affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

16 aprile, 2017

La Gazza scaligera e Chailly si riprendono ciò che gli spetta


La seconda recita della  Gazza ladra ha (come si poteva del resto facilmente prevedere) rimesso ogni cosa a posto per ciò che riguarda il livello (non sommo, intendiamoci, ma più che accettabile) della qualità complessiva dello spettacolo. E in particolare per ciò che riguarda il Direttore (pretestuosamente contestato alla prima) che è stato invece l’artefice principale del successo dello spettacolo (proprio come Daniele Gatti lo era stato di recente nei Meistersinger).

Dunque, Chailly: una direzione quasi perfetta, proprio a comiciare dai rulli di cassa che aprono l’Ouverture, che a suo tempo lo stesso grande Gioachino – additato per il patibolo da uno scandalizzato quanto stolto violinista – seppe difendere alla grande.

Ma praticamente tutto nella direzione di Chailly è da condividere: lo stacco dei tempi, le dinamiche, le sfumature ora comiche e grottesche, ora serie e lacrimevoli (la marcia al patibolo, una cosa straordinaria!) E poi la concertazione di orchestrali e cantanti: in tre ore e un quarto di musica – non dimentichiamo che si è presentata la versione integrale, recitativi compresi, magistralmente accompagnati da James Vaughan - mai una sbavatura, un attacco sporco, una rilassatezza, una caduta di tensione. Insomma, una dimostrazione di professionalità e di sensibilità interpretativa di alto livello. Per lui solo applausi, dopo l’Ouverture, al rientro e all’uscita finale: un successo che di sicuro lo ripaga delle preconcette e abbastanza ignobili contestazioni della prima. Ragion per cui, chiunque farnetichi di licenziamenti in tronco del Direttore Musicale dovrà rinfoderare le spade di latta (per poi magari ri-brandirle alla prossima, ma con credibilità ridotta a zero).

Per il resto, nel campo sonoro, niente di stratosferico, intendiamoci, ma un livello generale che a mio avviso ha ampiamente meritato la sufficienza, con punte verso il buono ed altre meno, ma insomma... una performance più che dignitosa, accolta da applausi convinti al termine di ogni numero.

Bene come sempre il coro di Casoni, note positive dai tre bassi principali: l’ormai venerabile Michele Pertusi, il cui vocione fin troppo cavernoso ha scolpito ancora una volta il personaggio del bieco Podestà; il bravissimo Alex Esposito, che è stato un perfetto Villabella (personalmente lo trovo assai migliorato rispetto a prestazioni di qualche tempo fa); e l’ormai collaudatissimo Paolo Bordogna, dalla voce calda e rotonda, un Vingradito di gran classe.

Una (per me) piacevole sorpresa i due giovani protagonisti: soprattutto lei, la Rosa Feola, che ha sfoggiato una voce ben impostata soprattutto nei centri, forse da mettere a punto negli acuti, ma in generale ha proposto una Ninetta interessante. Edgardo Rocha ha una voce sottile, ma non piccola, che passa benissimo anche i grandi spazi del Piermarini. Sarà presto per parlare di lui come di un nuovo JDF, ma il suo Giannetto mi è parso davvero di tutto rispetto.

Fra i ruoli di contorno, direi più che bene di Teresa Iervolino, una Lucia convincente, dalla voce potente ma morbida e sempre ben impostata. Un gradino sotto metterò la Serena Malfi, voce ancora un poco rozza (ma con lo studio non potrà che migliorare): comunque se l’è cavata dscretamente nel duetto con Ninetta in carcere. Tutti gli altri quattro comprimari han fatto certamente del loro meglio, e vanno associati alla generale approvazione.
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La regìa di Gabriele Salvatores (con il suo team di collaboratori per scene, costumi, luci e coreografie) non sarà certo da premio Oscar, ma mi è parsa efficace e rispettosa di lettera e spirito del melodramma rossiniano. L’impiego della bravissima acrobata Francesca Alberti nel ruolo del titolo mi è sembrato centratissimo e solo un giudizio superficiale lo può apparentare a quello che Damiano Michieletto ha immaginato per la sua Gazza del ROF-2007 (una ragazzina che sogna l’intera vicenda in cui ricopre il ruolo del volatile): come giustamente e acutamente fa osservare Emilio Sala nel suo intervento sul programma di... sala, l’idea di Michieletto trasformava un dramma che ha basi storiche in una specie di favola da Alice nel paese delle meraviglie, uno scenario completamente estraneo all’originale.

