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29 gennaio, 2018

Torna al Carlo Felice la Norma-fuori-norma


Nel mio personale tour delle Repubbliche marinare, dopo la Venezia del 21 ecco, ieri 28, la Genova del Carlo Felice, che ha ospitato la terza recita di Norma. Beh, mentre la Lanterna (personalmente) mi eccita assai meno di SanMarco, devo dire che il Bellini (e non solo quello di Norma) è davvero altro rispetto allo Spontini (e non solo quello del Pasquale) che pure fu uno dei suoi modelli.

Poco meno di 5 anni fa avevo potuto assistere all’esordio in Norma di Mariella Devia (con il quasi-esordiente Mariotti) a Bologna. E ne avevo scritto come di un evento di prima grandezza, con un epiteto che ho ripreso oggi nel titolo di questo post. A quel tempo la Mariellissima aveva già compiuto i 65, e adesso, 3 mesi dopo questa nuova Norma, lei spegnerà nientemeno che 70 candeline: un cosa da Guinness dei primati! E ovviamente non nella sezione dei Fenomeni da baraccone, ma in quella dei più Grandi artisti lirici di ogni epoca!

Ieri pomeriggio si è fregiata di un ennesimo trionfo, con una prestazione proprio da manuale. Certo, alla sua età le note gravi potranno essere un filino problematiche, ma i centri e gli acuti sono tuttora integri e sbalorditivi. Qualcuno ancora insiste ad avanzare riserve sulla sua voce, che sarebbe di soprano non-abbastanza-drammatico: beh, credo che ieri nessuno abbia potuto tirar fuori sofismi di tal fatta.

La sua allieva (profetessa) Annalisa Stroppa ha discretamente meritato, peccando un po’, secondo me, sugli acuti, spesso piuttosto vetrosi, mentre ha mostrato buona impostazione nei centri: azzeccata comunque la scelta (non è poi una novità, si ricorda la Ludwig con la Callas) di affidare Adalgisa ad un mezzo.

Dei due protagonisti al maschile mi sento di apprezzare Stefan Pop, bella voce squillante, ma un po’ incerto e timoroso (occhi perennemente puntati su Battistoni). Ma di sicuro il tenore rumeno si farà strada, ha solo 30 anni o poco più... Discreto l’Oroveso di Riccardo Fassi, da cui avrei preteso più autorevolezza, sia scenicamente che vocalmente: il suo mezzo è notevole, ma va forse meglio disciplinato.

Elena Traversi e Manuel Pierattelli han dato il loro onesto contributo. Da lodare il Coro di Franco Sebastiani, sempre solido e compattissimo nello strepitoso guerra, guerra!

Andrea Battistoni si agita sempre come un forsennato (forse per cercar di smaltire... ehm, qualche chilo di troppo) e saltella sul podio come da giovane faceva Daniel Oren; quando ci sono brani a piena orchestra scatena i fiati (ottoni in particolare) in accompagnamenti fracassoni che coprono la melodia degli archi. Però nelle scene ad elevato tasso di lirismo (tipo il duetto Norma-Adalgisa dell’atto secondo) si riscatta, trattenendo l’orchestra come si deve, per far risaltare le meraviglie di Bellini.
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L’allestimento, già visto da maceratesi e palermitani, è della premiata coppia di Teatrialchemici (i siculi Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi). I quali avevano da tempo rivelato al mondo la loro vision dell’opera, che comporta il trasloco dell’Irminsul (che già il libretto aveva bizzarramente spostato in Gallia dalla sua natìa Teutonia) in Sardegna, fra fili, tele, reti, stracci e cordami, materiali ispirati alla compianta Maria Lai : la foresta (scena unica, di Federica Parolini) è una jungla di liane, più enormi gabbie che paiono nasse restate a marcire in mare per anni, e dove non si trova una fogliolina nemmeno a pagarla oro. Di stracci o telami simili son fatti anche i costumi (Daniela Cernigliaro) del popolino, mentre i protagonisti (tutti più o meno appartenenti a... caste) si servono da gucci o versaci. Le luci di Luigi Biondi sono abbastanza efficaci, incluse quelle che illuminano il fondale, che cangia da giorno, a notte, a... rogo.

Ma ovviamente non si potrà tacere dell’interpretazione filo-socio-psicologica, che presenta arditi paralleli fra il mondo dei Druidi e quello globalizzato attuale, e digressioni nell’antropologia e persino nella genetica, visto che il bianco Pollione mette al mondo, ingroppandosi una gallica più slavata di lui, un figlio bianco e uno nero... (Evabbè, già il libretto ha dell’inverosimile, visto che ci si vuol far credere che Norma, personaggio quanto mai in vista, abbia potuto avere non dico una, ma due gravidanze senza che alcuno - suo padre compreso, ed esclusi solo Clotilde, Pollione e, per tramite di costui, Flavio - si accorgesse di nulla.)

L’entrata di Norma lascia davvero perplessi: mescolata in mezzo ai Druidi, si stenta a riconoscerla, fin quando non comincia a cantare. Dico, lasciamo pur perdere i capelli cinti di verbena e la falce d’oro per mietere il vischio (come da libretto) ma la musica è quella che introduce una specie di regina, con il coro che la annuncia (Norma viene) con enfasi e retorica degne di una marcia trionfale! La scena mi ha ricordato da vicino l’apparizione del Lohengrin di Guth (visto anni fa in Scala) che la folla scopre a terra in preda a convulsioni epilettiche, mentre (a parte il libretto che lo descrive arrivare raggiante su una barchetta trainata dal cigno) la musica è quanto di più trionfalistico si possa immaginare. Ma si sa, quando un regista creativo si convince di avere un’idea geniale, pur di realizzarla non guarda in faccia nè a libretto, nè a partitura... e se lo spettatore storce il naso, la colpa è esclusivamente sua, ignorante che non è altro!

Devo dire però che sul lato della recitazione i registi non hanno demeritato, così come nel trattamento della masse, fatte muovere con misura ed appropriatezza. Qualche modesto dissenso nei loro confronti (all’uscita finale) è stato annegato da preponderanti applausi.

Applausi e ovazioni che sono andati a tutti indistintamente, con l’eccezione - in superlativo - per la Mariellissima, da parte di un pubblico stipato in teatro come sardine in barile. Oltretutto in una giornata di sole quasi primaverile, mentre al di qua del Turchino imperversa il nebbione... 

