percorsi

da stellantis a stallantis

30 luglio, 2008

Bayreuth: AAA - cercasi aspirante nudo

La scapestratissima Kathi Wagner - candidata a sostituire il venerabile paparino Wolfgang alla testa dei Festspiele - non contenta delle scempiaggini di cui aveva già lo scorso anno infarcito la sua messinscena dei Meistersinger, per migliorare ulteriormente la sua opera d’arte (povero bisnonno!) quest’anno ha deciso di perfezionare la scena del finale dell’opera, dove Beckmesser plasma da un enorme ammasso di argilla un Adamo (ci sarà mica un’allusione alla Eva, protagonista dell’opera, per caso?)

Questo Adamo è un uomo in carne ed ossa, insomma, una comparsa (pare sia un negoziante di Bayreuth). Nudo come un verme - sennò che Adamo sarebbe? - deve saltare da una balaustra e scappare via. Cosa non ti succede? Che, umido come giustamente dev’essere l’argilla, scivola e inciampa. Per non cadere fa uno sforzo sovrumano, una contorsione impossibile, e scompare dietro le quinte. Risultato: è in ospedale, da operare di ernia al disco!

La prossima rappresentazione è lunedi 4 agosto: se c’è qualcuno disposto a togliersi le mutande, si può fare avanti. Tanto lo vedranno solo i 2.000 spettatori del Festspielhaus, e non - come sabato scorso - anche i 20.000 che seguivano dallo schermo gigante e i 15.000 collegati in streaming.

29 luglio, 2008

Ancora sul Parsifal di Herheim

Il commento preoccupato di Amfortas al post precedente mi spinge a qualche doverosa precisazione riguardo ai problemi posti dal cosiddetto Regietheater.

La regia di opere e drammi musicali è ormai assurta ad uno status di arte (!?) di per sè, e dobbiamo quasi ringraziare un Herheim che almeno con Parsifal non è caduto in gratuite volgarità, come altre volte ha fatto (vedi il tristemente famoso Ratto del 2003 a Salzburg o il Don Giovanni dell’anno scorso a Essen) e come altri fanno spesso e volentieri (a proposito, dare un’occhiata alle immagini dell’attuale salisburghese Don Giovanni di Claus Guth - quello che l’anno scorso ha fatto scempio dei Meistersinger, superando persino la “piccola peste” Kathi Wagner, sonoramente “buata” anche domenica sera).

Che lo spettacolo del Parsifal 2008 a Bayreuth sia sontuoso ed emozionante, non lo metto in dubbio: peraltro ho visto cose superbe anche agli MGM-Studios in Florida, e persino - senza allontanarmi troppo - a Gardaland!

Ecco, produzioni di questo genere dovrebbero magari farsi in cinema, e avendo il coraggio di chiamarle con il loro nome: libere interpretazioni di un’opera originale, secondo i criteri e gli approcci più diversi.

Oltre a quello usato da Herheim e dal suo team per Parsifal (rappresentare l’opera tramite le circostanze esterne in cui è stata concepita e gli “effetti” che essa ha storicamente provocato - o cui ha per così dire “assistito”) si può interpretare liberamente un’opera trasponendone i fatti e i personaggi nel presente, o nel futuro, o nel passato, fate voi... insomma: in epoche, tempi e scenari diversi da quelli scelti dall’autore. Oppure interpretare a proprio modo il significato del significante (termini la cui cardinalità è - per definizione - n:1, con n tendente all’infinito) Quindi va bene anche il Parsifal che fa - come il Papa a Montecitorio - una visita al Bundestag, ma potrebbe anche fare il missionario in Sudan, o l’aspirante kamikaze a Jenin, o il figlio illegittimo di una prostituta che si intestardisce a voler redimere il magnaccia di sua madre e poi, non riuscendo a redimerlo, lo fa semplicemente secco. Lo scenario dei cavalieri del Gral e del cattivone Klingsor potrebbe essere trasposto nel Bronx, dove di pretesti per rappresentare faide tra bande di disperati spacciatori di drogral ce n’è a volontà. Se passiamo al Ring, si può inscenare l’imprenditore apparentemente probo ed onesto (Wotan) che invece fa concorrenza sleale ad Alberich, rubandogli nottetempo i suoi segreti industriali (ah, mi avvertono in questo momento che l’idea è già stata applicata anche a Bayreuth...) o Siegmund e Sieglinde che si iscrivono al partito radicale per rivendicare almeno i dico, o i pacs, e invece il papa (o papà) Wotan che è costretto dalla binetti di turno a sopprimerli per coprire lo scandalo dell’incesto; Alberich si può personificare in un vallanzasca - un vero genio del male, capace però di impensabili arditezze mentali - e le Figlie del Reno trovano mille possibili applicazioni, dal trio-lescano alle spice-girl, alle sorelle-bandiera o alle simpatiche brasiliane finte del cacao-meravigliao, il moderno oro del renato (carosone).

