il Marchese e il Conte (con Ortensia e Dejanira) che si prendono gioco del Cavaliere, che se ne va via furioso rompendo il vaso dell’acqua ai piedi del Marchese. Mirandolina gongola per la vittoria conseguita e ripete il brindisi di Bacco.
ATTO III
Scena I: Mirandolina, Fabrizio
Scena I: Mirandolina, Fabrizio, Servitore
Mirandolina stira la biancheria e chiede a Fabrizio il ferro caldo. Lui si lamenta di come viene trattato, teme che lei lo ignori, puntando a sposare un nobile. Lei gli dà risposte ambigue.
Scena II: Mirandolina, Servitore
segue Scena I: Mirandolina, Servitore
Il Servitore del Cavaliere porta a Mirandolina una boccetta d’oro zecchino con dell’elisir di melissa. Lei chiede come mai il Cavaliere non glielo abbia dato al momento del suo svenimento. Il Servitore le confida che boccetta e contenuto sono stati appena acquistati. Mirandolina rifiuta il dono, poi, sulle insistenze del Servitore, ne beve un sorso e restituisce la boccetta.
Il Servitore del Cavaliere porta a Mirandolina una boccetta d’oro zecchino con dell’elisir di melissa. Mirandolina rifiuta il dono, nonostante le insistenze del Servitore, e restituisce la boccetta.
Scena III: Mirandolina, Fabrizio
segue Scena I: Mirandolina, Fabrizio
Fabrizio torna col ferro caldo. Ha incontrato il Servitore del Cavaliere dal quale ha saputo del regalo. Mirandolina gli confessa di averlo rifiutato, poi rispedisce Fabrizio a prendere un altro ferro caldo.
Scena IV: Mirandolina, Cavaliere
Scena II: Mirandolina, Cavaliere
Il Cavaliere si presenta rammaricandosi del rifiuto di Mirandolina ad accettare la boccetta d’oro. Lei lo stuzzica, incolpandolo di aver provocato il suo svenimento facendole bere troppo vino. Lui la invita ancora nella sua camera, ma lei rifiuta sdegnosamente. Lui ancora insiste perchè lei accetti la boccetta, visto che aveva accettato regali dal Marchese e dal Conte. Lei continua a martoriarlo, rinfacciandogli il suo disinteresse per le donne. Lui confessa di essere stato colpito dalla sua bellezza e gentilezza e insiste con la boccetta. Allora lei la prende e la getta nel cesto della biancheria.
Scena V: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
segue Scena II: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Fabrizio torna col ferro caldo. Mirandolina lo tratta con dolcezza, per far ulteriormente ingelosire il Cavaliere.
Scena VI: Mirandolina, Cavaliere
segue Scena II: Mirandolina, Cavaliere
Il Cavaliere insinua che Mirandolina sia innamorata di Fabrizio. Lei risponde che mai si abbasserebbe a sposare un uomo di umili origini. Lui le dice che sarebbe degna di un Re, suscitando l’ironia di lei. Così il Cavaliere cede del tutto, e le confessa di amarla perdutamente, e d’esser sul punto di svenire. Allora lei gli getta la boccetta con lo spirito! Lui cerca di avvicinarla e lei lo scotta con il ferro, poi chiama Fabrizio. Il Cavaliere dà in escandescenze, ma lei lo lascia con un palmo di naso.
Scena VII: Cavaliere solo
segue Scena II: Cavaliere solo
Il Cavaliere maledice il momento in cui è caduto in trappola: ormai sa di non avere più scampo.
Scena VIII: Cavaliere, Marchese
omessa
Il Marchese rimprovera il Cavaliere per il lancio del vaso, che gli ha sporcato i calzoni. Il Cavaliere si scusa, poi il Marchese lo stuzzica insinuando che lui – a parole ostile al gentil sesso - si sia innamorato di Mirandolina. Il Cavaliere se ne va adirato.
Scena IX: Marchese solo
omessa
Il Marchese è certo che il Cavaliere sia innamorato di Mirandolina. Poi pensa a come smacchiare i calzoni. Vede la boccetta d’oro (che pensa essere similoro) ne annusa il contenuto e lo assaggia.
Scena X: Marchese, Dejanira
omessa
Arriva Dejanira e si offre di smacchiare i calzoni del Marchese, poi vede la boccetta e il Marchese finisce per regalargliela. Lei va dalla sua amica.
Scena XI: Marchese, Servitore
omessa
Arriva il Servitore del Cavaliere, in cerca della boccetta, d’oro puro. Il Marchese nega di averla vista.
Scena XII: Marchese, Conte
Scena III: Marchese, Conte, Ortensia, Dejanira
Il Marchese si dispera per aver regalato oro puro credendolo falso. Arriva il Conte che confida al Marchese che il Cavaliere è innamorato di Mirandolina. Il Marchese è certo che Mirandolina non corrisponda quell’amore, ma il Conte gli ricorda tutti gli indizi che rendono la cosa plausibile: i servizi speciali che la locandiera riserva al Cavaliere, che l’ha ospitata al suo tavolo. E lui le ha regalato una boccetta d’oro! Il Marchese approfitta per chiedere ed ottenere dal Conte del denaro in prestito. Il Conte ha deciso di abbandonare la locanda e convince il Marchese a far lo stesso. Poi gli rivela che le commedianti (che il Marchese ancora considerava delle nobili) se ne sono pure andate. Il Marchese decide di inseguirle, per recuperare la boccetta d’oro.
Arriva il Conte con Ortensia e Dejanira. Confidano al Marchese che il Cavaliere è innamorato di Mirandolina. Il Marchese è certo che Mirandolina non corrisponda quell’amore, ma il Conte gli ricorda tutti gli indizi che rendono la cosa plausibile: i servizi speciali che la locandiera riserva al Cavaliere, che l’ha ospitata al suo tavolo. Tutti insieme decidono di abbandonare la locanda.
Scena XIII: Mirandolina sola
Scena IV: Mirandolina sola
Mirandolina è preoccupata per le conseguenze del suo adescamento del Cavaliere: teme che lui possa combinare qualche guaio. Decide allora di risolvere tutti i problemi sposando Fabrizio.
Scena XIV: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
segue Scena IV: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Il Cavaliere bussa alla porta (chiusa) e Mirandolina prende tempo, mandandolo in camera sua e promettendogli di raggiungerlo là. Poi chiama Fabrizio e gli confessa di essere sorpresa dalle attenzioni del Cavaliere e di aver deciso di sposarsi. Fabrizio le ricorda l’ammonimento di suo padre (a sposare lui).
Scena XV: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Scena V: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Il Cavaliere è tornato e bussa insistentemente alla porta. Mirandolina chiede aiuto a Fabrizio per difendersi da quell’assatanato, poi se ne va. Fabrizio a sua volta chiede aiuto.
Scena XVI: Cavaliere, Fabrizio, Marchese, Conte
segue Scena V: Cavaliere, Fabrizio, Marchese, Conte
Il Marchese e il Conte entrano da un’altra porta e domandano a Fabrizio di che si tratta. Il Cavaliere continua a bussare e il Conte chiede che gli si apra. Il Cavaliere entra imbestialito, in cerca di Mirandolina, accusata di non aver obbedito ad una sua richiesta. Fabrizio spiega a tutti che si trattava di un invito in camera! Viene subito cacciato via dai tre.
Il Marchese e il Conte entrano da un’altra porta e domandano a Fabrizio di che si tratta. Il Cavaliere continua a bussare e il Conte chiede che gli si apra. Il Cavaliere entra imbestialito, in cerca di Mirandolina. Fabrizio viene subito cacciato via dai tre.
Scena XVII: Cavaliere, Marchese, Conte
segue Scena V: Cavaliere, Marchese, Conte
Il Conte si prende gioco del Cavaliere, rinfacciandogli la sua incoerenza, tra il disprezzo per le donne e l’innamoramento per Mirandolina. In più, il Conte si dichiara offeso: la locandiera è innamorata di lui e il Cavaliere è reo di aver tentato di sottrargliela. Il Cavaliere nega tutto e pretende soddisfazione per l’offesa. Prende la spada del Marchese, che non esce dal fodero, poi ne esce solo uno spezzone. Il Cavaliere e il Conte stanno ormai per iniziare un duello.
Scena XVIII: Cavaliere, Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
Scena VI: Cavaliere, Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Ortensia, Dejanira
Arrivano Mirandolina e Fabrizio per fermare il duello. Il Conte ripete l’accusa al Cavaliere di essere innamorato della locandiera. Il Cavaliere nega recisamente, ma mostra grande imbarazzo e nervosismo. Mirandolina, per metterlo in difficoltà, confessa di aver tentato di adescarlo, ma senza risultato. Il Cavaliere, frastornato, le chiede se tutte le sue lacrime e svenimenti fossero fasulli, mostrando a tutti di averci creduto. Mirandolina gli fa notare che così lui sembra davvero innamorato. Lui nega ancora, ma la locandiera prepara la prova del fuoco: chi è innamorato è anche geloso e lei dimostrerà che il Cavaliere geloso non è, poichè nulla obietterà apprendendo che lei intende sposare Fabrizio, come le aveva consigliato suo padre. Il Conte e il Marchese le offrono la loro protezione e una dote, che lei rifiuta. Il Cavaliere, al sommo dello scorno, la maledice e se ne va definitivamente.
Arrivano Mirandolina e Fabrizio, con Ortensia e Dejanira, per fermare il duello. Il Conte, il Marchese e Fabrizio ripetono l’accusa al Cavaliere di essere innamorato della locandiera. Il Cavaliere nega recisamente e Mirandolina, per metterlo in difficoltà, confessa di aver tentato di adescarlo, ma senza risultato. Poi annuncia a tutti che lei intende sposare Fabrizio. Il Cavaliere, al sommo dello scorno, la maledice e se ne va definitivamente.
Scena XIX: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
segue Scena VI: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Ortensia, Dejanira
Il Conte e il Marchese hanno la conferma che il Cavaliere è davvero innamorato. Mirandolina si augura che non torni più e chiede a Fabrizio di dargli la sua mano. Lui recalcitra, temendo di restar vittima degli adescamenti di una donna insincera. Lei cerca di rassicurarlo: con il Cavaliere ha solo scherzato e da sposata saprà bene cosa fare.
Tutti hanno la conferma che il Cavaliere è davvero innamorato. Mirandolina chiede a Fabrizio di dargli la sua mano. Lui recalcitra, lei cerca di rassicurarlo: con il Cavaliere ha solo scherzato e da sposata saprà bene cosa fare.
Scena XX: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Servitore
segue Scena VI: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Ortensia, Dejanira
Il Servitore del Cavaliere viene ad annunciare la loro partenza. Mirandolina si sente sollevata: ha corso in bel rischio! Il Conte e il Marchese ancora offrono la loro protezione, che lei rifiuta garbatamente, ma con fermezza. Poi si rivolge a Fabrizio, che ancora resta dubbioso, ma infine cede, dietro le promesse di amore e fedeltà della locandiera. Al Marchese e al Conte che ancora le fanno complimenti (il Marchese le consegna anche la boccetta d’oro) Mirandolina chiede un ultimo favore: cambiare locanda! Poi li accommiata con la morale della favola: traete una lezione da ciò che avete vissuto qui e ricordatevi della locandiera.
Fabrizio finalmente ha ceduto, e tutti si rallegrano con i novelli sposi. Infine Mirandolina espone la morale della favola: traete una lezione da ciò che avete vissuto qui e ricordatevi della locandiera. Un evviva! generale al suo indirizzo chiude l’opera.

