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23 agosto, 2025

ROF-2025 live (in Piazza). Messa per Rossini.

Il 46° ROF ha chiuso i battenti al teatro cittadino con l’esecuzione della Messa per Rossini. Messa che nacque da un’idea di Giuseppe Verdi, un anno dopo la scomparsa del genio pesarese.

Come già altre volte in passato, ho personalmente privilegiato l’ascolto andandomi a sedere su una delle 600 sedie (ieri occupate per una buona metà…) che il Comune dispone abitualmente in questa circostanza in Piazza del Popolo, dove lo streaming del concerto di chiusura viene irradiato su uno schermo gigante dislocato sotto il moderno palazzo del Comune. Lì, alla nobile polifonia sacra dei suoni che arrivano dagli altoparlanti, si aggiunge quella profana prodotta dall’animato chiacchiericcio di avventori di bar circostanti, dai piagnistei di qualche pargoletto o da interventi solistici canini (un pastore tedesco dalla voce di basso-baritono o una cockerina soprano di coloratura…) Ecco, una genuina mistura di sacro e profano, che di tanto in tanto non guasta.

Qualcosa invece si è guastato nel meccanismo dello spettacolo: prima dell’inizio il Soprintendente Ernesto Palacio ha voluto sottolineare l’importanza dell’evento -  era la prima esecuzione al ROF dell’omaggio dell’intera famiglia musicale italiana del 1869 al compositore che aveva così brillantemente rappresentato l’Italia nel mondo – e nel contempo ricordare e tributare un doveroso ricordo alla figura di colui che aveva fortemente voluto e poi creato dal nulla il Festival, l’indimenticabile Gianfranco Mariotti, purtroppo mancato lo scorso novembre.

Dopodichè, ecco l’annuncio dello spiacevole contrattempo: la (parziale, ma sostanziale) defezione di uno dei protagonisti, Dmitry Korchak, cui un’improvvisa tracheite (evidentemente contratta nell’ultimo viaggio di ritorno in mare da Algeri del giorno precedente…) ha impedito di interpretare il difficile Ingemisco (pertanto cancellato) confinando la sua presenza ai due soli numeri 9 e 12 della Messa. Evidentemente non si era pensato a predisporre alcuna cover dei solisti, in caso di emergenza (il bravo Brownlee, per dire, sarebbe stato degno sostituto…) Comunque sia, nel tragitto che mi separava dalla Stazione ferroviaria, passando davanti al retro del teatro (uscita artisti) ho potuto scorgere il bel Dmitry sgattaiolare quasi inosservato ed infilarsi dentro una Range Rover esagerata, targata Ticino, sulla quale, dopo averci caricato la Berzhanskaya e un’altra (a me) sconosciuta donzella, se l’è filata sgommando allegramente…  

Ecco, adesso qualcosa devo pur dire del concerto. Sul podio era Donato Renzetti, che aveva a disposizione l’Orchestra bolognese e le autorevoli voci della rampante Vasilisa Berzhanskaya, della splendida Caterina Piva, e dei due orientali Misha Kiria e Marco Mimica; oltre al menomato Korchak e al compatto Coro del teatro Ventidio Basso guidato da Pasquale Veleno.

Tutti han fatto del loro meglio per illustrare quest’opera di per sé eterogenea, che fatalmente ci diventa familiare solo all’ultimo, quando ascoltiamo il Libera me che il Peppino si portò dietro nel suo capolavoro per Manzoni. Opera che tuttavia ci mostra quanto fosse insospettabilmente ampio e fecondo il panorama degli autori italiani di quell’epoca, molti dei quali sono stati sepolti sotto il peso delle torreggianti figure di Verdi e poi da quelle dei suoi successori (Puccini, Mascagni, Giordano, …)    

Chiudo con il quadro sintetico della Messa, corredato da autori, numeri e voci:

  
Autore
Parte
Numero-Titolo
Voci
Antonio Buzzolla
I Introitus
1 Requiem
C
 
 
   Kyrie
 
Antonio Bazzini
II Sequentia
2 Dies Irae
C
Carlo Pedrotti
 
3 Tuba mirum
Br-C
Antonio Cagnoni
 
4 Quid sum miser
S-A
Federico Ricci
 
5 Recordare Jesu
S–A–Br-Bs
Alessandro Nini
 
6 Ingemisco
T-C
Raimondo Boucheron
 
7 Confutatis maledictis
Bs-C
Carlo Coccia
 
8 Lacrymosa
Cc-C
 
 
   Amen
 
Gaetano Gaspari
III Offertorium
9 Domine Jesu
soli-C
 
 
   Quam olim Abrahae
 
 
 
   Hostias
 
Pietro Platania
IV Sanctus
10 Sanctus
S-C
 
 
     Hosanna
 
 
 
     Benedictus
 
Lauro Rossi
V Agnus Dei
11 Agnus Dei
A
Teodulo Mabellini
VI Communio
12 Lux aeterna
T-Br-Bs
Giuseppe Verdi
VII Responsorium
13 Libera me
S-C
 
 
     Dies Irae
 
 
 
     Requiem aeternam
 
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Bene, archiviata l’avventura 2025, già si profila all’orizzonte l’edizione 47, che nel 2026 (11-23 agosto) ci offrirà Le Siège, La Scala, L’Occasione, Il Viaggio e il sommo Stabat.

21 agosto, 2025

ROF-2025 live. Dittico.

Eccomi alla terza tappa del mio personale percorso ROF-fico: il dittico Soirées musicales – La cambiale di matrimonio. Come dire, un tragitto che parte dal Rossini attorno ai 40, all’apice della notorietà (con Parigi ai suoi piedi, ancora stupita dal Tell, tanto per dire) per retrocedere come gamberi alla prima (forse non… primissima, in termini strettamente cronologici) compiuta composizione operistica del Gioachino.    

___
In una sala con pochi posti vuoti, si presentano in scena le quattro voci protagoniste del ciclo liederistico delle Soirées (anni 1830-35) eseguite per la seconda volta (dopo il 2019) a Pesaro nella versione con accompagnamento orchestrale di Fabio Maestri. Si tratta di tre interpreti dell’Italiana (Vittoriana De Amicis, soprano, Andrea Niño, mezzosoprano e di Gurgen Baveyan, baritono) cui tiene compagnia il tenorino Paolo Nevi, già alato e valido attendente di Ilo nella Zelmira di Bieito.

Le otto ariette sono interpretate da:

1. La promessa (Metastasio). De Amicis.

2. Il rimprovero (Metastasio). Nevi.
3. La partenza (Metastasio). Nevi.  
4. L’orgia (Pepoli). Nevi.
5. L’invito (Pepoli). De Amicis.
6. La pastorella dell’Alpi (Pepoli). De Amicis.
7. La gita in gondola (Pepoli). Nevi.
8. La danza (Pepoli). De Amicis.

I quattro duetti da:

9. La regata veneziana (Pepoli). De Amicis – Niño.

10. La pesca (Metastasio). De Amicis – Niño.
11. La serenata (Pepoli). Nevi – De Amicis.
12. Li marinari (Pepoli). Nevi – Baveyan.

L’assegnazione delle canzoni agli interpreti è abbastanza libera, se si osserva che le sedici voci sono tutte notate sullo spartito in chiave di violino, ad eccezione della seconda voce dell’ultimo duetto, che è in chiave di basso.

Senza nulla togliere ai meriti di Maestri, devo dire che la sua sobria orchestrazione non aggiunge molto fascino agli originali con accompagnamento limitato al pianoforte. Da parte sua Christopher Franklin ha lasciato sempre in bella evidenza le voci, il che ha garantito ai quattro interpreti - ovviamente De Amicis e Nevi in testa - calorosi applausi dopo ciascuna esecuzione.