Interessante e simpatica anche la presenza delle marionette di Colla e dei suoi valentissimi collaboratori, presenza mai soffocante ma sempre mantenuta su un livello di grande equilibrio e raffinatezza.
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Ecco, concludo dichiarando che personalmente mai e poi mai mi sentirei di sostenere che fosse meglio rinunciare a questa proposta: perchè Rossini è comunque talmente grande da resistere a qualunque agente inquinante. E anche una proposta appena appena onesta (e questa, sia chiaro, è molto, molto di più) è sempre meglio del digiuno e dell’oblio.

14 aprile, 2017

Gli opposti estremismi della Gazza


Mettiamoci nei panni di un neofita, o magari di uno cui dell’opera nun gliene po’ ffregà dde meno... e proviamo a leggere due autorevoli commenti sulla Gazza scaligera.  


Ignobile gazzarra dei loggionisti alla Scala: alla fine della splendida esecuzione della Gazza ladra, diretta da Riccardo Chailly, hanno cercato di rompere, con le loro incomprensibili proteste, l’unanimità degli applausi.     

Chailly guida i cantanti con energia e grande finezza; sa che Rossini è sempre Rossini, anche quanto si sprofonda in situazioni tragiche e patetiche; dunque dalla sua orchestra guizzano qua e là arabeschi leggeri, ammiccamenti ironici, disegni volatili e frizzanti, pieni di ironia e di gusto."

“Risultato: tre ore e mezza di una avvincente riscoperta, almeno per quella parte del pubblico che giudica senza pregiudizi.” 


La gazza ladra è debole perché la buca non crea un suono rossiniano...”

“Ma che noia un Rossini così. Deboli escono soprattutto i concertati, cioè i momenti nuovi, di costruzione di assieme. Freddi, senza intreccio, con poco volume e zero gioco. Alberto Zedda, il sornione cultore dei segreti rossiniani, si sarebbe indignato.

“No, no. Rossini non vuole questo. Senza un cuore, una scintilla, una domanda - di musica o di teatro – allora è meglio lasciarlo lì, a riposare ancora.”
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Ecco – tanto per capire da quale parte stia il sottoscritto - interpretando l’ineffabile Moreni: meglio regalare anche la Scala (dopo lo Smeraldo) a Oscar Farinetti, così almeno ci riempiamo lo stomaco.

13 aprile, 2017

La Gazza contestata

 

Ieri Radio3 ha diffuso la prima della nuova produzione della Gazza ladra scaligera, targata Chailly-Salvatores.

Alla fine dell’Ouverture sono piovuti su Chailly sonorissimi e reiterati buh, che non esiterei a definire preconcetti, pregiudiziali e miranti a contestare non già l’esecuzione (per me – ma non conto nulla – straordinaria) ma la presenza stessa del Maestro sul podio e più precisamente ancora il suo ruolo di Direttore Musicale.

Nelle curve di SanSiro c’è molto più fair-play.

12 aprile, 2017

2017 con laVerdi – 16


Settimana Santa ormai in Auditorium significa appuntamento con Ruben Jais e il suo Ensemble strumentale laBarocca (con i cori de laVerdi) per una delle (due) Passioni di Bach che ad anni alterni occupano il concerto pasquale. Tocca stavolta alla Matthäusle cui prime tre comparse qui risalgono agli anni di Riccardo Chailly (1999-2000-2002). 

Sono tre ore nette di musica che scorrono via senza un attimo di respiro, e il pubblico che affollava la sala non ha mancato di accogliere la pregevole esecuzione con grande entusiasmo.  

