Purtroppo
orfana del suo leggendario fondatore,
la prestigiosa Academy of St.Martin in
the Fields ha inaugurato la serie dei concerti sinfonici della 68a edizione
della riminese Sagra
musicale malatestiana, una delle proposte estive più
longeve nel panorama italico (è infatti più anziana della stessa Academy!) Da
qualche anno qui si suona e si ascolta nella Sala della Piazza del (quasi) nuovo Palazzo dei Congressi,
all’interno del quale è pure presente un auditorium
ad anfiteatro, che evidentemente ha però una capienza di meno di un terzo di quella
dell’enorme stanzone che ospita i concerti della Sagra, che gli viene quindi
preferito.
Il programma –
come è di prammatica in queste occasioni, che sanno molto di kermesse - non poteva non essere dei più
abbordabili, presentando due pezzi inflazionati come pochi. Ma l’altoparlante
ne ha annunciato un terzo, che ha aperto fuori
locandina la serata: Egmont-Ouverture
(si comincia quindi come si dovrebbe finire - ma non si finirà... - con
Beethoven).
L’Orchestra è
la dimostrazione di come si possano suonare anche pezzi difficili senza un
Direttore: così tocca al leader, Harvey de Souza, dare il LA ai colleghi
per un’esecuzione di tutto rispetto. La compagine è assai ridotta: fiati quanto
basta e archi all’osso (6 violini primi, 4 celli e 2 bassi, per dire...) ma
mostra di saper anche produrre le eroiche
sonorità beethoveniane.
Ecco poi Daniel Hope arrivare per il più classico
dei concerti per violino, l’Op.64 di Mendelssohn. Che lui esegue proprio con la leggerezza degli elfi
del Sogno, quasi sfiorando le note
del capolavoro del genio di Lipsia. Esecuzione davvero straordinaria, la sua.
Poi, al momento del bis, l’omaggio di
un cittadino del Commonwealth alla Principessa
più amata in Albione, nell’anniversario della tragica scomparsa: così il bis (la raveliana Kaddish) è in sua memoria.
Ha chiuso
degnamente la serata ufficiale la Pastorale di Beethoven (sempre senza Direttore, con l’Orchestra trascinata da de Souza). Sonorità vuoi delicatissime
(primi due tempi) vuoi tonitruanti (il temporale) e infine nobili e quasi
religiose (il finale ringraziamento). Una sesta
come capita davvero raramente di ascoltare.
de Souza
ringrazia in italiano e concede anche un bis
con i soli archi: il walzerino dalla Serenata
op.48 di Ciajkovski (qui
Marriner a 9’15”). Poi saluta col classico cenno della bevuta, tutte le
coppie si abbracciano come nelle migliori famiglie e noi ce ne torniamo a casa
contenti.
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