Quel geniaccio di Calixto Bieito ha spiegato di aver avuto la sua fulminante idea per un Fliegende Holländer (pieno di lavatrici e frigoriferi, tutto in partitura, s’intende...) un giorno che stava seduto all’aeroporto di Zurigo, aspettando un volo puntualmente in ritardo: lì ha capito come doveva sentirsi quel pirata-giramondo olandese, sballottato da un oceano all’altro, con la possibilità di scendere a fare pipì solo una volta ogni sette anni!

Tornando a Parsifal, nel 1995 a Monaco tale Peter Konwitschny, un altro che va per la maggiore, si è distinto nell’impossibile impresa di rovesciare come un calzino lo spirito del dramma sacro: da religioso ad ateistico, dalla redenzione al nichilismo, dalla ricerca della luce alla disperazione. E la cosa è tanto piaciuta che verrà ripresa nel 2009, ormai è un classico, più classico del Parsifal di Wagner, e Herheim dovrà farci i conti!

Insomma: ci può stare tutto, basta un po’ di fantasia... ma bisognerebbe cambiare le locandine!

Le domande che vengono spontanee sono tante:
- dell’opera originale non frega più nulla a nessuno, è roba passata e decrepita (le resta appena il titolo) e quindi può solo essere contrabbandata dopo opportuna e drastica adulterazione;
- i frequentatori dei teatri sono gente incolta (per lo meno sul piano artistico): quindi vanno attirati con effetti speciali (sesso, violenza e spettacolari trovate tecnologiche sono ingredienti matematicamente appropriati);
- i veri appassionati ed esperti sono un’infima minoranza (per di più con pochi quattrini in tasca) e l’economia di larga scala di oggi non può permettersi di accontentarli a costi sostenibili (ma l’opera biologica, non si potrebbe fare?);
- una cricca di furbi e smaliziati individui ha capito che più le spara grosse, più viene apprezzata e valutata dai manager della cultura, e così si è creata una nuova casta, il Regisseur, che invece di servire (che fatica!) si serve delle cose importanti inventate da altri per far soldi e carriera a buon mercato e a colpo sicuro;
- il progresso umano è inarrestabile, e comporta la totale revisione, rimanipolazione, ristrutturazione, e reimpasto di tutte le espressioni artistiche: in fondo già il cinema si fa oggi più col computer e con le animazioni, che non con gli attori e le riprese in studio o dal vivo; e l’opera non può sottrarsi a questo inevitabile destino.

Quest’ultima variante del fenomeno è forse la più subdola e al tempo stesso moderna e innovativa: torniamo ad Herheim e al suo Parsifal. Quest’opera (Wagner mi perdonerà se la apostrofo così, neanche fosse un Bruschino qualunque) si presta magnificamente - come altre del maestro di Lipsia - ad operazioni tipo Herheim. Costui, con un indefesso lavoro di un intero team, composto da storici (non solo della musica) e da esperti, esegeti e topi di biblioteca, ha saputo e potuto costruire un allestimento del Parsifal impiegando tutto quel mare di riferimenti (extra-musicali ed extra-artistici, sia chiaro) che l’opera si tira dietro. Parsifal nasce nel bel mezzo della civiltà guglielmina, in una Germania che cerca la sua identità e il suo redentore; e Wagner si autopone - sul piano artistico, quanto meno - come il faro che illumina la via da percorrere. Wahnfried e il Festspielhaus diventano - per la società di quel tempo - autentici luoghi sacri. Richard non c’è più, ma la terribile Cosima, col figlio prediletto (e maledetto?) si incarica di continuare a celebrare i riti del gral e a nutrire di illusioni e di ideologia di grandezza i suoi compatrioti. La grande guerra è uno dei passaggi di questo inseguimento alle chimere parsifaliane; una volta persa, con milioni di morti, diventa un pretesto per rilanciare, come si fa a poker, e la nazista-ante-litteram Winifred si appropria delle opere del suocero per supportare adeguatamente il sein Kampf, e Parsifal volentieri si presta alla bisogna. Perduta un’altra guerra, stavolta in modo tragicamente definitivo (Zertrümmert! Zerknickt! verrebbe da dire, con Alberich) ecco che Parsifal si rifà vivo, portato per mano dall’ex prediletto del Führer (Wieland) a porsi, ancora e sempre, come il faro che illumina la via al nuovo Gurnemanz, Konrad Adenauer. Herheim si è fermato qui, ma poteva benissimo arrivare fino al parsifaliano Helmuth Kohl, che nel 1989 ha riportato la Germania al suo apice... prima della diluizione del Deutsche Mark nell’Euro.