Come si vede, pur avendo mantenuto la strutturazione in tre atti, Martinů ha introdotto alcune varianti e sforbiciate al testo originale di Goldoni, cassando alcune scene evidentemente ritenute troppo eccentriche rispetto al cuore della commedia da musicare.

Una modifica abbastanza rilevante riguarda l’anticipo della fine del primo atto, che chiude con il monologo del Cavaliere, il che comporta lo spostamento all’inizio del secondo dell’arrivo e della presentazione delle due finte dame. In questo primo atto Martinů sopprime (comprensibilmente) la scena della lettera da Siena, che non farebbe che ribadire le attitudini già note del Cavaliere verso il gentil sesso; ed anche l’episodio della cioccolata, relativo alle richieste di denaro che il Marchese avanza al Cavaliere (sappiamo già che il Marchese è in bolletta). Per la stessa ragione verrà ignorata - Atto III, Scena XII (III nell’opera) – la richiesta di denaro che il Marchese avanza al Conte. Evidentemente allo scopo di irrobustire ulteriormente la personalità di Mirandolina, Martinů elimina il particolare relativo al consiglio datole dal padre di sposare Fabrizio: così alla fine la sua decisione (non condizionata da alcunchè) acquista maggior peso e importanza.

Nel second’atto Martinů depenna (cosa questa opinabile, ma forse spiegabile col fatto che la protagonista aveva appena cantato il lungo monologo del prim’atto) il secondo monologo di Mirandolina (che in Goldoni chiude il primo atto) nel quale la locandiera manifesta la sua indifferenza per Marchese e Conte e proclama invece la sua programmatica intenzione di vincere le resistenze del Cavaliere. Cassata (a ragione) la manfrina dei vini: quello di Cipro offerto dal Marchese e quello delle Canarie ricambiato dal Conte (non fa che ri-sottolineare la tirchieria del primo e la larghezza di mezzi del secondo). Inoltre vengono espunte le scene che trattano delle trame che il Conte e le due finte dame mettono in atto, senza successo, per far innamorare il Cavaliere. Anche questa è una scelta opinabile (ci priva di un lato interessante della personalità del Cavaliere, che mostra di non temere, anzi di divertirsi a dileggiare donne... leggere) dettata probabilmente dalla necessità di concisione che condizionava il compositore.

Nel terzo atto vengono comprensibilmente omesse o smagrite le scene relative alle vicissitudini della boccetta d’oro del Cavaliere (il suo ritrovamento da parte del Marchese in cerca di... smacchiatori e ciò che ne consegue). In compenso Martinů richiama in servizio le due finte dame, probabilmente solo per far da riempitivo nei passaggi d’insieme del finale dell’opera.

Tirate le somme, è un libretto assai agile e godibile, che conserva in larga parte le qualità letterarie ma soprattutto anche morali (così Goldoni nella prefazione alla commedia) del testo originale.
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Poche sono, purtroppo, le incisioni disponibili dell’opera: la prima – pubblicata su youtube - è presa da un’esecuzione dal vivo, diretta da Riccardo Frizza (ad essa faccio riferimento nel seguito). Ecco poi un paio di recenti riprese.

