intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

29 novembre, 2014

Una Lady sovietica è attesa a Bologna (2)

 

Dopo aver esplorato da vicino il racconto di Leskov, da cui fu tratto il soggetto dell’opera, passiamo a considerare quali peculiari caratteristiche Shostakovich (coadiuvato dal librettista Preis) intese attribuire al suo lavoro, in funzione di precisi obiettivi estetici ma anche – e non proprio marginalmente – politici.

Sì, politici, poiché sappiamo, per ammissione stessa del compositore, che l’opera (la prima di un trittico, poi sfumato, sulla condizione della donna in Russia) nacque con precise finalità maieutiche: mostrare al pubblico – per denunciarli - i mali della società zarista, pre-rivoluzionaria; in particolare le condizioni disumane in cui venivano tenute le donne, trattate alla stregua di bestie d’allevamento e soggette in tutto e per tutto alla volontà e allo strapotere dei maschi-padri-padroni. E fare quindi di Katerina una vittima dei mali di quella società, destinata inevitabilmente a soccombere. Ma con ciò indirettamente esaltare la rivoluzione che quei mali doveva estirpare.

In funzione di questi obiettivi Shostakovich non esitò ad apportare al testo di Leskov una serie di modifiche, piccole e – soprattutto – grandi, cassando intere porzioni (e personaggi!) del racconto originale, modificandone sostanzialmente altre ed aggiungendo anche parecchio di suo. Non sto qui a descrivere i dettagli del libretto di Shostakovich, che sono ampiamente noti e comunque reperibili con facilità. Nello specchietto che segue – dove ai 15 capitoli di Leskov ho affiancato le 9 scene di Shostakovich, suddivise nei 4 atti - ho piuttosto cercato di sintetizzare i contenuti dei due testi per dare una sommaria idea delle differenze che li separano:



Molte delle deviazioni del libretto rispetto all’originale di Leskov sono assolutamente fisiologiche, quindi inevitabili, perché legate alla diversa destinazione delle due opere: è chiaro a tutti che un pezzo per il teatro - e ancor più per il teatro musicale - deve possedere caratteristiche di concisione di cui può benissimo fare a meno (anzi!) un racconto in prosa. Così si spiegano parecchie delle semplificazioni apportate da Shostakovich al testo di Leskov. (Poi, nel melodramma – ma non è proprio il caso della Lady - si perderà tempo interminabile stando fermi e immobili su un partiamo! ripetuto ventisette volte senza che alcuno muova un alluce…)

Altra quasi ovvia conseguenza del passaggio dal racconto all’opera è che nel primo, appunto, c’è un narratore che racconta, e solo qua e là troviamo qualche dialogo fra i diversi personaggi. In teatro viceversa deve necessariamente accadere l’opposto: l'azione e i dialoghi in presa diretta sono la regola e le rievocazioni e narrazioni l’eccezione. 

Ma veniamo agli aspetti più seri delle manipolazioni apportate all’originale di Leskov, che furono determinate, come detto, dagli obiettivi estetici e politici che Shostakovich si era dato. Obiettivi rispetto ai quali quel testo non pare perfettamente collimante: sul piano politico, poiché non contempla una esplicita e palese denuncia delle ingiustizie del regime zarista, limitandosi a descriverle con compassato distacco; su quello estetico, poiché il personaggio della protagonista principale possiede caratteristiche di eccessiva durezza, quasi disumane, poco adatte insomma a scolpire in musica quella varietà e ricchezza di sentimenti che evidentemente il compositore considerava ingrediente necessario per costruirci un’opera teatrale di alto livello.     

Va da sé che quando si prende un soggetto e lo si manipola per adattarlo a fini diversi da quelli originari, il rischio di provocare qualche crepa nella sua struttura è alto, e anche Shostakovich non vi è sfuggito del tutto, introducendo nel suo dramma alcuni (per fortuna pochi e tutto sommato perdonabili) tratti di scarsa plausibilità. Ma analizziamo qualche dettaglio (da quelli importanti ad altri francamente superficiali) seguendo cronologicamente i passi della vicenda, che a livello macroscopico Shostakovich non ha affatto stravolto.

La colpa di Katerina di non avere figli, la noia che la assale e i continui rimproveri del suocero: in Leskov sono aspetti importanti, e ovviamente vengono sottolineati a dovere, ma senza enfasi né estremizzazioni. Invece in Shostakovich c’è un deliberato intento di calcare la mano sulle vessazioni psicologiche cui la povera Katerina è sottoposta, evidentemente per portarci ad essere solidali con lei e quindi a comprendere - se non proprio a giustificare – le sue successive criminali azioni: fin dalla scena iniziale la vediamo letteralmente aggredita dal suocero che la accusa di non aver fatto il suo dovere, per il quale essa è stata sposata (mettere al mondo dei figli per trattenere in famiglia l’enorme patrimonio accumulato) e che sospetta che lei se la voglia fare con qualche giovane, in barba al marito. Nella scena (assente in Leskov) della partenza di Zinovy per il mulino, Boris costringe brutalmente Katerina a giurare fedeltà al marito sulla santa icona. Anche nella scena della baruffa in cortile Boris (assente nel racconto di Leskov) arriva e sorprende la nuora e Sergei in atteggiamento equivoco, abbracciati a terra dopo aver lottato (nel racconto Sergei si limitava a depositare Katerina sulla bilancia) e non perde occasione per redarguirla, promettendole di raccontare tutto al marito. Il suocero è anche presente subito prima e poi durante la scena dell’incontro amoroso di Katerina e Sergei (che in Leskov avviene quando Boris è fuori casa) prima per ingiungere alla nuora di mettersi a letto, poi per verificare che l’abbia fatto (vedremo fra poco come ciò comporterà una piccola ma chiara incoerenza nel testo di Shostakovich). Prima di questo incontro, Shostakovich inserisce ben due lunghe esternazioni di Katerina relative alla sua condizione di donna abbandonata a se stessa, che sogna le carezze di un amante: una chiara avvisaglia della predisposizione della donna verso eventuali attenzioni maschili, anche extra-coniugali, cosa che non troviamo proprio in Leskov, dove la passione amorosa di Katerina divamperà in modo esplosivo sì, ma soltanto dopo aver (per così dire...) subito il contatto carnale con Sergei. Addirittura – scena iniziale del second’atto – Shostakovich mette in bocca a Boris l’idea di provarci con la nuora! (per prendere due piccioni con una fava? soddisfare le proprie senili libidini e procurarsi un erede?!) Insomma, siamo proprio alla deliberata volontà di presentare allo spettatore un mondo – quello piccolo-borghese della provincia russa sotto lo Zar – a dir poco oppressivo e invivibile per una donna legittimamente assetata d’amore.  

La baruffa nel cortile e il ruolo di Aksinya: Leskov si limita a presentare la grassa cuoca Aksinya presa in giro dai contadini, che la pesano su una bilancia, mentre Katerina osserva semplicemente incuriosita, tanto che chiede di essere pesata a sua volta e poi accetta la sfida di Sergei ad una specie di braccio-di-ferro, da cui esce ovviamente perdente. In Shostakovich assistiamo invece ad un vero e proprio harassment di gruppo, anzi peggio, con la povera cuoca palpeggiata in tutte le parti intime da una torma di uomini arrapati, e in particolare da Sergei che arriva al punto da stuprarla. Evidente l’intento di mostrare un altro aspetto dell’inciviltà della società zarista, contro cui prende vivacemente posizione Katerina, che poi si mette a fare pure un pistolotto tutto politico - e femminista ante-litteram - sull’importanza delle donne nel mondo e nella storia! Ecco, questo è magari un dettaglio, ma assai poco plausibile: Katerina è una donna illetterata, proviene dalla plebe della Russia più feudale, mica dalle file delle guardie rosse! (E infatti in Leskov lei si limita a sostenere che anche una donna ha una considerevole forza fisica, a dispetto delle sue… misure.) Però a Shostakovich premeva presentarci una Katerina raziocinante, se non proprio una proto-rivoluzionaria. A proposito poi della cuoca, va ricordato il diverso trattamento che Shostakovich le riserva, rispetto a Leskov. Per il quale Askinya era stata solamente presa in giro dai contadini, e quindi – pur avendo inizialmente una cattiva opinione di Sergei - dopo l’innamoramento della padrona era diventata complice dei due amanti. Invece Shostakovich, avendo fatto subire ad Askinya – nella scena in questione - il peggiore degli affronti proprio da parte di Sergei, non può più farne una sua complice in seguito: ed infatti nell’opera la povera cuoca sparisce nel nulla dopo la disumana umiliazione cui è stata sottoposta!    

