affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

10 novembre, 2017

Chailly ridà vita alla Messa abortita

 

Questa sera alla Scala (Radio3 alle 20:00) risuonerà quella Messa per Rossini che Giuseppe Verdi aveva ideato – chiedendo la collaborazione a una schiera di musicisti italiani – per celebrare adeguatamente – in SanPetronio a Bologna - il primo anniversario della morte del grande pesarese (1869) ma che per svariate ragioni – una più prosaica dell’altra - mai era stata rappresentata. Poi sappiamo come Verdi realizzò invece in proprio e in modo superbo e con strepitoso successo di pubblico e critica l’analogo epitaffio per il Manzoni.

La Messa – ineseguita e sepolta a Bologna come previsto da... statuto – è stata riportata alla luce nella seconda metà del secolo scorso e poi, nel 1988, eseguita per la prima volta a Stuttgart (quindi a Parma, Perugia e altrove) sotto la guida del grande bachiano (diventato in seguito un frequentatore abituale del podio de laVerdi) Helmuth Rilling. Questa della Scala sarà quindi (praticamente) la prima esecuzione italiana fatta da complessi italiani.

Seguendo la citata interpretazione di Rilling si può tracciare un profilo di quest’opera bizzarra e un po’ velleitaria (di cui lo stesso Verdi metteva in conto anticipatamente la fatale eterogeneità) ma nata, nelle intenzioni del suo ideatore, come doveroso tributo della comunità musicale italiana (o perlomeno di quella parte della comunità più legata alla tradizione) alla memoria del sommo Gioachino.

La struttura è quella che poi Verdi adotterà pari-pari nel suo Requiem, mentre i solisti qui sono 5 (alla canonica formazione SATB si aggiunge anche il baritono). I 12 musicisti che insieme a Verdi firmarono l’opera furono scelti da una apposita commissione di eminenti autorità nel campo musicale. 


I Introitus

Antonio Buzzolla – 1815-1871 - Maestro di Cappella della Basilica di San Marco a Venezia. Fondatore del futuro Conservatorio Benedetto Marcello

Requiem e Kyrie (Coro) 







II Sequentia
  
Antonio Bazzini – 1818-1897 – Presidente della Società dei Concerti di Brescia. Poi Direttore del Conservatorio di Milano.

9’57” 1. Dies Irae (Coro) 


  

                        
Carlo Pedrotti – 1817-1893 – Direttore del Teatro Regio di Torino.

15’00” 2. Tuba mirum (Baritono-Coro) 

  

                           
Antonio Cagnoni – 1828-1896 - Maestro di Cappella a Vigevano, poi a Novara e Santa Maggiore.

21’25” 3. Quid sum miser (Soprano-Alto) 

 

                             
Federico Ricci – 1809-1877 – Direttore della Scuola Imperiale di Canto a SanPietroburgo.

28’40” 4. Recordare Jesu (Soprano-Alto-Baritono-Basso) 

                               
Alessandro Nini – 1805-1880 – Maestro di Cappella a Santa Maria Maggiore di Bergamo.

37’05” 5. Ingemisco (Tenore-Coro)  

  

                           
Raimondo Boucheron – 1800-1876 – Maestro di Cappella al Duomo di Milano.

48’06” 6. Confutatis maledictis (Basso-Coro)  

 
Carlo Coccia – 1782-1873 – Maestro di Cappella a SanGaudenzio di Novara.

57’52” 7. Lacrymosa, Amen (Coro a cappella - Coro)  







III Offertorium

Gaetano Gaspari – 1808-1881 – Maestro di Cappella a SanPetronio di Bologna.

1h04'46" Domine Jesu, Quam olim Abrahae, Hostias (Soprano-Alto-Tenore-Basso-Coro)  






IV Sanctus


Pietro Platania – 1828-1907 – Direttore del Conservatorio di Palermo.

1h14'11" Sanctus, Hosanna, Benedictus (Soprano-Coro)  







V Agnus Dei


Lauro Rossi – 1810-1885 – Direttore del Conservatorio di Milano, poi di Napoli.

1h22’07” Agnus dei (Alto)  







VI Communio


Teodulo Mabellini – 1817-1897 – Maestro Direttore alla Pergola di Firenze.

1h28’27” Lux aeterna (Tenore-Baritono-Basso)  





VII Responsorium


Giuseppe Verdi – 1813-1901

1h38’06” Libera me, Dies Irae, Requiem aeternam (Soprano-Coro)

Il Responsorium verrà riutilizzato da Verdi nel suo Requiem con alcune modifiche, fra le quali il diverso attacco del Dies Irae (1h40’22”). 




Riprendendo una prassi introdotta da Verdi per la sua opera, Chailly ha previsto per l’esecuzione della Messa un intervallo fra Sequentia e Offertorium. Staremo a sentire. 