Il Parsifal di Herheim è tutto questo, quindi una grande cosa, indiscutibilmente, proprio sul piano artistico. Aggiungiamo poi l’impiego dei potenti mezzi della tecnologia ed abbiamo la spiegazione dell’enorme successo che il regista norvegese sta riscuotendo, dopo una sola rappresentazione.

Operazione subdola, peraltro, poichè utilizzando il vero Parsifal per raccontarci un pezzo di storia dell’umanità, finisce per distruggerlo.

Appropriazione indebita e scempio di un’opera d’arte, per impiegarla nella costruzione di un’altra opera d’arte, questo - per me - il succo dell’impresa.

Per il resto, manca solo di intervenire anche sul pentagramma... ma ormai temo sia solo questione di tempo.

27 luglio, 2008

Parsifal 2008: gli incantesimi di Herheim

Tanto per sgombrare il campo da qualunque sospetto: Stefan Herheim è indiscutibilmente un genio della regia, sotto ogni punto di vista. Uso delle moderne tecnologie (luci, filmati, macchine), sapiente impiego dei doppi-tripli-ennupli piani di presentazione dell’azione scenica, fantasia sbrigliata nell’individuare relazioni e connessioni causa-effetto fra opera e realtà nella quale l’opera fu creata e quella in cui essa fu recepita, capacità di ammiccamento verso i lati deboli dello spettatore medio...

Il suo Parsifal sta già diventando, a poche ore dalla prima rappresentazione, una specie di pietra miliare, la regia del futuro, la pietra di paragone con cui da oggi si dovranno confrontare e misurare tutte le regie (wagneriane e non) di opera. Questo si legge sulla stampa, tedesca e non. Chi se ne frega della musica. Gatti? Chi era costui? (di Knappertsbusch ne abbiamo avuti abbastanza, e del resto questo italianate sa solo vagamente scimmiottarlo...)

Allora, ecco il mago Herheim all’opera. Wahnfried è Monsalvat: geniale! I tedeschi del 1870: tutti angeli caduti all’inferno, con tanto di ali nere, che aspettano il redentore che li riscatti da quel fetentone di Klingsor, il viados che si è fregato la sacra lancia. Si fa una messa, si mostra il tabernacolo, e tutti corrono a far la prima guerra mondiale! (ne muoiono qualche milione? Chi se ne frega, c’è sempre quello stesso eunuco di Klingsor che organizza un lazzaretto per curare - anche con un pochino, ma poco, sesso, i feriti). Parsifal? È un puro imbecille, o no? Guarda come un ebete la gente che gli gira intorno, lui che giocava ingenuo col suo cavallino a dondolo... Poi si ritrova nel lazzaretto di Klingsor (che gira in giarrettiera) che è sempre villa Wahnfried (ma allora: Klingsor è Wagner? Già, il maestro aveva predilezioni particolari per l’abbigliamento intimo femminile, vero? Griffe italiana, preferibilmente. Ma allora Parsifal è forse Siegfried, il figlio culo del maestro? Certo, in casa di Klingsor ci sta proprio bene) Il nostro redentore fa un salto di sei metri dal balcone, giù nel giardino di villa Wahnfried dove si trastulla con le ballerine del can-can (già, Wagner provava odio-amore per Parigi e poi, quell’ingrato di Nietzsche non ha forse scritto che il Parsifal è un’operetta?) Adesso Klingsor mostra la sua vera faccia: è Göring, perdio! Ci aspettiamo i forni crematori, ma Herheim se li è riservati per quando farà il Ring (quello del bicentenario del 2013?) In mezzo ad un turbinìo di stendardi con croce uncinata, SS che imperversano col passo dell’oca (c’entra col cigno e con il finale del primo atto?) che fa Parsifal? Nessuno lo sapeva, fino al 25 luglio 2008, ma in Germania, sotto Hitler, ci fu la Resistenza! Sì, come in Italia e in Francia, anche in Germania! È chi ne fu l’eroe? Indovinate, da non crederci: PARSIFAL! Che prende la sacra lancia e fa secchi Klingsor/Göring, la Wehrmacht e la Luftwaffe in un sol colpo, e poi (chi è quel pirla che ha fatto il fotomontaggio dei sovietici che innalzano la loro bandiera della libertà sulle rovine di Berlino?) restituisce alla Germania la sua dignità. E - nel terzo atto - va anche a redimere, già che c’è (ma sì, facciamo 31) i parlamentari del Bundestag (la Merkel è in prima fila!) a volte gli venisse qualche idea di revanche, come a quelli del 1920! Alla fine Herheim cala enormi specchi dall’alto, in modo che il pubblico si possa riconoscere come diretto discendente ed erede di quei pecoroni che hanno affollato da sempre il Festspielhaus pensando di trovarci il Gral.