26 gennaio, 2018

Chailly: inferno e paradiso


A proposito di giudizi su interpretazioni ed interpreti, ma anche a proposito di tifoserie, claque e affini, ecco un esempio davvero paradigmatico. Mi è offerto dall’esecuzione della Quarta ciajkovskiana (di cui ho riferito da poco a proposito del concerto de laVerdi con Emelyanychev) della Filarmonica scaligera, lo scorso 22, con Chailly sul podio (dico subito: non ho assistito a quel concerto, nè ho potuto seguirlo per radio).

Leggete cosa ne scrive un’importante (forse la più importante) rivista online italiana di musica:

Nella seconda parte della serata, il numeroso pubblico – entusiasta per Grosvernor – ha potuto assistere ad una memorabile esecuzione della Quarta Sinfonia di Čajkovskij. Chailly in più occasioni ha mostrato una predilezione personale per il lavoro sottolineandone la pregnanza drammatica e appassionata: una inclinazione sentimentale confermata da una lettura che è stata il frutto di un rinnovato studio della nuova edizione critica della partitura da parte del maestro. Da una lettera del compositore alla confidente e generosa mecenate baronessa Nadezda von Meck possiamo delineare con chiarezza il dettagliato programma che sta alla base della Sinfonia e sintetizzabile nella lotta dell’uomo contro il destino.
L’approccio di Chailly - maturato negli anni - si è mostrato fortemente dolente e meditato nei toni (primi due movimenti) e, in generale, poco propenso alle fascinose concessioni esteriori (terzo e quarto tempo). Dopo il coinvolgente turbinio emotivo del mastodontico Andante maestoso (che da solo dura circa la metà della Sinfonia), il direttore ha ben delineato - aspetto solitamente trascurato – la struttura asimmetrica dell’Andantino in modo di canzona accrescendone così quel colore malinconico tipico della sera (riprendendo le note esplicative del compositore) "quando siedi solo, stanco del lavoro, prendi un libro, ma ti cade dalle mani e i ricordi si affastellano”. Con un gusto teatrale sempre controllato, Chailly ha contrapposto all’introspezione del movimento precedente l’acceso virtuosismo dell’orchestra dello Scherzo e il rondò dell’Allegro con fuoco conclusivo. Alla conclusione meritata ovazione per tutti i protagonisti della serata.

Due giorni dopo Chailly e Filarmonica hanno ripetuto il concerto a Londra, nel prestigioso Barbican. Ecco come recensisce, in particolare, la sinfonia una commentatrice britannica:    

So to Tchaikovsky’s Fourth. Oh no, not again? Well, that crunching noise you can hear is the sound of a critic eating her words. Hear an interpretation like this one and you see why this work is played so often: it’s fabulous. In Chailly’s hands the first movement emerged as an overwhelming emotional statement, marvellously paced and structured, heart and logic fusing to spectacular effect. With musical drama like this, who needs opera? (...) An encore from Verdi himself – the Overture to I vespri siciliani – sent us home hoping for a return visit from the Milanese as soon as possible.

Ecco invece qualche parere di loggionisti scaligeri:

Molto godibile Grieg. Il resto da dimenticare
...
Orripilante quarta, piatta, scialba, noiosissima e con un orribile suono
...
durante la Quarta ero quasi in pena

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Ora, non è escluso che i commentatori paludati abbiano un filino calcato la mano con gli elogi: succede spesso e volentieri, per carità. Ma che la Quarta di Ciajkovski suonata dalla Filarmonica con Chailly diventi oggetto orripilante, è un parere sinceramente bizzarro (o anche qui è questione di claque?)

laVerdi 17-18 – Concerto n°12


Dopo un 33enne yankee, per par-condicio, ecco un 30enne russo salire sul podio de laVerdi: si tratta di Maxim Emelyanychev, che è di casa qua vicino (in Svizzera) come abituale Direttore del Pomo d’oro.

In omaggio alla sua Patria, il simpatico Maxim ci offre un concerto centrato su Ciajkovski, ma che contempla anche la prima esecuzione assoluta di un’opera italiana, precisamente del triestino (Ronchi) Federico Gon, anche lui uscito da poco dalla... pubertà (hehe!) avendo 36 anni o giù di lì, ma già con un curriculum invidiabile.

La Tempesta è il brano di apertura del concerto: un Ciajkovski anche lui assai giovane già mostra tutte le sue capacità con questa composizione che nulla ha da invidiare a ciò che il complessato Piotr comporrà in futuro: la struttura assai articolata e i contenuti dell’Ouverture (un poema-sinfonico in realtà) sono davvero di tutto rispetto (qui i curiosi ne possono trovare una mia illustrazione). Il sorridente Maxim  - sempre senza bacchetta – si agita con movenze da danzatore e sembra proprio divertirsi come un bambino, trascinando così i ragazzi ad un’esecuzione vibrante, in cui spicca il reiterato tema amoroso  Miranda-Ferdinand.  
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Ecco poi la primizia della serata: si continua a trattare di Tempesta, ma quella che ora ascoltiamo è la visione di Federico Gon, ispirata nel 2016 all’Autore dal quarto centenario della morte del Bardo. Subito prima del concerto l’Autore medesimo è intervenuto alla consueta conferenza organizzata da Pasquale Guadagnolo per anticipare i tratti principali della sua opera, coadiuvato dal prof. Enrico Reggiani - esperto di letteratura albionica, oltre che di musica - che l’ha inquadrata nel vasto mondo delle produzioni artistiche fiorite attorno a Shakespeare.

Gon si deve esser messo nei panni di Strauss e ha composto un poema sinfonico (in una sorta di forma-sonata) dove il tema di Prospero la fa da padrone, un tema diatonico che esplora i gradi armonici classici (tonica, dominante, sesta, settima, maggiore e minore...) e dal quale poi derivano quelli di quasi tutti gli altri personaggi, da lui in qualche modo... pilotati. In sequenza ascoltiamo Ariel (una ventata di armonici di DO); poi Prospero; quindi Caliban (il cui tema assume i caratteri sbifidi del personaggio tramite mutazione... dodecafonica!); ancora i congiurati Antonio&Trinculo (cui Gon appioppa ritmo e stilema che ricordano i... colleghi Sam&Tom del Ballo verdiano). E poi naturalmente Miranda e il relativo love-theme con Ferdinand; per finire con una scena di nozze fra i due (che Shakespeare si era esentato dal presentare) supportata da un motivo derivato dalla tradizione albionica, che ha però venature di tarantella, quindi appropriate per il maritino napoletano. Però non si finisce in pompa magna, ma invece finisce... un sogno: interrotto da un risveglio per nulla brusco.