L’incontro carnale di Katerina e Sergei. La terza scena dell’opera viene modificata – non sostanzialmente peraltro - da Shostakovich per introdurvi di sua invenzione, ancora una volta, particolari sul trattamento vessatorio che Katerina subisce da parte del suocero. Abbiamo visto che, nel racconto di Leskov, Boris è fuori casa la sera in cui avviene la conoscenza biblica fra la nuora e Sergei: è andato da un parente per una festa e ha fatto sapere che rientrerà tardi, dopo cena. Quindi è del tutto logico e plausibile l’invito che Katerina – a cose fatte – rivolge all’amante ad andarsene, prima che il vecchio torni e, come evidentemente fa di solito quando il figlio è assente, chiuda a chiave, dall’esterno, la porta della sua camera. (Sergei risponderà che lui della porta se ne frega, perché userà la finestra: così rimane tutta la notte da Katerina). Shostakovich, come già detto, fa invece intervenire nella scena Boris per ben due volte e questa sua modifica si porta dietro (probabilmente senza che il compositore e il suo sodale Preis se ne siano accorti) un particolare del tutto illogico e in-plausibile (per quanto sia irrilevante ai fini del procedere della vicenda): vediamo di che si tratta. Dunque nel libretto dell’opera Boris arriva in camera di Katerina sul far della notte, per ordinarle di mettersi a letto e spegnere, per non consumarle inutilmente, le candele. Katerina lo assicura di farlo e Boris se ne va. Domanda: come mai Boris, accertato che la nuora si sta mettendo a letto, se ne va senza chiudere a chiave la porta? Shostakovich risponderà prontamente: ma perché da quella porta, pochissimo tempo dopo, dovrà entrare Sergei! Bene, allora immaginiamo che Boris si sia semplicemente dimenticato di chiudere la porta, il che dà a Shostakovich il pretesto per farlo tornare più tardi (a cose fatte, fra i due amanti): lui chiede a Katerina, da fuori, conferma che lei sia a letto, conferma che lei gli dà. Ed ecco qui la topica in cui Shostakovich è caduto: per voler (dover?) copiare Leskov, lascia in bocca a Katerina l’invito a Sergei ad andarsene, prima che il suocero chiuda la porta! Cosa francamente assurda, date le circostanze, poiché i casi sono due: o dobbiamo pensare che Boris se ne vada di nuovo senza chiudere, il che sarebbe francamente ridicolo, oppure è ancora lì fuori, pronto proprio a chiuder la porta e quindi se, puta caso, Sergei desse retta a Katerina e se ne andasse dalla porta, finirebbe direttamente (e anzitempo, rispetto ai tempi del dramma) in braccio al suo… carnefice! Ecco, tutto il tormentone serve solo a dimostrare come, quando si prende un mosaico e lo si disfa per manipolarlo, il rischio di non rimettere poi tutte le tessere al loro posto è assai alto.

L’omicidio di Boris. Nel racconto di Leskov, Katerina non assiste di persona alla fustigazione di Sergei (che avviene all’alba) e solo a cose fatte, e dopo aver parlato con l’amante attraverso la porta della cantina in cui è rinchiuso, chiede al suocero di liberarlo. Avendone ricevuto in risposta soltanto minacce di future punizioni (quando il marito tornerà) ha tutto un intero giorno (nessun dubbio quindi sulla premeditazione) per maturare la decisione di avvelenare, la sera di quello stesso giorno, il suocero. La cui morte e sepoltura vengono da lei vissute con fredda indifferenza, e da Leskov liquidate in poche righe. Shostakovich ci presenta le cose in modo un po’ diverso. Da un lato introduce (di sua invenzione) già nella scena iniziale l’argomento veleno per topi, accompagnato da una frase di Katerina che parrebbe una premonizione (quindi la premeditazione) del futuro delitto. Che però avviene in circostanze assai particolari. Shostakovich infatti comprime tutta l’azione del quarto quadro (a partire dalla scoperta di Sergei da parte di Boris, fino all’avvelenamento del vecchio) in pochissimo tempo, sul far del giorno: ecco allora che, in quanto provocato dalla profonda emozione derivatale dall’aver assistito di persona al terribile spettacolo del suo amante torturato dalle frustate del suocero, quello di Katerina (avvelenare i funghi che Boris le ha chiesto immediatamente dopo aver fustigato Sergei, non ore e ore dopo) ci appare come un gesto impulsivo e disperato, una reazione viscerale alla gravissima offesa subita, un’azione compiuta d’istinto ed in preda ad un autentico choc. Quindi qui siamo portati ad avanzare qualche ragionevole dubbio (come direbbe l’avvocato difensore in un’aula di tribunale) sulla premeditazione dell’omicidio, e a comprendere le ragioni della sproporzionata reazione della donna, se non proprio a giustificarla. Ma ora attenzione a cosa succede in presenza del sacerdote arrivato per raccogliere la confessione di Boris morente (nulla di tutto ciò in Leskov): Katerina si lancia in un appassionato addio al suocero, come se la sua morte l’avesse colta di sorpresa e riempita di dolore! Cosa dobbiamo pensare? Che la donna sia sconvolta dagli effetti della sua azione impulsiva e si stia cristianamente pentendo di ciò che ha fatto? O invece che sia anche una grandissima ipocrita? Beh, in entrambi i casi qui la drammaturgia di Shostakovich lascerebbe parecchio a desiderare. In realtà c’è anche una terza possibile spiegazione per questo che appare come un grave colpo all’integrità della figura di Katerina: che si tratti in fondo di un aspetto della sua fragile personalità, della sua difficoltà a sostenere con assoluta freddezza una situazione eccezionale che lei ha contribuito a creare. Cominciamo a conoscere una Katerina ben diversa da quella fredda e spietata raccontataci da Leskov. A proposito di questa scena, è mirabile l’invenzione di Shostakovich riguardante il curioso pistolotto funebre del sacerdote mezzo brillo, che tira in ballo addirittura Gogol! (A proposito dell’intenzione programmatica dell’Autore di fare dell’opera una tragica satira - o satirica tragedia?)

L’omicidio di Zinovy: come quello di Boris, anche questo viene pesantemente riveduto e corretto da Shostakovich, rispetto all’originale. Dove è – parliamoci chiaro - un omicidio premeditato bello e buono: quando, nell’idilliaco incontro sotto il melo fiorito in un pomeriggio d’estate, Katerina promette a Sergei di farne un mercante (condizione che lui ha posto per continuare la sua relazione con lei) è del tutto evidente che ha un solo e unico mezzo per soddisfare il desiderio dell’amante, e quindi garantirsi la felicità. A nulla potrebbe servire l’altro potenziale strumento, il divorzio, quasi impossibile da ottenere e soprattutto controproducente, in quanto le alienerebbe all’istante le simpatie di Sergei, che non saprebbe che farsene di una Katerina tornata povera in canna. E così lei ha parecchie ore per meditare su come mantenere la promessa, architettando l’omicidio del marito, da consumarsi non appena costui tornerà a casa sicuramente con l’intenzione di cogliere lei e l’amante in flagrante. E infatti anche le circostanze materiali dell’omicidio inchiodano Katerina: il marito Zinovy è sospettoso e minaccioso sì, ma in quel momento è anche disarmato e inoffensivo, mentre Katerina mostra fin da subito di comportarsi con la freddezza e la determinazione di chi ha pianificato tutto nei minimi dettagli (abbiamo visto come addirittura prefiguri al marito la sorte che gli toccherà di lì a poco!) In Shostakovich invece le cose stanno in modo diverso, assai più ambiguo, tanto che è difficile stabilire se Katerina stia agendo con premeditazione, oppure sia in balia degli avvenimenti. Intanto, dopo aver promesso a Sergei di far di lui un mercante, lei ha pochissimo tempo per pensare a come materialmente liberarsi del marito, che torna a casa proprio in quel momento! Infatti, all’udire i passi di Zinovy che si avvicina, la donna sembrerebbe cadere in preda ad un autentico panico (in Leskov, ricordiamo, rimane fredda ed anzi se la ride…) ma poi, di fronte alle contestazioni sempre più pressanti del marito (che ha subito notato la presenza di calzoni da uomo lì in giro) lei comincia a rispondergli con sfrontatezza, quasi a volerlo provocare (come fa in effetti in Leskov). Però nel racconto Zinovy si limitava a darle un ceffone prima di scappare terrorizzato (dalla presenza di Sergei) il che escludeva che la successiva reazione dei due amanti fosse giustificabile col doversi difendere da atti violenti del marito. Qui nell’opera invece, lui comincia a frustare la moglie con la cintura dell’amante: che lei chiama in suo aiuto (mentre è nascosto nel classico… armadio!) per difendersi dalla violenza del marito. Ecco, sembra che Shostakovich tenda quasi a derubricare l’omicidio - da volontario e con premeditazione - a poco più che eccesso colposo in legittima difesa, il che indebolisce però il nesso causa-effetto fra la promessa di Katerina a Sergei e le circostanze in cui la promessa si concretizza. Inoltre – e questo è un mutamento davvero radicale rispetto al racconto – Shostakovich fa vibrare il colpo di candelabro che finisce Zinovy non già a Katerina, ma a Sergei! (Forse è la glorificazione sovietica che esige che Katerina si sporchi il meno possibile le mani di sangue…) Non parliamo poi dell’occultamento del cadavere: in Leskov è un’operazione condotta da Sergei a regola d’arte (solo la sua confessione consentirà di riesumare i resti di Zinovy) mentre per Shostakovich è eseguito in tutta fretta e in modo sommario (così da rendere inevitabile in seguito la scoperta fatta dall’ubriacone…) Insomma, anche qui si ha la conferma della volontà di Shostakovich di trovare qualche pur vaga attenuante per Katerina, accentuandone la condizione di vittima di vessazioni e violenze. In definitiva, di rendercela degna di comprensione.  