08 novembre, 2017

Il Nabucco di Abbado (D.) recidivo alla Scala


A quasi 5 anni dalla sua prima apparizione, è tornato in Scala a far danni - mia convinzione - il Nabucco firmato da Daniele Abbado. Per quanto riguarda i danni, confermo ogni mio rilievo alla regìa, mosso in quella occasione: una regìa che sa di documentario rievocante la sofferenza del popolo ebraico vittima della Shoah, ma che poi, per non cadere nel grottesco (poichè coerentemente Nabucco dovrebbe allora vestire i panni di Hitler) si sposta su scenari di conflitti di natura sindacale (Nabucco = padrone delle ferriere) che con le vicende dell’Olocausto (e con il soggetto originale) ci stanno come i cavoli a merenda: caso più unico che raro di incoerenza al quadrato!

Insomma: un pessimo servizio fatto a Verdi e al pubblico, ecco. Un po’ come quel Mosè di Rossini che Vick anni orsono impiegò al ROF come colonna sonora per la sua lecture sulla storia della nascita dello Stato di Israele. Con la differenza che la storia presentata da Vick era, almeno, rispettosa fino in fondo delle vicende passate in Palestina nella prima metà del secolo scorso. 
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Ieri sera era la quinta delle otto recite in programma ed ha visto l’arrivo, nel ruolo di Abigaille, della partenopea Anna Pirozzi, a dare il cambio alla viennese Martina Serafin: dico subito che si è trattato, per me, di un discreto ritorno al Piermarini dopo i Foscari della stagione scorsa; in un ruolo che lei d’altronde conosce ormai come le proprie tasche, essendo stato il suo trampolino di lancio anni fa con Muti. Ma la dimestichezza con la parte è condizione necessaria, purtroppo non sufficiente per raggiungere l’eccellenza: e la parte di Abigaille, che Verdi magistralmente ricolma di spettacolari quanto enormi intervalli (con cadute di una e persino di due ottave!) mette purtroppo in difficoltà la Pirozzi sulle note gravi, per cui da acuti sicuri e squillanti si piomba spesso nel... vuoto. Comunque una prestazione, la sua, meritevole di ampia sufficienza.

Più che dignitosa la prova di Annalisa Stroppa, voce morbida e penetrante, espressione sempre adeguata al personaggio della principessa assira che l'amore per il giovane ebreo porta alla repentina conversione. E Ismaele è stato degnamente impersonato da Stefano La Colla, che ha mostrato timbro squillante e buona intonazione. A cavallo fra sufficienza e insufficienza Mikhail Petrenko, uno Zaccaria che sarebbe perfetto nella presenza fisica e scenica, ma la cui voce ahilui manca di ogni caratteristica necessaria al ruolo: profondità, potenza e autorevolezza. Onorevoli le prove dei tre comprimari, Giovanni Furlanetto in testa. Il Coro di Casoni non si discute di certo, però mi pare non abbia toccato i vertici che gli conosciamo.                    

Di questi tempi è di attualità discettare di aspettativa di vita e di età pensionabile: ebbene, oltre al recidivo Leo Nucci (che già era in età da pensione 5 anni orsono) questa produzione vede sul podio un tale che ha 11 anni più del Nabucco! Evidentemente il mestiere di Kapellmeister (come quello di baritono verdiano) non è fra quelli definiti usuranti (!) A parte le facili battute, a me che sono appena appena meno maturo di Nucci la cosa non può che far piacere, soprattutto quando posso constatare che a 75 e 86 anni ancora si può essere autorevoli interpreti di Verdi alla Scala, invece che ospiti di Verdi in piazza Buonarroti...

Il baritono di Castiglione dei Pepoli sciorina ancora una delle sue penetranti e coinvolgenti interpretazioni, facendosi perdonare le inevitabili pecche legate all’anagrafe (acuti un filino urlati...) ma rendendo al meglio (parlo ovviamente della parte musicale, quella del personaggio di Daniele Abbado lasciamola perdere) le mutazioni che intervengono nella mente e nella personalità del condottiero assiro.

Quanto a Nello Santi, lui poveretto fatica persino a reggersi in piedi, e la salita sul podio così gli diventa la scalata del K2... Però, una volta installato al suo posto, guida orchestra e voci con l’autorità che gli viene da un’intera vita di studio e lavoro. I suoi tempi sono sempre sostenuti, ma mai sfociano nel greve o peggio nell’esasperante; il suono che ottiene dall’orchestra (compresa quella dietro le quinte) è nitido, tagliente, senza mai sconfinare in tratti bandistici o vuotamente retorici. La concertazione delle voci sempre pulita, gli attacchi precisi, dati con semplici ma evidentemente efficaci gesti della mano sinistra. Insomma, non siamo in presenza di una mummia ambulante, come ingenerosamente qualcuno lo ha voluto dipingere, tutt’altro!