Ecco, Gon dimostra come nel terzo millennio si possa ancora comporre - senza vergognarsene - musica tardoromantica, à-la-Strauss e con orchestrazione respighiana... Come minimo il pubblico non si è nè addormentato, nè annoiato, nè tantomeno esasperato: che volete di piu?
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La serata si è chiusa con la famigerata Quarta: udita mille volte in tutte le salse e cento volte anche qui, suonata da laVerdi. Come tutte le droghe (e questa non è per nulla leggera...) andrebbe presa con grande cautela e parsimonia, ma quando un brano è diventato cavallo-di-battaglia è fatale che venga proposto ad ogni piè sospinto. Ciò che ne certifica però la qualità è il fatto che – a differenza di altre droghe - non porti assuefazione: ogni volta la si ascolta come se fosse la prima (non capita la stessa cosa, per dire, nei rapporti con il partner...)

Emelyanychev, a dispetto della sua attitudine al barocco (che però era amato anche da Ciajkovski!) sembra aver nel sangue questa musica, che dirige con una sensibilità rara in un direttore giovane come lui. Poi ci aggiunge anche qualche tocco da... vecchio marpione, con forzature all’agogica, messa in risalto di linee interne, rubati e altro. Insomma, un’interpretazione da Maestro consumato, che ovviamente le qualità dell’Orchestra (anche qui guidata da Dellingshausen) hanno supportato in maniera determinante.

Gran successo per tutti, in un Auditorium abbastanza affollato, nonostante il tempo che invitava a restarsene in pantofole, al... caminetto.  

22 gennaio, 2018

A proposito di osti e vino


L’ispirazione per questo scritto un filino... ehm, politically-uncorrect, mi è venuta dalla produzione della Bohème (di Mariotti-Vick) attualmente in cartellone a Bologna. Premetto di non aver ascoltato la prima su Radio3, nè di essere in grado di assistere ad una delle prossime rappresentazioni, e nemmeno alle prossime trasmissioni nei cinema, nè su RAI5 (cause di forza maggiore). Ergo, lungi da me il trattare di cosa (quasi) sconosciuta.

Invece mi ha incuriosito un aspetto (che non dev’esser certo nato con questa Bohème) che spiega il titolo di questo post: che allude, come si può facilmente arguire, al tema (vecchio quanto il mondo, per carità) dei conflitti di interesse.

Mi spiace prendere qui di mira una mia illustre conterranea, la musicologa Roberta Pedrotti da Lumezzane (bresciana come me quindi, solo di una valle attigua). La sua figura e il suo curriculum sono ispezionabili sul sito L’Ape musicale, da lei fondato qualche anno fa. Come si può notare, lei ha studiato a Bologna e colà è Direttrice scientifica del Concorso Città di Bologna, che promuove nuovi talenti nel mondo dell’opera.

Veniamo a questa benedetta Bohème: mentre non c’è traccia (sul sito del Teatro, nè sul web) di video di presentazione dell’opera prodotti in prima persona dal Comunale, si trovano su youtube alcuni video (due in particolare sulla Bohème, altri indirettamente ad essa legati) prodotti dal canale della rivista, come risulta dall’indicazione dell’uploader dei filmati e dall’indirizzo del sito che compare perennemente in sovrimpressione sulle immagini.

Nel primo video, dove Mariotti parla della produzione (curiosamente soffermandosi sugli aspetti filo-socio-esistenziali più che su quelli musicali) a 1’40” pare proprio che il Maestro si rivolga alla nostra Roberta: il che è più che verosimile, visto che la ripresa è fatta dalla rivista. In un secondo video è Vick a raccontare la sua vision sul soggetto. In un terzo, si direbbe che sia la Pedrotti a fare una domanda riguardo la programmazione RAI del Don Giovanni di Vick del 2014, già da lei recensito in occasione delle recite bresciane (il link alla recensione è pubblicato proprio in calce al video).

Insomma, mettendo insieme tutte le circostanze citate, chiunque è indotto a pensare (andreottianamente, per così dire) che fra il Teatro e la Pedrotti ci sia un qualche rapporto privilegiato, quale ne sia la natura (formale-informale). In sostanza: la Pedrotti non ci fa – nella specifica circostanza - la figura di un critico musicale indipendente, ecco.    

E allora arrivo al punto: leggiamo la recensione che la Pedrotti scrive dopo la prima di questa Bohème: un autentico panegirico (e faccio sinceramente i complimenti alla straordinaria penna della mia conterranea)!  

Però, qui pare proprio che l’ostessa stia decantando (in tutti i sensi) il suo vino.

Il Pasquale di Spontini rivive a Venezia


Ieri pomeriggio al Malibran di Venezia (molte le poltrone vuote...) è andata in scena la seconda recita della farsa Le metamorfosi di Pasquale di Gaspare Spontini, operina ritenuta perduta ma riscoperta l’altr’anno in Belgio.

In un precedente intervento avevo scritto di un soggetto, quello del Foppa, che mi pareva, almeno a prima vista, piuttosto deboluccio, e della conseguente curiosità di ascoltarne la resa in musica del grande (...ma non ancora, nel 1802) Spontini. Ecco, la curiosità è stata soddisfatta, naturalmente, ma non così... l’aspettativa. Non che (personalmente) sognassi di ascoltare Mozart e menchemeno Rossini, ma insomma, si è avuta la conferma che lo Spontini del 1802 era un musicista ormai involuto – come del resto doveva aver concluso il pubblico del San Moisè, rimasto assai freddo - e che solo il totale cambiamento d’aria (leggasi: Parigi) gli potè (e 5 anni dopo) ispirare cose davvero innovative e imperiture.

