sarà vero?

una luce in fondo ai tunnel

04 ottobre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26.1- Tjeknavorian

Come praticamente ogni altra città italiana, anche Milano ieri è stata attraversata (e pure circondata) da flotte frotte di cittadini che non possono più assistere in silenzio e indifferenza a fronte di ciò che avviene in Palestina, e in particolare a Gaza. Senza che chi ci rappresenta tutti faccia qualcosa di più che emettere imbarazzati balbettii di protesta.

Anche laVerdi non ha mancato di riconoscere la gravità della crisi umanitaria che ha colpito Gaza, con un comunicato distribuito prima del concerto (dedicato alle vittime della guerra) con richiami a pace, giustizia e solidarietà, proiettati sugli schermi che sovrastano l’orchestra, e con un’iniziativa di raccolta fondi all’interno della Fondazione, da devolvere alla Croce Rossa:

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Così, dopo la trionfale inaugurazione in Scala, la stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano ha preso l’avvio in Auditorium con l’esecuzione di uno dei mostri sacri del tardo-romanticismo, la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler. Che il Tjek ha voluto lasciar vivere da sola, in primo piano, senza preamboli o riempitivi di sorta, per metterne meglio in risalto la centralità nella produzione mahleriana. [Qui alcune mie note sulla Sinfonia.]

Preceduta da una pindarica introduzione dell’enciclopedico Quirino Principe (che ha annunciato la prossima uscita di una nuova edizione del suo imprescindibile testo su Mahler) l’esecuzione cui abbiamo assistito ha pienamente mantenuto le promesse, confermando la straordinaria sensibilità interpretativa del Tjek e la perfetta forma della compagine strumentale.

Una Quinta davvero scolpita nel marmo, fin dalla proterva introduzione della tromba, con l’iniziale Trauermarsch che emerge con passo dolente per poi animarsi (nel ricordo dello straussiano Zarathustra) e quindi ripiegare su se stessa perdendosi lontano sul pizzicato di viole e archi bassi.

Trascinante lo Sturmisch bewegt, con lancinanti e disperate imprecazioni, interrotte da quelle che Adorno definiva irruzioni, di motivi sguaiati e quasi blasfemi, prima di chiudersi con quell’incredibile corale bruckneriano, che sarà poi ciclicamente ripreso alla fine.

Qui il Tjek ha approfittato della didascalia mahleriana (segue lunga pausa) per tergersi il sudore che colava dalla sua fronte, per poi attaccare lo Scherzo nel quale ha impietosamente calcato la mano sui contrasti fra l’irresponsabilità viennese del tema principale e la snervante, opprimente cantilena del corno obbligato, chiudendo con un’irresistibile rincorsa verso…

…l’Adagietto, tenuto per un tempo al limite inferiore rispetto alla tradizione (meno di 9 minuti…) ma senza togliere nulla del sublime decadentismo di questa musica.

Travolgente poi il Rondò, con le impertinenti sortite della lode dell’alto comprendonio, i richiami al tema dell’Adagietto, l’improvviso e fugacissimo irrompere dell’inciso da Revelge e il ritorno del corale che porta alla conclusione, col finale che par richiamare l’hi-ha del ciuco del Wunderhorn.

Inutile dire che l’Auditorium, gremito quasi all’esaurimento, ha tributato a tutti un entusiastico trionfo.


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