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06 novembre, 2011

La donna del lago alla Scala


Ieri sera quarta rappresentazione (delle sette) de La donna del lago. Opera fin troppo trascurata dai teatri: un tempo perché si pensava che il Rossini romantico-drammatico fosse anche un Rossini minore; oggi con la scusa che l'opera richiederebbe un cast vocale troppo difficile o addirittura quasi impossibile da mettere insieme.

La Scala meritoriamente (una volta tanto) non si tira indietro e – dopo quasi 20 anni (Muti, 1992, con Blake, Anderson, Merritt, Dupuy, Surjan) – ripropone questo autentico gioiello, una delle cose più alte di tutto Rossini, in una nuova edizione, realizzata insieme all'ON di Parigi e alla ROH di Londra. Speriamo che queste co-produzioni servano almeno a spalmare una parte dei costi fissi su diversi clienti… in specie quando questi costi sono a fronte di prestazioni francamente discutibili.

Alludo ovviamente all'allestimento di Lluìs Pasqual (scene di Frigerio, costumi della Squarciapino e luci di Filibeck) che è di quelli che ti fanno venir voglia di chiederti: ma perché non lo fanno fare a me, povero pirla, che gli farei oltretutto risparmiare il 90% della parcella? Faccio un piccolo esempio relativo a scene e costumi. Ecco, siamo in un'opera di ispirazione romantica, con tanto di atmosfere ossianiche, ambientata a metà del 1500 nei dintorni e all'interno di un maniero scozzese, che si può vedere ancor oggi, ben restaurato:


E basta collegarsi col sito del castello di Stirling per avere millanta buone idee su come allestire le scene dei finali d'atto e su come vestire protagonisti e masse.

Ora invece, ditemi voi che valore (o piuttosto dis-valore) aggiunto mi dà una scena come questa:


Ma dico: pare di essere alla Traviata o al Rigoletto di Zeffirelli…

Altro discorso sarebbe una messinscena che indirizzi prevalentemente gli aspetti psico-esistenziali dei vari personaggi (e di materiale il libretto e la musica ne offrirebbero a josa): allora certo sarebbe legittimo e sensato astrarre la vicenda da tempi e spazi, focalizzandola sui moti dell'animo, sulle coscienze, sui sentimenti e sulle problematiche politiche che la caratterizzano. Ma allora basterebbe un ambiente da teatro greco (cioè i soli gradini del set di Frigerio e poco più (altro che lampadari, smoking e palazzi barocchi) mentre qualcosa di più e di meglio andrebbe fatto sul versante della recitazione.

Per fortuna il fronte musicale non ha tradito le aspettative. I personaggi principali sono cinque: i due tenori (acuto Uberto-Giacomo; più baritonale, ma con salite anche al DO, Rodrigo); il soprano (ma con parte quasi mezzo-sopranile, Colbran-oriented: Elena); il contralto (Malcom, en-travesti) e il basso (Duglas).

Uberto, il Re in incognito, è un tipo strano: nel poema di Walter Scott lui - che se ne va in giro col nome di James Fitz-James, Cavaliere di Snowdoun, per mescolarsi al popolo e coglierne gli umori – si perde per davvero durante una battuta di caccia al cervo, e perde pure il cavallo, così solo per puro caso si imbatte nella bella Ellen, che naviga in una barchetta sul Loch Katrine, in uno sfolgorante tramonto estivo. Si innamora di lei, torna a trovarla, ne viene respinto, ma alla fine, dopo aver ferito mortalmente il ribelle Roderick – pretendente della ragazza - perdona tutti i rivoltosi e favorisce l'unione di Ellen e Malcolm. Invece, nel libretto di Tottola - che evidentemente non si accontentava, con Rossini, di una vicenda così terra-terra - Uberto si reca di proposito in riva al lago - di buon mattino - per conoscere quella che gli è stata descritta come una donna straordinaria. Insomma, ci fa un po' la figura del voyeur arrapato (smile!) e la sua finale magnanimità ci appare proprio come un coupe de theatre. Ecco, questa personalità piuttosto bizzarra, di un sovrano che è allo stesso tempo un famelico innamorato, ma anche un invincibile spadaccino, un ebete cascamorto e un nobile magnanimo era affidata alla voce del divo JDF:

Forse a qualcuno non piacerà, e magari la sua voce, già non potentissima, comincia a dare segni di cedimento, ma insomma uno così, in questo repertorio perlomeno, non si trova tutti i giorni; specialmente negli acuti, affilati come… lame di Scozia, appunto.

La Elena di Tottola-Rossini, come e più della Ellen di Scott, è donna solo apparentemente debole e remissiva, forse introversa sì, ma anche decisa, autonoma nel giudizio e perfino ribelle. Nell'opera la sua personalità non ha nemmeno quel risvolto religioso che presenta la Lady di Scott (l'Ave Maria che ispirerà Schubert) e l'unico suo richiamo al Creatore è annegato nella stretta militaresca del Finale primo. Come nel poema da cui fu tratto il libretto, Elena non dissimula affatto la sua attrazione per Uberto e a noi resta sempre il dubbio che lei, quando Giacomo V la unisce, seduta stante, in matrimonio con Malcom, sia felice sì, ma… un filino pentita di aver perso l'occasione unica di prendere il posto, come padrona di casa a Stirling, di tale Marie de Guise! Joyce DiDonato ne è degnissima protagonista, sia nel canto – solo qualche piccolo problema nell'ottava bassa, ma niente di cui scandalizzarsi – che nella recitazione e nel portamento (dove è stata l'unica a distinguersi, in un grigiore registico totale).

Il puro-e-duro (e anche un tantino presuntuoso, come tutti i guevara-da-strapazzo) Rodrigo qui è John Osborn. Parte assai impervia, essendo per lunghi tratti baritonale, ma con ascese vertiginose fin su dalle parti di… JDF e addirittura oltre, come dimostratosi nel terzetto dell'atto secondo! E in effetti il ruolo di Uberto non gli andrebbe affatto male, poiché è proprio nella parte alta del pentagramma che il tenore dà le sue cose migliori. Personalmente non mi sentirei di censurarlo più di tanto: in fondo sarà pure cosa disdicevole, ma per il pubblico medio un bel DO acuto compensa alcuni DO e SIb gravi scarsamente udibili!

L'imponente Daniela Barcellona veste i panni del modesto – come personalità – Malcom. In effetti già certa critica di inizio '800 rimproverava a Scott di aver fatto eccessivi favori a Malcolm Graeme, un personaggio che ha l'unico merito di essere innamorato – e ricambiato – da Ellen. Perché per il resto pare un tipo abbastanza mediocre, se non pavido, uno che cerca di non esporsi troppo – e caso mai più per l'amata che per il suo clan - a differenza del fierissimo Roderick. E non è escluso che questa attitudine da mezza-sega (con tutto il rispetto, smile!) abbia indotto Tottola-Rossini a sceglierlo come personaggio en-travesti (detto senza offesa per i travestiti, sia chiaro). Però, come castigo, i nostri autori gli hanno tolto il privilegio fattogli da Scott di cantare, prima del finale, la canzone del prigioniero dalla torre, arietta regalata invece al tenore Uberto (Aurora! ah sorgerai…) Tuttavia, e per fortuna, noi abbiamo qui una travestita coi fiocchi, la quale – a dispetto di una indisposizione, come annunciato prima dell'inizio – canta più che dignitosamente la sua parte assai impervia. Forse le condizioni fisiche le hanno consigliato di abbassare un poco il volume, peccato che Abbado invece abbia mantenuto imperterrito (parlo della seconda parte dell'aria del primo atto) quello dell'orchestra, strumentini soprattutto. Comunque complimenti per la professionalità di questa artista, persona oltretutto riservata, seria ed equilibrata, come si può evincere da questa intervista fattale da un Amfortas sotto mentite spoglie (smile!)

