Il concerto di questa
settimana vede un gradito ritorno (Pietari
Inkinen) e un atteso debutto (Saleem
Ashkar) in un Auditorium piacevolmente affollato. In programma due opere del
pre- e del tardo-romanticismo.
Il poco
più che quarantenne Saleem Ashkar è concittadino
di tale... Gesù: infatti è nato a
Nazaret (terra d’origine di Maria&Giuseppe) una delle enclavi più popolose
di arabi israeliani (venne annessa di forza allo stato di Israele, insieme a
tutta la Galilea, originariamente destinata dall’ONU allo Stato Arabo di
Palestina, dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948-49). Insieme al
fratello minore Nabeel
(violinista nella West-Eastern Divan
Orchestra fondata da Barenboim e Said) è quindi un rappresentante del
variegato movimento che persegue una civile e rispettosa convivenza fra arabi
ed ebrei in Palestina: purtroppo con risultati non troppo incoraggianti, a
giudicare dai fatti. Ma continuiamo a sperare...
Il Quarto di Beethoven è banco di prova
da far tremare i polsi, ma il simpatico Saleem mostra di padroneggiarlo con assoluta
sicurezza: lo suona come fosse... Scarlatti, musica in punta di piedi, glorioso
settecento italiano; neanche le proterve provocazioni dell’orchestra nell’Andante con moto lo mettono a disagio, e
solo nel conclusivo rondo si assiste
finalmente ad un serrato dialogo fra solista e orchestra.
Accoglienza calorosissima e così lui,
che ha già suonato l’intero corpus
delle 32 sonate beethoveniane, ci propone come bis l’Adagio cantabile
della Patetica (eccone
un’interpretazione di un altro berlinese d’adozione come lui).
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Si chiude con la Seconda di Jan Sibelius. Composta negli anni
1901-2, durante e dopo un soggiorno a Rapallo, è secondo me un esempio luminoso
di velleitarismo vacuo, una cosa tanto-fumo-e-poco-arrosto, un coacervo di
reminiscenze di Ciajkovski, Dvorak, Mahler, Scriabin, Rachmaninov, più qualche
prosaico motivo popolare finnico, per compiacere i compatrioti (e ottenere un
vitalizio!) Dove la forma sinfonica viene bistrattata assai e dove si cerca
l’effetto a buon mercato, in assenza di contenuti di un qualche spessore.
Ne sono esempio: il primo movimento, che
sembra una fantasia di motivi giustapposti
fra loro senza alcuna narrativa, e il
finale, intriso di un’insopportabile quanto vuota retorica! Appena appena
digeribili i due movimenti interni, ma ciò non basta a risollevare il livello
davvero modesto dell’opera.
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