Ier sera un Piermarini ricco – ahinoi –
di poltrone e palchi vuoti ha ospitato la seconda recita di Hänsel und Gretel, nella
nuova produzione del Progetto Accademia:
sul palco il secondo (almeno in
ordine di apparizione) cast dei
giovani cantanti dell’Istituzione scaligera.
Rispetto alle prime indicazioni comparse
sul sito del Teatro, redatte evidentemente in fretta da qualcuno poco/male
informato (anche da questi dettagli apparentemente insignificanti si desume
l’approssimazione e la provincialità della gestione scaligera delle relazioni con
il pubblico) che indicavano in 90 minuti la durata dello spettacolo, si è
tornati alla realtà e così, a parte i 25 minuti di intervallo prima del quadro
finale, l’opera dura circa 1 ora e 45 minuti, il che significa: niente tagli (e
ci mancava pure...)
Marc
Albrecht
ha quindi sciorinato questi 105 minuti di piccola-grande musica con lodevole
sensibilità, alternando sonorità delicate e sognanti a esplosioni di decibel
sempre coerenti con il contesto: l’Orchestra accademica ha mostrato di non aver
alcunchè da invidiare a quella di ruolo, tanto negli archi (da incorniciare la
cavata dei celli) e nei fiati, con corni e trombe in evidenza.
Le voci non saranno (e certo non
potrebbero essere) già ai livelli dei professionisti più navigati, ma fanno ben
sperare per il loro futuro. Dorothea
Spilger (Hänsel)
è emersa con maggiore efficacia, ma anche la Gretel di Sara Rossini non ha demeritato (chissà se con lo studio riuscirà a perforare di più i grandi spazi). Dignitose
le prestazioni di Paolo Ingrasciotta,
cui fa pure un po’ difetto la quantità di decibel, a fronte di una buona
impostazione della voce, e della moglie (in palcoscenico) Ewa Tracz, vocione da controllare meglio, ma se non altro
appropriato al personaggio. I due maghi (sabbiolino e rugiadino) Enkeleda Kamani e Celine Mellon (che sono le uniche a cantare tutte le 8 recite)
hanno fatto scrupolosamente la loro parte. La strega era ieri uno... stregone, Oreste Cosimo, voce di tenore a
surrogare quella di mezzosoprano: il risultato non mi è parso esaltante, non
perchè lui abbia cantato male, ma perchè a teatro siamo abituati da secoli ai
ruoli en-travesti dove un contralto
fa il maschio... un po’ meno a quelli speculari dove un tenore fa la femmina!
Bravissimi i piccoli di Marco De Gaspari, nella loro ristretta ma assai
impegnativa parte nel finale.
Da promuovere (quasi) a pieni voti la
regìa di Sven-Eric Bechtolf, che mi
pare abbia saputo coniugare nella sua idea di messinscena gli aspetti più
fanciulleschi e innocenti del soggetto con quelli (più o meno cripticamente)
richiamanti una morale-della-favola che deve far meditare anche e soprattutto i
grandi. I 14 barboni che fin dal Vorspiel
si vedono aggirarsi con carrelli colmi di cianfrusaglie e che poi tornano per realizzare
il cambio-scena del primo atto, poi ancora in veste di angeli-custodi nel
secondo e infine arrivano a condividere la festa finale, ma recando due alter-ego di H&G senza vita (!) sono
la più perfetta interpretazione dello scenario delle canzoni e poesie raccolte
dai Grimm e dagli Arnim&Brentano (che ispirarono i
fratelli Humperdinck) a ricordare all’umanità le tragiche sofferenze della
povera gente nella guerra dei 30 anni, come in tutte le guerre e tragedie che ancor
oggi fanno da contraltare al nostro benessere.
Insomma, uno spettacolo che merita di
essere visto, goduto e applaudito come pochi.
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