Martinů si orienta verso una specie di Singspiel (dove peraltro i parlati puri sono assai ridotti) e su tecnica Durchkomponieren, dove quindi i temi ricorrenti (non si può certo parlare di Leit-Motive) si contano col lanternino. Il più evidente di questi è quello (pare quasi Rimski, Capriccio spagnolo...) che apre l’opera (5”) in DO maggiore evocando la prosopopea e la vanagloria dei nobili, restando poi in sottofondo nelle prime scene; quindi ne udiamo una citazione (16’43”) all’inizio del monologo di Mirandolina, dopo che il Marchese ha dichiarato che sarebbe pronto a sposarla. Il motivo torna ancora, anche variato, come nell’atto II, scena V (1h00’52”) quando il Cavaliere sembra deciso ad andarsene; quindi (1h38’56”) fa una fugace apparizione (atto III, scena VI) quando Mirandolina chiede pubblicamente la mano di Fabrizio. Infine (1h42’30”) fa un’ultima comparsa subito prima del travolgente finale.

Un altro motivo che si potrebbe riferire alla propensione di Mirandolina per il suo Fabrizio compare una prima volta nella scena VI del prim’atto (23’46”) quando la locandiera fa al suo cameriere una nemmeno troppo criptica dichiarazione; poi lo riudiamo (1h08’35”) nel bel mezzo...  dell’Intermezzo che apre il terz’atto; quindi ancora (1h12’40”) nella scena iniziale del medesimo atto III, dove Fabrizio insinua che Mirandolina miri a conquistare un nobile; e subito dopo (1h15’22”) ad accompagnare le parole di Fabrizio (Cara Mirandolina); infine (1h39’18”) nella successiva scena VI, allorquando Mirandolina chiede la mano di Fabrizio proprio coram-populo. Tutte le apparizioni sono sempre ed invariabilmente nella tonalità di FA maggiore, che con il DO e il SIb ha la prevalenza in questa partitura. Altro motivo che ricorre nel terzo atto è anticipato (1h08’11”) nell’Intermezzo che lo apre; il motivo torna poi (1h13’02” e 1h14’47”) durante la scena I (Mirandolina-Fabrizio) e poi ancora (da 1h16’00”) nella scena II a sottolineare le pene del Cavaliere, ormai cotto e stracotto della locandiera, come testimonia (1h21’31”) lo schianto del motivo, letteralmente sfigurato, dopo che lui le ha confessato la sua scottatura al cuore.

Essendo per principio banditi i tradizionali numeri chiusi, l’unico spazio lasciato ad un prolungato intervento solistico è il monologo di Mirandolina (atto I, scena VI, 16’34”). Un altro, minuscolo brano con caratteristiche tradizionali è il brindisi di Mirandolina (58’57”) subito ripreso dal Cavaliere e poi ripetuto dalla stessa Mirandolina in chiusura dell’atto II. Troviamo nell’opera anche duetti, terzetti e concertati, ma nessuno di essi ha struttura e caratteristiche tradizionali.

Più che motivi che caratterizzino specificamente i singoli personaggi, Martinů sembra privilegiare la pittura delle atmosfere delle scenette che si susseguono con grande rapidità. Prevalentemente i tempi sono spediti, come si addice del resto ad una commedia brillante (pur densa di significati psico-sociologici).

Martinů fa sfoggio della sua felice inventiva in alcuni brani puramente strumentali, come l’Interludio (25’14”) che separa le scene VII e VIII dell’atto I (fine del dialogo di Mirandolina con Fabrizio e visita della locandiera al Cavaliere per consegnargli la biancheria, dove lei gli dice: ad un altro non la darei... !!!) che accompagna l’agitazione della donna che si prepara alla conquista del Cavaliere e poi le maniere adulanti e ammiccanti che lei impiegherà per raggiungere l’obiettivo. Mirabile anche la breve introduzione (45’38”) alla scena II dell’atto II (il Cavaliere che ormai ha la testa occupata da Mirandolina) che presenta (46’26”) un autentico love-theme. Ma il pezzo strumentale più corposo – e famoso – è l’Intermezzo che apre l’atto III (1h07’00”) un saltarello spiritoso (dove sembrano far capolino DeFalla e Rossini) che evoca l’eccitazione di Mirandolina, ormai certa di aver messo nel sacco il Cavaliere - ma ci ricorda anche il motivo della sua simpatia per Fabrizio - e che contrasta assai con l’atmosfera della scena I, caratterizzata dal ritorno della protagonista con i piedi per terra. Più avanti (dopo la scena II) ecco un breve e nervoso intermezzo (1h23’29”) che ben sottolinea la crescente agitazione che ha invaso corpo e anima del Cavaliere, che si è appena apertamente dichiarato a Mirandolina. Prima della scena IV ancora un brano strumentale (1h27’41”) con un bell'intervento delle trombe, che introduce efficacemente lo stato d’animo preoccupato di Mirandolina, che teme di essere andata troppo in là con la finzione nei confronti del Cavaliere, ed ora comincia a pensare seriamente alla soluzione-Fabrizio.

Quanto alle voci, la parte di Mirandolina è di sicuro la più ardua: non tanto in ragione della tessitura (che tocca al massimo e proprio episodicamente il SIb, alla fine del monologo – la bella natura) ma per la quantità (la presenza quasi costante in scena) e la qualità (le mille diverse sfumature del carattere della locandiera) dell’impegno che richiede. 

Infine, la scrittura orchestrale, pur nella relativa parsimonia dei mezzi impiegati, è davvero lussureggiante e contribuisce a mantenere sempre alta la tensione lungo i tre atti dell’opera. 
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Prossimamente qualche nota dopo esperienza dal vivo.

29 giugno, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°24


Torna dopo un paio di turni l‘italiana di adozione Angela Hewitt per proporci un monumento del pianismo ottocentesco, il Primo Concerto di Brahms. Sul podio un Direttore – il nordico Hannu Lintu - che fa spesso coppia con lei (e domani tutti, Orchestra compresa, si trasferiranno in Umbria dove saranno protagonisti del Festival del Trasimeno, presentando questo stesso programma). 

Programma che presenta due opere di altrettanti (c’è mancato poco!) mariti di tale Clara Wieck. Entrambe in RE minore ed entrambe caratterizzate da una gestazione assai più laboriosa di quella dell’elefante, che ha il record (con quasi 2 anni) fra i mammiferi.

Brahms cominciò la sua nel 1852 con un una Sonata per due (!) pianoforti, che poi si accorse essere troppo poco... rumorosa, così pensò di trasformarla in Sinfonia, che però gli parve ancor più velleitaria, e così più di 7 anni dopo potè a fatica presentare il suo Concerto ad Hannover, poi a Lipsia dove ricevette una sonora disapprovazione. Erano tempi in cui spopolava un tale Liszt, il cui primo concerto, del 1855, sta proprio agli antipodi di quello di Brahms. A cominciare dalla concisione, 25 minuti al massimo, mentre Brahms supera abbondantemente il doppio, neanche fosse una sinfonia di Mahler (e infatti il concerto doveva essere appunto una sinfonia...) Poi l’ungherese dà spazio al virtuosismo più strepitoso (sic) laddove il burbero amburghese ci rifila una mappazza tutta cerebrale, ecco.

Non so se sia un fatto di bioritmi (che salgono e scendono) ma la prestazione della Hewitt non mi ha per nulla entusiasmato: per lei i mostruosi passaggi in doppia ottava del primo movimento devono essere stati un calvario, tanto che il miglior solista lì è risultato essere... il corno di Ceccarelli! Appena meglio l’Adagio, ma poi anche il Rondo non mi è parso proprio impeccabile.

Alla fine lei si è pure presa parecchi brava! e non sarò certo io a toglierglieli. Domanda: come mai non ha concessso un bis?
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Accanto a Brahms nessuno poteva star meglio di... Schumann, del quale si è eseguita la Quarta Sinfonia. L'allampanato Lintu – gesto ampio e sobrio - ci dà dentro con le dinamiche (decibel a volontà) e non ci risparmia nemmeno un da-capo, così ottenendo dai ragazzi un’esecuzione di quelle che impediscono agli spettatori di appisolarsi, ed è già un bel merito. Alla fine tutti si godono ovazioni e applausi ritmati, da parte di una sala per la verità piuttosto spopolata.