Federico Agostinelli, cui è stata affidata l’edizione critica (così recita la locandina, a me pare in termini un tantino pretenziosi, date le circostanze in cui la partitura è tornata alla luce) ha dovuto far fronte alla mancanza di una Sinfonia, così ha ipotizzato che Spontini abbia fatto ascoltare ai veneziani del 1802 quella tratta da La fuga in maschera, giustificando ciò con il razionale che Spontini aveva già impiegato (e avrebbe impiegato successivamente) tale sinfonia in altre opere, e che alcune sezioni tornano nel finale della farsa. Finale che Agostinelli ha dovuto anche integrare di suo in alcune parti mancanti nel tomo rinvenuto in Belgio. Sempre secondo Agostinelli, quest’operina mostrerebbe qualche elemento di novità rispetto alla produzione precedente di Spontini, come: modulazioni più ardite, cadenze evitate e accordi aumentati. Okay, ma il risultato, ripeto a mio modesto avviso, è quello che è...

Gianluca Capuano ha comunque fatto del suo meglio per... indorarci la pillola, con una direzione vibrante, ben assecondato dagli sparsi strumentisti della Fenice. Al proposito, al Malibran ieri è successo ciò che forse non capitava nemmeno nel 1802: per ben due volte è mancata improvvisamente l‘illuminazione nella buca! Nella prima occasione l’orchestra è riuscita miracolosamente a chiudere il numero, suonando nel buio più fitto e raccogliendo meritati applausi. Al secondo incidente, Capuano ha dovuto fermare tutti e riattaccare poi l’aria di Lisetta (quella col corno inglese). Evabbè...

Proprio Lisetta, al secolo Irina Dubrovskaya, è stata la mattatrice del pomeriggio, essendo anche il personaggio più impegnato da Spontini: un po’ censurabile il suo timbro di voce (nella Sonnambula di qualche tempo fa mi era parso più gradevole) ma apprezzabili i virtuosismi e le salite ai sovracuti che le hanno meritato un’ovazione alla singola. Meno impegnata e meno appariscente la Costanza di Michela Antenucci, che ha però sfoggiato una voce più rotonda di quella del soprano siberiano.

I cinque rappresentanti maschi hanno discretamente meritato, su tutti metterei il Frontino di Carlo Cecchi, voce ben impostata e buon portamento. Poi Giorgio Misseri (Marchese) una voce piccola e però sufficiente in un ambiente... piccolo, appunto.  Efficaci nelle loro non proibitive parti il Barone di Francesco Basso e il doppione (Cavaliere-Sergente) di Christian Collia. Quanto al protagonista Pasquale, Andrea Patucelli merita ampia sufficienza, anche se questa parte di buffo forse richiederebbe ancora più verve, ecco.
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Quanto alla regìa, Bepi Morassi ha scelto – in assenza totale di riferimenti spazio-temporali nel libretto del Foppa - un’ambientazione in epoca appena pre-primo-conflitto-mondiale e ha immaginato il barone come il ricco proprietario di un elegante caffè-bar. All’interno o nei pressi del quale (insegne luminose di entrata e uscita scambiate alla bisogna) collocare gli avvenimenti. Scene spartane, quelle di Piero De Francesco, e costumi più o meno plausibili quelli di Elena Utenti, tutti ideati – così come l’impiego delle luci - da allievi della Scuola di Belle Arti veneziana.

Morassi sa poi far muovere da par suo personaggi e comparse (avventori del bar) sulla scena, garantendo un buon livello di vivacità ad uno spettacolo i cui ingredienti di base lasciano effettivamente molto a desiderare.

Pubblico abbastanza ben disposto, con alcuni applausi a scena aperta e un doveroso apprezzamento finale per tutti i protagonisti. Insomma, un ritorno dopo 216 anni che difficilmente farà... storia. Viaggio che comunque si concluderà proprio a casa di Spontini, fra qualche mese, in occasione del Festival 2018. 

20 gennaio, 2018

Il Pipistrello è arrivato a Milano


La Scala ha ospitato ier sera la prima (assoluta, attenzione, non stagionale!) di Die Fledermaus, in una nuova produzione pensata proprio per questo evento più-unico-che-raro. Che però non è andato esente dai colpi della sfiga, materializzatasi sotto forma di forfait del mitico Direttore che doveva garantirne il sicuro successo. Pazienza, a Mehta facciamo sinceri auguri di tornare presto, e tanto basta. 

Prima dell’inizio le maestranze del Teatro hanno voluto sollevare l’attenzione del pubblico - chiedendo un minuto di silenzio - sui recenti casi di morti sul lavoro, fatti accaduti in questi giorni proprio qui a Milano e a Brescia. Che purtroppo ci danno la prova che ancor oggi il mondo reale è assai lontano da quello da cartolina illustrata che ci viene proposto sul palcoscenico.
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La prima curiosità che sorge quando si parla di quest’operettaopera è il taglio che il regista (in combutta con il concertatore, per la verità) sceglie di darle: ambientazione generale e particolari scelte di dettagli più o meno rilevanti.

Il 49enne viennese Cornelius Obonya, che col Pipistrello ha una certa familiarità - avendo una volta interpretato, sulle orme del grande Otto Schenk, il ruolo parlato di Frosch – ha deciso di spostare l’ambientazione spazio-temporale del soggetto (attenzione, luogo e tempo indicati addirittura sul frontespizio del libretto, e non semplicemente citati nelle note-di-regìa!) trasferendone i luoghi da una località termale nei pressi di Vienna ad un lussuoso ed esclusivo resort di una stazione sciistica delle Alpi austriache, e l’epoca dal 1874 (anno di nascita dell’opera) all’altroieri mattina. Heike Scheele ha all’uopo allestito scene lussuose (atto terzo escluso, va da sè) e disegnato costumi elegantissimi.   

Quanto ai dettagli, Obonya ha scelto l’edizione a suo tempo predisposta per Londra dal suo maestro Gerhard Bronner, che comporta la presentazione in lingua locale (quindi qui in italiano) di una buona parte dei dialoghi parlati. Un paio di libertà registiche riguardano la mutazione di sesso del principe Orlofsky (che diventa l'oligarca Orlofskaya, ragion per cui il mezzosoprano che la interpreta cessa di essere en-travesti) e poi l’entrata in scena fuori tempo di Falke (nel terz’atto). Un discorso tutto speciale riguarda la figura di Frosch, guardiano della prigione, tradizionalmente impersonato da attori (più o meno seri o da avanspettacolo) che si esibisce in sproloqui che toccano l’attualità e la cronaca quotidiana. Qui è simpaticamente interpretato da Paolo Rossi, che intanto appare già nel primo atto (senza dire una parola) al seguito di Frank e che nel terzo si dilunga in un monologo di satira politica e di costume, chiudendolo cantando una canzoncina irriverente.