Ahinoi, non c’è da scherzare, perchè il futuro di Bayreuth è questo: il 1° settembre la piccola Kathi, pronipotina di Richard, prenderà quasi certamente il comando al posto del venerabile Wolfgang (che per sua parte ne ha combinate abbastanza...) Basta leggere e guardare qualche immagine dei suoi Meistersinger per capire tutto. Poco fa, peraltro, i buuh si sono sprecati (c’è ancora un pò di giustizia a questo mondo...)

26 luglio, 2008

È arrivato Parsifal 2008: trionfo per tutti

Alla fine, applausi e bravo per tutti: quasi una novità per Bayreuth, dove gli allestimenti nuovi solitamente trovano accoglienza contrastata.

Chi non ha visto di persona, ma ha seguito solo alla radio-webbica, come il sottoscritto, può solo riferire sul lato musicale.

Intanto, Daniele: ha complessivamente accelerato (rispetto al suo Parsifal romano) chiudendo con un totale di 4 ore e 25 minuti, una durata che si pone fra quelle più lunghe, ma non lunghissime, nella storia di Parsifal. In particolare è stato più veloce (o meno lento) del previsto il primo atto, chiuso (per 5 minuti) sotto le 2 ore. Preludio davvero à la Knappertsbusch, nella più classica tradizione; la transizione al cambio di scena invece meno pesante (sempre rispetto a Roma) con qualche secondo risparmiato anche grazie al mancato raddoppio delle 4 battute delle campane. Secondo atto (1h e 7m) forse meno colorato rispetto alla tavolozza di Wagner; terzo atto (1h e 22m) impeccabile, con punte di eccellenza nell’introduzione strumentale e nel luminoso e terso finale (purtroppo gli applausi sono scattati quando Daniele stava ancora sulla corona puntata dell’ultima battuta... una conferma che anche lassù - alla prima - forse non c’è il pubblico più competente).

Fra gli interpreti, bene Ventris, un Parsifal forse un poco leggero, e benissimo Kwangchul Youn, grande Gurnemanz, a parte la pronuncia che ai tedeschi avrà fatto un poco storcere il naso. Jesatko un Klingsor quasi perfetto. La Fujimura è stata una Kundry a corrente alternata: in particolare, carente sulle note alte (SOLb, LA) quando deve arrivarci in salita (dove grida, invece di cantare) splendida invece, anche su un paio di SI (compreso quello sul “Geleit” del secondo atto, all’ottava sopra rispetto alla partitura) quando li deve sparare quasi da fermo, potendo prendere bene il fiato. Roth (Amfortas) bravo tecnicamente, ma anche lui con voce di baritono quasi tenoreggiante, poco drammatica per il personaggio.

In Germania ormai guardano quasi solo alla regia, su stampa e internet è tutto un commento su Stefan Herheim, come se la musica fosse un eccipiente: per me, ma credo soprattutto per Wagner e per la musica, brutto segno.

24 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: mancano poche ore

L’attesa per il nuovo (nono) Parsifal si fa spasmodica a Bayreuth.

Sul sito dell’organo di stampa che si occupa quasi esclusivamente del Festival non si parla che della regia e del regista, Stefan Herheim, mentre Daniele Gatti nemmeno viene citato. Anche la prova generale di domenica è stata recensita sempre e solo sotto l’angolazione della regia... per direttore e interpreti solo generici e tiepidi apprezzamenti.

Il nuovo portale web del Festival pubblica una serie di foto scattate durante le prove, che ci danno una vaga idea della messinscena e dei costumi. Abbiamo conferma del fatto che sarà un Parsifal visto con gli occhi della storia della nazione tedesca: la società guglielmina, poi i soldati straziati nella grande guerra, una sala con banchi ad anfiteatro (Weimar?) e chissà forse la caduta del terzo Reich... Le immagini ci dicono anche qualcosa riguardo ad alcuni leitmotive scenici che ricorrono spesso: le ali, sempre nere, che vediamo in dotazione quasi a tutti, Parsifal escluso (rappresentano per caso il simbolo del paradiso perduto, alla Dorè?); il letto, di Titurel, di Amfortas, ma anche di Klingsor e di Kundry, e tanti letti che ospitano soldati feriti. C’è poi una vasca da bagno, poco fantasiosa idea per le abluzioni di Amfortas, quindi Klingsor e Kundry acconciati allo stesso modo (frac con ali nere e cilindro) ma Kundry con calzoni lunghi e invece Klingsor in calzamaglia ("bist du keusch?")

Insomma: una regia forse meno provocatoria di altre negli aspetti esteriori, ricca di effetti e anche di preziosità... che ha la prevista - e del resto dichiarata - caratteristica di fondo: è il Parsifal - magari poetico ed interessante - di Stefan Herheim. Wagner?