25 giugno, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°23


Tocca ad uno dei tre Direttori Principali Ospiti, l'orsacchiotto uzbeko Aziz Shokhakimov, condurre i ragazzi de laVERDI nel concerto di questa settimana, interamente dedicato a Mendelssohn.

Del quale ascoltiamo subito il celeberrimo Concerto per violino, interpretato dal non ancora 40enne serbo Stefan Milenkovich, ex-bambino-prodigio cresciuto anche in Italia e ora americanizzato.

Non si scopre di certo qui la sua straordinaria tecnica, come la sua grande amabilità, dimostrata al termine di un’esecuzione strepitosa, con simpatiche battute ad intercalare non un bis ma addirittura un tris! Tre tappe perfettamente consequenziali: da Mendelssohn non si può che andare a Bach (Allemanda dalla Partita 2); poi ancora Bach (Preludio dalla Partita 1); e da qui, per simpatia, alla Ossessione di Ysaÿe!
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Seconda parte occupata dall’intero (ehm... quasi) corpo delle musiche di scena composte nel 1842 da Mendelssohn per la versione tedesca dello shakespeare-iano Sogno di una notte d’estate (titolo assai appropriato all'attualità... brexit, dico!) Alla famosa Ouverture, che il 17enne di Lipsia aveva composto 16 anni prima, furono aggiunti 13 numeri, che accompagnano alcune delle scene principali del dramma. Di questi, 8 hanno caratteri di numero chiuso (strumentale e con eventuali voci, n° 1-3-5-7-9-11-12-13) mentre gli altri 5 sono costituiti da successioni di brani, spesso brevi o brevissimi, e servono da riempitivo musicale per alcune scene del dramma. Qui vengono eseguiti, dopo l’Ouverture, i numeri 1-3-5-7-9-10(solo la marcia funebre)-11-13.

Se interessa un’esecuzione integrale, la si può seguire con André Previn alla guida della London Symphony.

Mendelssohn, dopo l’Ouverture (in MI maggiore) che è abbastanza lunga (11-13 minuti) non compose alcunchè per l’intero primo atto, che introduce i personaggi umani della vicenda: Teseo e Ippolita, futuri sposi; Egeo, che ha un diavolo per capello (sua figlia Ermia vuol sposare Lisandro invece di Demetrio); Elena, innamorata respinta da Demetrio; una compagnia di artigiani ateniesi che intende allestire uno spettacolo teatrale in onore di Teseo-Ippolita.

A chiusura dell’Atto I ecco invece lo Scherzo (N°1, SOL minore, 12’30”) al termine del quale compare il folletto Puck, che subito all’inizio dell’Atto II incontra una fatina. I due si scambiano notizie sui rispettivi sovrani (Oberon e Titania) che sono però in lite, contendendosi il possesso di un fanciullo indiano. Il N°2 (inizialmente in SOL minore, 17’23”) fa da sfondo al loro incontro. Poi ecco arrivare (17’57”) i cortei di Oberon e Titania, accompagnati da una marcetta in MI minore. Qui abbiamo il battibecco Titania-Oberon a proposito del piccolo indiano e Titania se ne va. In SI minore (19’22”) la musica accompagna ora Oberon che si fa aiutare da Puck a mettere in atto la sua magìa per sottomettere Titania.

Il N°3 (Atto II, Scena II) è un Canto con coro (19’38”): le fatine di Titania (due soprani e il coro femminile) espongono due strofe (in LA minore) e due ritornelli (in LA maggiore). Il N°4 consiste di due coppie di sequenze (MI minore, SI minore) che accompagnano (24’03”) Oberon che opera la magìa su Titania, poi l’arrivo di Ermia e Lisandro, quindi Puck (24’30”) che opera la magìa su Lisandro (invece che su Demetrio) e infine (24’48”) l’arrivo di Elena e Demetrio, cui segue il risveglio di Lisandro che si innamora di Elena.

Il N°5 (LA minore e DO maggiore, 24’55”) è un brano agitato che si suona in chiusura dell’Atto II, quando Ermia si perde nel bosco. Si chiude (27’24”) con un passaggio in LA maggiore che accompagna l’allegro ingresso in scena (Atto III) degli artigiani che discutono dello spettacolo da allestire. Il N°6 (28’26”) è un lungo susseguirsi di spezzoni musicali che devono sottolineare le complicate vicende dell’intero terzo atto: Puck che si prende gioco di Bottom (facendogli una testa d’asino) e Titania che si sveglia (29’34”, i quattro accordi dell’Ouverture distortamente armonizzati) innamorandosi dell’asino, con i folletti che esultano (29’58”). Poi Puck (31’00”) che torna da Oberon, e i due che vedono arrivare Ermia e Demetrio, al che Puck confessa di aver fatto la magìa all’uomo sbagliato. Quindi i battibecchi di Elena con Ermia, Demetrio e Lisandro, il mancato duello fra i due ateniesi, e infine Puck che fa la magìa su Lisandro, per farlo tornare innamorato di Ermia. E qui abbiamo, in chiusura di Atto III (33’38”) il famoso Notturno (N°7, MI maggiore) che accompagna i due amanti addormentati, ma prelude anche al sonno di Titania e Bottom-asino all’inizio dell’Atto IV.

Il N°8 (MI maggiore e minore) fa da sfondo (40’54”) all’inizio dell’Atto IV: Oberon ha ottenuto il fanciullo indiano ed ora sveglia Titania dall’incantesimo, riappacificandosi con lei. Da qui niente musica fino a fine atto (arrivo di Teseo e riconciliazione generale di Egeo con Ermia-Lisandro ed Elena-Demetrio) e i preparativi dello spettacolo degli artigiani.

La celeberrima Marcia nuziale (N°9, DO maggiore) viene suonata alla fine dell’Atto IV (43’08”) così introducendo l’atto conclusivo in Atene. Il N°10 (DO maggiore, minore e MIb maggiore, 48’17”) contiene poche battute per sottolineare l’inizio della rappresentazione e successivamente (48’51”) la marcia funebre per Piramo e Tisbe, amanti suicidi.

Il N°11 (SI maggiore) è la Danza dei clown (Bergomask) che chiude (49’50”) lo spettacolo degli artigiani. Il N°12 (DO maggiore, coda della marcia nuziale) accompagna Teseo e Ippolita in corteo (51’31”); poi (MI minore, i folletti) ecco Puck che anticipa l’arrivo dei cortei di Oberon e Titania. Sono le fate (N°13, finale, SOL minore e MI maggiore) a chiudere lo spettacolo (52’33”) prima del ritorno dei quattro accordi del motto che aveva aperto l’Ouverture.
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L’esuberante (e pure esilarante) Shokhakimov, che nell’intervallo ha smesso il frac per vestire un blusone leggero, ha diretto con molta gigionaggine e pochissima leggerezza, il che non è l’ideale per ricreare l’atmosfera romantica ed eterea di questa partitura. Eccellente la prestazione del coro rosa (10 soprano e 10 mezzo) di Erina Gambarini, che ha ben supportato le due fatine Nina Almark e Mariachiara Cavinato.

Alla fine un successone per tutti, in un Auditorium piacevolmente affollato.

16 giugno, 2016

LaVERDI 2016 – Concerto n°22 - Gala Rossini


Ancora Jader Bignamini in Auditorium per una serata tutta rossiniana. Il nostro comincia così ad immergersi nel mondo anche canoro del pesarese (fino ad oggi si era cimentato più che altro in alcune importanti sinfonie) in vista del suo esordio al ROF il prossimo agosto, con le quattro recite del Ciro in Babilonia, alla testa dell’Orchestra di... Mariotti.    
    