Piermarini non esaurito, ma neanche semivuoto, e ben disposto all’applauso per l’intera compagnia. Una serata (parlo dei suoni) per me complessivamente positiva.

03 novembre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°5


Il Requiem di Verdi è (con la Nona beethoveniana) uno dei due tradizionali appuntamenti fissi della stagione principale de laVerdi, che ha l’occasione di impegnarci l’intero suo organico strumentale e vocale. Quest’anno la bacchetta che guida orchestra e coro in entrambi gli appuntamenti fissi è quella di Elio Boncompagni, che ritroveremo sul podio dell’Auditorium anche nelle prossime settimane, chiudendo l’anno appunto con la Nona.

Il Requiem (si sa) era stato originariamente pensato da Verdi come una Messa funebre per Gioachino Rossini, che aveva impegnato alcuni musicisti a comporne le diverse sezioni. Per combinazione proprio fra qualche giorno quella Messa, mai eseguita a suo tempo e riportata alla luce solo a fine ‘900, sarà presentata alla Scala da colui che è tuttora Direttore Onorario de laVerdi, con la quale interpretò il Requiem in quattro stagioni consecutive, a partire dal 2001.
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Il quartetto dei solisti si è assestato soltanto all’ultimo momento, con la sostituzione di Tiziana Carraro con Cristina Melis; ma già da tempo era cambiato anche il tenore: Matteo Lippi, al posto dell’originariamente annunciato Antonio Gandia; con loro il soprano argentino Virginia Tola e il basso Dario Russo. Un quartetto comunque ben assortito, che ha dignitosamente figurato: tutte voci bene impostate e dotate di discreta potenza (forse alla Melis manca qualche decibel...) ma soprattutto di sensibilità di accenti e sfumature.

Il Coro di Erina Gambarini ancora una volta sugli scudi, specie nei momenti di massimo raccoglimento religioso, con passaggi in pianissimo davvero emozionanti. Orchestra – disposta con le viole a sinistra, cosa non nuova per Boncompagni, e imitata di recente da Caetani - sui suoi standard di qualità (perdoniamo una sgradevole stecca di una tromba all’attacco del Tuba mirum) che ha ben assecondato la lettura del Direttore.

Al quale la veneranda età (84 anni, ma portati alla grande) permette di identificarsi con quella pietas che dovette ispirare il 63enne Verdi di fronte alla scomparsa di un grande italiano: il suo Requiem ne è pervaso da cima a fondo, e quindi ancor più drammatici si stagliano su essa i tellurici scoppi del Dies Irae, ma anche le terrificanti implorazoni del Domine, Domine, Libera me.

Auditorium pieno come un uovo, che ha tributato lunghe ovazioni a tutti.

21 ottobre, 2017

1517-2017 in musica con laVerdi


Ieri sera in Auditorium laVerdi, guidata dal suo Direttore Artistico ed Esecutivo ha commemorato il 500° anniversario della Riforma protestante con un concerto che ha havuto come filo conduttore il testo luterano Ein feste Burg ist unser Gott.

Il pezzo centrale – ma anche il pezzo forte – della serata era la Cantata BWV80 di Bach, incastonata fra l’originale luterano e la Sinfonia della riforma di Mendelssohn.

Come ha puntualmente ricostruito Raffaele Mellace nel suo monumentale tomo sulle Cantate di Bach, la BWV80 risale, forse, addirittura ai tempi di Weimar (1715); fu poi ripresa a Lipsia già (sempre... forse) nel 1724, poi arricchita ulteriormente nel periodo 1727-1731 e infine completata in tempo (1739) per il secondo centenario dell’introduzione della Riforma nella città sassone.  

Nel corso dei decenni (e dei secoli, ormai) oltre ad essere divenuta di gran lunga la più famosa delle Cantate bachiane, la BWV80 ha anche subito diversi rimaneggiamenti e/o (presunti) arricchimenti. Uno di questi riguarda la strumentazione, che nell’800 venne apocrifamente rinforzata con l’impiego di trombe e timpani, come si può notare qui:


E ciò andò di pari passo, specie nel ‘900, con il discutibile gigantismo di orchestre e cori impiegati per l’esecuzione, di cui Karl Richter fu assoluto (ma anche contestato) campione. Ecco qui invece un’esecuzione (senza coro) che ci riporta proprio ai tempi di Bach, rivelando tutta la purezza delle linee melodiche e il sublime contrappunto del grande Sebastiano. Messi in evidenza in questa interessante analisi del brano iniziale.

Seguiamo proprio la citata esecuzione olandese per scoprire il contenuto di questo autentico scrigno.

41” Il n°1 (Corale-fantasia, RE maggiore, 4/4) impegna le quattro voci S-A-T-B (solisti e coro, quando presente) più gli strumenti al completo nell’esposizione in mirabile contrappunto della prima delle quattro strofe di Luther, su una melodia che riprende, variandolo, l’originario tema luterano.