L’omicidio di Fyodor: è la più macroscopica deviazione, rispetto a Leskov, di Shostakovich, che con l’omicidio espunge dalla vicenda anche la vittima, il piccolo Fyodor. Perché mai viene ignorato un fatto così assolutamente centrale nel racconto di Leskov, dove rappresenta precisamente il colpo-di-scena che improvvisamente fa virare di 180° l’intera vicenda e determina tutto lo sviluppo successivo dell’azione? La spiegazione è sempre la stessa: il contenuto propagandistico dell’opera. Che poteva benissimo contemplare che una donna umiliata dalla merdosa società zarista ammazzasse due persone adulte (incarnazioni di quella merdosa società) per legittima difesa o in risposta a gravissime offese e provocazioni, ma mai e poi mai poteva contemplare un atto odioso e infame, come l’ammazzamento di un piccolo innocente, quali ne fossero le ragioni! Anche qui una notazione di passaggio: ad accusarsi dell’omicidio di Fyodor è per primo Sergei (che poi scoppierà in lacrime - ! - alla vista della salma del fanciullo e confesserà anche l’omicidio di Zinovy, guidando la polizia al ritrovamento del cadavere accuratamente sepolto in cantina…) mentre Katerina dapprima nega tutto e poi, messa alle strette, confessa le sue colpe, ma sostenendo di aver agito per lui (il che è in effetti la verità). In sostanza: qui Sergei fa la figura del cristiano pentito e Katerina quella della belva disumana: a Shostakovich tutto ciò non poteva andar bene, da cui la decisione di cassare tutto.

Altra domanda: perché Shostakovich tace della gravidanza e del figlio di Katerina? È soltanto perché in un’opera musicale sarebbero un elemento di disturbo? Mah, qui si fa acuto il sospetto che un figlio rifiutato e sbolognato ai parenti ancora col cordone ombelicale appeso rappresentasse un autentico macigno sulla strada della glorificazione sovietica della povera Katerina…

Veniamo alla scena del matrimonio: che è pura invenzione di Shostakovich. Ed anche poco plausibile, stante il fatto che dalla scomparsa di Zinovy era trascorso troppo poco tempo perché il mercante potesse essere dichiarato ufficialmente morto e Katerina potesse così rimaritarsi. Però al compositore, in assenza della scena di Fyodor, la festa di matrimonio serviva evidentemente per determinare la drammatica svolta nella vicenda. E allora doveva essere adeguatamente preparata. Ecco così che, dopo l’uccisione di Zinovy, Katerina dice a Sergei: ora sei mio marito (in Leskov, più realisticamente, lei diceva: ora sei un mercante). E poi abbiamo visto in quale modo venga abbandonato il cadavere di Zinovy, per creare il pretesto all’invitato ubriacone di scoprirlo in cantina a causa della puzza insopportabile che ne emanava, essendo stato sommariamente coperto con qualche pietra. (Sappiamo invece da Leskov che il cadavere del marito di Katerina è talmente ben seppellito che nessuno l’avrebbe mai trovato, se non guidato dal… seppellitore in persona). Ecco, qui non si può non rilevare una certa debolezza drammaturgica della scena del ritrovamento del corpo di Zinovy in Shostakovich (legata alla scarsa plausibilità dei fatti antecedenti, col cadavere lasciato per giorni e giorni in cantina a putrefare!) ritrovamento legato oltretutto a banalissime circostanze, quando invece in Leskov è conseguenza della forte e sincera emozione che attanaglia Sergei al momento di assistere alla funzione funebre del piccolo Fyodor, cosa che lo porta a confessare anche l’omicidio di Zinovy! E a proposito di confessioni, per Shostakovich sarà Katerina (che già sentiamo inquieta e quasi terrorizzata all’inizio dell’atto terzo) a farsi prendere dal panico, all’arrivo della polizia accorsa dopo la soffiata dell’ubriacone, fino al punto da auto-denunciarsi, mentre Sergei opporrà viva resistenza all’arresto: è precisamente il contrario di ciò che leggiamo in Leskov, e ciò conferma la volontà programmatica di Shostakovich di presentarci una Katerina inquieta e insicura, lontanissima dalla donna passionale ma fredda, spietata e disposta a tutto che abbiamo conosciuto nel racconto. 

Anche la scena del Posto di polizia è inventata da Shostakovich. Una volta di più il compositore non perde occasione per denunciare lo stato di degrado, corruzione e inefficienza della società zarista. Però… attenzione: siamo in Unione Sovietica nei primi anni ’30, c’è Stalin che ormai imperversa, ci sono le purghe, lo sterminio dei kulaki e la polizia è ormai diventata strumento del regime. Vuoi vedere che questa scena (e con lei anche l’ultima) insieme alla condanna dello zarismo, contiene una indiretta critica allo stalinismo? Non è che l’improvviso ostracismo seguito al famoso articolo della Pravda del ’36 fosse (anche) dovuto al sospetto di Stalin e Zdanov che Shostakovich stesse mettendo in cattiva luce non solo la società zarista, ma anche i metodi staliniani?! (Sappiamo che Shostakovich tenne per tutta la vita un atteggiamento ondivago, addirittura equivoco rispetto al potere staliniano: era fervente rivoluzionario, ma rifiutava di prendere la tessera del partito; fu sull’orlo dell’eliminazione fisica, proprio dopo quel famoso articolo, poi però parlò personalmente con Stalin, dal quale ottenne rassicurazioni; ritirò la Quarta sinfonia temendo ritorsioni da Zdanov&C, poi presentò la Quinta come risposta di un compositore alle giuste critiche; accettò da Stalin in persona di far parte della delegazione sovietica presente a NewYork per la Conferenza internazionale di pace; a Stalin abbondantemente morto e sepolto si iscrisse al Partito Comunista (!) avendo accettato un’importante carica nell'establishment musicale sovietico; scrisse sinfonie dai titoli patriottici e inneggianti al regime per poi in privato dichiarare che erano pura finzione; quando potè nuovamente mettere in scena la Lady, senza pericolo per la propria incolumità, accettò di farne una versione edulcorata, trasformando addirittura la tessitura musicale di Katerina da espressionista a belcantista – cosa che non piacque alla Vishnevskaya, che per il film del ‘66 si fece ripristinare la parte originale…)

Il viaggio verso la Siberia. Anche qui Shostakovich ha tagliato parecchio e non possiamo francamente fargliene un torto. Fra i tagli ce ne sono almeno un paio da menzionare. Il primo riguarda il personaggio di Fiona: è vero che aggiunge poco al dramma, però in Leskov la ragazzona facilissima nei costumi quanto caritatevole nel cuore rappresentava (essendo moglie di un militare) un lato tutto sommato apprezzabile della società; una cosa, anche questa, che forse non faceva scopa (!) con gli obiettivi di Shostakovich. L’altro taglio, questo davvero notevole, riguarda la scena della fustigazione di Katerina da parte di Sergei, dopo che lei, scoperto l’inganno dei calzettoni, l’aveva preso a sputi in faccia di fronte a tutti. Qui dobbiamo dire che Shostakovich ha visto giusto: la violenza materiale su Katerina (le 50 frustate di Sergei) non aggiunge proprio nulla a quella, davvero tremenda perchè di natura psicologica, legata al tradimento di Sergei con Sonetka e al suo vile inganno. Il finale dell’opera, oltre a possedere una mirabile concisione, mette meglio in risalto (rispetto al racconto) il dramma di una persona violentata nell’anima più che nel corpo, che matura silenziosamente la decisione di farla finita, trascinando con sé l’ultima causa della sua infelicità. Geniale al proposito è l’idea di Shostakovich di inventare per la protagonista quella straordinaria esternazione che precede la drammatica conclusione dell’opera. Tornando poi all’ambivalenza della denuncia di Shostakovich, sarà il caso di ricordare come negli anni di composizione della Lady fossero in corso le deportazioni di massa di intere popolazioni: insomma, la scena del viaggio verso la Siberia - che Shostakovich arricchisce di dettagli, in particolare del canto disperato dei forzati - si attagliava altrettanto bene allo zarismo, come allo stalinismo!    
___
Ecco, abbiamo cercato di scoprire i perchè della diversa luce in cui la protagonista viene posta da Shostakovich, rispetto a Leskov. In quest’ultimo Katerina – l’abbiamo conosciuta bene nel racconto - è una ragazza oppressa non già dalla merdosa società che la circonda, ma dalla noia del tran-tran che conduce. Ne è prova il fatto che, appena trovato l’antidoto – tutt’altro che rivoluzionario, ma vecchio quanto il mondo: il manico! – la nostra ragazza rinasce a nuova vita, o meglio tira fuori tutte le sue prerogative di donna forte e arriva a commettere addirittura tre omicidi volontari pur di garantirsi la continuità di quella nuova vita, nell’ingiusta (ma per lei divenuta assai comoda!) società zarista. Insomma, in lei c’è assai poco di impiegabile per i fini di Shostakovich: da un lato è una donna che nemmeno si pone problemi politici, dall’altro è praticamente un robot, spinto da un unico motore (l’amore, ma come si è detto: viscerale, cieco, selvaggio, nevrotico, feroce, egoista, possessivo, totalizzante e pure… criminale!) e come un robot senz’anima lei vive – sia pure per soli tre mesi, prima dell’inaspettata intrusione di Fyodor – il suo amore animalesco con Sergei, in tutta la sua pienezza e senza timori o sospetti nè pentimenti di sorta, tanto accurata e scientifica è stata la pianificazione e l’esecuzione dei delitti che hanno creato le condizioni materiali della sua realizzazione.