***
Un furioso temporale scatenatosi su Pesaro (alberi sradicati nei pressi del teatro) ha ritardato di parecchi minuti l’inizio de La cambiale di matrimonio - alla sua quinta apparizione al ROF, dopo l’esordio del 1991 e i ritorni del 1995, 2006 e 2020 - che viene riproposta in quest’ultimo allestimento, faticosamente messo in piedi in piena emergenza Covid da Laurence Dale. Allestimento che trova ora compiuta realizzazione (scene essenziali ma efficaci e brillanti costumi di Gary McCann, luci sapientemente curate da Ralph Kopp) anche per il ritorno dell’Orchestra nel suo alveo naturale (la buca, sotto-davanti al palco) dalla sterminata pianura (l’intera platea) occupata di necessità nel 2020.

 

Ma nel frattempo Eleonora Di Cintio ha anche completato il suo lavoro di revisione critica dell’opera, che presenta alcune, magari piccole, ma interessanti, novità: una di queste consiste nei due versi aggiunti a Edoardo – Calma, mio bene, i palpiti / d’un barbaro dolor - nel duetto iniziale (Tornami a dir che m’ami…) con Fannì. Ecco, anche piccoli particolari come questo testimoniamo della continua attenzione e serietà cha contraddistingue l’opera dalla Fondazione e del ROF per migliorare la qualità delle loro proposte.

Sotto la guida di Franklin la Filarmonica Gioachino Rossini ha messo in mostra le sue qualità (non dimentichiamo che da dieci anni è amorevolmente guidata da un certo Donato Renzetti…) emerse fin dall’esecuzione della spiritosa e brillante Sinfonia.

Il veterano del ROF (esordio nel 1989!) Pietro Spagnoli è un perfetto Tobia Mill, per presenza scenica, ma soprattutto per la sua voce che non avverte segni di… obsolescenza!

Sua figlia Fannì, che il padre-padrone non esita ad offrire in vendita al cliente canadese, è Paola Leoci, che ha esibito voce da soprano di agilità e coloratura, superando di slancio le aspre difficoltà della parte.

Il suo spasimante Jack Swanson è da parte sua un convincente Edoardo, la cui bella voce di tenorino svetta chiaramente in duetti e concertati.

Il canadese Slook, che pare un buzzurro incolto, ma in realtà si rivela essere individuo di vedute assai larghe, è Mattia Olivieri, che mette in mostra la sua penetrante voce baritonale, oltre ad una invidiabile presenza scenica. 

Restano da citare i due comprimari, che sono altri debuttanti: la Clarina di Inés Lorans (che si è distinta nella sua arietta di sorbetto Anch’io son giovine) e poi il Norton del cileno Ramiro Marturana. Il figurante Matteo Anselmi ha simpaticamente riproposto il personaggio immaginario (un enorme orso) che aggiunge un tocco spiritoso ad uno spettacolo che il pubblico ha calorosissimamente applaudito. 


19 agosto, 2025

ROF-2025 live. Italiana.

La mia seconda tappa al ROF-46 (nella gloriosa bomboniera del Teatro Rossini, ieri piacevolmente affollata) è dedicata all’opera che fece scoprire il Gioachino al mondo intero: L’italiana in Algeri, alla sesta riproposta nel cartellone del ROF.

Lo spettacolo inizia verso le 19:45 sul sagrato del teatro dove la folla degli spettatori accoglie con stupore e incredulità l’arrivo, in una nuvola di fumo, di un leggendario VW Caravelle del 1950 dal quale scendono le quattro Drag Queens di professione (Calypso Fox, Ivana Vamp, Elecktra Bionic, Maruska Starr) subito placcate dai gendarmi del buzzurro Mustafà, che le trascinano nel serraglio sul palcoscenico, dove animeranno l’intero spettacolo. Sul mitico Bulli se ne andranno via gli italiani alla fine della serata.

Poi, sulla scena si presenterà anche una quinta Drag, che chiamerò con il nome d’arte di Baryela Dançelona che sarà l’incontrastata protagonista della serata.

