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05 settembre, 2017

Una simpatica fiaba musicale alla Scala


Ier sera un Piermarini ricco – ahinoi – di poltrone e palchi vuoti ha ospitato la seconda recita di Hänsel und Gretel, nella nuova produzione del Progetto Accademia: sul palco il secondo (almeno in ordine di apparizione) cast dei giovani cantanti dell’Istituzione scaligera.

Rispetto alle prime indicazioni comparse sul sito del Teatro, redatte evidentemente in fretta da qualcuno poco/male informato (anche da questi dettagli apparentemente insignificanti si desume l’approssimazione e la provincialità della gestione scaligera delle relazioni con il pubblico) che indicavano in 90 minuti la durata dello spettacolo, si è tornati alla realtà e così, a parte i 25 minuti di intervallo prima del quadro finale, l’opera dura circa 1 ora e 45 minuti, il che significa: niente tagli (e ci mancava pure...)

Marc Albrecht ha quindi sciorinato questi 105 minuti di piccola-grande musica con lodevole sensibilità, alternando sonorità delicate e sognanti a esplosioni di decibel sempre coerenti con il contesto: l’Orchestra accademica ha mostrato di non aver alcunchè da invidiare a quella di ruolo, tanto negli archi (da incorniciare la cavata dei celli) e nei fiati, con corni e trombe in evidenza.

Le voci non saranno (e certo non potrebbero essere) già ai livelli dei professionisti più navigati, ma fanno ben sperare per il loro futuro. Dorothea Spilger (Hänsel) è emersa con maggiore efficacia, ma anche la Gretel di Sara Rossini non ha demeritato (chissà se con lo studio riuscirà a perforare di più i grandi spazi). Dignitose le prestazioni di Paolo Ingrasciotta, cui fa pure un po’ difetto la quantità di decibel, a fronte di una buona impostazione della voce, e della moglie (in palcoscenico) Ewa Tracz, vocione da controllare meglio, ma se non altro appropriato al personaggio. I due maghi (sabbiolino e rugiadino) Enkeleda Kamani e Celine Mellon (che sono le uniche a cantare tutte le 8 recite) hanno fatto scrupolosamente la loro parte. La strega era ieri uno... stregone, Oreste Cosimo, voce di tenore a surrogare quella di mezzosoprano: il risultato non mi è parso esaltante, non perchè lui abbia cantato male, ma perchè a teatro siamo abituati da secoli ai ruoli en-travesti dove un contralto fa il maschio... un po’ meno a quelli speculari dove un tenore fa la femmina! Bravissimi i piccoli di Marco De Gaspari, nella loro ristretta ma assai impegnativa parte nel finale.

Da promuovere (quasi) a pieni voti la regìa di Sven-Eric Bechtolf, che mi pare abbia saputo coniugare nella sua idea di messinscena gli aspetti più fanciulleschi e innocenti del soggetto con quelli (più o meno cripticamente) richiamanti una morale-della-favola che deve far meditare anche e soprattutto i grandi. I 14 barboni che fin dal Vorspiel si vedono aggirarsi con carrelli colmi di cianfrusaglie e che poi tornano per realizzare il cambio-scena del primo atto, poi ancora in veste di angeli-custodi nel secondo e infine arrivano a condividere la festa finale, ma recando due alter-ego di H&G senza vita (!) sono la più perfetta interpretazione dello scenario delle canzoni e poesie raccolte dai Grimm e dagli Arnim&Brentano (che ispirarono i fratelli Humperdinck) a ricordare all’umanità le tragiche sofferenze della povera gente nella guerra dei 30 anni, come in tutte le guerre e tragedie che ancor oggi fanno da contraltare al nostro benessere. 

Insomma, uno spettacolo che merita di essere visto, goduto e applaudito come pochi.

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