Shostakovich aveva invece bisogno – per ragioni ideologiche ed estetiche - di una Katerina assai diversa: una donna, non un robot! Un essere umano che soffre la mancanza d’amore imposta da una società governata da ingiustizie e avidità, una donna che per avere amore arriva persino ad uccidere, ma che sente immediatamente su di sé tutto il peso dei suoi delitti, come testimoniano la sua agitazione e gli angosciosi presentimenti che la pervadono già prima del matrimonio e della catastrofe. Insomma, una persona da compatire, quando in Leskov è piuttosto da temere!

Ecco, forse l’unico errore di Shostakovich è stato quello di conservare per la sua opera il titolo di Lady Macbeth: con la quale la sua Katerina non ha proprio nulla da spartire. E chissà che non sia stata questa constatazione, nel 1962, a suggerirgli per la nuova edizione il titolo di Katerina Izmailova. Perché difficilmente la Lady di Leskov avrebbe potuto ispirare al compositore la musica mirabile che ascoltiamo: i robot al massimo possono ispirare musica metallica, arida, senza emozioni né dolore né gioia.    

E allora avviciniamoci proprio a questa grande musica.

(2. continua)

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 11


Concerto-dedica, l’undicesimo della stagione. L’omaggiato è un pittore, il grande Marc Chagall, e gli omaggi li fanno due artisti: il pianista Mickhail Rudy e il direttore Jader Bignamini.

Rudy si è di recente specializzato nella produzione di cartoni animati (però seri, attenzione) che lui fa proiettare su un maxi-schermo e che accompagna suonando brani di musica classica per pianoforte. Un paio di stagioni fa, sempre in coppia con Bignamini, ci aveva proposto i Quadri di Musorgski: prima lui suonando la versione per pianoforte sulle sue animazioni ispirate a Kandinsky, poi Jader con la versione orchestrale raveliana. Ecco, questo concerto ha un’impaginazione simile: nella prima parte Ruby ci presenta le sue animazioni degli schizzi e dei dipinti eseguiti da Chagall negli anni ’60 per il soffitto dell’Opera Garnier di Parigi, mentre lui suona i cinque (anzi… sei) brani di 5 dei 14 compositori evocati dai pennelli di Chagall, ultimo dei quali brani è la versione pianistica de La valse; nella seconda parte Bignamini ci propone Stravinski e poi la versione orchestrale della stessa valse raveliana.

Apre Melodia di Gluck (Orfeo, atto II) arrangiata per pianoforte da Giovanni Sgambati. L’originale viene dalla versione parigina dell’opera (sono gli Spiriti beati) di cui ecco la parte principale del flauto solo, che espone la melodia:


Eccola qui suonata da un tale Rachmaninov!       

Poi viene la Fantasia in Re minore K397 di Mozart  (in tre parti: Andante, Adagio e Allegretto) di cui si perse l’autografo (presumibilmente del 1782) essendosi ritrovata invece nel 1804 a Vienna una copia chiaramente incompleta, dato che chiude a battuta 97 con un accordo sulla sensibile (DO#). Il completamento (poche battute, 10 in tutto) si fa risalire a tale August Eberhard Müller, ai tempi Thomaskantor a Lipsia, ma soprattutto consulente dell’editore Breitkopf che ristampò lo spartito.


Eccola interpretata da Glenn Gould (il punto incriminato, battuta 97, è a 7’55”).

Segue il luterano Wagner, di cui ascoltiamo la Liebestod trascritta dal cattolicissimo suocero Franz Liszt. Qui il grande Horowitz.

Il quarto brano è in realtà bipartito: di Claude Debussy vengono eseguiti due dei 12 Studi per pianoforte, entrambi dal primo dei due libri: il n°3 (Per le quarte) e il n°6 (Per le otto dita). Sulla natura e la consistenza estetica della raccolta Piero Rattalino ha lasciato una fulminante dissertazione, chiusa dall’ironico paradosso, che capovolge l’esternazione di quello spettatore della Scala del 1838, al cospetto degli studi di Liszt: vengo a teatro per studiare, non per divertirmi… 

Ecco, se vogliamo studiare, possiamo farlo con i potenti mezzi del web, che ci mettono contemporaneamente a disposizione il suono e… la carta sulla quale è stato codificato a futura memoria: Walter Gieseking ci accompagna nel primo e nel secondo dei due studi.

Chiude la rassegna di Rudy La valse di Ravel, che poi si riascolterà nella versione originale per orchestra.

Beh, diciamo che una volta ogni due anni si può anche accettare di assistere a queste esibizioni interessanti e originali, ma francamente un poco… circensi, con tutto il rispetto per il pianista-animatore Rudy (che del resto nell’associare musica e immagini e/o colori è un seguace del suo conterraneo Scriabin). Il rischio è che qualcuno scopiazzi l’idea, sostituendo ai cartoni animati le evoluzioni di qualche barboncino (smile!)

Ad ogni buon conto Rudy si congeda con uno Chopin… inanimato.
___
La seconda parte del concerto inizia con un altro compositore richiamato da Chagall nei suoi affreschi del Garnier: Igor Stravinski, di cui ascoltiamo la nota versione del 1919 de L’Uccello di fuoco, che l’orchestra ha già più volte interpretato e che anche stavolta ha eseguito in modo convincente.

Ha chiuso la versione orchestrale de La valse, dove Bignamini se l’è cavata benissimo, come al solito, accolto dalle ovazioni del suo pubblico, al quale dà appuntamento fra pochi giorni, in coppia con la matrona Jessica Pratt.

27 novembre, 2014

Una Lady sovietica è attesa a Bologna (1)

 

Il Comunale di Bologna si appresta a proporre una delle opere più straordinarie del ‘900, la Lady Macbeth del distretto di Mzensk di Dimitri Shostakovich. È una produzione moscovita del 2000 (Teatro Helikon) già passata al Ravenna Festival del 2003 e in parecchi altri teatri di tutto il mondo.

Cominciamo ad avvicinarci a questo capolavoro (sì, qui il termine può essere impiegato a giusto titolo…) partendo da lontano, cioè dal racconto in prosa (uno schizzo, un abbozzo, lo qualificò l’Autore) che l’allora 34enne Nikolai Semyonovich Leskov aveva scritto nel 1865 per la pubblicazione sulla rivista Epocha dei fratelli Dostojevski. Il racconto divenne la fonte del libretto che Shostakovich scrisse insieme ad Alexander Preis; e farne la conoscenza ci aiuterà a meglio mettere a fuoco - per differenze - i tratti estetici ed anche filosofico-politici dell’opera. 

Si tratta di un racconto, o novella che lo si voglia chiamare, in 15 capitoli, strutturato come una raccolta di articoli di un servizio giornalistico a puntate (Leskov fu anche giornalista, appunto) su fatti di cronaca nera al centro dei quali era stata una giovane donna della provincia russa di Orël (precisamente del distretto di Mzensk, poco vicino al capoluogo, a circa 300 Km a sud-ovest di Mosca, sulla strada verso l’Ukraina). Leskov, figlio di un funzionario del tribunale di Orël, e lui stesso da giovanissimo impiegato lì per qualche tempo, aveva avuto modo di occuparsi di un fatto delittuoso, protagonista una ragazza - che aveva ammazzato il suocero versandogli cera bollente in un orecchio (!) per godersi l’eredità - e pare avesse addirittura assistito all’irrogazione di pene corporali alla giovane omicida. A partire da quell’episodio costruì – di sana pianta, ma con grande realismo ed efficacia – la sua storia.

