Dopo la produzione originale del 2011
(parzialmente ripresa nel 2014, senza Pagliacci e poi nel 2015) la Scala ripropone il classico
dittico
con la messinscena di Mario Martone e con Giampaolo Bisanti sul
podio (calcato ai tempi da un giovine Harding). A differenza di 13 anni fa, la
sequenza di presentazione è quella che si può considerare standard:
prima Mascagni, poi Leoncavallo.
Sempre sui suoi (alti) livelli il coro di Alberto Malazzi, particolarmente in Mascagni.
In Cavalleria, detto dell’ennesima, miracolosa prestazione dell’inossidabile nonna Zilio, su tutti la Santuzza di Elīna Garanča, encomiabile nello scolpire questo personaggio di donna alla mercè dei pregiudizi di una società patriarcale (oggi siamo ancora lì?)
IL Turiddu di Brian Jagde ha ben meritato: voce squillante, con buona proiezione, acuti puliti e otttima presenza scenica; per lui un debutto scaligero più che lusinghiero.
Onesta ma non eccezionale invece la
prestazione di
Francesca
Di Sauro, che
mi è parso aver messo poca grinta (a dispetto della voce… robusta) nell’interpretare
l’enigmatica personalità di Lola.
Alfio era Amartuvshin Enkhbat. Lo avevo sentito solo in Rigoletto e devo confermare il mio giudizio: vocione poderoso ma ancora da mettere bene sotto controllo, ecco. Il giudizio vale anche per il Tonio nei Pagliacci, ovviamente. Il pubblico lo ha comunque accolto con molto calore, il che speriamo lo spinga a migliorarsi ancora.
In Pagliacci metto davanti a tutti il Canio di Fabio Sartori, la cui professionalità garantisce sempre il risultato!
Irina Lungu ha messo la sua ormai più che ventennale esperienza – voce e presenza scenica - al servizio del controverso personaggio di Nedda: anche per lei solo applausi.
Bene anche Mattia Olivieri, che ha rivestito ll personaggio di Silvio (che Martone trasforma da contadinotto in tamarro…) con la sua calda voce baritonale.
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