Ein feste Burg ist unser Gott,
Ein gute Wehr und Waffen;
Er hilft uns frei aus aller Not,
Die uns itzt hat betroffen.
Der alte b
öse Feind,
Mit Ernst er's jetzt meint,
Groß Macht und viel List
Sein grausam Rüstung ist,
Auf Erd ist nicht seinsgleichen.
Il nostro Dio è una fortezza sicura,
una buona difesa e buona arma;
egli ci aiuta liberandoci da ogni male
che si è abbattuto fin'ora su di noi.
L'antico e malvagio nemico
è seriamente risoluto,
grande forza e molta falsità
sono le sue orribili armi,
nessuno è come lui sulla terra.
  
6’08” Il n°2 (Aria, RE maggiore, 4/4) è un duetto (S-B) su parole (evidenziate) di Salomo Franck (autore dei testi delle cantate composte da Bach a Weimar) esposte dal Basso e contrappuntate dal Soprano con la seconda strofa del Lied luterano. L’accompagnamento è limitato ad archi e oboe. Qui si parla del Cristo come condottiero di schiere in battaglia, per la vittoria della fede. Si noti come il soprano accompagni la melodia del basso con il tema luterano. Qui si parla del Cristo come condottiero di schiere in battaglia, per la vittoria della fede. Si noti come il soprano accompagni la melodia del basso con il tema luterano.

Alles, was von Gott geboren,
Ist zum Siegen auserkoren.

Mit unsrer Macht ist nichts getan,
Wir sind gar bald verloren.
Es streit' vor uns der rechte Mann,
Den Gott selbst hat erkoren.
Wer bei Christi Blutpanier
In der Taufe Treu geschworen,
Siegt im Geiste für und für.

Fragst du, wer er ist?
Er heit Jesus Christ,
Der Herre Zebaoth,
Und ist kein andrer Gott,
Das Feld mu er behalten.
Alles, was von Gott geboren,
Ist zum Siegen auserkoren.
Tutto ciò che è nato da Dio
è destinato alla vittoria.
Niente può essere fatto con le nostre forze,
subito saremmo perduti.
Combatte per noi il Giusto,
che Dio stesso ha scelto.
Chiunque con il vessillo del sangue di Cristo
abbia giurato fedeltà al battesimo,
vince nello spirito per sempre.
Tu sai chi è lui?
Il suo nome è Gesù Cristo,
il Signore degli eserciti,
e non c'è altro Dio,
lui domina il campo di battaglia.
Tutto ciò che è nato da Dio
è destinato alla vittoria.

9’48” Il n°3 (Recitativo, SI minore, poi FA#, 4/4) è affidato al Basso (testo di Franck) che esalta il pentimento del fedele e la sua vittoria su Satana.

Erwäge doch, Kind Gottes, die so große Liebe,
Da Jesus sich
Mit seinem Blute dir verschriebe,
Wormit er dich
Zum Kriege wider Satans Heer
und wider Welt, und Sünde
Geworben hat!
Gib nicht in deiner Seele
Dem Satan und den Lastern statt!
Laß nicht dein Herz,
Den Himmel Gottes auf der Erden,
Zur Wüste werden!
Bereue deine Schuld mit Schmerz,
Dass Christi Geist mit dir sich fest verbinde!
Considera, figlio di Dio, un amore così grande, 
che Gesù stesso
ha sottoscritto con il proprio sangue
il tuo arruolamento
nella guerra contro le schiere di Satana, contro il mondo 

e contro il peccato!
Non date spazio nella vostra anima
a Satana e alla depravazione!
Non lasciate che i vostri cuori,
il Cielo di Dio sulla terra,
diventino un deserto!
Pentitevi con dolore della vostra colpa,
così che lo Spirito di Cristo aderisca con forza ad  essi!

111’37” Il n°4 (Aria, SI minore, 12/8) sempre su testo di Franck, è cantata dal Soprano (con il solo accompagnamento del continuo) che invoca il Signore Gesù perchè scenda nell’anima, scacciandovi Satana.

Komm in mein Herzenshaus,
Herr Jesu, mein Verlangen!
Treib Welt und Satan aus
Und lass dein Bild in mir erneuert prangen!
Weg, schnöder Sündengraus!
Vieni ad abitare nel mio cuore,
mio Gesù, mio desiderio!
Scaccia il mondo e Satana
e fà che la tua immagine risplenda in me rinnovata! 
Via, orribile arroganza del peccato!

14’28” Il n°5 (Corale, RE maggiore, 6/8) è cantato dalle quattro voci all'unisono (!) sul testo della terza strofa di Luther e su una variante del tema originale. Nobile l’accompagnamento dei due oboi d’amore e del taille (oboe tenore, dal suono più grave degli altri due). Ripropone il tema della lotta fra bene e male e della vittoria finale del soprannaturale sul materiale.