22 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: lo zompo di Parsifal

E così, per la prima volta nella storia, a Bayreuth (questa ci mancava davvero) avremo uno stuntman che fa la controfigura di Ventris, spiccando un salto di 6 metri al posto del (poco atletico?) tenore.

Ma quando e da dove salta?

La logica non dovrebbe lasciare dubbi: nel secondo atto, dalle mura del castello, giù nel giardino delle fanciulle-fiore di Klingsor.

È l’unico indizio che ci viene dalla partitura (che per Herheim, si sa, è sacra); la didascalìa reca: Parsifal salta un poco più in basso, giù nel giardino.

Evidentemente Wagner, nel 1882, non pensava ad una controfigura (non erano ancora state inventate) e non poteva pretendere dal tenore delle prestazioni fuori contratto... così si limitò a prevedere un saltello.

Ma le mura dei castelli sono alte: almeno 6 metri, deve aver saggiamente riflettuto Herheim (sennò che regista di grido sarebbe?); e così, per rendere più realistica la scena, ha pensato allo stuntman.

A cui, per sua - e nostra - fortuna, non viene richiesto di cantare.

21 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: indovina indovinello

Nemmeno alla prova generale di domenica lo si è visto: deve restare un’assoluta sorpresa fino a venerdi.

Il Parsifal ha un nuovo interprete: Matthias Schendel, che rimpiazza Christopher Ventris. La notizia ha davvero dell’incredibile.

In realtà Schendel sarà Parsifal solo per qualche istante, il tempo di lanciarsi da 6 metri di altezza su un materasso... poi, con l’aiuto del Tarnhelm (siamo o no a Bayreuth?) ripasserà il ruolo al cantante.

L’indovinello è semplice: in quale atto, scena e circostanza andrà in onda l’impresa dello stuntman?

20 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008 a Bayreuth: per chi - i più - non può essere lì

L’esordio di Daniele Gatti a Bayreuth non verrà trasmesso da Radio3. Non ci interessa qui appurare se si tratti di una svista, o di cattiva volontà, o di problemi di budget, o di richieste esose dei Wagner, resta il fatto increscioso che un avvenimento storico per il mondo musicale italiano non venga ripreso dalla nostra emittente pubblica.

Altrettanto incomprensibile che Radio3 trasmetta, dal 28 al 31, i primi tre drammi del Ring, e poi trascuri il Götterdämmerung del 2 agosto (trattasi della terza stagione della produzione Thielemann-Dorst, iniziata nel 2006 e che si chiuderà nel 2010, dopodichè avremo nel 2013 l’epocale Ring del 200° anniversario della nascita di Richard Wagner).

Tornando al Parsifal di Gatti, sarà il web a consentirci di ascoltarlo, venerdi 25 luglio, a partire dalle ore 16 e, intervalli inclusi, fino alle 22:15 - 22:30 (a seconda dei tempi che prenderà Daniele.)

L’emittente che ha già annunciato la diffusione web è la locale Bayerischer Rundfunk, la cui trasmissione dal vivo si può facilmente raggiungere accedendo alla sua home-page e click-ando sul bottone Live hören, che si trova sulla destra della pagina, nell’area rossa sotto Programm. Per chi conosce il tedesco, oltre ad un’ora intera di presentazione, dalle 15, dovrebbero essere interessanti anche gli intervalli, con interviste ad Herheim, Gatti e Ventris, e con analisi del pensiero wagneriano. Al termine, un giro di opinioni a caldo.

L’emittente bavarese diffonde via web dal Festspielhaus anche Tristan e Meistersinger (sabato 26 e domenica 27, rispettivamente); la settimana dopo immetterà sulla rete anche l’intero primo ciclo del Ring, incluso Il crepuscolo dimenticato (...da Radio3).

Sempre in tema webbico, la vulcanica Kathi Wagner, che aspira a sostituire il venerabile paparino Wolfgang (89 anni) alla testa del Festival, ha deciso - in tutta modestia - di irradiare in streaming, domenica 27 luglio, la sua produzione di Meistersinger, che inaugurò Bayreuth 2007 con un colossale scandalo, legato ai contenuti tipici da bieco Regietheater. Mica è gratis, natürlisch, costa la modica cifra di 49€: i curiosi possono prenotare (solo in tedesco, inglese e spagnolo) dal nuovissimo sito del Festspiele.

18 luglio, 2008

Aspettando Parsifal 2008: Herheim scopre le carte

.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
A pochi giorni dalla prova generale (domenica 20 luglio) e a 10 giorni dalla prima del 25, Stefan Herheim ha rilasciato un’intervista a Festspiele, che è un servizio del Nordbayerischer Kurier dedicato esclusivamente ai festival e in primo luogo a Bayreuth. Le esternazioni del regista norvegese sono davvero illuminanti, e confermano quanto già si sapeva di lui, della sua personalità e del suo approccio alla regia di opere e drammi musicali.