Questa sera la replica altrettanto tradizionale in Duomo, dove si ricreerà l’atmosfera delle esecuzioni nelle chiese di Lipsia ai tempi di Bach: 


08 aprile, 2017

2017 con laVerdi – 15


Il concerto di questa settimana vede un gradito ritorno (Pietari Inkinen) e un atteso debutto (Saleem Ashkar) in un Auditorium piacevolmente affollato. In programma due opere del pre- e del tardo-romanticismo.

Il poco più che quarantenne Saleem Ashkar è concittadino di tale... Gesù: infatti è nato a Nazaret (terra d’origine di Maria&Giuseppe) una delle enclavi più popolose di arabi israeliani (venne annessa di forza allo stato di Israele, insieme a tutta la Galilea, originariamente destinata dall’ONU allo Stato Arabo di Palestina, dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948-49). Insieme al fratello minore Nabeel (violinista nella West-Eastern Divan Orchestra fondata da Barenboim e Said) è quindi un rappresentante del variegato movimento che persegue una civile e rispettosa convivenza fra arabi ed ebrei in Palestina: purtroppo con risultati non troppo incoraggianti, a giudicare dai fatti. Ma continuiamo a sperare...

Il Quarto di Beethoven è banco di prova da far tremare i polsi, ma il simpatico Saleem mostra di padroneggiarlo con assoluta sicurezza: lo suona come fosse... Scarlatti, musica in punta di piedi, glorioso settecento italiano; neanche le proterve provocazioni dell’orchestra nell’Andante con moto lo mettono a disagio, e solo nel conclusivo rondo si assiste finalmente ad un serrato dialogo fra solista e orchestra.

Accoglienza calorosissima e così lui, che ha già suonato l’intero corpus delle 32 sonate beethoveniane, ci propone come bis l’Adagio cantabile della Patetica (eccone un’interpretazione di un altro berlinese d’adozione come lui).
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Si chiude con la Seconda di Jan Sibelius. Composta negli anni 1901-2, durante e dopo un soggiorno a Rapallo, è secondo me un esempio luminoso di velleitarismo vacuo, una cosa tanto-fumo-e-poco-arrosto, un coacervo di reminiscenze di Ciajkovski, Dvorak, Mahler, Scriabin, Rachmaninov, più qualche prosaico motivo popolare finnico, per compiacere i compatrioti (e ottenere un vitalizio!) Dove la forma sinfonica viene bistrattata assai e dove si cerca l’effetto a buon mercato, in assenza di contenuti di un qualche spessore.

Ne sono esempio: il primo movimento, che sembra una fantasia di motivi giustapposti fra loro senza alcuna narrativa, e il finale, intriso di un’insopportabile quanto vuota retorica! Appena appena digeribili i due movimenti interni, ma ciò non basta a risollevare il livello davvero modesto dell’opera.  

Inkinen, per carità di Patria, cerca di far buon viso a cattivo gioco, ma trasformare una mappazza in un capolavoro è impresa onestamente impossibile, così non resta che applaudire lui e gli esecutori per la loro abnegazione.

31 marzo, 2017

2017 con laVerdi – 14


Tutto Mozart e tutto Fazil Say nel concerto di questa settimana. Approda quindi in Auditorium (discretamente affollato direi) questo 47enne turco emigrato (di fatto) in Germania come tre milioni di suoi connazionali. Purtroppo (o per fortuna) – essendo lui ateo e abbastanza critico delle posizioni dell’AKP – non può essere usato dal sultano Erdogan per far pubblicità alla Turchia neo-islamica e de-Atatürk-izzata: al contrario, in patria passa da una denuncia all’altra per vilipendio della religione o del regime, così parrebbe ormai intenzionato a stabilirsi definitivamente in Giappone...   

Lui non è certamente il primo a concentrare su di sè entrambi i ruoli (di solista e direttore) nei concerti mozartiani: fece storia nella seconda metà del ‘900 Geza Anda, che li eseguì e incise con la Camerata salisburghese. Più recentemente anche Pollini ne ha seguito le orme (qui lo ascoltiamo appunto con i bostoniani nel n°12).