Und wenn die Welt voll Teufel wär
Und wollten uns verschlingen,
So fürchten wir uns nicht so sehr,
Es soll uns doch gelingen.
Der Fürst dieser Welt,
Wie saur er sich stellt,
Tut er uns doch nicht,
Das macht, er ist gericht',
Ein Wörtlein kann ihn fällen.
E se anche il mondo fosse pieno di demoni
e volesse inghiottirci,
noi non avremmo paura,
comunque otterremmo la vittoria.
Il Principe di questo mondo,
per quanto feroce possa essere,
nulla può farci,
poiché è già stato giudicato,
una sola parola lo può abbattere.

18’24” Il n°6 (Recitativo, SI minore - RE maggiore, 4/4) è affidato al Tenore (testo di Franck): ribadisce l’appello all’anima perchè resti con Cristo fino alla vittoria finale sul nemico:

So stehe dann bei Christi blutgefärbten Fahne,
O Seele, fest
Und glaube, dass dein Haupt dich nicht verlässt,
Ja, dass sein Sieg
Auch dir den Weg zu deiner Krone bahne!
Tritt freudig an den Krieg!
Wirst du nur Gottes Wort
So hören als bewahren,
So wird der Feind gezwungen auszufahren,
Dein Heiland bleibt dein Hort!
Resta accanto al vessillo del sangue di Cristo,
oh anima, con fermezza
e con la certezza che non perderai il tuo capitano, 
sì, e che la sua vittoria
aprirà la strada anche alla tua corona!
Marcia con gioia alla guerra!
Se metti in pratica la Parola di Dio
così come la ascolti,
il nemico sarà costretto a retrocedere,
il tuo Salvatore resta il tuo tesoro!

19’47” Il n°7 (Aria, SOL maggiore, 3/4) è un duetto (A-T) con l’accompagnamento del violino e dell’oboe da caccia (in FA). Il testo, di Franck, prefigura la felicità celeste per coloro che si renderanno a Dio con fede incrollabile:

Wie selig sind doch die,
die Gott im Munde tragen,
Doch selger ist das Herz,
das ihn im Glauben trägt!
Es bleibet unbesiegt
und kann die Feinde schlagen
Und wird zuletzt gekrönt,
wenn es den Tod erlegt.
Felici coloro che hanno Dio
sulla loro bocca,
ma più felice il cuore
che conserva in lui la fede!
Resta invincibile
e può sconfiggere i suoi nemici
e nell'ora della vittoria sulla morte sarà infine incoronato.

23’55” Il n°8 (Corale, RE maggiore, 4/4) chiude in gloria la cantata con la quarta strofa di Luther e il suo tema originale:

Das Wort sie sollen lassen stahn
Und kein' Dank dazu haben.
Er ist bei uns wohl auf dem Plan
Mit seinem Geist und Gaben.
Nehmen sie uns den Leib,
Gut, Ehr, Kind und Weib,
Laß fahren dahin,
Sie habens kein' Gewinn;
Das Reich muss uns doch bleiben.
Non bisogna toccare la Parola di Dio
e non interpretarla a proprio vantaggio.
Egli è con noi secondo i suoi piani
con il suo Spirito e i suoi doni.
Se porteranno via i nostri corpi,
beni, onore, figli, moglie,
lasciamoli pure andare,
ma non avranno alcun bottino;
il Regno resterà sempre con noi.
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Jais, che ha speso 5 minuti per introdurre le tre opere in programma, ha adottato una soluzione di onesto e onorevole compromesso: intanto dimenticando trombe e timpani; e poi impiegando un organico ridotto (poco più di 20 strumenti e 30 coristi). Non avendo a disposizione la sua BAROCCA, ha invece suonato a 440 Hz (Bach avrebbe sentito il suo RE come un MIb!) e la taille, l’oboe da caccia e quelli d’amore sono stati surrogati dal moderno corno inglese e da oboi disamorati (!) Discutibile  - ma siamo ai dettagli minimi – la scelta di far suonare non solo al continuo, ma anche agli strumenti il corale conclusivo (peraltro Jais li ha tenuti a volume bassissimo, quasi a creare non più che un lontano sfondo al canto di coro e solisti).

Insomma, un mix più che accettabile, date le circostanze, e impreziosito dalla bontà delle quattro voci soliste, in primo luogo Christian Senn e Ana Maria Labin che hanno le parti oggettivamente più corpose (ma bravi anche Julia Böhme e Thomas Hobbs). Come sempre encomiabile la prestazione del Coro di Erina Gambarini, qui giustamente a ranghi assai ridotti.
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Prima della cantata il solo coro aveva introdotto il tema del concerto, cantando le quattro strofe di Luther, accompagnato ed introdotto splendidamente dall’organo di Davide Pozzi.