Schizofrenia - nell’accezione scientifica e non certo offensiva del termine - è quanto si può dedurre dalle parole di Herheim a proposito della sua visione (il suo Konzept) di Parsifal.

Il nostro ha un principio fermissimo: l’intoccabilità delle partiture.”Sono una specie di Vangelo Artistico”, pontifica. Ohibò, verrebbe da pensare che ci troviamo di fronte ad un conservatore, per non dire di peggio, a un reazionario che pensa soltanto a rappresentare con fedeltà persino pedante ciò che l’Autore ha scritto, senza metterci nulla di suo, nemmeno una virgola, un gesto, una sfumatura, un’interpretazione personale... insomma, uno dei famigerati “bidelli del Walhall” di cosimana memoria.

Poi però ci sciorina candidamente la sua intenzione di spiegarci che in Parsifal esiste un piano di problematiche individuali: il ragazzo ingenuo che impara a conoscere le implicazioni e le conseguenze del potere e a riflettere sulla propria esistenza (sul nuovissimo sito del Festspielhaus sono pubblicate foto e filmati che mostrano Parsifal in tenuta da marinaretto...); e anche un piano di problematiche collettive: la ricerca di identità e di salvezza di una Nazione (sarà mica la Germania? Si intravede, sempre nelle immagini pubblicate, qualche personaggio da Terzo Reich) che si è più volte e maldestramente affidata a figure di redentori (Hitler, per caso? O Wagner medesimo?) - sperando di trovare a Bayreuth il proprio riscatto. (tutto questo sarebbe in partitura?)

Poi tira fuori un geniale parallelo biografico: interpretando a suo modo il verso di Gurnemanz “Dem Heiltum baute er das Heiligtum“ (sì, questo è effettivamente in partitura) ci spiega che il Festspielhaus è per Wagner ciò che il tempio di Monsalvat è per Titurel. (questa è tosta per davvero!)

Ancora ci spiega (a noi poveri pirla) che Parsifal tratta di mascolino e femminino, contrapponendo i maschi - tutti in un sol mucchio: Titurel, Amfortas, Gurnemanz, Klingsor e Parsifal, che cadono l’uno sull’altro e si posizionano sul concetto di redenzione - alla povera Kundry, che sarebbe la loro proiezione al femminino e come tale diversa e perciò da neutralizzare. "Nel dramma sacro non abbiamo alcuna ricerca di emancipazione, di liberazione sociale, ma solo la benevola redenzione gentilmente concessa da un potere superiore".

Orbene: dov’è finita la partitura intoccabile? Anche qui, il nostro genio è candidamente sincero: noi non vogliamo solo raccontare l’azione, ma mostrarne anche i meccanismi (sic) e rappresentare i diversi aspetti del lavoro, e persino il modo come esso fu storicamente ricevuto. (apperò)

Che dire? Visto che ha studiato al conservatorio, già che c’è Herheim potrebbe anche scrivere la musica del suo Parsifal, e poi provare a proporre il tutto per una rappresentazione in qualche locale underground... ma evidentemente è molto più comodo per lui usare un capolavoro indiscusso per far bella figura a buon mercato, nel più famoso teatro del mondo!

(certo, il problema non è lui, ma chi lo ingaggia e chi lo santifica)

Dimenticavo un dettaglio quasi marginale: c’è anche la musica e un Kapellmeister... E con Gatti, come vanno le cose? chiede l’intervistatore. Candidamente il nostro ammette: all’inizio Daniele era enormemente scettico sulle mie scelte... poi abbiamo trovato modo ciascuno di spiegare le proprie idee, in modo da cominciare a sentire con gli occhi e vedere con le orecchie.

(io - per quanto la cosa sappia molto di volpe-uva - sono contento di vedere con le orecchie e basta)

16 luglio, 2008

Debussy l’incompreso

Il “Prélude à l'Après-midi d'un faune” ha belle sonorità, ma non vi si trova la minima idea musicale, propriamente parlando; assomiglia ad un pezzo musicale come la tavolozza usata da un pittore per il suo lavoro assomiglia ad un quadro.
Debussy non ha creato uno stile; ha coltivato l’assenza di stile, di logica e di senso comune.

Questo giudizio - praticamente senza appello - è di tale Camille Saint-Saëns, in una lettera del 1920 ad Emmanuel, qui ricordata.

13 luglio, 2008

Erlösung dem Erlöser: una bestemmia?

“Redenzione al Redentore“, così Wagner chiude il suo Parsifal.

Se ci limitiamo allo scenario cristiano, è certamente una bestemmia, comunque sia.