Tale James Douglas (Duglas per Tottola) in Scott è non solo il padre di Ellen e un esiliato – con Malcolm Graeme - dalla corte di Giacomo V, ma anche una persona di retti principii, che mai e poi mai tradirebbe il suo Re. Addirittura nega a Roderick la mano della figlia! E non per nulla Giacomo V, alla fine, lo risparmia con ampia assoluzione. Invece Tottola, dovendo animare in qualche modo il suo dramma e fornire a Rossini materiale per musica tosta, rivolta come un calzino il personaggio di Scott e ne fa nientemeno che il capo – e non solo spirituale - dei ribelli. E già che c'è, anche un padre piuttosto nazista, che vorrebbe imporre alla figlia il marito che dice lui (Rodrigo, ovviamente). Ne esce una figura da classico basso cattivo, che Simon Orfila cerca di rendere come può: il cattivo c'è di sicuro, tutto sta a vedere se per caso non sia il canto (smile!)

Gli altri: LoMonaco-Albina, Kwon-Serano e Shin-Bertram su un piano di dignitosa sufficienza (con un ++ per il soprano).

Il coro di Casoni – criticato alla prima – sembrerebbe tornato sui suoi standard normali.

E Roberto Abbado? A me è parso voler calcare la mano – poco o tanto – sul versante romantico della partitura, mettendo in risalto tutti i lati verdiani della stessa. Il risultato è stato un certo slentamento di tempi e qualche volta un eccesso di fracassi, con conseguente copertura di voci. Così ci ha però chiarito come in Rossini si annidassero evidenti i prodromi di ciò che nei decenni successivi sarebbe accaduto nel melodramma italico, e non solo. In ogni caso i soli – timidi – buh finali (dopo i bravo al rientro) sono stati proprio per lui. 

A proposito di reazioni del pubblico, la zona sinistra del primo loggione è parsa tanto scatenata nelle approvazioni, per tutti quanti, da destare qualche sospetto di... parzialità. In ogni caso - a parte che meriterebbe una richiesta di rimborso della quota-regìa del biglietto… - spettacolo più che degno sotto il profilo musicale.
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5 commenti:

Amfortas ha detto...

Sì, per intervistare la Barcellona ho usato il terzo nick :-). Ovviamente grazie per la doppia segnalazione.
Certo che su questa regia non ho letto una critica che sia una non voglio dire positiva, ma almeno non del tutto negativa.
Ora tocca a Semiramide al San Carlo. NOn ci sarò causa consueti problemi (non ne posso più, davvero) e mi spiace molto, non tanto per il cast, ma perché non ho mai visto l'opera in teatro. Ero assente al Verdi di Trieste, quando fu rappresentata nel 1982, con la Cuberli e la Valentini Terrani.

daland ha detto...

@Amfortas
Neanch'io ho mai sentito dal vivo Semiramide: qui alla Scala manca dal '62. Ci sto facendo un pensierino...
Ciao!

mozart2006 ha detto...

Rispetto Florez per il suo professionismo e l' attenzione nella scelta dei ruoli, a parte l' infelice Duca di Mantova da me ascoltato in teatro a Dresda.
Più passa il tempo, però, e più in Rossini lo trovo lezioso, manierato e monotono nel voler fare di tutti i personaggi una replica di Almaviva.
Lasci perdere il Rossini serio e si dedichi ai ruoli di mezzo carattere.

daland ha detto...

@mozart2006
Forse JDF non ama troppo le "novità" e preferisce restare "sul sicuro". Certo, una scelta che andrebbe accompagnata da continua "ricerca" (che significa "studio") e non da un dormire sugli allori...
Ciao!

daland ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.