Come
praticamente ogni altra città italiana, anche Milano ieri è stata attraversata
(e pure circondata) da flotte frotte di cittadini che non possono più
assistere in silenzio e indifferenza a fronte di ciò che avviene in Palestina,
e in particolare a Gaza. Senza che chi ci rappresenta tutti faccia qualcosa di
più che emettere imbarazzati balbettii di protesta.
Anche
laVerdi non ha mancato di riconoscere la gravità della crisi umanitaria
che ha colpito Gaza, con un comunicato distribuito prima del concerto (dedicato
alle vittime della guerra) con richiami a pace, giustizia e solidarietà,
proiettati sugli schermi che sovrastano l’orchestra, e con un’iniziativa di
raccolta fondi all’interno della Fondazione, da devolvere alla Croce Rossa:
Una Quinta davvero scolpita nel marmo, fin dalla proterva introduzione della tromba, con l’iniziale Trauermarsch che emerge con passo dolente per poi animarsi (nel ricordo dello straussiano Zarathustra) e quindi ripiegare su se stessa perdendosi lontano sul pizzicato di viole e archi bassi.
Trascinante lo Sturmisch bewegt, con lancinanti e disperate imprecazioni, interrotte da quelle che Adorno definiva irruzioni, di motivi sguaiati e quasi blasfemi, prima di chiudersi con quell’incredibile corale bruckneriano, che sarà poi ciclicamente ripreso alla fine.
Qui il Tjek ha approfittato della didascalia mahleriana (segue lunga pausa) per tergersi il sudore che colava dalla sua fronte, per poi attaccare lo Scherzo nel quale ha impietosamente calcato la mano sui contrasti fra l’irresponsabilità viennese del tema principale e la snervante, opprimente cantilena del corno obbligato, chiudendo con un’irresistibile rincorsa verso…
…l’Adagietto, tenuto per un tempo al limite inferiore rispetto alla tradizione (meno di 9 minuti…) ma senza togliere nulla del sublime decadentismo di questa musica.
Travolgente poi il Rondò, con le impertinenti sortite della lode dell’alto comprendonio, i richiami al tema dell’Adagietto, l’improvviso e fugacissimo irrompere dell’inciso da Revelge e il ritorno del corale che porta alla conclusione, col finale che par richiamare l’hi-ha del ciuco del Wunderhorn.
Inutile dire che l’Auditorium, gremito quasi all’esaurimento, ha tributato a tutti un entusiastico trionfo.
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