Il programma alternava sinfonie e numeri da quattro opere: Tell, Cenerentola, Barbiere e Semiramide.

Dopo la Sinfonia, aperta dal suono cupo e profondo del violoncello di Tobia Scarpolini, e che l’Orchestra ha eseguito, come altre volte in passato, con grande sensibilità, è toccato ad Alberto Gazale rompere il ghiaccio del canto, con Sois immobile, che Tell canta poco prima di centrare con millimetrica precisione il pomo che lo sbifido Gessler ha depositato sul capino del figlioletto Jemmy. Il baritono veronese sfoggia il suo vocione, tanto potente quanto non perfettamente gestito (alle mie orecchie), cosa che confermerà nel seguito della serata. 

Più che apprezzabile la prova della Cenerentola Chiara Amarù, che sfoggia grande agilità nei virtuosismi di cui imbelletta Nacqui all’affanno e gradita sorpresa quella di Levy Strauss (!) Segkapane, un simpatico negretto che viene dalla terra di Mandela e che mi pare promettere benissimo (sarà anche lui all’esordio al prossimo ROF nel Turco). Lui si è ben portato in Sì, ritrovarla io giuro e insieme hanno duettato poi in Un soave non so che.

Poi il Barbiere, con l’inflazionata Sinfonia e i due pezzi forti: il Factotum, dove Gazale sfoggia autorevole presenza scenica, non però accompagnata da altrettanta qualità canora (emissione piuttosto sguaiata) e la Voce poco fa della Amarù, assai più convincente. Dopo il duetto dei suddetti (Dunque io son) un’aria desueta di Almaviva (Cessa di più resistere) che consente a Segkapane di confermare le sue ottime doti.

Il programma ufficiale si chiude alla grande con l’imponente sinfonia di Semiramide, che consente all’Orchestra di esibire il suo stato di grazia.

Ma non potevano mancare dei graditi supplementi: ecco quindi due altre perle dal Barbiere, prima il duetto All’idea di quel metallo e poi il terzetto Presto, presto, che chiudono in bellezza suscitando ovazioni dal un pubblico assai folto e divertito.

11 giugno, 2016

Iván Fischer e la sua Budapest incantano Ravenna


Ieri il Ravenna Festival ha ospitato nel palazzone De Andrè (occupato peraltro a non più del 70% della capienza) una delle Orchestre europee che più si son messe in luce negli ultimi anni, la Budapest Festival Orchestra, guidata da uno dei suoi fondatori, Iván Fischer (famiglia di direttori, come il fratello Adam).

Il programma – lo stesso offerto appena la sera precedente al Marinsky di SanPietroburgo! cambiava solo il solista – spaziava dalla Russia (occidentalizzata) di Stravinski alla Boemia di Dvořák, passando per l’Ungheria di Liszt.

Concerto aperto dalle musiche per il balletto Jeu de cartes del 1936, tre mani a poker (Stravinski andava pazzo per quel gioco) dove i danzatori impersonano appunto le carte: fra essi c’è una specie di dittatore (il joker) che vince le prime due mani, ma viene detronizzato in quella decisiva da una scalareale di cuori. La musica, che contiene numerosi richiami e citazioni (ad esempio al Pipistrello, all’ottava beethoveniana, al Barbiere...) si fa apprezzare ovviamente anche senza i danzatori, qui grazie alla bravura dei singoli (ottoni e strumentini) e dell’orchestra (la straordinaria compattezza degli archi).

Orchestra che Fischer ha schierato alla tedesca (violini secondi al proscenio) dislocando però i contrabbassi (4, poi 6 per Dvořák) proprio in alto, alle spalle di tutti, insieme a grancassa e timpani, dietro le (sole) due file di fiati. Scelta forse dettata dalla particolare (e certo non straordinaria) acustica di un palazzo dello sport.

Poi un altro magiaro, il bravissimo 48enne Dénes Várjon ha interpretato il Secondo concerto (se proprio lo si vuol chiamare così...) di Liszt, sfoderando grande tecnica nei passaggi più protervi della partitura, ma anche grande sensibilità di tocco nelle liquide cascate di note che costellano l’opera. Un paio di (mi è parso di percepire) note false non intaccano l’eccellenza della sua prestazione, accolta calorosamente (con speciali applausi per la violoncellista Monika Leskovar) e seguita dallo schumanniano Von fremden Ländern und Menschen.

Ecco infine (ma ci saranno altre... fini) l’Ottava del boemo. Qui l’orchestra deve proprio trovarsi a casa: il pacchetto dei violoncelli è straordinario, splendido il flauto della Gabriella Pivon e impeccabile la tromba di Zsolt Czegledi, per citare solo i principali artefici della trascinante esecuzione.

Fischer non si nega a un bis, e ci riserva – a dimostrazione che la sua orchestra è proprio una famiglia (il che da solo spiega l’eccellenza dei risultati) - una sorpresa davvero impensabile: il nutrito gruppo in quota rosa si trasforma in uno splendido coro per proporci, con l’accompagnamento degli archi dei maschietti, Hoře (Dolore) un duetto dall’op.38, sempre di Dvořák. 

Ma non è ancora finita: da ultimo il saluto e la buonanotte con le Danze rumene di Bartók.

10 giugno, 2016

LaVERDI 2016 – Concerto n°21


Nell’intervallo prima delle ultime 4 rappresentazioni della Traviata-Valentino romana Jader Bignamini ha trovato il tempo per un paio di capatine sul podio dell’Auditorium. La prima lo vede dirigervi un concerto tutto russo, aperto da Romeo&Giulietta, ultima versione del 1880, che torna spesso qui in Auditorium (l’abbiamo ascoltata da Grazioli, Ceccato e due volte da Xian negli ultimi 5 anni). Bignamini ne dà una lettura vibrante, dal misterioso corale di Lorenzo, alla scatenata gazzarra fra le fazioni, al sognante e strappalacrime tema dell’amore fra i due giovinetti, scaldando da subito l’entusiasmo del (pur non oceanico) pubblico.  
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Ecco poi Shostakovich con il suo strambo Concerto per pianoforte e orchestra d’archi e interventi della tromba. Lo interpreta Angela Hewitt (che va verso i 60, ma non li dimostra proprio!) supportata al meglio dall’impertinente trombetta di Alex Caruana, il quale è alla terza esecuzione di quest’opera con laVERDI, dopo quelle del 2011 e di meno di un anno fa.  

La Hewitt ci dà per ora un antipasto di quella che sarà la portata principale del suo soggiorno milanese: il monumentale Primo di Brahms che lei affronterà in Auditorium il 28 p.v. Nell’attesa, dopo aver ricevuto con Caruana i meritati applausi, ci propina anche il suo Ravel. Arrivederci quindi a fra qualche settimana, dopodichè lei se ne andrà, trascinandosi via l’intera orchestra, in Umbria per accudire una sua creatura che compie 10 anni
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Chiusura con un pezzo davvero forte, la Patetica per eccellenza. Bignamini ce ne ha mostrato tutte le meraviglie e i ragazzi lo hanno assecondato alla grande. Personalmente ho avvertito solo un eccesso di foga nella rincorsa finale dell’Allegro molto vivace, dove il fracasso ha finito per coprire i dettagli (ma ha provocato uno spontaneo applauso anticipato, dopo il perentorio ta-ta-ta/tà della chiusa). Da incorniciare le ultime 8 battute del finale di celli e bassi, che esalano in pppp, fino proprio a morire, la triade di SI minore.