Sul piano musicale abbiamo una discrepanza rispetto al libretto pubblicato: nel second’atto, al momento dei balletti, niente polka Marianka, ma la più famosa e inflazionata Unter Donner und Blitz, che dà modo al Corpo di Ballo scaligero di sciorinare le sue qualità, grazie alle coreografie di Heinz Spoerli. Non mancano ovviamente reminiscenze di musiche e arie famose: nel primo atto Alfred canta Sì, rivederti Amelia e poi Eisenstein, al posto del wagneriano Addio di Wotan (indicato nel libretto) e in omaggio alla Scala, canta il pucciniano Addio fiorito asilConfermata invece la discrepanza fra il libretto impiegato qui e quello originale, rispetto ai due Couplets di Orlofsky, che qui invece di apparire in sequenza vengono separati (come a Londra) con l’anticipo del primo, eseguito ben prima dell’arrivo di Eisenstein.  

Tutto sommato un allestimento gradevole, dove l’ambientazione moderna non reca troppi danni a quell’atmosfera così speciale e davvero unica che caratterizza la straussiana Vienna-di-fine-800.
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Cornelius Meister è ormai uno specialista, ha mandato tutta la musica a memoria e la dirige con grande brio e (forse eccessivo) entusiasmo, il che lo porta talvolta ad eccedere, coprendo le voci dei cantanti. L’Orchestra ha forse scarsa dimestichezza con questo genere di musica, ma mi pare abbia risposto più che dignitosamente.  

Tornando alle voci, spiccano quelle maschili: prima fra tutte quella del consumato Werba (un impeccabile Falke); ma anche quelle dell’ottimo Berrugi (Alfred) e del protagonista Sonn; bene anche il Frank di Kraus e il Blind di Spicer.

Qualche perplessità invece mi hanno lasciato le voci femminili: la Mei ha fatto (per me) bene soltanto nella czarda (che forse, essendo il brano più famoso e difficile, lei ha preparato meglio); per il resto ha mostrato evidenti problemi di intonazione e acuti non proprio edificanti. (Che avesse perennemente gli occhi puntati verso il podio non è un buon segno.) La Fally è stata un’Adele cui do un buon voto, che sarebbe ancor migliore se lei avesse qualche decibel in più (qui però anche Meister ha avuto le sue colpe nel coprirla più di una volta). La Maximova (Orlofskaya) ha un gran vocione che passa anche sopra orchestra e coro, forse da meglio disciplinare, ecco. L’accademica Capitelli ha fatto bene la sua piccola parte di Ida.

Sempre all’altezza il Coro di Casoni

Bene, uno spettacolo che mi ha ampiamente soddisfatto; cosa che a quanto pare vale anche per il folto pubblico, che ha riservato lunghi minuti di applausi per tutti.

17 gennaio, 2018

Ultimissime dal pipistrello scaligero (3)


La pubblicazione sul sito del teatro del libretto dell’imminente produzione della Fledermaus consente di fare ulteriori considerazioni ed anticipazioni sui contenuti dello spettacolo. Nel frontespizio si legge che l’edizione impiegata qui è quella predisposta da Gerhard Bronner. Costui (scomparso a 85 anni nel 2007) è stato un musicista austriaco, assai noto, fra l’altro, per aver guidato, negli anni 70-90 del secolo scorso, il Kabarett Fledermaus, un famoso locale viennese.

Da ciò discendono un paio di connessioni con la produzione scaligera dell’operetta di Strauß: Bronner curò i testi della produzione della ROH – Covent Garden degli anni 70-80, di cui si possono seguire su youtube quella del 1977 (Mehta) e quella del 1983 (Domingo).

La peculiarità dell’edizione di Bronner consiste principalmente nella sostituzione di parte (non tutti) dei parlati (che ovviamente sono in tedesco nell‘originale) con testi in lingua inglese, oltre a minori modifiche ad alcune sequenze sceniche o all’entrata di personaggi. Nelle rappresentazioni londinesi veniva poi inserito, nel second’atto, in luogo dei 5 balletti, un vero e proprio gala, con interventi di famosi personaggi dello spettacolo. Infine erano riscritti i testi delle esternazioni di Frosch nel terz’atto.

Ebbene, anche alla Scala alcuni testi parlati verranno presentati in lingua... locale (infatti appaiono in italiano anche nella colonna sinistra del libretto, quella riservata al testo... tedesco). Altrettanto dicasi per i testi che verranno recitati dal Frosch Paolo Rossi, che contengono riferimenti alla nostra attualità politica. Per quanto riguarda i balletti, dal libretto si deduce che certamente verrà eseguito il N°4 (la danza bohemienne che comporta anche l’intervento del coro) ma non è escluso che alcuni degli altri 4 numeri vengano eseguiti, vista l’enfasi che viene data dal notaio Falke alla presentazione agli invitati di Orlofsky del Corpo di Ballo scaligero.

L‘altro stretto legame fra Bronner e questa produzione risiede nella persona del regista: Cornelius Obonya è stato infatti suo allievo. Sul piano musicale, sempre dal libretto di deduce che verrà eseguito l’Entracte dell’atto conclusivo (talvolta omesso perchè... non di Strauß). E nel primo atto ascolteremo (come a Londra) l’Addio di Wotan, cantato da Eisenstein al momento di uscire per recarsi alla festa. 

Bene, staremo a vedere e sentire.  

15 gennaio, 2018

Aspettando la nottola scaligera (2)


In attesa della prima scaligera di Die Fledermaus, qualche nota sui contenuti musicali dell’operetta, a partire dalla celebre Ouverture, che è divenuta giustamente famosa e viene eseguita spesso in concerto (anche ma non solo a Capodanno), e che raccoglie alcuni (non tutti) dei temi principali che compaiono nel corso dei tre atti.

Sulla sua struttura non c’è concordanza di vedute fra i musicologi: c’è chi la definisce come una pura giustapposizione di tre gruppi tematici: A (con prevalenza di LA M), B (con motivi che svariano sul ciclo delle quinte: RE – SOL – MI) e B’ che riprende (con prevalenza di LA M) alcuni dei motivi di B, portando poi alla conclusione.     