Sia che il redentore sia Parsifal (o, per interposto puro folle, Wagner medesimo, come taluni sostengono) poichè in tal caso come bestemmia si configura l’indebita appropriazione di una esclusiva prerogativa del Cristo (solo quest’ultimo può così essere chiamato, nessun altro, nemmeno il Papa, menchemeno un Parsifal o un Wagner qualunque).

Sia che il Redentore sia proprio Cristo, poichè in questo caso la bestemmia consiste nell’attribuire a Dio (sì, poichè Cristo, come persona della Trinità, è di fatto Dio) la necessità di essere redento, il che equivale ad assimilare Dio a Satana, un’eresia degna di scomunica sui due piedi.

Basterebbe questa osservazione a smentire tutte le tesi che pretendono - da Nietzsche in avanti - di vedere in Parsifal la manifestazione concreta del Wagner vendutosi alla Roma papalina.

Dà invece credibilità alla tesi di coloro che definiscono Parsifal una colossale, cinica, carognesca parodia della ritualità cattolica, messa in scena in forma apparentemente seriosa da un cristiano di fede luterana: insomma, la sacra rappresentazione sarebbe in realtà una farsa.

Se però proviamo ad uscire dall’orticello cristiano, e apriamo l’angolo di visuale a Buddha e Confucio, magari ricollegandoli a personaggi di casa nostra, come Schopenhauer e Kierkegaard, tanto per fare qualche nome... allora può accadere che Parsifal diventi una cosa maledettamente seria.

11 luglio, 2008

Wagner l’incompreso

Ecco come un paio di musicisti russi (e mica carneadi!) giudicava Wagner:

Wagner è uomo sprovvisto di qualsiasi talento. Le sue melodie, ammesso poi di trovarne, sono di peggior gusto di quelle di Verdi o Flotow e più acide di quelle di un Mendelssohn. Tutto ciò è poi ricoperto da uno spesso strato di marciume. La sua orchestra è decorativa, ma volgare. I violini squittiscono sulle note più alte e gettano l’ascoltatore nel più estremo nervosismo. Sono uscito senza aspettare la fine del concerto, e ti assicuro che - fossi rimasto di più - io, ma anche mia moglie, avrei avuto un accesso isterico.”
(lettera di César Cui a Rimsky, 1863)

Gli ultimi accordi del Crepuscolo mi hanno dato un senso di liberazione da una prigionia. L’Anello sarà pure una grandissima opera, ma non si è mai dato alcunchè di più tedioso e menato per le lunghe di questa tiritera. L’agglomerato di armonie le più intricate ed artificiose, la mancanza di colore di tutto ciò che viene cantato sulla scena, dialoghi interminabilmente lunghi - tutto ciò affatica i nervi al massimo grado. Ergo, qual’è lo scopo della riforma wagneriana? In passato si supponeva che la musica dovesse deliziare la gente, mentre adesso da essa veniamo tormentati e portati all’esaurimento."
(lettera di Ciajkovski al fratello, 1876)

(questa la fonte)

08 luglio, 2008

Il primo Parsifal e i record di durata

Guardando queste fotografie della prima edizione di Parsifal (quella messa in scena direttamente dall’autore, con l’aiuto dello scenografo e pittore Paul von Joukowsky) viene davvero da sorridere. La sala del Graal raffigurata come una chiesa barocca (non sembrerebbe però il Duomo di Siena, che si dice fosse alla base dell’ispirazione wagneriana); il castello di Klingsor, che più che ricordare Ravello, sembra la residenza del dottor Coppelius; i costumi e le pose degli interpreti, tutto ciò la dice lunga su quanto puerili fossero quegli allestimenti - anche per l’epoca, verosimilmente - e su quanto ancor più assurdo sarebbe riproporli oggi tali e quali. Il che non giustifica peraltro le regie velleitarie, scriteriate e altrettanto assurde che da 40-50 anni ad oggi ci vengono regolarmente propinate a Bayreuth come altrove (essendo forse il MET l’unica eccezione).

Quanto dura Parsifal? O quanto dovrebbe durare? La prima del 1882 pare abbia di poco superato le 4 ore (ovviamente al netto degli intervalli... che a Bayreuth sono lunghissimi). Il record di lentezza spetterebbe al nostro Arturo Toscanini, che nel 1931 la menò per 4 ore e 48’... Il più rapido Pierre Boulez, che nel 1970 divorò il mostro in sole 3 ore e 38’. Un’altra lumaca è stato Levine (4 ore e 38’ nel 1985) mentre Kegel nel '75 andò vicino a Boulez con 3 ore e 40’. Chi sta meglio di altri sui tempi originali è Thielemann, che nel 2006 supera di poco le 4 ore. Altri direttori (Knappertsbusch, Barenboim, Karajan) stanno mediamente sulle 4 ore e un quarto...