Ma Say di ruoli ne riveste addirittura tre, essendo anche autore del suo Silk road, del 1994: che è una specie di concerto per piano e orchestra d’archi (più un gong) che ripercorre in quattro tappe la mitica via della seta: dalla cina Nord-occidentale (1. Colomba bianca e nuvole nere) all’India (2. Danze Hindu) alla Mesopotamia (3. Massacro) e infine alla sua Ankara (4. Ballata della Terra). Eccone qui un estratto preceduto da una sua presentazione in crucco, nella quale spiega la presenza del gong, del contrabbasso posto in fondo alla sala, e le caratteristiche della strumentazione, dove agli archi (e allo stesso pianoforte, opportunamente... manomesso) viene chiesto di imitare strumenti caratteristici delle regioni orientali attraversate nel suo brano.

Qui il contrabbasso remoto è piazzato in fondo alla scena, sulla destra, e tiene quasi continuamente un pedale grave, oltre (saltuariamente) ad arricchirlo con tamburellamenti della mano sinistra sulla cassa. Il gong in pratica separa i quattro episodi del cammino, mentre gli altri contrabbassi schioccano autentiche frustate. Ma è il pianoforte a trasformarsi (opportunamente... maneggiato da Fazil con la mano appoggiata sul piano delle corde) in qualche strumento orientale, dal suono chiuso, opaco, come di corda pizzicata violentemente.

Insomma, un brano godibile, che Fazil propone con grande partecipazione emotiva e che il pubblico ha accolto con altrettanto calore.
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Dopo l’Ouverture delle Nozze dove l’Orchestra, guidata ieri da Dellingshausen, smentisce alla grande la teoria di Fellini, eseguendola senza Direttore (non è la prima volta che ciò accade) il corpo del programma, ad incastonare il lavoro di Say, è occupato dai due concerti per pianoforte in LA maggiore del Teofilo. Oltre a questi, i 21 concerti hanno tonalità DO (4 M+1m); RE (3M+1m); MIb (4M); FA (3M); SOL (1M) e SIb (4M). Il K414 e il K488 sono separati da meno di 4 anni (1782-1786): il 414 (con il 413 e il 415) fu proprio il primo dei tre composti a Vienna, dove Mozart si era trasferito dalla natia Salisburgo, affrancandosi (pena un... calcio in culo) dall’asfissiante tutela dello sbifido arcivescovo Colloredo, per intraprendere la libera professione di musicista e concertista.

Hanno struttura ovviamente classica, tre movimenti di cui il primo in tempo Allegro, il secondo in tempo lento (Andante e Adagio) e il terzo in forma di Rondo (Allegretto e Allegro assai). Molto interessante notare l’evoluzione dei contenuti, evidenziata dal rapporto tonale fra i movimenti: il 414 è assolutamente tradizionale (movimento interno sulla sottodominante RE maggiore) mentre il 488 presenta per la terza (ed ultima) volta l’Adagio centrale nella tonalità relativa minore (FA#), un’innovazione che Mozart aveva già sperimentato nei precedenti 456 (SIbM-SOLm) e 482 (MIbM-DOm).

A parte queste analogie e differenze, balza evidente all’orecchio il grande salto di qualità fatto da Mozart in quei pochi anni, e del resto il 488 è praticamente contemporaneo delle Nozze, sommo capolavoro operistico.

Fazil lascia praticamente la massima libertà all’orchestra, limitandosi a pochi e semplici segni di attacco, per concentrarsi sulla tastiera, dalla quale estrae tutta la magia delle melodie mozartiane con passione e partecipazione emotiva. Sarà pure un Mozart visto... dall’Anatolia, ma è di livello eccezionale e trascina il pubblico all’entusiasmo. Così, pur dopo tutto questo tour-de-force, il nostro ci regala ancora un altro suo capolavoro!