Il cui nuovo allestimento è affidato a Rosetta Cucchi, alla terza esperienza al ROF, dopo Adina e Otello (con esiti contrastanti). Qui lei scatena la sua proverbiale vena femminista estendendo il range anche a tutto il variegato mondo LGBTQ+, scelta tanto di grande attualità, quanto assai poco attinente al soggetto di Angelo Anelli, tutto concentrato, appunto, sulle problematiche strettamente femministe. A meno di non considerare LGBTQ+ i (labili) riferimenti del testo alla categoria eunuchi, oggi (per fortuna?) merce assai rara e quindi priva di palcoscenici per rivendicazioni socio-politico-economiche.

Tuttavia, L’Italiana è opera talmente fuori dagli schemi da sopportare (ed anzi valorizzandosi da) interpretazioni ardite, sia pur incoerenti, come questa della Cucchi: insomma, è difficile dissacrare un soggetto così distante da ogni sacralità… e così quello che ne esce, per merito della Rosetta e del suo team (scene di Tiziano Santi, fantastici costumi di Claudia Pernigotti, luci di Daniele Naldi e video di Nicolas Boni) è uno spettacolo strepitoso e coinvolgente, pieno di trovate intriganti, coloratissimo e che non lascia un minuto di respiro allo spettatore.   

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Dmitry Korchak (mi) ha confermato la buona impressione suscitata dopo l’ascolto per radio della prima con un approccio, appunto, rossiniano, tutto verve, brillantezza e leggerezza, coniugate, come forse sa fare solo chi è stato (ed è tuttora) sull’altro lato della barricata, con grande attenzione al supporto e alla valorizzazione delle voci. Applauditissima poi esecuzione della Sinfonia, ed eccellente la prestazione dell’Orchestra del Comunale bolognese (tornata in una normale buca, dopo l’esperienza in una specie di scaffale open-air – immagino assai dura - della Zelmira) e agguerrito anche il Coro del Ventidio Basso diretto da Pasquale Veleno (anch’esso piuttosto strapazzato dalla regìa di Bieito della stessa Zelmira).

Della decana Daniela si conosceva tutto e qui, calata nel bizzarro ruolo di Drag-en-travesti ha potuto finalmente anche divertirsi, mostrando insospettate doti di grande attrice da cabaret (o da avanspettacolo di alto livello). Il mestiere le permette di superare ogni difficoltà (da incorniciare per profondità il Pensa alla Patria) e così lei può davvero festeggiare i 30 anni di ROF che si porta sulle spalle con un trionfo che ha già il sapore di un dovuto riconoscimento alla carriera.

Vittoriana De Amicis, nei panni della povera Elvira, moglie ormai sull’orlo dello sfratto impostole dal marito, ha pienamente convinto sul piano musicale: la sua voce acuta e penetrante le ha permesso di svettare su tutti anche nei concertati più… rumorosi (Nella testa ho un campanello…) ed è meritatissimo il calore con cui il pubblico l’ha accolta.

Giorgi Manoshvili (Mustafà) ha un vocione che perfettamente si addice al tragicomico personaggio, cosa che emerge fin dall’iniziale Delle donne l’arroganza. Ed anche la presenza scenica è di gran disinvoltura ed efficacia.

Presenza che forse manca un poco al Lindoro di Josh Lovell, che però si fa ampiamente perdonare nel canto, con la sua bella voce chiara e squillante fin dall’iniziale, celebre cavatina in MIb Languir per una bella, poi accompagnata dal corno (Contenta quest’alma) dove il tenorino tocca con disinvoltura il DO sovracuto. E così continuerà per il resto della recita.

Misha Kiria, esordiente a Pesaro, devo dire che (mi) ha piacevolmente impressionato, per la bella voce baritonale chiara e tornita e l’espressività mostrata nel caratterizzare il tronfio Taddeo, anche lui gabbato da Isabella come il Bey. Lo vedevo per la prima volta e mi ha ricordato, in voce e presenza scenica, un certo Ambrogio Maestri… speriamo che ne segua le orme!