Il titolo Lady Macbeth fa ovviamente pensare a vicende in qualche modo apparentabili a quelle della tragedia shakespeariana: guarda caso, una coppia che commette tre omicidi, di cui uno di un fanciullo (!) Certo, qui non siamo nelle alte sfere della corona di Scozia, ma nella arretrata provincia russa della prima metà del XIX secolo e in una società agricola rigidamente divisa in classi: commercianti, mugnai e piccoli possidenti (quelli che anni più tardi diventeranno kulaki) e servi della gleba (se non veri e propri schiavi). I due protagonisti della storia sono una ragazza e un giovane di umilissime origini, e quindi siamo di fronte ad una specie di Lady dei poareti! Ma anche questi sono pur sempre esseri umani, con le loro passioni, i loro miraggi, le loro ambizioni, invidie, amori, presunzioni e preconcetti, che Leskov ha saputo presentare con grande sapienza e con indubbia maestria.

In estrema sintesi la storia riguarda Katerina Lvovna, 23enne di umili condizioni - andata sposa a tale Zinovy Izmailov, ricco vedovo 50enne senza figli, figlio unico di un possidente, pure vedovo, l’80enne Boris - che si annoia della vita che fa (dopo 5 anni di matrimonio ancora non ha adempiuto al dovere per cui era stata sposata, mettere al mondo figli) e si concede a Sergei, giovane e povero-ma-bello lavorante presso l’azienda (mulino per produzione di farine e commercio delle stesse) del marito e del suocero. Dapprima avvelena il suocero, reo di averla colta in flagrante adulterio e di aver messo sotto chiave l’amante; poi, con l’amante, ammazza il marito e lo seppellisce sotto casa; infine, sempre con l’amante, ammazza anche Fyodor, un nipotino del marito che rischiava di toglierle buona parte della proprietà. Colti in flagrante in quest’ultimo omicidio, i due vengono condannati alla fustigazione in pubblico e ai lavori forzati in Siberia, ma durante il lungo viaggio Katerina (che prima di partire dà alla luce un figlio di Sergei, subito rispedito dai parenti del marito, di cui erediterà l’azienda) scopre che Sergei la tradisce con una prima (Fiona) e poi con una seconda donna (Sonetka). Esasperata dal comportamento spregevole e offensivo di Sergei (che arriva anche a frustarla nottetempo) e Sonetka, si vendica buttandosi nelle gelide acque del Volga, trascinando con sé l’ultima fiamma dell’amante.

La mappa che segue mostra sommariamente i luoghi del racconto di Leskov: a Mzensk, un piccolo centro vicino ad Orël, si svolgono i fatti di cronaca nera, compresa l’uccisione del piccolo Fyodor (nativo di Livny); Katerina (originaria di Tuskar, nella provincia di Kursk) e Sergei vengono deportati in Siberia e fanno quindi una lunga... camminata: a Nizny Novgorod il loro gruppo di forzati si unisce ad un altro arrivato da Mosca, comprendente le due ragazze che saranno oggetto delle attenzioni di Sergei; a Kazan c’è il traghettamento del Volga, nelle cui acque il dramma si consuma con l’annegamento di Katerina e Sonetka:

 
Cominciamo ad analizzare alcuni aspetti del racconto, a partire dalla descrizione che Leskov fa del mondo suo contemporaneo. È una fotografia fedele e piuttosto distaccata, che non nasconde le storture della società zarista, ma neanche ne fa bersaglio di espliciti o criptici messaggi rivoluzionari. (Leskov era quello che oggi potremmo definire un conservatore aperto e illuminato, quindi un moderato, né reazionario, né sovversivo.)

La figura di Katerina ci propone una donna forte, persino troppo sicura di sé, che agisce in base all’istinto e soprattutto (quando si tratterà di commettere ben tre omicidi) spinta dall’amore, un amore allo stesso tempo carnale e profondissimo, come solo una donna può provare. E così, quando quell’amore sarà irreparabilmente perduto, arriverà anche il quarto omicidio, accompagnato dal suicidio!

Sergei è un individuo insofferente della sua condizione di semi-schiavitù, che però vuol superare con mezzi individuali e proditori, come il conquistare le mogli di persone ricche e influenti: per poi scaricarle quando non servono più i suoi scopi (per lui l’amore è un puro sfogo animalesco, nulla più). Il suo atteggiamento verso Katerina è davvero vigliacco: prima la irretisce e la lusinga al punto da spingerla ad atti estremi, poi la scarica e la maledice per…  avergli dato retta! Però non è proprio una bestia fino in fondo, scopriremo in lui anche un (unico) momento di vera umanità.

I due Izmailov ci appaiono come normali espressioni di quel ceto medio-borghese che aveva saputo approfittare degli scarsi margini di libertà, concessi da qualche annacquata riforma zarista, per arricchirsi a dismisura, sfruttando - senza porsi problemi etici di sorta - manodopera ancora in stato di semi-schiavitù.

Riporto nel seguito un riassunto del racconto (che si può leggere, in inglese, a questo link) che servirà successivamente per evidenziare particolari che verranno più o meno pesantemente modificati da Shostakovich nel suo libretto.
___ 
Capitolo 1.
Cominciamo a fare la conoscenza di Katerina: subito ci viene presentata come la protagonista di un terribile dramma, tanto da essere indicata dalla gente come Lady Macbeth di Mzensk. Poi ci viene descritto il suo aspetto fisico, di ragazza 23enne nativa di Tuskar, non bellissima ma di gradevole presenza. Quindi facciamo la conoscenza degli Izmailov, affluenti commercianti a Mzensk, proprietari di un mulino, di frutteti, terreni e di una grande casa: il padre Boris, 80enne vedovo e il 50enne figlio Zinovy, pure vedovo da 20 anni e senza figli, al quale la ragazza è andata sposa, per interesse (degli Izmailov, ad avere finalmente un erede) e non certo per amore. L’assenza di figli (dopo 5 anni di matrimonio) preoccupa gli Izmailov, che ne fanno quasi una colpa alla donna, ma crea anche problemi e struggimenti a Katerina, che per tutto il giorno, in assenza di marito e suocero impegnati nei loro commerci e senza un libro da leggere (lei che comunque non è una lettrice) non fa che vagabondare da una stanza all’altra di una casa grande ma protetta come una fortezza, sbadigliare e sonnecchiare. Roba da… impiccarsi! E nessuno che si preoccupi di questa sua condizione. 

Capitolo 2.
In primavera, nel sesto anno di matrimonio di Katerina, il mulino degli Izmailov soffrì un grave incidente, proprio in un periodo di grande attività produttiva: un cedimento della diga e l’allagamento dei locali delle macine. Zinovy rimase là ininterrottamente per giorni e giorni per sistemare i danni, e Katerina si sentì ancora più sola. Finchè un giorno, approfittando del clima mite, decise di uscire di casa, avventurandosi nell’aia dove lavoravano i contadini alle dipendenze del suocero. Qui li trovò nel bel mezzo di un allegro scherzetto perpetrato ai danni della cuoca, una donna piuttosto grassa, da poco mamma, che i contadini avevano posto in un barile per la farina e issato su una bilancia per pesarla. Un giovane contadino (Sergei…) la irride: ora, a digiuno, pesa 70 Kg, ma dopo mangiato non basteranno più i pesi! E ciò detto, la rovescia fuori dal barile. Katerina allora sale sul piatto della bilancia e chiede di essere pesata, cosa che Sergei fa, annunciandole il responso: 50 Kg! Poi prende confidenza e aggiunge che potrebbe portarla in braccio tutto il giorno senza affaticarsi. Katerina si sente punta sul vivo e sfida Sergei che le stringe la mano fino a farla dolorare, al che Katerina lo scaraventa via con uno spintone. Ora Sergei e Katerina improvvisano una sessione di lotta libera, dove l’uomo ha facilmente la meglio, e ne approfitta per stringere a sé la padrona, per poi issarla di peso sulla bilancia. Katerina se ne va senza una parola, ma la cuoca la avverte che Sergei è uno sciupafemmine, pare che abbia sedotto la moglie del suo ultimo padrone, che per questo l‘ha cacciato. 