Simpaticamente bizzarra la scelta di Jais di far suonare in posizione eretta violini, viole e contrabbassi nella Riforma mendelssohniana (i violoncelli se la sono sfangata, date le caratteristiche ibride dello strumento... però per par-condicio avrebbero meritato di dover suonare in ginocchio!) Il Direttore potrebbe spiegare la ragione della trovata: forse una specie di attenti! per omaggiare Lutero !?)
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Se posso permettermi una chiosa personale: i suoni eterei di Bach hanno contribuito a ripristinare nelle mie orecchie un po’ di quell’equilibrio musicale che era stato rotto dalle sesquipedali esternazioni mahlerian-gattiane della sera precedente!

20 ottobre, 2017

La Resurreziona di Gatti alla Scala

 

Ieri sera Daniele Gatti ha diretto per la terza volta nel giro di pochi giorni l‘ipertrofica Auferstehungssymphonie di Gustav Mahler, che è tornata a risuonare nel Piermarini precisamente dopo 16 anni (Gergiev con i suoi del Marinski).   

No, nel titolo non c’è alcun refuso: è che Gatti ha - selon moi – esagerato un filino con la prosopopea mahleriana, ecco. Questi grandi affreschi musicali (è un vecchio titolo del 5° Canale della Filodiffusione) sono già di per sè problematici da digerire (richiedono all’ascoltatore non passivo un approccio da esercizi spirituali, con tanto di coinvolgimento razionale ed emotivo): perchè dietro le note ci sono filosofie, psicologie, idiosincrasie, velleità, ingenuità, sogni e incubi, insomma un coacervo di ingredienti che – se non dosati più che attentamente – rischiano di trasformare il grande affresco in una mappazza piuttosto dura da mandar giù.

Il primo ad avere una reazione di rigetto verso la Sinfonia, anzi precisamente verso la Totenfeier, che ne divenne in seguito il primo movimento, fu uno che di musica d’avanguardia (ai tempi) se ne intendeva parecchio ed anzi ne era un acceso fautore, a dispetto delle disavventure coniugali che ciò gli aveva procurato: parlo di tale Hans von Bülow, fanatico lisztiano e wagneriano che, ascoltando a fine settembre 1891 la Totenfeier suonatagli al pianoforte da Mahler (che fu suo vice ad Amburgo) diede letteralmente in escandescenze, esclamando: Se questa è musica, allora significa che io di musica non capisco più un accidente! Dopodichè Mahler, ironia della sorte, trasse l’ispirazione per il Finale della Sinfonia proprio dai funerali di Bülow, ascoltando il testo di Klopstock colà declamato!

Sappiamo che nella sua seconda Mahler, trasformando e arricchendo quella specie di poema sinfonico che era in origine la Totenfeier (una copia noir della contemporanea straussiana Tod und Verklärung) ha tracciato, per giustapposizione (apparentemente?) bislacca di altri 4 movimenti, un percorso che parte dalla morte dipinta come un evento senza... futuro, per poi arrivare – attraverso il riandare a fasi serene, ma anche cupe e/o grottesche, dell’esistenza terrena – fino allo spalancarsi della porta che dà sul... Paradiso! Beh, un programma velleitario per davvero, tipico del romanticismo tardo-decadente nei contenuti e ibrido nella forma (l’ostentata teatralità trasferita di peso nel mondo sinfonico): e il rischio quindi di eccedere in enfasi, retorica e kitsch è sempre dietro l’angolo.   

Ecco, la direzione di Gatti – sempre per me, ovvio – ha contribuito a far materializzare quel rischio, certo non in maniera clamorosa (per dire, Flor con laVerdi anni fa aveva fatto di peggio, ma lo stesso grande Lenny Bernstein ai suoi tempi non lesinava su gigionerie assortite...): vai a sapere se si è trattato di una scelta programmatica del Direttore (che nei recenti Meistersinger aveva invece lodevolmente adottato un approccio del tutto anti-retorico) o invece di un esito magari indesiderato, ma tant’è, questo è ciò che è arrivato alle mie orecchie. Ma anche al mio orologio, se è vero che, a fronte degli 80 minuti previsti dallo stesso Mahler come durata di riferimento, Gatti ha sforato di (minimo) 10 minuti (escludendo i più di 5 impiegati per far entrare il coro dopo la Totenfeier...)

In particolare a sembrarmi decisamente troppo sostenuti sono stati i due movimenti esterni, dove affettazione e magniloquenza degne francamente di miglior causa l’hanno fatta da padrone. Accettabile il Ländler e decisamente buona la predica di SantAntonio ai pesci, che è propriamente una parodia della serietà e come tale è stata suonata.

Le due voci coinvolte nell’avventura hanno dato il loro contributo emotivo alla sinfonia: in particolare la Christianne Stotijn con quel REb (maggiore) che attacca il Lied della rosellina, salendo dal DO (minore) del predicozzo ai pesci, primo passettino musicale che porterà alla fine al glorioso, religioso ed eroico MIb maggiore che accoglierà l’esito supremo della Resurrezione; e poi con la fede che ha messo – con la Miah Persson - in quel O glaube di parsifaliana ascendenza.