25 marzo, 2017

2017 con laVerdi – 13


Oggi cade il 150 anniversario della nascita di Arturo Toscanini e anche laVerdi ha voluto festeggiarlo dedicando alla memoria del grande Maestro il 13° concerto stagionale, affidato all’ormai navigata bacchetta di Jader Bignamini, in un programma classico: Beethoven-Schubert! E l’Auditorium si è letteralmente riempito come un uovo!

La star della serata è l’ex-bambino-prodigio Giovanni Andrea Zanon, che a poco più di 18 anni sta ormai entrando nel gotha del concertismo planetario! E qui ci propone nientemeno che un monumento del violinismo di tutti i tempi: l’Op.61 di Beethoven. Ecco qui un’interpretazione che ha fatto storia, quella di Jascha Heifetz con Toscanini (NBC, 1940).

Il ragazzino è davvero un fenomeno: e non solo per la straordinaria tecnica (cosa quasi scontata a quei livelli) ma per la grandissima maturità che dimostra nell’interpretazione. Cosa non ha saputo cavare dal Larghetto è addirittura stupefacente. Ma anche la cadenza (Kreisler) del primo movimento è stata una vera perla, così come il bis bachiano. Per i miei gusti, avesse tenuto un tempo un po’ meno sostenuto nel movimento iniziale (vedasi appunto Heifetz-Toscanini) si sarebbe trattato di un’esecuzione praticamente perfetta.   
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Infine la più classica delle sinfonie Incompiute, quella di Franz Schubert. Ecco ancora come Toscanini la interpretò nel1950 (sempre con la NBC Symphony). Bignamini (che non ci risparmia certo il da-capo dell’esposizione dell’Allegro moderato) ne dà una lettura romantica, ricca di sfumature e accenti di grande lirismo, meritando per sè e per i ragazzi lunghi applausi, ricambiati da un bis rossiniano (il Pas de six dal Tell, qui sempre da Toscanini con la NBC nel 1945).   

Insomma, una grandissima serata di musica nella Milano che è in attesa di... Francesco!

24 marzo, 2017

Matrimoni e divorzi in quel di Pesaro


L’ultima newsletter del ROF dà notizia della partnership triennale (a partire già da questo 2017) fra il Festival e l’OSN, che diventa quindi la principale produttrice di suoni non vocali per le prossime tre edizioni.

Il programma preliminare del ROF (di cui è sovrintendente Gianfranco Mariotti) ancora a gennaio 2017 indicava per le tre manifestazioni ora assegnate alla OSN la presenza ormai tradizionale dell’Orchestra del Comunale di Bologna (di cui è Direttore musicale il pargolo Michele Mariotti, comunque assente quest’anno a Pesaro).

Con l’Orchestra bolognese se ne va anche il coro di Faidutti, rimpiazzato da quello ascolano del Ventidio Basso.

Che dire? Dissapori in famiglia Mariotti o fra i Mariotti e Nicola Sani?
  

18 marzo, 2017

2017 con laVerdi – 12


Leonard Slatkin torna dopo lungo tempo a guidare laVerdi in un concerto dedicato a Berlioz, con antipasto... moderno. 

Ascoltiamo infatti in apertura Circuits dell’americana Cindy McTee (che casualmente risulta essere... la moglie del Direttore!) una breve composizione del 1990 per strumenti a fiato e percussioni, poi ristrumentata anche con gli archi. Stando all’Autrice, il titolo si giustifica con la presenza di ostinate ripetizioni motiviche su un tappeto di insistenti semicrome. Ciascuno può farsene un’idea (anche di come la dirige il maritino!) qui.