Capitolo 3.
Mentre il marito è sempre al mulino e il suocero è fuori (ad una festa) Katerina cena presto e si mette a sgranocchiare semi di girasole alla finestra. Ora anche i lavoranti hanno cenato e se ne vanno verso le loro stanze. Sergei passa sotto la finestra di Katerina e le dà la buona notte. Poco dopo qualcuno bussa alla porta della camera: è Sergei che si fa ricevere da Katerina, con la scusa di chiederle un libro per combattere la noia e la tristezza per la sua condizione senza futuro. Parlano dei problemi del matrimonio e Sergei le fa notare che lei è come chiusa in gabbia. Katerina si lascia scappare che sì, anche lei si annoia, così Sergei arriva a prospettarle una vita migliore con qualcuno al suo fianco che le dia dei figli, e le offre il suo cuore! Katerina cerca di resistergli e di cacciarlo, ma lui la raggiunge, l’abbraccia e… il gioco è fatto! Dopo una buona mezz’ora Katerina invita Sergei ad andarsene prima che il suocero torni e chiuda a chiave la porta. Sergei ribatte che per lui c’è sempre una porta che conduce verso o da Katerina, indicando i pali di sostegno della balconata…         

Capitolo 4.
Zinovy restò fuori casa per un’altra settimana, e Katerina passò tutte le notti con Sergei, che all’alba se ne andava dal balcone. Ma un bel giorno il suocero lo vede scendere all'alba dalla camera nuziale e lo ferma prendendolo per le gambe. Sergei non oppone alcuna resistenza, anzi si offre per la meritata punizione: Boris gli fa un processo sommario, gli dà una manica di frustate e lo rinchiude in un magazzino, poi manda ad avvertire il figlio. Nel frattempo Katerina scopre dove si trova Sergei, gli parla e poi va dal suocero dichiarandosi innocente e chiedendogli sfrontatamente di liberare l’amante. Ne riceve ovviamente una risposta negativa ed una minaccia: appena il marito tornerà, lei verrà frustata a dovere e l’amante spedito in galera. 

Capitolo 5.
La sera stessa Boris Izmailov mangiò un piatto di kasha con funghi e subito fu preso da convulsioni e vomito: morì il mattino dopo, proprio come i topi che infestavano i suoi magazzini e che mangiavano le esche che Katerina riempiva di veleno. Il corpo fu seppellito senza che vi fossero inchieste giudiziarie: era quasi normale che una persona morisse avendo mangiato funghi velenosi… Nemmeno il figlio fu atteso per le esequie: era ancora in giro per affari e il clima era assai caldo! Katerina ospitò apertamente Sergei nella camera nuziale, per farlo guarire dalle ferite provocate dalle frustate del suocero, poi distribuì ai lavoranti regali sufficienti a chiuder loro la bocca riguardo al nuovo ménage – more-uxorio - che lei e l’amante inaugurarono dopo la sepoltura del vecchio. 

Capitolo 6.
Dopo pranzo Katerina è a letto con Sergei e sogna un gatto che le si avvicina e si struscia su di lei. La cuoca annuncia che il samovar si sta raffreddando sotto il melo in cortile. Katerina ancora sogna il gatto, cerca di afferrarlo,  ma trova solo… aria. Bacia Sergei, sempre appisolato, e scende in cortile per il the, sdraiandosi sotto il melo in fiore. Racconta alla cuoca il suo sogno, completato dalla vista della luna crescente: un figlio in arrivo! sentenzia la cuoca. È una meravigliosa sera d'estate e Katerina fa scendere Sergei che si sdraia ai suoi piedi. I due vivono una vera e propria love-scene, circondati dall’incanto della natura. Lui dice di aver sofferto per lei, prima di diventare suo amante; lei dapprima lo mette in dubbio, poi si commuove alle sue confessioni. Lo sente indifferente e cerca spiegazioni. Gli riferisce delle strane voci che circolano sul suo conto (di essere una persona falsa, un ingannatore) e allora Sergei le esprime il suo disagio per l'equivoca situazione in cui si trova, una felicità destinata a svanire al ritorno del marito di lei; la incalza con i suoi dubbi e i suoi desideri: ah, come sarebbe tutto diverso se loro fossero marito e moglie! Sergei ha colto nel segno: Katerina gli giura che non lo lascerà mai, e alla domanda di lui su come ciò potrà accadere lei gli assicura di avere in mente il modo per fare di lui un commerciante e di averlo sempre al suo fianco. È ormai disposta a tutto pur di avere sempre con sé il suo Sergei. Dopo un ultimo abbandono nell’idilliaco scenario naturale, i due tornano in camera per la notte.

Capitolo 7.
Appena addormentata, Katerina rivede accanto a sé il gatto. Ma questa volta lui parla: è il suocero Boris, venuto lì dal cimitero per verificare il suo adulterio! Ha anche la testa di Boris, con due cerchi che ruotano vorticosamente al posto degli occhi. Sergei si sveglia, tranquillizza Katerina, e torna a dormire. Lei, per sua fortuna, rimane sveglia, così avverte qualcuno scavalcare il cancello del cortile, i cani avvicinarsi, ma senza abbaiare… Poco dopo sente la serratura della porta di casa scattare: non può che essere il marito Zinovy! Katerina sveglia Sergei, mentre si odono passi furtivi di qualcuno che sta salendo le scale. Sergei esce dalla finestra e Katerina gli intima di rimanere lì, sulla balconata, in attesa di… ordini. Lei si mette a letto e avverte la presenza del marito, che sta ascoltando da dietro la porta. Non ha alcun timore, anzi dentro di sé sorride perfidamente. Ora il marito si decide e bussa, facendosi riconoscere. Katerina gli apre e lo accoglie con nonchalance, poi si offre di preparargli il samovar, esce per mezz’ora e nel frattempo va alla balconata da Sergei, dicendogli di star pronto ad intervenire. Sergei sente e vede tutto ciò che accade nella camera: Katerina che torna; il marito che le chiede dove sia stata per tutto quel tempo; lei che risponde di aver preparato il samovar; lui che si lava e si asciuga; poi comincia a far domande imbarazzanti e a manifestare sospetti sul comportamento della moglie. Lei con la scusa del samovar, esce di nuovo, va da Sergei e gli chiede di seguirlo. Poi rientra in camera, dove il marito torna a farle altre domande imbarazzanti, cui lei risponde sfrontatamente. Ora Zinovy trova una cintura maschile e ne chiede conto alla moglie, che mente dicendo di averla raccolta in cortile. Quindi continua a tempestarla di domande e di accuse, mostrando di conoscere tutto del suo tradimento. A questo punto Katerina va alla porta e fa entrare Sergei, chiedendo sfacciatamente al marito di interrogarli sulla loro tresca. Zinovy resta interdetto e Katerina rincara la dose: ho già pensato a cosa fare di te in una simile circostanza, e ora lo farò! gli dice con insolenza. Zinovy va su tutte le furie e cerca di allontanare Sergei, ma Katerina chiude la porta a chiave e poi arriva all’estrema sfrontatezza di baciare ardentemente l’amante! Zinovy le ammolla un gran ceffone, poi però si sente in trappola e cerca di fuggire dalla finestra.

Capitolo 8.
Katerina abbandonò Sergei e con un balzo afferrò il marito da dietro, piantandogli le sue unghie in gola, e lo trascinò a terra, facendogli battere pesantemente la nuca. Zinovy rimase stordito e incapace anche di gridare. Lei cominciò a soffocarlo, chiedendo a Sergei di aiutarla. Con un disperato sforzo, Zinovy afferrò l’amante della moglie per i capelli e gli affondò gli incisivi e i canini nel collo. Ma subito ricadde indietro con un lamento: Katerina lo aveva colpito alla tempia con la base di un pesante candelabro. Invano Zinovy invocò un sacerdote per confessarsi prima di morire: Sergei continuò a premere le sue mani, insieme a quelle di Katerina, sulla gola di lui e dopo qualche minuto il marito tradito era già cadavere. Sergei si incaricò di trasportarlo nella cantina sottostante il magazzino dove lui stesso era stato rinchiuso da Boris, seppellendolo - in una buca scavata con pala e piccone - in modo così perfetto che nessuno mai avrebbe potuto scovarne il cadavere per l’intera eternità. Katerina si occupò di lavare accuratamente ogni più piccola traccia di sangue dal pavimento e dalle scale. Adesso sei un mercante, disse Katerina ad un Sergei ancora scosso da tremiti febbrili: lei aveva semplicemente le labbra fredde…   