Poderoso, non solo nelle esplosioni finali, ma più ancora nel misterioso ppp all’attacco dell’Auf-er-steh’n, il Coro di Mario Casoni, sempre perfetto, nelle geniali sguaiatezze del Freischütz di queste stesse sere, come nelle retoriche perorazioni di Klopstock.    
  
Infine una nota di colore: Gatti si è portata sul leggìo – e l’ha sfogliata pagina dopo pagina – l’immensa partitura: niente di male in ciò, sia chiaro. Però io ricordo un Gatti che nel 2008 diresse alla Scala un Wozzeck e poi un intero Don Carlo a memoria, e poco tempo dopo, sempre qui, lasciò in camerino la tremenda partitura dello stravinskiano Sacre! (Domanda: scherzi dell’età... ?)

In ogni caso... sempre di Mahler si tratta – nel bene e nel male – e il pubblico che riempiva il Piermarini lo ha accolto con tripudio e ripetute ovazioni per tutti i Musikanten. Quindi una serata comunque positiva, di quelle che ti mandano a nanna facendoti dimenticare (per una notte almeno) le miserie quotidiane: renzi, vischi e boschi, per capirci... 

18 ottobre, 2017

Chung esalta Weber alla Scala


Der Freischütz è arrivato ieri alla sua terza delle otto recite alla Scala, dove è tornato dopo quasi 20 anni di latitanza. Myung-Whun Chung, lo dico subito, è l’autentico artefice del successo di questa produzione.

Come per tutti i Singspiel (dal Ratto al Flauto, al Fidelio, e giù fino alla prima Carmen) anche qui nasce il problema di quanto parlato conservare, rispetto a quanto convenga buttare nel cestino. Mi pare che la scelta di questa produzione sia sostanzialmente equilibrata, conservando ciò che è assolutamente essenziale per la comprensione della vicenda, ed eliminando il superfluo. Al proposito è condivisibile la scelta (non è un’invenzione) di Chung riguardo l’inizio del terz’atto. Weber, forse con l’intenzione di creare uno stacco dopo l’infernale Wolfsschlucht che chiude l’atto secondo, ha previsto un’Entre Act brillante che anticipa quasi letteralmente lo Jägerchor che più tardi precederà il finale. Introduzione che è seguita da un lungo parlato, dove un paio di cacciatori si scambiano banali battute di carattere meteorologico (e queste per davvero sarebbero insopportabili) ma dove poi Caspar e Max discutono animatamente sulla distribuzione fra loro e l’impiego delle sette pallottole magiche fuse la notte precedente. Questa parte del dialogo è di fondamentale importanza per comprendere poi ciò che avverrà nel finale (la schioppettata di Max verso la bianca colomba che invece il diavolo Samiel indirizza a colpire Agathe, anzi... Caspar). Bene, Chung elimina l’Entre Act e l’intero parlato che segue, attaccando l’atto con la sublime melodia del violoncello solo che introduce la cavatina di Agathe. Quindi, per rimettere le cose a posto sul piano della comprensibiltà della vicenda successiva, piazza il breve incontro fra Caspar e Max subito prima dello Jägerchor.

La direzione del Maestro coreano è assolutamente di prima classe: forse, mi verrebbe da dire, fin troppo raffinata ed elegante anche in quei non pochi momenti in cui Weber – credo intenzionalmente – carica la musica (e i cori) di accenti piuttosto sbracati e colmi di rozzezza contadina. Ma in compenso il nitore e la trasparenza del suono sono precisamente da incorniciare!

Il Coro di Casoni, appunto, dà ancora una volta una prova della sua compattezza e del suo affiatamento, creando in modo brillante ed efficace sia le atmosfere villerecce che caratterizzano la vicenda, sia quelle da tregenda che accompagnano la spaventevole scena alla Gola del lupo.

Compagnia di canto bene assortita. Su tutti la Agathe di Julia Kleiter, davvero emozionante nelle sue due prove più impegnative: l’aria del second’atto e la cavatina che apre il terzo, lungamente applaudite. Con lei il convincente Caspar di Günther Groissböck, voce corposa e penetrante, perfettamente attagliata al sinistro personaggio.

Michael König è un dignitoso Max, a cui manca forse qualche decibel per meritare l’eccellenza. La voce è bella, squillante (la parte peraltro non mi pare proibitiva) ma appunto fatica a riempire il grande spazio scaligero. Sul suo piano metterei la Äennchen di Eva Liebau, le cui due fatiche solistiche (arietta del second’atto e romanza-aria del terzo) sono state superate onorevolmente, e quindi apprezzate dal pubblico.