Gli altri due protagonisti, la brava Andrea Niño come Zulma e Gurgen Baveyan nei panni del finto feroce Haly, hanno degnamente completato il cast.

Alla fine, il pubblico ha accomunato l’intera compagnia in un cumulativo trionfo. 


17 agosto, 2025

ROF-2025 live. Zelmira.

Eccomi quindi a commentare la mia prima di questo ROF-46, Zelmira. Purtroppo con una nota assai poco positiva: l’Auditorium Scavolini era occupato sì e no al 50-60% della sua capienza nominale! Brutto segno davvero…

L’allestimento di Calixto Bieito con i collaboratori Barbora Horàkovà (scene) Ingo Krügler (costumi) e Michael Bauer (luci) è davvero insolito e presenta qualche vantaggio e molti lati negativi, proprio rispetto alla fruizione musicale: cantanti che, ovunque siano rivolti, danno le spalle a metà del pubblico, protagonisti e cori che girovagano per tutto l’Auditorium, salendo e scendendo le scale delle gradinate e i praticabili della pedana (buche riempite di terra o acqua…) Insomma, una kermesse più che uno spettacolo. Con notevoli dosi di Kitsch e vaghi riferimenti a problematiche LGBTQ+ (Antenore&Leucippo!) Diciamo, una roba proprio da luogo di Festival, inimmaginabile in un teatro tradizionale. Comunque le contestazioni alla prima non si sono ripetute, anche perché mancava la… materia prima contestabile.  

Giacomo Sagripanti a sua volta è alle prese – date le circostanze - con problemi non banali di accompagnamento delle voci, che si trovano sempre in punti diversi del catino del palazzetto: non di rado il suono dell’orchestra finisce per coprirle, almeno a quella parte pubblico cui il cantante volge le terga… A parte ciò, direi che sia stata una direzione all’altezza del valore della partitura.

***
Dopo l’esordio del solido coro del Ventidio Basso (guidato da Pasquale Veleno) che annuncia la morte di Azor, arriva Gianluca Margheri (Leucippo, esecutore materiale dell’omicidio) e ipocritamente esterna il suo stupore. Lo segue Enea Scala (Antenore, il mandante dell’omicidio) ancor più ipocrita nella sua cavatina Odo le tue querele, dove non deve salire oltre il SI naturale, che promette vendetta contro… se stesso (aria Sorte, secondami) dove non deve salire oltre la dominante LA. Ma la voce non è delle più pulite, per vibrato e stabilità di intonazione, il che gli garantisce applausi di circostanza

Dopo che i due pipistrelli si sono reciprocamente complimentati del golpe perfettamente riuscito, e dell’incolpamento della morte del padre Polidoro della Regina, incontriamo appunto la povera Anastasia Bartoli (Zelmira) che subito deve difendersi dalle accuse di parricidio mossegli dalla nutrice Marina Viotti (Emma). Le due si rincorrono forsennatamente attorno alla pedana, contemporaneamente cantando le loro ragioni…

Eccoci quindi alla scena nella cripta, dove incontriamo Marko Mimica (Polidoro) che si presenta con la cavatina Ah! già trascorse il dì, mostrando voce profonda e ben impostata. Arrivate Zelmira ed Emma, ecco il terzetto (Soave conforto / Le braccia mi stendi / Da gioia e stupore / O grato Momento) che poi sfocia nel finale (Se trova in te scampo) lungamente applaudito.

Ecco ora arrivare, introdotto dal coro, Lawrence Brownlee (Ilo, marito di Zelmira) che esordisce con la cavatina (Terra amica) dove deve salire una prima volta al RE sovracuto, dominante del SOL di impianto (…era il dolce mio pensier…) Ecco poi la celebre, impervia cabaletta in DO maggiore (Cara, deh, attendimi) dove ci sono ben tre RE sovracuti (sopratonica del DO) sui versi nel tuo bel seno (due volte) e poi sul verso da te lontano (questo però Brownlee lo abbassa al SI…) Poi i DO sovracuti conclusivi. La voce passa bene a dispetto delle pose che il cantante, che pare un soldato disertore e distrutto e non un eroe di guerra, è costretto ad assumere. Lunghi applausi per lui alla fine del massacrante impegno.