Dopo questo trionfo e come prologo al suo prossimo esordio al ROF, Bignamini si cimenterà fra pochi giorni in una specie di kermesse rossiniana.   

08 giugno, 2016

L’argenteo cavaliere ci riprova alla Scala

 

Ieri sera alla Scala seconda recita del redivivo Der Rosenkavalier, che a più di un secolo di distanza evidentemente continua a non convincere i milanesi (e non). Per carità, ora nessuno ha l’ardire – come accadde in quel lontano mercoledi 1° marzo del 1911 - di fischiare la musica del bavarese, accusandola di lesa maestà al nobile melodramma italico, perchè intrisa di eccessivo walzerismo viennese... O di irridere il testo del raffinato Hofmannsthal, che nella traduzione italiana doveva perdere parecchio dell’appeal che ha nella lingua originale, con tutte le sfumature del dialetto austriaco (che noi non crucchi ci perdiamo comunque anche ascoltando il tedesco). No, la disaffezione oggi si misura in numero di poltrone e di intere file di palchi andate deserte: una cosa, questa sì, al limite dello scandalo.

La nuova (per la Scala) produzione viene – tramite l’intermediario Pereira - da Salzburg ed è firmata dall’oggi 81enne Harry Kupfer. L’ambientazione – cosa che ormai supera il limite dell’abuso – è nella Vienna degli autori, non in quella di 150 anni prima. Quindi nei locali settecenteschi (su fondali di foto della Vienna novecentesca) lo scenografo Hans Schavernoch ci mostra – cito solo due esempi - un fonografo a manovella e una bellissima automobile (quella di Strauss doveva proprio essere così) e i costumi di Yan Tax sono pure da primo novecento, però con qualche tocco... vintage, come il taglio degli abiti di Octavian. (Delle scene c’è da elogiare la piattaforma che scorre da destra a sinistra e viceversa, assai efficace nel creare di volta in volta gli ambienti in cui si snoda la vicenda, mostrandoci anche ciò che avviene fuori scena, tipo l’ingaggio di Valzacchi-Annina da parte di Octavian). Naturalmente è un’ambientazione che deve fare i conti con la parrucca, e in particolare con quella di Ochs, oggetto fondamentale nel testo, poichè determina nientemeno che lo sviluppo della scena tragicomica del terz’atto: come sempre, anche qui il regista deve ricorrere al volgare parrucchino (perso e poi recuperato dal buzzurro di Lerchenau) che trasforma un’invenzione invero raffinata di Hofmannsthal in una gag da avanspettacolo. Come una gag diventa il duello Octavian-Ochs dell’atto secondo, con il nobilastro campagnolo ferito da una spada passatagli al volo dal ragazzo per invitarlo a combattere... O come la torma di ragazzini sedicenti-figli-illegittimi che nell’atto finale circondano Ochs, ben più numerosi dei 4 (quattro) previsti dal libretto. Tutte trovate abbastanza stantie – simili a quelle del precedente allestimento visto qui, a firma di Herbert Wernike, che avevo personalmente criticato assai a suo tempo - che non mi pare proprio valorizzino l’opera, ecco.   

Detto ciò, va comunque riconosciuto al vecchio Kupfer di averci presentato con grande equilibrio lo scenario socio-psico-esistenziale che caratterizza questo capolavoro: ci troviamo tutta l’apologia del regno di Maria Theresia, dal quale era nata l’Austria in cui vivevano (pieni di fama e... quattrini) gli autori, ma al contempo la meditazione sull’eterno fluire del tempo e sulla necessità di accettazione dei mutamenti che esso comporta per gli esseri umani. Tutto è un mistero, un grande mistero, ed esistiamo per questo, (sospirando) per sopportarlo. E nel “come” (con molta calma) sta la vera differenza. E parlo dei mutamenti a livello privato, come a livello pubblico: il futuro di Marie Theres’ come quello della nobiltà illuminata che lei impersona; quello della nobiltà retriva (Ochs); quello dell’emergente borghesia produttiva (Faninal); e infine quello dei giovani eredi (Octavian-Sophie). E al proposito la scena finale (indipendentemente dal mezzo di trasporto) è resa da Kupfer con perfetta aderenza allo spirito dell’opera.
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A Krassimira Stoyanova va indiscutibilmente la rosa d’argento della serata. Un’interpretazione magistrale (grazie anche a Kupfer, certo) e una prestazione vocale di eccellenza, per potenza di suono coniugata con mirabile espressività.

Il travesti è Sophie Koch, che (per me) ha iniziato malissimo, per poi però ritrovarsi e fare una dignitosa figura in particolare nelle prove finali (terzetto e duetto) dove la sua voce (mi) è parsa trovare il giusto grado di morbidezza. Meglio di lei l’altra Sophie (il personaggio): quella di Christiane Karg, che ha sciorinato un bella voce squillante e appropriatissima alla figura della figlia-di-papà, caratterizzata al contempo da ingenuità e slanci battaglieri.

Günther Groissböck è finalmente un Ochs appropriato anche anagraficamente: ha solo pochi anni più del (probabile) 35enne bue che viene dalla campagna a nord di Vienna e che troppo spesso viene cervelloticamente presentato come un vecchio lurido e bavoso. Quanto alla prestazione vocale, mi è parsa più che apprezzabile, a partire dal timbro piuttosto baritonale, anche qui adatto ad impersonare un tipaccio esuberante e non un vecchio mezzo rincoglionito. Qualche decibel in più di volume non avrebbe guastato, tuttavia si son potuti (a fatica) udire anche i MI gravi (e persino l’impossibile DO sotto il rigo, proprio nel momento in cui si accommiata dalla Marescialla nel primo atto, mich tiefst beschämt).


Faninal è Adrian Eröd, che si comporta senza infamia a senza lode: voce non molto penetrante (dovrebbe essere da baritono acuto) che fatica ad arrivare su al loggione. Certamente più udibile (anche troppo...) invece la Silvana Dussmann che impersona la cameriera di casa Faninal, il cui vociferare non è però del tutto inappropriato al personaggio di zitella... accalorata, ecco.

Ora farò indebitamente di ogni erba un fascio, accomunando tutti gli altri numerosi personaggi in un generico apprezzamento per aver dato il loro onesto contributo. Faccio una piccola ma doverosa eccezione per il tenore italiano, che l’italiano di studi Benjamin Bernheim ha impersonato con bella prestanza e sfoderando al meglio gli squillanti SIb e il SI naturale che la particina comporta. Sempre efficace il coro (grandi e piccoli) di Bruno Casoni.

Lascio da ultimo il venerabile Zubin Mehta, capitano di lungo corso su queste rotte straussiane e concertatore sopraffino. Se mi posso permettere un appunto, gli imputerei un filino di rilassatezza nei tempi, che avrei (personalmente, sia chiaro) preferito più spediti e garibaldini. Già l’attacco dei corni (uno dei quali purtroppo non è stato perfetto, ma pazienza...) mi è parso ad orecchio piuttosto al di sotto del metronomo di 60 minime prescritto da Strauss. Ma al grande vecchio si può perdonare questo ed altro, perchè tenere in pugno con consumata maestrìa un oggetto come questo non è da tutti.

Trionfo quindi meritato e... peggio per i disertori.

05 giugno, 2016

Lieber Fritz in Venedig


La Fenice ha ospitato nei giorni scorsi un amico piuttosto riservato (nel senso che si fa vedere in giro abbastanza di rado): trattasi di tale Fritz, animato dalla musica di Pietro Mascagni, che ieri si è accommiatato dopo la quinta ed ultima rappresentazione.