Personalmente propendo per una diversa scuola-di-pensiero, che considera la struttura dell’Ouverture come una forma-sonata parecchio eterodossa, sia come contenuto tematico che come concatenazione di tonalità. Lo specchietto sottostante riporta i motivi inquadrati nelle diverse sezioni, con i relativi riferimenti alle scene dell’opera dove i motivi medesimi vengono ripresi, spesso in tonalità diverse. I minutaggi - anche in tutto il seguito - si riferiscono alla registrazione in studio di Karl Böhm (diretta in regìa da Otto Schenk, che assume anche simpaticamente il ruolo di Frosch):

ouverture
opera
 
introduzione
 
 
 
motto di Eisenstein (LA M, dalla dominante)
 
 
17”
Rivelazione di Eisenstein (LA M)
Atto III – N°15 Terzetto - Ja, ich bin’s (LAb M)
2h12’16”
48”
motto di Eisenstein (RE M, dalla dominante)
 
 
53”
accordi Adele
Atto I – N°1 Introduzione – entrata Adele
9’50”
59”
6 rintocchi di campana (MI)
Atto II – Coda del Finale (MI)
1h39’08”
1’13”
Eisenstein avvocato (LA M)
Atto III – N°15 Terzetto (DO M)
2h09’18”
 
esposizione
 
 
1’41”
Introduzione Vendetta del Pipistrello (RE M)
 
 
1’49”
Vendetta del Pipistrello (RE M)
Atto III – N°16 Finale (RE M)
2h14’48”
2’30”
transizione T1 (RE M)
 
 
2’38”
transizione T2 (RE M)
Atto I – N°5  Finale c) Terzetto (SOL M)
46’16”
2’51”
Pipistrello: walzer 1 (SOL M)
Atto II – Coda del finale (SOL M)
1h35’58”
3’35”
Pipistrello: walzer 2 (SOL M)
Atto II – Coda del finale (SOL M)
1h36’40”
3’50”
transizione T2’ (SOL M)
 
 
4’10”
tema Rosalinde (a) (MI m – SOL M)
Atto I – N°4 Terzetto – So muß allein (DO m – MIb M)
31’04”
4’57”
tema Rosalinde (b) (SOL M)
Atto I – N°4 Terzetto (MIb M)
31’49”
5’26”
Can-can (MI M)
Atto I – N°4 Terzetto (DO M)
32’26”
 
sviluppo
 
 
5’43”
motto (variato) di Eisenstein (MI M)
 
 
5’56”
Rivelazione di Eisenstein (LA M)
 
 
 
ricapitolazione
 
 
6’15”
Vendetta del Pipistrello (LA M)
 
 
6’55”
transizione T1 (RE M – LA M)
 
 
7’02”
Pipistrello: walzer 1 (LA M)
 
 
7’23”
Pipistrello: walzer 2 (LA M)
 
 
 
coda
 
 
7’38”
transizione T3 (SIb M)
 
 
7’43”
motto (variato) di Eisenstein (SIb M – LA M)
 
 
7’57”
Can-can (LA M)
 
 
8’10”
motto Eisenstein (LA M, dalla tonica)
 
 
8’23”
transizione T4 (LA M)
 
 
8’29”
cadenza finale (LA M)
 
 
 
 
Si noti come l’incipit dell’Ouverture sia una sorta di motto di tre note – salita cromatica da dominante a sesta - legato al protagonista: lo ritroviamo subito dopo come attacco del tema che accompagnerà la rivelazione della vera identità di Eisenstein (che si era travestito da avvocato) alla fine dell’opera. Il motto torna poi in forma variata (tonica-sensibile-sopratonica) e infine, in chiusura dell’Ouverture, con funzione cadenzale, a partire dalla tonica. Poi compare anche - in DO maggiore (8’49”) – nell’Introduzione (N°1) al primo atto, per ambientare in casa di Eisenstein l’attacco e l’accompagnamento della serenata di Alfred (Täubchen, das entflattert ist) per la padrona di casa, Rosalinde.

Altro tema musicale di primario interesse è un motivo in tempo di polka (in MI maggiore) che si ascolta in orchestra (10’16”) mentre la servetta Adele legge la lettera (che lei crede della sorella, ma che in realtà è opera di Falke e fa parte del tranello che l’amico di Eisenstein ha architettato per vendicarsi della figura da... pipistrello toccatagli tempo addietro) che la invita al veglione da Orlofsky: il tema di fatto rappresenterà d’ora in poi la gran festa che occuperà l’intero second’atto. 

Nel N°2 abbiamo il burrascoso rientro di Eisenstein in compagnia dell’avvocato Blind e poi l’intervento di Rosalinde (18’06”) che calma il marito infuriato (Beruh’ge endlich diese Wut) su quello che si può definire un suo tema caratteristico, in SOL M. Tema che riudiamo subito (18’59”) in SIb M (Ah mein armer armer Mann).

Durante il successivo duetto Duetto (N°3) fra Eisenstein e Falke riascoltiamo (24’48”) il tema della festa a supportare le parole con cui il notaio-pipistrello (Eh’ du in der stillen Kammer) descrive ad un Eisenstein sempre più gasato le meraviglie della festa cui lo ha appena invitato. Ecco poi (25’54”) in DO M, un nuovo tema associabile a Rosalinde, allorquando Eisenstein si preoccupa (Doch meine Frau) che la moglie nulla sappia della festa, tema che continua a far capolino prima che i due amici si abbandonino ad una sfrenata danza, in LA M.  

Straordinario il Trio (N°4) che vede impegnati Eisenstein, Rosalinde e Adele: un capolavoro nel rappresentare l’ipocrisia dei tre, che invano cercano di simulare dolore e preoccupazione, come nel lamento di Rosalinde (31’04”, So muß allein ich bleiben, poi ripreso a 32’45”, Wo bleibt die treute Gruppe) ma che inevitabilmente sono trascinati ogni volta nientemeno che nel turbine del can-can (32’26”, O je, o je, wie rührt mich dies, ripetuto poi a 33’22”) poichè ciascuno già pregusta i piaceri della festa e, rispettivamente, dell’incontro con l’ex-amante: mirabile l’intervento di Adele (34’04”, Es gibt ein Wiederseh’n) che in un solenne DO maggiore (una cosa fra il beethoveniano Dom Fernando e il mozartiano Sarastro) sentenzia che si tratta, in fin dei conti, solo di un arrivederci, e subito il can-can (34’43”, O je, o je) riprende vorticosamente il sopravvento, con Rosalinde che chiude con uno stentoreo DO acuto!