Gli altri quattro comprimari (la cui presenza canora in scena è abbastanza sporadica) hanno pure ben meritato. Farei una menzione per Stephen Milling, imponente ed autorevole Eremita.

Alla fine il pubblico non oceanico ha riservato meritati applausi a tutti quanti.
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L’allestimento di Matthias Hartmann è improntato al minimalismo della scenografia (di Raimund Orfeo Voigt) accompagnato dalla bizzarrìa dei costumi della coppia Susanne Bisovsky e Josef Gerger. Efficaci le luci (a parte i profilati di neon, davvero ridicoli) di Marco Filibeck.

Un misto di kitsch e goliardia che ci può anche stare, data la natura del soggetto, che per la verità potrebbe prestarsi anche ad interpretazioni più profonde o magari intellettualoidi.

In definitiva, un ritorno alla Scala (almeno per quanto mi riguarda) assai gradito. 

17 ottobre, 2017

laVerdi commemora Martin Luther


Oltre a quella sovietica, di cui si celebra il centenario, in questo ottobre 2017 ricorre nientemeno che il mezzo-millennio di un’altra rivoluzione, non meno ricca di conseguenze per l’intera umanità: la Riforma luterana: fu precisamente sabato 31 ottobre del 1517 quando Martin Luther espose sul portale della Schlosskirke di Wittenberg le sue rivoluzionarie tesi.

Ruben Jais (che non è solo il Manager dell’Orchestra, ma è anche un Direttore con i fiocchi) ha deciso di ricordare quel capitale evento con un concerto straordinario de laVerdi, programmato in copia unica per venerdi 20, ore 20:30 in Auditorium.

Per l’occasione ha scelto un percorso rettilineo che ci porterà dall’originale luterano Ein feste Burg ist unser Gott alla cantata BWV80 di Johann Sebastan Bach (che reca lo stesso titolo e riprende più volte, variandola, la linea melodica di Luther) per chiudere infine con la Reformationssinfonie di Felix Mendelssohn Bartholdy, il cui ultimo movimento (20’52”) cita precisamente la melodia del corale luterano.

Le voci impegnate nei primi due brani sono quelle del Coro di Erina Gambarini e dei quattro solisti di canto: soprano Ana Maria Labin, alto Julia Böhme, tenore Thomas Hobbs e baritono Christian Senn.

Un’occasione da non perdere: la prossima sarà fra 5 secoli!
«Ein feste Burg ist unser Gott,
Ein gute Wehr und Waffen.
Er hilft uns frei aus aller Not,
Die uns jetzt hat betroffen.
Der alt böse Feind,
Mit Ernst er's jetzt meint.
Groß Macht und viel List
Sein grausam Rüstung ist.
Auf Erd ist nicht seinsgleichen.
Mit unsrer Macht ist nichts getan,
Wir sind gar bald verloren.
Es streit't für uns der rechte Mann,
Den Gott hat selbst erkoren.
Fragst du, wer der ist?
Er heißt Jesus Christ,
Der Herr Zebaoth,
Und ist kein ander Gott.
Das Feld muß er behalten.
Und wenn die Welt voll Teufel wär
Und wollt uns gar verschlingen,
So fürchten wir uns nicht so sehr,
Es soll uns doch gelingen.
Der Fürst dieser Welt,
Wie saur er sich stellt,
Tut er uns doch nicht.
Das macht, er ist gericht't.
Ein Wörtlein kann ihn fällen.
Das Wort sie sollen lassen stahn
Und kein' Dank dazu haben.
Er ist bei uns wohl auf dem Plan
Mit seinem Geist und Gaben.
Nehmen sie den Leib,
Gut, Ehr, Kind und Weib,
Laß fahren dahin.
Sie haben's kein Gewinn.
Das Reich muß uns doch bleiben.»
«Forte rocca è il nostro Dio,
Nostra speme in Lui si fonda.
Ne sostien benigno e pio,
Nell'angoscia più profonda.
Il tristo tentator,
A noi fa guerra ognor.
Astuzia e frode
Son l'armi sue tremende,
Ma da lor Dio ne difende
È perduto immantinente,
Quei che solo in sé confida.
Per noi pugna un Uom possente,
Che Dio scelse a nostra guida.
Chi sia, domandi tu,
Egli è Cristo Gesù,
Nostro Signore.
Da Lui vigor ne viene,
La vittoria in man Ei tiene.
Se migliaia di demoni,
Ne volessero inghiottire,
Le malefiche legioni,
Non vedranci impallidire.
Con tutti i lor terror,
Si mostrin pure il cuor,
No, non ci trema.
A un detto dell'Eterno,
Fia depresso il re d'inferno.
La parola della vita,
Rispettar dénno i potenti.
Col Suo Spirto Iddio n'aita,
Noi sarem con Lui vincenti.
Se pieni di furor,
Tolgonci figli, onor
Ed ogni bene,
Ne avranno vantaggio lieve
A noi il Regno restar deve.»