I 5 minuti passano tutto sommato abbastanza piacevolmente, con un progressivo arricchimento di spunti melodici che rompono la monotonia dell’ostinato sottostante. Applausi che non si negano mai in simili circostanze; tanto più quando a riceverli sono due simpatici turisti yankee di mezza età, lui tarchiato, canuto e cicciottello (gli hanno messo un gradino per salire sul podio); lei magra, asciutta, con corta capigliatura argentea...
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È un ritorno anche quello di Lisa Larsson, nuovamente qui dopo più di due anni per interpretare la Cléopâtre, una scena lirica per voce ed orchestra, nella quale Berlioz musicò (1829) versi di Pierre-Ange Vieillard de Boismartin, ispirati alla morte della Regina egiziaÈ suddiviso in 7 sezioni (qui il riferimento ad un’interpretazione della grande Jessie Norman): 

1. Introduzione strumentale (Allegro vivace con impeto

2. Recitativo (1’39”) C'en est donc fait! 

3. Aria (3’11”, Lento cantabile) Ah! qu'ils sont loin ces jours... 

4. Recitativo (9’26”) Au comble des revers... 

5. Méditation (10’35”, Largo, misterioso) Grands Pharaons, nobles Lagides... 

6. Aria (15’40”, Allegro assai agitato) Non!.. non,  de vos demeures funèbres... 

7. Recitativo misurato (18’40”) Dieux du Nil... vous m'avez... trahie! 

Alla maniera di Rossini, anche Berlioz reimpiegò passaggi di quest’opera piuttosto sfortunata (non gli procurò l’ambito Prix de Rome e passò presto nel dimenticatoio) in lavori successivi: le cinque battute (dal n°3)  sul verso Où sur le sein des mers, comparable à Vénus furono impiegate nel Cellini (e da qui nel Carnaval); l’intero passo della Méditation (n°5) fu riutilizzato per musicare il Choeur d'ombres (n°2 del Lélio); un passaggio dell’aria n°6 (da Du destin qui m'accable est-ce à moi de me plaindre?) fu impiegato – con modifiche - nell’Ouverture con coro La Tempête (poi divenuta il n°6 del Lélio).

La bella e bionda Lisa sfoggia la sua voce non potentissima ma assai apropriata ad esprimere i sentimenti di questa donna un po’ complessata e certamente ferita, che per Berlioz sarà una specie di apripista della futura Didon dei Troyens. Per lei applausi calorosi, mentre a laVerdi va il merito di aver proposto quest’opera che non merita proprio di rimanere nel dimenticatoio.
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Chiusura con la Fantastica, uno dei cavalli di battaglia dell’orchestra. C’è anche qui un labile e indiretto legame con la Cléopâtre: il celebre tema dell’Idée fixe viene da una delle altre tre cantate (Herminie) scritte da Berlioz per i concorsi al Prix de Rome

Slatkin dirige a memoria, ci mette qualcosa di suo a livello dettagli, esegue anche il ritornello dell’esposizione, ma a memoria suona evidentemente anche l’Orchestra, che sciorina una delle sue prestazioni solide e trascinanti. Alla fine ovazioni e applausi ritmati, innescati dai... piedi degli orchestrali per omaggiare il simpatico Leonard.

17 marzo, 2017

I Maestri trionfano alla Scala

 

Dopo ben 27 anni ieri sera le note dei wagneriani Meistersinger sono tornate a risuonare dentro il Piermarini (ahinoi con ampi spazi vuoti...) accolte da un autentico trionfo. E il trionfatore primo è stato Daniele Gatti, autore di una direzione e concertazione di livello assoluto: dallo stacco perfetto dei tempi, alla certosina meticolosità dello scavo dei particolari; dall’autorevolezza nel guidare le colossali scene corali alla cura con cui ha accompagnato il canto dei singoli. E l’Orchestra (piccole sbavature negli ottoni a parte) lo ha splendidamente assecondato, inondando la sala di suoni ora strepitosi, ora delicati e raffinati; ora tronfi ed enfatici, ora languidi ed accorati. Restituendoci tutta l’emozionante ricchezza di questa mirabile partitura. A partire dal Preludio, che Gatti ha meritoriamente spogliato di ogni eccesso di retorica guglielmina, moderando i suoni quasi a livello cameristico, per continuare con il Preludio del terz’atto, dove la cavata dei violoncelli e poi l’ingresso di viole e violini hanno avuto del memorabile. Quando poi ce n’è stato bisogno, Gatti non ha esitato a fare esplodere tutta la santabarbara orchestrale insieme a quella del coro di Casoni, con effetti davvero straordinari.