Opera piuttosto singolare: un verismo sui-generis, perlomeno rispetto allo stereotipo classico che vorrebbe per questo genere di opere soggetti sanguigni, se non addirittura crudi e truci. Qui siamo invece alla normale (o quasi) vita di campagna, fra viti e ciliegi, dove due giovani troveranno la felicità dopo qualche vicenda strappalacrime e grazie all’intercessione di un rabbino. L’unico momento drammatico di tutta l’azione (beh, azione si fa per dire...) si riduce alla fuga precipitosa di Fritz dalla campagna verso la città, lasciando con un palmo di naso la poverina Suzel. Qualcuno ha persino parlato di una specie di Elisir d’amore (a ruoli principali invertiti) come dire: una pièce zuccherosa e un po’ patetica, con finale degno di Harmony, ecco.     

Le cronache ci dicono che fosse proprio Mascagni, dopo il clamoroso successo di Cavalleria - che però più d’uno maliziosamente attribuiva in parti uguali alla potenza del libretto e alla musica – a chiedere al suo editore Sonzogno, impaziente di fare altri affari con una nuova opera dell’astro nascente, un soggetto di basso profilo, in modo che, per contrasto, fosse la sua ispirata musica a venire in primo piano. E così ecco che la scelta cadde su L’ami Fritz, un romanzo leggero (ma non banale, attenzione!) in 18 capitoli di Erckmann-Chatrian del 1864, poi ridotto per il teatro nel 1876, dalla quale riduzione il famoso Angelo Zanardini aveva ricavato un libretto, di cui Mascagni irrise a tal punto la poetica da convincere Sonzogno a farne rimuovere le coglionerie (sic) da tale P. Suardon (al secolo il giornalista Nicola Daspuro, anzi D’Aspuro) e infine dai fidati Targioni-Tozzetti&Menasci, onde ricavarne il comunque mediocre libretto dell’opera.



Qualche curiosità sulle differenze di scenario fra il romanzo e il libretto. Il romanzo che indirettamente ispirò Mascagni fu opera di due francesi originari della Lorena: Émile Erckmann, nato a Phalsbourg e Alexandre Chatrian, nato a Soldatenthal (dei due, Erckmann era in effetti l’autore dei romanzi, mentre Chatrian si occupava più che altro della loro... commercializzazione o riduzione per il teatro).

La collocazione geografica della vicenda è abbastanza controversa: è luogo comune parlare di Alsazia (e così sarà infatti nel libretto dell’opera) ma in realtà i nomi delle località citate nel romanzo sono o immaginari o mascherati: la cittadina dove abita Fritz (non citata nell’opera) è Hunebourg, che non esiste come tale (a quel nome corrisponde in effetti un vecchio e isolato castello alsaziano, nei Vosgi) mentre si ritiene, da indizi derivati dal contesto, che si tratti di Landau (o località in quei pressi, come Dahn) che è nel Palatinato meridionale, regione tedesca occupata da Napoleone con tutti i territori tedeschi a sinistra del Reno nel 1797, ma poi tornata tedesca nel 1815 (Congresso di Vienna) con la restituzione di Landau e dintorni al Regno di Baviera. In effetti Fritz (siamo nel 1847) si vanta di essere bavarese e non vede di buon occhio gli imperialisti prussiani che si aggirano dalle sue parti, mentre mostra più simpatia per la Francia (e per i suoi vini, per la verità...)

Anche la descrizione di Bischem, dove Fritz e Suzel ballano alla festa (episodio ignorato dal libretto) corrisponde in realtà alla cittadina di Pirmasens, 30Km circa a ovest di Landau, sempre Palatinato. Nel romanzo troviamo anche la Lauter, fiumiciattolo che scorre nel Palatinato e poi traccia il confine fra lo stesso e l’Alsazia, sfociando nel Reno. Altri due luoghi direttamente connessi con Fritz sono Meisenthal (nell’opera Mésanges, il podere di Fritz, gestito dal padre di Suzel, Hans Christel) e Sonneberg (dove Fritz possiede dei vigneti - oggetto della scommessa con il rabbino David - nell’opera Clairefontaine): a questi nomi corrispondono effettivamente due località della Lorena che però sono (la prima sicuramente) incoerenti con il contesto (Fritz va e torna a piedi in giornata da casa sua a Meisenthal... che però disterebbe almeno 50Km!) Insomma, meglio non fare troppo caso ai riferimenti geografici, oppure pensare che gli autori abbiano consapevolmente voluto mischiare le carte per trasmetterci il concetto che tutta quell’area geografica (Alsazia-Lorena-SudPalatinato) avesse in fondo delle caratteristiche assai simili di civiltà, usi e costumi.

Ciò che infatti importa rilevare è come gli autori del romanzo siano francesi e per di più ardenti patrioti (scrissero diversi lavori di argomento nazionale) ma raccontino qui una storia edificante con personaggi tutti tedeschi, in un luogo storicamente più tedesco che francese. Mostrandoci con sapienti pennellate lo spaccato di una società persino fin troppo felice, tutta dedita al lavoro e al conseguente godimento (rendita compresa, vero Fritz?) delle risorse con esso create. E ciò si spiega con la collocazione temporale della scrittura del romanzo e della vicenda in esso narrata: il romanzo è scritto nel 1864 e narra di avvenimenti del 1847 (il periodo nel quale matura l’amore fra il ricco, nullafacente e impenitente scapolo 36enne Fritz Kobus e la timida, casta e romantica 17enne Suzel Christel, figlia di un suo mezzadro). Si tratta di un periodo storico in cui ancora in Francia si aveva dei tedeschi un’immagine positiva (la vecchia, buona Germania, amica della pace). Per chi, come gli autori del Fritz, proveniva proprio dalle zone di confine, prima del 1870 era quasi normale passare nel vicino Palatinato, venire a contatto con quelle popolazioni, apprezzando la quasi idilliaca convivenza fra etnie, lingue e religioni diverse: basti pensare che Fritz è luterano, Suzel anabattista e David (che fa di tutto pur di vederli sposati) è un rabbino! E che lo stesso David e il violinista gitano Iosef (personificazioni di due figure – ebrei e zingari – che diverranno tristemente famose per le persecuzioni di cui saranno vittime nella Germania del 20° secolo) in quella tollerante società sono invece accettati quasi con naturalezza...

Tutto cambiò dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan, la dolorosissima perdita di Alsazia-Lorena e il conseguente insorgere in tutta la Francia, e in particolare nelle regioni annesse dai tedeschi, di sentimenti di revanche contro l’imperialismo d’oltrereno: da allora Erckmann diventò forsennatamente antiprussiano e scrisse solo opere intrise di fazioso patriottismo francese.

Orbene, a che pro tutto questo tormentone? Semplicemente per censurare la cervellotica impostazione del libretto di Daspuro, che colloca invece la vicenda in un generica Alsazia attorno al 1890 (periodo della composizione dell’opera) quando la regione Alsazia-Lorena era da quasi 20 anni annessa alla Germania (tornerà francese dopo la WW1, di nuovo tedesca nel 1940 e ancora francese a fine della WW2). Quindi: una collocazione geografica ma soprattutto temporale che fanno letteralmente a pugni con i contenuti idilliaci della vicenda, divenuti impensabili in quei luoghi e in quel periodo (i rappresentanti della regione al Reichstag erano tutti protestatari, cioè contrari all’annessione). Peraltro il libretto ignora quasi del tutto ogni aspetto politico, etnico, linguistico e religioso presente nel romanzo - salvo il riferimento al ruolo pastorale di David e alle attitudini gitane di Beppe - per insistere principalmente sulla banale componente rosa della vicenda. E a questo punto però l’ambientazione diventa del tutto gratuita, e Alsazia-1890 potrebbe tranquillamente mutare, invento a caso, in Pannonia-1760 o in Molise-1810 o nelle Fiandre-1920... e Fritz mutare in Frigyes, Chicco, Rik, ecco.
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Beh, dopo aver denigrato a sufficienza il libretto (ma mai come Verdi, che lo bollò seccamente come scemo!) veniamo alla musica, che dalla povertà del testo avrebbe dovuto programmaticamente trarre vantaggio! E bisogna dire che da subito lo trasse, se è vero come è vero che la prima di sabato 31 ottobre del 1891 al Costanzi fu un trionfo addirittura superiore a quello di Cavalleria (e più di un critico azzardò il giudizio secondo cui Fritz superava la stessa Cavalleria in contenuti estetici).