Nel Finale (N°5) dell’Atto I troviamo dapprima il duetto fra Rosalinde ed il sopraggiunto Alfred, dove ascoltiamo (da 37’23”, sulle parole di Alfred Glücklich ist, wer vergißt, poi ripetute a 37’54” e a 39’15” da entrambi) un altro tema divenuto famoso, che ritorna anche nel successivo terzetto (da 40’32”) con Frank (41’01”). Nel quale terzetto, che chiude l’atto iniziale, compare una coppia di temi (in SOL M) davvero splendidi, introdotti da Rosalinde e poi ripresi dai due... ospiti : il motivo di polka (41’52”, Mein Herr, was dächten Sie von mir) e poi - finalmente! (42’29”, Mit mir so st) - un grande walzer! Infine, a 45’59” ricompare in piena luce (Mein schönes, grosses Vogelhaus) il tema di Frank (in DO, apparso sotterraneamente in MIb al suo arrivo) che tornerà poi nel finale dell’opera. Udiamo anche gli incisi della Transizione T2 dell’Ouverture, prima che Rosalinde (47’09”) intoni il motivo (Nun wohlan, das Schicksal will) con cui si chiude l’atto, con un nuovo acuto sul DO. 

Il second’atto si apre nella sontuosa residenza di Orlofsky: dopo un’introduzione (N°6) in SOL maggiore (47’50”) che anticipa vagamente l’attacco del walzer (1) del Pipistrello, ecco la tonalità modulare al MI maggiore, dove ascoltiamo (48’18”, Ein Souper heut’ uns winkt) il Leit-motiv della festa, sul motivo di polka che si era udito nel primo atto. Il suo incalzante tema torna presto (48’41”) sulla bocca di tutti, chiuso poi (48’51”, Wie flehen schnell die Stunden fort) da una esilarante coda.

Dopo l’inaspettato incontro fra le due sorelle Ida e Adele (alias Olga) e dopo lo sproloquio di Orlofsky (N°7) e la sua aria bipartita (in cui spicca a 55’44”‘s ist mal bei mir so Sitte – l’esilarante coda che ricomparirà proprio alla chiusura dell'operetta) ecco il primo passo della farsa che Falke ha architettato: l’incontro fra Eisenstein (finto Marchese) e Adele (finta Olga). La domestica (N°8) rimbrotta il padrone (1h00’02”Mein Herr Marquis, ein Mann wie Sie) con un’aria bipartita su un tema di walzer (SOL M) diventato famoso, chiuso con una salita al RE sovracuto.

Dopo altri passi della farsa (incontri fra Eisenstein-Marchese e Frank-Cavaliere e fra Eisenstein e la moglie travestita da ungherese) assistiamo al duetto (N°9) fra i due coniugi, che si chiude con la famosa polka dell’orologio, in RE (1h13’41”, Ein, zwei, drei), durante la quale Rosalinde sottrae al marito l’orologino-esca. Subito dopo (1h16’54”) eccola esibirsi nella famosa czarda (N°10) in SI m – RE M (Klänge der Heimat) chiusa sul RE sovracuto.

Dopo la scena della tavolata, dove Eisenstein si vanta dello scherzo fatto tempo addietro a Falke mascherato da pipistrello (offendendo di passaggio la moglie, descritta - proprio a lei! - come vecchia babbiona) arriviamo al finale (N°11) che inizia con un brindisi a base di champagne, venerato come toccasana per tutti i mali. Sono tre strofe (il motivo del Principe, in RE M) cantate da Orlofsky (In Feuerstrom der Reben, 1h24’07”) poi da Adele (Dir huld’gen Nationen, 1h24’55”) e infine da Eisenstein (Der Mönch in stiller Zelle, 1h25’42”). (L’ordine in realtà sarebbe Orlofsky, Eisenstein e Adele.) Quindi è Falke a proporre una specie di abbraccio universale, quanto mai equivoco in quel luogo e in quella compagnia, intonando (1h28’15”, Brüderlein und Schwesterlein) uno dei più stupefacenti walzer straussiani (in FA M) che passa poi mirabilmente di bocca in bocca e sfocia (1h31’16) nell’estasi del celebre Duidu!

Ora sarebbero previsti i 5 balletti, che ogni produzione in realtà accorcia o sostituisce con trovate più o meno geniali (qui la polka Unter Donner und Blitz) spesso facendo intervenire personaggi famosi dell’opera (e non solo) ad intrattenere il pubblico: quello della festa di Orlofsky, come quello... in sala. Segue quindi (1h35’58”) la chiusura del second’atto, veramente in grande stile. La apre Orlofsky (Genug damit, genug) sul tema in SOL M del walzer (1) del Pipistrello. Dopo la ripetizione, segue (1h36’40”) sempre in SOL M il walzer (2) cantato da tutti (Ha, welch ein Fest), Quindi un breve intermezzo in SIb, con Eisenstein e Frank che si scambiano complimenti, mentre Falke e Rosalinde già prevedono che i due si ritroveranno presto in... prigione! Ancora (1h37’14”) il walzer (2) poi altre schermaglie (DO M) fra Eisenstein e Rosalinde, commentate da Frank e Adele, quindi, dopo fugace modulazione a SI M, Eisenstein (1h38’45, An das Wimmerl) riprende in SOL M il walzer (2), inopinatamente interrotto (1h39’08”) dai sei rintocchi di orologio, che ricordano a carcerando e carceriere i rispettivi obblighi!

I due, sul tema del walzer (1), raccolgono in fretta cappotti e cappelli e si avviano fuori, mentre (1h39’59”) tutti gli altri invitati riprendono in SOL M il walzer (2), che sfocia (1h40’14”) nella travolgente polka dell’inno allo champagne (Dann bleibet jede Stund’ der Lust geweiht) che chiude strepitosamente l’atto.

L’atto conclusivo si apre (o si dovrebbe aprire) con un Entr’acte (N°12) che richiama i due motivi uditi alla fine del primo atto: in effetti è Frank che vedremo fra non molto arrivare alla prigione di cui è Direttore. Questa introduzione è talora omessa (come nell’edizione di Böhm che stiamo seguendo) poichè in effetti non è farina del sacco di Strauß, ma del suo co-librettista Richard Genée, che era anche un discreto compositore.