Per il direttore milanese un successo indiscusso, già prefigurato dagli applausi e dai bravo! piovutigli addosso ai due rientri e suggellato dalla trionfale accoglienza finale.

Nel cast vocale le cose non sono andate tutte allo stesso modo. Per fortuna ci ha pensato Michael Volle a deliziarci con una perfetta resa della personalità di Sachs: i suoi lunghi (o brevi) monologhi sono stati autentiche perle di espressività, da far salire le lacrime agli occhi; e la voce non ha mai perso smalto e profondità. Insomma, una prestazione che merita il massimo dei voti.

Sul fronte opposto, che dire del Walther di Michael Schade? Che il suo stesso cognome è l’immagine della sua prestazione? Che si può spiegare soltanto con un’improvvisa (e non annunciata) indisposizione: non altrimenti può accadere ad un tenore di dover portare quasi regolarmente all’ottava inferiore ogni nota superiore al SOL! Peccato davvero...

Note ancora positive per il Beckmesser di Markus Werba: la sua voce chiara e sempre controllata, senza inflessioni sguaiate che la parte potrebbe facilmente indurre, gli ha permesso di offrirci un Merker di alto livello: da incorniciare tutto il finale dell’incontro con Sachs nel terz’atto, oltre alle due memorabili serenate.

La Eva di Jacquelyn Wagner non mi ha francamente entusiasmato: voce minuta (spesso coperta dall’orchestra, che pure Gatti cercava di tenere a bada) e piuttosto aspra e vetrosa; si è comunque difesa onorevolmente almeno nel quintetto.

Suo padre Pogner è stato un ottimo Albert Dohmen, uno che interpretando ruoli di cattivoni e bastardi spesso esagera in sguaiatezze, mentre qui, nei panni di un padre nobile (magari un filino ottuso, ecco) ha dato il meglio di sè. Da incorniciare il suo indirizzo ai Maestri nel primo atto.

Benino anche il David di Peter Sonn, che a differenza di Schade evidentemente stava... bene e ha onorevolmente impersonato il ragazzo un po’ ingenuo che se la fa con una zitella!

La quale Magdalene è stata un’onesta Anna Lapkovskaja, che mi è parsa dotata di voce più penetrante di quella della Wagner.

Fra i Maestri, da menzionare in particolare il Kothner di Detlef Roth, tutti gli altri hanno... risposto bene al suo appello!

Efficace, nella minuscola ma importante parte del guardiano notturno, Wilhelm Schwinghammer.   

Da lodare tutti gli apprendisti(/e), allievi delle Accademie (scaligera, del Mozarteum e di Zurigo). Come detto, perfetto il coro di Casoni, con la perla del Wach’ auf!
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L’allestimento di Harry Kupfer (il cui gruppo di lavoro è stato pure calorosamente applaudito alla fine) va dritto al sodo, senza pretendere di scoprire chissà quali astrusi significati si nascondano nelle pieghe del libretto. Scene ridotte all’osso (ruderi della Katharinenkirche e ponteggi praticabili), costumi moderni, luci efficacemente dosate. Ma soprattutto: eccellente caratterizzazione dei personaggi e aderenza quasi maniacale (complice il concertatore) alle minuziose indicazioni che Wagner dissemina sulla partitura. Un esempio su tutti: la scena dell’arrivo di Beckmesser in casa Sachs nel terz’atto, dove ogni minimo dettaglio delle didascalie originali (che richiede perfetta sincronia tra ciò che si ode in orchestra e ciò che si vede sul palco) è stato restituito in modo a dir poco mirabile.

Qualche invenzione del regista non disturba più di tanto: mi limito a citare il Beckmesser che resta in scena dopo il fiasco della prova finale per ricevere una stretta di mano di Sachs.

All-in-all: uno spettacolo di assoluto livello che francamente non merita tutti i vuoti registrati ieri alla prima.