Si presenta qui il bravo tenorino Paolo Nevi (Eacide) chissà perché dotato di bianche, angeliche ali, che fa buona mostra di sé, glorificando il capo Ilo (Godi, o signor).

Ora abbiamo il drammatico incontro fra l’entusiasta Ilo e la preoccupata Zelmira, caratterizzato dal duetto (Ah! se caro a te son io / Quanto costa al labbro mio) in SOL maggiore, dove il tenore ancora deve salire al RE e al DO sovracuto (…della mia felicità).  

La situazione precipita: Leucippo ha sparso la voce calunniosa contro Zelmira, che ora è in pericolo mortale: riprende così il duetto in MIb maggiore (Che mai pensar? che dir? / Come parlar? che dir?) chiuso fra gli applausi con l’intervento di Emma (Sorte spietata) e delle donzelle di Zelmira.

Segue la scena di Antenore e Leucippo che pianificano di far secchi anche Zelmira, Ilo e il loro figlioletto. Arriva Ilo, sempre più dimesso e disperato nell’aver conferma dalle calunnie dei due della colpevolezza e del tradimento della moglie, accuse cui rincara la dose Antenore (Mentre qual fiera ingorda) che dipinge Zelmira come una pericolosa strega. Qui Scala deve toccare, per un paio di volte, e con un certo sforzo, il SI naturale.

I Sacerdoti certificano il diritto al trono di Antenore, che esulta con una cabaletta (Ah! dopo tanti palpiti) in LA maggiore, dove ghermisce, sempre a fatica, il DO# sovracuto. Ma gli applausi del pubblico non mancano certo.

Zelmira affida ad Emma il figlioletto cui dà un mesto addio in FA minore (Perché mi guardi e piangi) accompagnata da arpa e corno inglese. Che poi fanno da sottofondo al delicato duetto fra le due (Ah! chi pietà non sente). Convinti applausi del pubblico a interpreti vocali e… strumentali!

Ora Antenore viene incoronato - Si fausto momento nei  cori, in un tronfio RE maggiore - Re di Lesbo, e non manca il suo discorso di insediamento (Sì, figli miei, di Lesbo) cui segue l’incoronazione (Qual fronte illustre) da parte di Shi Zong (Gran Sacerdote) abbigliato in… mutande (!?) per cantare i suoi tre versi, a cui tiene enfatico e retorico bordone (Regga lo scettro aurato) Leucippo.

Si arriva alla scena madre del tentativo di Leucippo di far secco Ilo, con l’intervento di Zelmira che gli strappa il coltello, ma che Leucippo prontamente fa passare agli occhi di Ilo come la moglie decisa ad ammazzarlo. Bieito risolve il tutto in modo incomprensibile, con Zelmira che imbraccia il coltello prima ancora di Leucippo. Poi Brownlee deve ancora esibirsi in un DO# sovracuto nel suo intervento Numi, qual nero… Poi il terzetto si conclude in un tutti-contro-tutti.

E siamo finalmente alla conclusione del lunghissimo primo atto. L’orchestra ribolle in forsennate note ribattute, poi tutto si calma e inizia il finale concertato (La sorpresa... lo stupore). Antenore (Alla strage ognor ti guida) pronuncia accusa e sentenza (per gli omicidi di Azor e Polidoro) contro Zelmira, trascinata via in catene, in un’atmosfera di giubilo e insieme di tragedia, ma tutto in RE maggiore. Scroscianti applausi per tutti.

***
Il secondo atto si apre con il conciliabolo fra Enea Scala (Agenore) e Gianluca Margheri (Leucippo) che informa il suo mandante del contenuto di un messaggio di Zelmira inviato dal carcere al marito, dal quale si evince che Re Polidoro è tuttora in vita: i due decidono che liberare Zelmira e seguirne i passi servirà a chiarire l’arcano e a mettere le mani anche sul vecchio Re.