Daniele Gatti a gennaio, a Santa Cecilia e senza scena, ha avvicinato Toscanini, presentando perciò una lettura lenta del capolavoro wagneriano: sarà interessante vedere se nella tana del lupo confermerà questo approccio, oppure deciderà di accelerare i tempi, magari in relazione alle esigenze sceniche e registiche di Stefan Herheim.

01 luglio, 2008

Il nono Parsifal

Quello che Daniele Gatti dirigerà (da quest’anno e per alcuni anni) è il nono Parsifal prodotto a Bayreuth.

La numerazione caratterizza non certo le esecuzioni (490 ad oggi), nè le interpretazioni musicali (sono ben 25 i Kapellmeister che si sono cimentati con Parsifal a Bayreuth prima di Daniele, da Hermann Levi nel 1882 ad Adam Fischer lo scorso anno) bensì le cosiddette Inszenierungen, cioè le messe-in-scena del sacro dramma. Ciò dimostra l’importanza che in particolare a Bayreuth si attribuisce alla terza componente (dopo musica e poemi) del Gesamkunstwerk wagneriano.

Il primo regista in assoluto di Bayreuth (per le inaugurazioni del Ring nel 1876 e di Parsifal nel 1882) fu Richard Wagner in persona. In pratica, fino alla seconda guerra mondiale, le linee guida degli allestimenti di Richard furono rispettate quasi alla lettera dai suoi successori alla testa del festival: Cosima, poi Siegfried e infine Winifred. In particolare, per Parsifal, l’originale wagneriano venne rigorosamente mantenuto fino al 1933 (27 stagioni) e poi abbastanza poco variato da Tietjen (due volte, dal 1934 al 1939). Si dovrà aspettare il 1951 per vedere una nuova (e rivoluzionaria) regia, quella di Wieland, il nipote di Richard (fratello dell’ottantanovenne pensionando Wolfgang, che il 31 agosto prossimo lascerà - alla buonora, e probabilmente alla figlioletta Kathi - la direzione del festival).

Questa è la lista degli otto precedenti allestimenti:

1882-1933 Richard Wagner (27 stagioni)
1934-1936 Hans Tietjen (2 stagioni)
1937-1939 Hans Tietjen (3 stagioni)
1951-1973 Wieland Wagner (23 stagioni)
1975-1981 Wolfgang Wagner (7 stagioni)
1982-1988 Götz Friedrich (6 stagioni)
1989-2001 Wolfgang Wagner (13 stagioni)
2004-2007 Christoph Schlingensief (4 stagioni)

Sui problemi - oltre che sui misfatti - legati agli allestimenti dei drammi wagneriani, e in particolare di Parsifal, si è scritto di tutto e poco c’è da aggiungere, salvo una forse banale osservazione: qualunque regia, tradizionale o moderna, o post-moderna, dovrebbe sforzarsi di restituire allo spettatore ciò che l’Autore aveva in mente di trasmettere, a tale fine avendo scritto di suo pugno i poemi, le note sui righi, e le indicazioni di scena a margine. Per usare un classico termine teutonico, riprodurre al meglio il Konzept che sta alla base del dramma. Ma il Konzept di Wagner, Wagner Richard per l’esattezza... non quello di Wagner Wolfgang, tanto per esemplificare, nè tanto meno quello di Götz Friedrich o di Christoph Schlingensief o - oggi - di Stefan Herheim. Poichè allorquando il regista si limita a prendere spunto dall’originale, per poi presentarci un Konzept suo proprio, adattandovici la musica di Wagner, è matematico che il valore dell’insieme non potrà che abbassarsi. Non per nulla i drammi wagneriani sono universalmente riconosciuti come opere d’arte assolute, che nessun intervento potrà mai “abbellire” o “migliorare”. Parliamo qui di Konzept, si badi bene, non di scene e costumi, che Richard Wagner per primo faticò a trovare adeguati alle sue stesse idee. Pensare che la rappresentazione di un tipo sia artisticamente migliore di quella dell’archétipo di cui quel tipo è solo una necessariamente parziale manifestazione, è la più grande stupidaggine che si possa fare, oltre che un’offesa all’opera d’arte, al suo autore e, in definitiva, al pubblico.

Wagner ebbe a dire che, dopo aver fatto scomparire l’orchestra (sotto il palcoscenico) avrebbe voluto far scomparire anche il palcoscenico medesimo, tanto avvertiva l’inadeguatezza di qualunque scena e costume rispetto al Konzept che anima i suoi drammi. E forse il miglior interprete della sua volontà fu proprio il nipotino Wieland, con i suoi allestimenti minimalisti dei primi anni ’50, che davano il minimo spazio agli aspetti esteriori, per consentire allo spettatore di concentrarsi totalmente ed esclusivamente sui contenuti più pregnanti - parole, musica e psicologia dei personaggi - dei drammi del nonno.