Capitolo 9.
Per qualche tempo Sergei girò con un fazzoletto al collo, denunciando un gonfiore alla gola. Intanto non si avevano più notizie di Zinovy e lo stesso Sergei continuava chiedersi, di fronte agli altri lavoranti, il perché di tale scomparsa. Furono fatte indagini al mulino e si scoprì che il marito di Katerina lo aveva lasciato già da qualche tempo, andandosene su un carretto noleggiato laggiù. Fu rintracciato e perfino arrestato il proprietario del carro, che testimoniò di aver accompagnato Zinovy fino a due miglia da casa, dove il possidente aveva chiesto di scendere, vicino al monastero, andandosene poi lungo il fiume. Ogni tanto si facevano congetture sulla sua presenza in uno o in un altro posto, ma di certo Zinovy non tornò più (e nessuno meglio di Katerina ne sapeva il perchè…) Dopo tre mesi Katerina scoprì di essere incinta, ne informò Sergei e poi andò dalle autorità locali per farsi assegnare la proprietà del suocero, con la motivazione di evitare una crisi all’azienda. Essendo lei l’unica erede degli Izmailov, come legittima moglie dello scomparso Zinovy, ciò le fu accordato. Così da quel giorno lei visse come una regina e Sergei al suo fianco, ormai di fatto asceso nella scala sociale, come un principe. Ma ecco arrivare la classica tegola: da Livny (un paese a sud-est di Mzensk) qualcuno scrive alle autorità locali facendo presente che il capitale investito nell’azienda degli Izmailov non era interamente del fondatore, Boris, ma in parte era di un suo giovanissimo nipote, Fyodor Zakharovich Lyamin. La cosa viene accertata e una cugina di Boris arriva a casa Izmailov con il ragazzino. Da questo momento Sergei comincia a torturare Katerina con dubbi e cattivi presagi: dovranno cedere parte dell’azienda, scendere di livello nella scala sociale. Mentre lei sembra ben disposta verso il ragazzo e pronta a cedere una parte della proprietà, lui si sente sminuito nelle sue prerogative, impossibilitato a renderla sempre più affluente e rispettata; insomma, vede nero sul loro futuro e sulla loro felicità. Certo… senza quell’ostacolo che si chiama Fyodor, sarebbe il figlio loro, che sta per nascere prima di nove mesi dalla scomparsa di Zinovy, a divenire l’erede unico della fortuna degli Izmailov! E la loro felicità non avrebbe più limiti!   

Capitolo 10.
Sergei smise improvvisamente di parlare di Fyodor e subito… la figura del bambino cominciò ad occupare sempre di più, fino ad invaderli totalmente, i pensieri di Katerina. Perché mai avrebbe dovuto cedere parte di ciò che aveva ottenuto a così caro prezzo? Fosse almeno un uomo (!?) ma Fyodor era solo un ragazzino… Il quale giocava allegramente in cortile, rompendo pozzanghere di ghiaccio (la stagione volgeva ormai all’inverno) e così si prese un bel raffreddore e dovette essere messo a letto e curato. La vecchia zia era sempre presso di lui, salvo quando andava alle funzioni religiose; Katerina le dava allora il cambio somministrando al piccolo le medicine prescritte dal medico. La sera della vigilia delle festa dell’Entrata di Maria nel Tempio (verso la fine di novembre) la vecchia zia si recò alla funzione, che si sarebbe protratta per buona parte della notte, e lasciò Katerina a vegliare il nipote, che stava peraltro migliorando, e a somministrargli le medicine. Nella mente di Katerina un pensiero balenò come un fulmine: si può morire a causa di una medicina sbagliata! E mentre Fyodor legge le storie dei Santi, Katerina fa chiudere tutte le imposte della casa; poi sale in camera dove viene raggiunta da Sergei; Fyodor è solo, dice lei; si guardano negli occhi, un lampo d’intesa. Katerina torna giù da Fyodor; tutte le imposte sono chiuse; il ragazzino chiede un altro libro; Katerina vorrebbe che lui si mettesse a dormire, ma Fyodor vuole aspettare la zia, che ha promesso di tornare dalla funzione portandogli del pane benedetto. Katerina trasalisce, persino il figlio che porta in grembo si agita; poi esce e torna su da Sergei; che si toglie gli stivali e la segue in silenzio, giù verso la camera di Fyodor.  

Capitolo 11.
Fyodor sembra accorgersi di qualcosa di strano e ha paura; Katerina cerca invano di convincerlo a mettersi a dormire. Poi esce e confabula con Sergei. Fyodor adesso è terrorizzato e si mette ad urlare, così Katerina gli tappa la bocca, chiama Sergei che immobilizza il bambino, mentre lei gli preme un cuscino sul volto, appoggiandovi tutto il suo peso. Quattro minuti, ed è tutto finito, un silenzio di tomba cade nella stanza. Ma ecco che, come fosse scoppiato un improvviso terremoto, la casa comincia a tremare, porte e finestre sono scosse da colpi fortissimi, le lampade ondeggiano sinistramente. Sergei scappa via e corre su in camera, urta una porta, prendendosi un colpo in testa. Viene raggiunto da Katerina, crede di vedere Zinovy che li insegue con una fune d’acciaio e di udire altri tuoni. Ma in realtà tutto quel fracasso è provocato da decine, centinaia di pugni e calci che si abbattono su porte e finestre: una moltitudine di persone è entrata in cortile scavalcando il muro di cinta ed ora cerca anche di entrare in casa. Katerina corre a sistemare sommariamente il corpo di Fyodor, simulandone il sonno, poi apre la porta. Viene letteralmente travolta da un fiume in piena di gente che si precipita in casa.

Capitolo 12.
Ecco come andarono le cose. Vicino alla casa degli Izmailov c’era la chiesa parrocchiale con una cappella dedicata all’Entrata di Maria nel Tempio. Così alla festa del 21 novembre una gran folla di persone veniva anche da paesi circonvicini per assistere alla funzione, impreziosita da canti di solisti e cori. Quella sera però alcuni di loro, invece di seguire la funzione, avevano cominciato a spettegolare sulla moglie del povero Izmailov che se la faceva con un servo e allora, vista della luce filtrare attraverso le imposte della casa, si erano avvicinati per spiarvi dentro. Fu così che avevano scoperto in flagrante l’omicidio del piccolo Fyodor, cominciando quindi a battere pugni e calci sulla porta e sulle finestre, fino a costringere Katerina ad aprire. Sergei fu portato in carcere, Katerina rimase agli arresti domiciliari. La casa degli Izmailov rimase aperta ed una folla di curiosi venne a visitare la bara del piccolo Fyodor. Ma accanto a quella ce n’era un’altra, più grande: conteneva i resti di Zinovy! Sergei, riportato sul luogo del delitto, di fronte alla vista del cadaverino di Fyodor e ai severi richiami al pentimento fatti dal sacerdote, era scoppiato in lacrime, confessando anche l’omicidio di Zinovy e guidando la polizia a dissotterrarne il cadavere. Accusò quindi l’amante di essere sua complice in entrambi gli omicidi. Katerina cercò invece di negare ogni responsabilità, fino a quando, dopo un drammatico confronto con Sergei, ammise la sua colpevolezza, spiegando di aver fatto tutto ciò per lui. A fine febbraio il processo si concluse con la condanna di entrambi: fustigazione pubblica e poi invio ai lavori forzati in Siberia. Ai primi di marzo la prima parte della sentenza fu eseguita sulla piazza del mercato: Sergei - sul volto il triplice marchio riservato ai criminali - scese dal patibolo sporco, sanguinante e barcollante, attirandosi quasi le simpatie della gente. Invece Katerina rimase fredda ed impassibile sotto le frustate. Pochi giorni dopo, nell’ospedale della prigione, darà alla luce un figlio, che non vorrà nemmeno vedere!

Capitolo 13.
Il gruppo dei forzati si mosse verso la Siberia all’inizio di primavera, con tempo bello ma ancora gelido. Il bambino di Katerina era stato affidato alla vecchia sorella di Boris: registrato come figlio legittimo di Zinovy, era l’erede unico dell’intera fortuna degli Izmailov! Ma a Katerina non importava più nulla di nulla di nulla, lei conservava un unico desiderio: poter vedere e stare ancora accanto al suo Sergei. E il destino così volle: entrambi si ritrovarono nello stesso gruppo: lei con pochissimi oggetti e ancor meno denaro, lui con l’indelebile marchio sul volto. Per Katerina persino il terribile cammino verso la Siberia - avendo Sergei vicino - divenne una passeggiata felice! Ben prima di arrivare a Nizny lei aveva già consumato il suo poco denaro, dandolo alle guardie in cambio della possibilità di camminare a fianco di Sergei, o di poter passare qualche momento stretta a lui nelle carceri in cui sostavano la notte. Ma chi diventava ogni giorno più riservato ed anche aggressivo era proprio l'amante: per lui era impossibile accettare quello stato di cose e arrivò persino a maledire tutta la sua vita… Il loro rapporto si stava deteriorando, quando arrivarono a Nizny, dove si unirono ad un altro gruppo di deportati, proveniente da Mosca. Nel gruppo femminile spiccavano due donne assai interessanti. La prima si chiamava Fiona, una splendida ragazzona moglie di un militare, alta, con una treccia nera e languidi occhioni scuri, che sembravano nascosti sotto fitte ciglia. L’altra, che chiamavano Sonetka, era invece una diciassettenne esile, biondina, con una bocca piccola e fossette sulle guance. Fiona era sempre (anche sessualmente) disponibile, non si negava a nessuno. Sonetka era del tutto diversa: dicevano di lei come di un’anguilla che sguscia via dalle mani senza mai fermarsi un attimo; era assai riservata ed esigente e pretendeva dai suoi selezionati amanti passione e… sofferenza. Non così Fiona, che era certa di una sola cosa: essere donna (sono le donne che piacciono a bande di ladri, carcerati e… alle comuni socialdemocratiche di Pietroburgo!) La presenza di queste due donne accanto a Sergei e Katerina avrà nefaste conseguenze per quest’ultima.