Dopo che abbiamo fatto conoscenza con il carceriere Frosch, che cerca di zittire il recluso Alfred che continua a cantare (ma spesso assistiamo ad una gag da avanspettacolo a beneficio dell’attore esclusivamente parlante) ecco il Melodram (N°13) di cui è protagonista Frank che arriva (1h44’03”) annunciato dal suo tema, qui assai appropriatamente esposto dal fagotto, date le condizioni psicofisiche piuttosto... precarie del funzionario. La scenetta del suo comico insediarsi in ufficio è musicalmente accompagnata da reminiscenze della grandiosa festa presso Orlofsky: dapprima (1h44’32”) il walzer (2) del Pipistrello, quindi (1h45’13”) il walzer (1); poi (1h45’36”) lo champagne; ancora (1h45’59”) la polka della festa; e infine (1h47’02”) nuovamente il walzer (2).

In un lungo parlato – che spesso sconfina in una nuova gag -  Frosch informa Frank della richiesta di Eisenstein(-Alfred) di avere un avvocato, poi dell’arrivo di Ida e Olga(-Adele) convinte di aver a che fare con il Cavaliere. Obiettivo di Adele è trovare un protettore che la avvii alla carriera teatrale, visto che l’impiego presso Rosalinde è destinato fatalmente a cessare. E allora (1h53’42”) Adele si imbarca in una nuova e lunga aria (N°14, Spiel ich die Unschuld vom Lande) in SOL M, proprio da soprano di coloratura, aria infarcita di vocalizzi e virtuosismi, chiusa da un RE sovracuto (1h58’07”) con la quale convince Frank a prenderla sotto la sua protezione.  

Altro lungo parlato: arriva il Marchese(-Eisenstein) e, dopo che Ida e Olga sono state ospitate in una cella, per non incontrarlo, assistiamo alla scenetta della rivelazione delle rispettive identità di Frank e Eisenstein stesso, che scopre come un falso Eisenstein fosse la sera prima a casa sua e in rapporti di intimità con la moglie. Sopraggiunge l’avvocato Blind, chiamato da Eisenstein(-Alfred) che incontra il vero Eisenstein, il quale ha l’idea geniale di mettersi nei panni dell’avvocato, per interrogare il falso Eisenstein. Ma nel frattempo arriva anche Rosalinde, accolta da Alfred con grande trasporto. Rientra Blind(-Eisenstein) per interrogare i due.

Qui (2h05’28”) riprende la musica (N°15, Trio) per accompagnare l’interrogatorio. Il quale naturalmente finisce per assumere i caratteri di un (inspiegabile, per Alfred e Rosalinde, che si aspetterebbero di essere difesi dall’avvocato) terzo grado accusatorio da parte di un Pubblico Ministero! 

In SOL M Alfred (2h07’10”) cerca di ridicolizzare l’accaduto della sera precedente (Ein seltsam’ Abenteuer) suscitando invece le ire del falso avvocato, costretto a scusarsi. Poi (2h08’08”) tocca a Rosalinde minimizzare la faccenda (Das Ganze war ein Zufall) col che provoca altra collera nel marito, ancora obbligato a spiegare il suo inspiegabile atteggiamento inquisitorio. Che però riprende il sopravvento (2h09’18”) in Eisenstein che pretende tutta la verità, sul tema udito (in LA) nell’Ouverture a 1’13” (qui trasposto a DO M e poi a FA M) il che vieppiù sorprende Alfred e Rosalinde, la quale (2h09’52”) esponendo un nuovo bellissimo tema, insinua che l’avvocato (Es scheint fast) simpatizzi per il marito fedifrago, che lei considera un mostro e dal quale intende divorziare.

Modulando a SIb, Alfred (2h11’21”) chiede carognescamente ad Eisenstein (Da Sie alles wissen nun) un suggerimento su come fare un bel cippirimerlo al marito di Rosalinde, al che (2h11’32”) il falso avvocato esplode in tutto il suo astio e poi (2h12’16”) in tonalità LAb M, sul motivo udito un semitono sopra proprio all’inizio dell’Ouverture, si fa riconoscere come Eisenstein-il-tradito-vendicatore (Ja, ich bin’s, den Ihr betrogen). Ma ovviamente mal gliene incoglie, chè la mogliettina (2h13’07”) lo inchioda alle sue colpe, estraendo e sventolandogli sul naso l’orologio con il quale lui aveva cercato di sedurla (mascherata da bella ungherese) da Orlofsky!

Eisenstein sembra distrutto, ma rifiuta di venire incarcerato. Senonchè tornano Ida e Adele che lo riconoscono e poi rientra anche Frank che porta con sè tutti gli altri invitati alla festa, Orlofsky compreso, guidati dal... Pipistrello Falke. Così (2h14’21”) modulando a SIb M tutti cantano a tempo di polka O Fledermaus, O Fledermaus ad un sempre più interdetto Eisenstein. Al quale viene spiegato (2h14’48”, sul tema della vendetta, in RE M, comparso già a 1’49” dell’Ouverture) come si sia trattato di una burla di Falke per vendicarsi dell’umiliazione subita. Adele si interroga sul suo futuro: Frank (2h15’23”, modulando a SOL M sempre sul tema della vendetta) si offre di farle da protettore (Bleiben im Arrest Sie hier) ma... ubi major... e così è Orlofsky (2h15’40”) che, tornando definitivamente a RE M e cantando sul tema della sua aria (Das ist bei mir so Sitte) si appropria della servetta.

Siamo arrivati all’ipocrita conclusione: Eisenstein chiede scusa a Rosalinde, incolpando di tutte le sue malefatte... lo champagne; e la moglie gli crede e lo perdona! Così (2h16’05”) riecco il motivo dello champagne (Champagner hat’s verschuldet, lalalalalalala!) seguito da quello del Principe (2h16’32”, Die Majestät wird anerkannt) che chiudono l’operetta in uno scenario di totale irresponsabilità.
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Johann Strauß, a seguito del grande successo dell’operetta, ne ricavò diversi brani strumentali, catalogati sotto specifici numeri di Opus:

Polka Op. 362 (tema della festa)

Quadrille Op.363 (pot-pourri di temi)

Tik-tak Op.365 (polka dell’orologio)

An der Moldau Op.366 (danza bohemienne - tema del Pipistrello)

Du und Du Op.367 (Duidu + walzer diversi)

Glücklich ist Op.368 (+ altri temi)

Csardas (versione orchestrale)