Nel 1892 l’opera approdò nel gotha di Vienna: martedi 26 gennaio fu data in tedesco, sotto la bacchetta del venerabile Hans Richter, alla Hofoper; poi in italiano, al Prater, diretta da Mascagni in persona, giovedi 15 settembre. L’ex sovrintendente della Hofoper ricordò il primo avvenimento come greve e il secondo come ispirato: confidò queste sensazioni dopo aver udito una delle prime, se non proprio la prima rappresentazione tedesca (lunedi 16 gennaio 1893, Amburgo) diretta da Gustav Mahler, il quale da parte sua si dichiarò letteralmente entusiasta del lavoro di Mascagni. Lusinghiero era stato a Vienna anche il commento del severo Eduard Hanslick, il di cui complimento per la verità potrebbe pure essere considerato, ehm, imbarazzante; e la cronaca ci dice che lo stesso Mahler, dopo Amburgo, mai più diresse il Fritz, ma solo Cavalleria, il che non esclude quindi un certo... raffreddamento nelle simpatie del boemo verso quell’opera. La cui lenta e progressiva diluizione di comparse nei teatri (alla Fenice la prima si ebbe... non prima del 1944 e la seconda e penultima 10 anni dopo; alla Scala nel dopoguerra abbiamo una sola presenza nella stagione 63-64!) testimonia dello scarso appeal di questa musica, di cui sopravvive, ma in esecuzioni concertistiche, il solo Intermezzo che apre il terz’atto.
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E di esecuzione in forma di concerto si potrebbe parlare a proposito di questa edizione del teatro veneziano, dove regìa, scene e costumi fanno a gara nel non dare valore aggiunto alla musica (così, paradossalmente, si accontenta Mascagni!) Simona Marchini (che con quest’opera ha una relazione particolare, nata a Livorno nel lontano 1991 e ivi rinfocolata nel 2002) pensa più che altro a mettere a loro agio i cantanti, facendoli cantare il più possibile al proscenio, ben rivolti verso il pubblico e bene in vista al direttore. Massimo Checchetto propone precisamente un quadretto (con tanto di corniciona) entro il quale si sviluppa la vicenda: nei due atti esterni siamo in casa di Fritz, un tavolo, uno scrittoio e sul fondo una grande vetrata da cui si scorge (atto primo) un campanile che spunta in mezzo agli alberi sotto un cielo sereno e (atto terzo, Alsazia addio!) un gran mare sotto un cielo plumbeo, che solo alla fine ovviamente si rischiara (hai capito che intuizione!?) Nell’atto centrale siamo ovviamente nella fattoria dove abita Suzel: una gradinata coperta da moquette verde sulla quale incombe di sghimbescio una piccola serra, poi un alberello con ciliegie mature, la pompa dell’acqua e un tavolo rustico. I costumi di Carlos Tieppo sono alsaziani quanto molisani o pannonici, ma comunque i/le sarti/e avran pure faticato a tagliarli e cucirli, quindi si meritano un bravi! Nulla di speciale nelle luci di Fabio Barettin.

Fabrizio Maria Carminati fa un buon lavoro di concertazione (aiutato, come detto, dalla regìa che gli mette i cantanti proprio... in faccia). Ma efficace è anche la sua resa delle mille sfumature (troppe, diceva un tal Giuseppe Verdi!) che costellano la partitura, con i continui cambi di tempo e le ardite (a volte cacofoniche) modulazioni. Ottima l’esecuzione dell’Orchestra, guidata da Robero Baraldi, salito alla fine sul palco a ricevere meritati applausi per la sua prestazione solistica del prim’atto.

Alessandro Scotto di Luzio mi è parso un buon Fritz, bella voce squillante ed efficacia nel rendere l’animo del protagonista, esteriormente spavaldo e cialtrone, ma sotto-sotto romantico e sensibile. Con lui ha fatto coppia una Carmela Remigio che ho trovato un filino al di sotto del suo normale standard: certo, la sua voce è per natura assai appropriata al personaggio, ma ieri ha avuto qualche calata di troppo e un portamento eccessivamente affettato.

Convincente la prestazione di Elia Fabbian (David): voce solida e penetrante, a supporto di una felice espressività. La controfigura (!) di Roberto Baraldi (Beppe) era Teresa Iervolino, che forse non ha cantato come il primo violino ha suonato, ecco... però si merita comunque ampia sufficienza. Hanno degnamente contribuito al successo William Corrò, Alessio Zanetti e Anna Bordignon. Bene al solito (la parte non è peraltro proibitiva) il coro di Claudio Marino Moretti.    

Alla fine un pubblico lungi dall’essere oceanico ha tributato a tutti applausi calorosi, che si sono aggiunti a quelli a scena aperta dopo le arie e l’Intermezzo.
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Ecco, salutato Fritz Kobus, adesso si profila all’orizzonte la minacciosa quanto pagliaccesca figura di un suo coetaneo del secolo precedente, il barone Ochs auf Lerchenau, non so se mi spiego!

04 giugno, 2016

LaVERDI 2016 – Concerto n°20


Questa prima settimana di un giugno piuttosto imbronciato ci porta un concerto diretto dal venerabile Elio Boncompagni, uno che i suoi 83 anni non li dimostra proprio. Il programma è una specie di testa-coda, dato che ci propone – in fatto di sinfonie - l’alfa di Beethoven e l’omega di Schubert. Programma quindi di quelli che attirano normalmente un folto pubblico, e così è stato anche stavolta, a dispetto del ponte patriottico che si chiuderà domenica con la (prima?) sfida per il trono di Milano fra due candidati di destra, uno dei quali si è furbescamente travestito da sinistro, per non essere expo-sto al ludibrio delle folle.

Boncompagni assomiglia un po’, nell’età, nella figura ma anche nell’approccio interpretativo, ad un altro vecchietto ben noto al pubblico de laVERDI: Helmuth Rilling. Sobrietà di gesto, bando ad ogni gigioneria e soprattutto grande fedeltà ai testi, a cominciare dallo scrupolosissimo rispetto di tutti i da-capo (il che nella grande significa per davvero proporre le celestiali lungaggini di schumanniana memoria).

Curiosa invece la dislocazione delle sezioni degli archi sul palco: violini secondi al proscenio sulla destra, ma celli e bassi dalla stessa parte, dietro; viole a sinistra, dove di norma siedono i secondi violini.

Per il canuto ma arzillo vegliardo e per i ragazzi, ieri guidati dalla seconda spalla dell’Orchestra, Nicolai Freiherr von Dellingshausen, un meritatissimo successo.

Chiudo qui in fretta e furia, chè mi aspetta un (piacevole, spero) viaggetto in laguna per salutarvi tale Fritz Kobus prima che... prenda il largo per la luna di miele su uno di quei grattacieli che solcano maestosi la Giudecca. A domani dunque.