Dopo un delicato coretto di donzelle (Se alcuno scopreci) torna ora in scena Marina Viotti (aka Emma) per sciorinarci – con arpa e corno a supporto - l’aria Ciel pietoso, ciel clemente, che Rossini scrisse per la prima viennese a beneficio di tale Fanny Eckerlin, contralto in auge nella capitale austriaca. Emma consegna il figlioletto di Zelmira a fide ancelle perché lo proteggano dai propositi omicidi del duo mafioso Antenore-Leucippo. Poi, rassicurata dalle ancelle (Non temer…) chiude la scena, accompagnata dal coro, con la cabaletta Ah se è ver, di quel ch'io sento. Qui la Viotti si merita un lungo applauso per l’impeccabile resa di questo cammeo davvero prezioso.

Passiamo ora all’incontro fra Lawrence Brownlee (Ilo) e Marko Mimica (Re Polidoro): il primo, disperato credendo Zelmira fedifraga, e il secondo che lo convince del contrario. Ilo manifesta la sua esultanza alla notizia ingaggiando con il suocero il duetto in MI maggiore In estasi di gioia / Di tante pene e tante, dove Ilo tocca diversi SI e anche un DO# sovracuto. Meritati gli applausi per i due.

Ilo si lancia fuori per liberare Zelmira, che, nella scena con Emma, si domanda la ragione della sua liberazione. Antenore e Leucippo la scoprono e le strappano il segreto del luogo dove Polidoro è nascosto. Il Re vien quindi catturato e ne nasce un quintetto (Emma, Zelmira, Leucippo, Antenore, Polidoro) con lo sfogo di Antenore Nei lacci miei cadesti (con DO sovracuto) e l’implorazione di Zelmira (Me sola uccidi...) chiuso da Ah! m'illuse un sol momento. Ottima la resa di tutti, accolti dall’applauso del pubblico.

Arrivano i guerrieri invasori con le ceneri di Azor e Antenore/Leucippo subito incolpano Zelmira del misfatto (Ecco la perfida!) Polidoro la difende e così entrambi vengono riportati in carcere, ma certi che giustizia trionferà (De' nostri torti il vindice) cui si contrappone (Ma de’ celesti il fulmine) la coppia Antenore/Leucippo. Emma, Polidoro e donzelle chiosano con O desolata patria. Il grande concertato si chiude fra scroscianti applausi.hh

Ritorna Ilo, che viene avvertito da Emma dell’imprigionamento di moglie e suocero. Si arriva quindi alla scena del carcere, qui proposta nella versione originale (non in quella parigina del 1826, versione Giuditta Pasta…) Zelmira risveglia Polidoro e rimpiange il mancato intervento di Ilo, mentre Antenore e Leucippo si apprestano ormai a giustiziarli. Tutto sembra perduto quando si odono strepiti di guerra: sono i patrioti di Lesbo, guidati da Ilo, che sono insorti contro invasori e usurpatori. Antenore cerca ancora di uccidere Polidoro, ma è Zelmira (Non ti appressar!) ad impedirglielo, estraendo un pugnale. Ilo fa irruzione, spiegando come il popolo abbia sopraffatto le schiere nemiche. Ad Antenore e Leucippo non resta che imprecare contro il destino cinico e baro, mentre Anastasia Bartoli (Zelmira) si abbandona ora, intonando la sua grande aria Riedi al soglio, al giubilo per lo scampato pericolo. Siamo alla stretta finale, con il rondò Deh circondatemi, miei cari oggetti! con il quale Zelmira e tutti esultano per il lieto fine.

E il lieto fine si trasforma in un gran trionfo per tutti, singoli e masse, con ripetuta passerella intorno alla buca dell’orchestra. Trionfo supplementare per la Bartoli, al suo compleanno n°… (non si dice l’età delle signore, al massimo che è ancora negli …enta).

Peccato proprio per la scarsa affluenza: lo spettacolo tutto sommato meritava di più.