Capitolo 14.
Nel tragitto da Nizny a Kazan Sergei comincia a corteggiare Fiona e non gli manca certo il successo. Una sera Katerina gli dà un appuntamento notturno, dopo aver corrotto una guardia. Attende pazientemente il via-libera, che arriva dopo altri dati ad altre donne… percorre un lungo corridoio, passa davanti al dormitorio maschile da dove vengono sghignazzi, poi la guardia la spinge in un angolo, prima di allontanarsi. La sua mano avverte un pastrano e una barba; l’altra mano… il viso di una donna! Sergei chiede chi sia arrivato, Katerina gli chiede chi è che sta nelle sue braccia; strappa il velo alla donna, che fugge precipitosamente. Disgraziato! gli sibila, e se ne torna a letto, seguita da sghignazzate ancor più forti dal dormitorio maschile. Quella notte Katerina cercò di convincersi a non amare più Sergei, per scoprire di amarlo ancor di più! Mentre ricordava piangendo la scena nel corridoio, una mano la scosse: era Fiona, che chiedeva indietro il suo velo. Katerina glielo restituì senza problemi; poichè pensò che non aveva nulla da temere da un simile barile dipinto… Ma ora Sergei si faceva sempre più intrattabile: il giorno dopo le ricordò di non essere suo marito, quindi di non doverle nulla; e che lei, non essendo più una benestante, non poteva più dargli né pretendere alcunché. Katerina non gli rivolse la parola per giorni e Sergei, da parte sua, cominciò a concupire Sonetka, abbordandola con approcci ora galanti, ora carnali: sembrava ormai che l’anguilla si fosse ammansita assai! E la stessa Fiona mise in guardia Katerina da quella ragazza intraprendente. Passano dei giorni e mentre Katerina medita un gesto di riconciliazione con lui, è proprio Sergei che le dà un appuntamento per la sera. Lei non risponde, ma poi è vista allungare del denaro ad una guardia, al che Sergei fa un esplicito cenno a Sonetka, poi va ad abbracciare Katerina lodandola come la miglior donna del mondo. Katerina si sente in paradiso, ma la notte, quando incontra Sergei, dopo un fugace abbraccio, le cose cambiano: lui lamenta dolori alle caviglie, le fa credere che potrebbe rimanere in infermeria a Kazan, il che preoccupa sommamente Katerina, angosciata da un’eventuale separazione da lui. Ecco, un paio di calzettoni potrebbe alleviargli il dolore, dice Sergei, e Katerina esultante corre a prendere l’ultimo paio di calzettoni di lana che le sono rimasti, quelli blu con la baghetta. Glieli consegna, poi torna a letto e dorme felice. Non accorgendosi di Sonetka che lascia il dormitorio, per farvi ritorno solo al mattino. Erano a due giorni di marcia da Kazan. 

Capitolo 15.
Al mattino successivo il gruppo dei deportati lasciò il carcere in un giorno grigio, freddo, sotto pioggia mista a neve. Katerina tuttavia si avviò con gran lena quando, improvvisamente, divenne verde e tutto il suo corpo fu preso da convulsioni: davanti a lei stava Sonetka, indossando i suoi bei calzettoni blu con la baghetta! Poco dopo, Katerina si presentava davanti a Sergei, sputandogli in pieno viso e gridandogli: mascalzone! La notte successiva due uomini entrarono nella baracca delle donne. Sonetka indicò loro il giaciglio di Katerina, che si trovò immobilizzata, con una coperta sulla testa, e fu bersaglio di 50 frustate. Distinse chiaramente la voce di Sergei scandire il numero dei colpi. In un attimo, i due uomini scomparvero e a Katerina non restò se non il vasto petto di Fiona sul quale versare lacrime e meditare la vendetta. Il suo animo divenne di pietra, e andò a prepararsi per la partenza, verso il traghetto sul Volga. Durante la marcia Sergei si avvicina a Katerina e la schernisce, chiedendole se il suo onore è salvo, poi canta una canzonetta e quindi bacia spudoratamente Sonetka. I forzati si permettono di fare del sarcasmo su di lei, vanamente rimproverati da Fiona, ma è ancora Sergei il più vile, chiedendo a Katerina se vuole comprare i calzettoni di Sonetka. Katerina lo apostrofa nuovamente: mascalzone! All’imbarco sul traghetto Sergei raggiunge il colmo della perfidia: chiede a Katerina di pagargli della vodka, in nome dei meravigliosi momenti trascorsi a Mzensk, in una tiepida sera d’autunno! Katerina ha il corpo in subbuglio, ma ora guarda sempre più intensamente le onde del Volga. Sergei e Sonetka ancora la offendono a morte, mentre lei crede di vedere fra le onde la testa di Boris, poi quella di Zinovy che reca il piccolo Fyodor… Agita le braccia, poi si piega, afferra per le gambe Sonetka e la trascina nel Volga con lei! A nulla vale un appiglio lanciato in acqua: Sonetka appare fra le onde, ma Katerina piomba su di lei come un salmone si avventa su un piccolo rutilo; ed entrambe scompaiono per sempre.
___
Ecco, come si può dedurre, il racconto di Leskov non ha alcun messaggio da comunicare, nessuna morale da tirare, essendo tutto incentrato sui rapporti personali ed in particolare sui sentimenti dei protagonisti, quindi di Katerina e Sergei. Semplicemente ci racconta, senza secondi fini, una storia di amore e di tradimento che matura fra due comuni mortali e che porta ad una catena di fatti di cronaca nera.

Uno degli aspetti peculiari della storia (che perciò diverge assai da Shakespeare) è che i tre omicidi di Katerina (ma in realtà anche il quarto) sono sì premeditati, ma determinati esclusivamente dal suo possessivo amore per Sergei, non certo da sete di potere o di ricchezza: prima avvelena il suocero dopo che questi ha riempito di frustate l’uomo di cui lei (trascurata dal marito) si è innamorata; poi architetta l’omicidio del marito ancora per amore, per dare a Sergei la possibilità di riscatto sociale dalla sua condizione di schiavo; poi ancora premedita l’uccisione del piccolo Fyodor (con cui era personalmente disposta a condividere la proprietà degli Izmailov) sempre per garantire all’amato Sergei la pienezza della sua nuova condizione sociale. Ogni azione della protagonista è ispirata dalla volontà – costi quel che costi - di perpetuare la propria felicità, assecondando tutti i desideri (anche e soprattutto materiali) dell’uomo che ha cambiato la sua vita, facendola prima sentire donna e poi rendendola madre. E la tragedia che si compie alla fine (con il quarto omicidio e il suicidio) non è nemmeno causata dal pubblico riconoscimento delle sue colpe e dai conseguenti rimorsi, ma dal tradimento di quell’uomo al quale lei aveva dato tutto, ma proprio tutto: se stessa (corpo e anima) per prima cosa, poi la promozione sociale e alla fine persino gli ultimi… calzettoni di lana!

Se ci pensiamo bene, anche la sua decisione di cedere il figlio neonato (alle cure di parenti ricchi, si badi bene, non certo ad un orfanatrofio…) è dettata dal desiderio di restare accanto a Sergei: tenendo con sé il piccolo, non c’è dubbio che il suo trasferimento in Siberia sarebbe stato rimandato di qualche settimana come minimo, se non di qualche mese, per darle modo di svezzare il bambino; ma così lei avrebbe perso i contatti con il suo amante, rischiando di non ritrovarlo mai più! Ugualmente: durante il viaggio verso la Siberia, sarà il timore di perdere Sergei che la spingerà a dar credito alle falsità dell’uomo riguardo lo stato delle sue caviglie e all’eventualità di un suo fermo in ospedale.

Ecco perché la lettura del racconto, se non induce in noi un’aperta simpatia o approvazione per i suoi comportamenti, quanto meno ci muove ad un certo rispetto per questa donna che ha sempre agito, anche quando lo ha fatto con efferatezza, per garantirsi un unico ma preziosissimo bene: l’amore! Certo: un amore viscerale, cieco, selvaggio, feroce, nevrotico, egoista, possessivo, totalizzante e pure… criminale! Vedremo come Shostakovich, pur senza stravolgere né tanto meno eliminare questo peculiare aspetto del dramma, cambierà parecchio le carte in tavola, al momento di stendere il libretto della sua opera.   

(1. continua