Ieri pomeriggio la bomboniera del
Bibiena ha ospitato la terza delle sei recite de La Fille du régiment,
una ripresa della fortunata produzione del 2004. Sala con
parecchi vuoti (ahinoi) ma pubblico ben disposto e propenso all’applauso.
Sul podio il simpatico Yves Abel (qui una sua interpretazione
a Vienna nel 2007, con siparietto della Caballè che canta – alla
faccia di Donizetti – il suo amato 'g
Schätzli)
ha guidato l’orchestra con autorevolezza, confermando le sue buone qualità
(quest’estate mi era piaciuto nel Barbiere al ROF).
La
compagnia di canto (primo cast) ha dignitosamente fatto il suo dovere, per così
dire, grazie allo spilungone Maxim
Mironov (Tonio) che, a dispetto di una voce poco
squillante e non potentissima (rilievi da me fattigli anche in occasione del
citato Barbiere di Pesaro) ha però
dato spessore al personaggio, sciorinando anche senza difficoltà i diversi DO
dell’aria del prim’atto (Pour mon âme) e pure
il DO# della romanza del secondo (S’il me fallait).
Certo, chi ha ancora nelle orecchie il Florez
del 2004 forse non ne sarà stato entusiasta, ma il pubblico, dopo l’aria dei 9 DO gli ha tributato almeno 3
minuti di orologio di applausi e richieste di bis.
La
protagonista Hasmik Torosyan a
corrente alternata: bene nei passaggi più ispirati (esempio la cavatina con
cello obbligato Par
le rang del second’atto) con acuti
ben portati; quando invece c’è da forzare, allora gli acuti escono stimbrati e
vetrosi. Anche a lei si applica la constatazione di una voce non proprio
penetrante.
Discreta la
Marchesa di Claudia Marchi; passabile
il Sulpice di Federico Longhi. Tutti
gli altri li accomuno in una ampia sufficienza.
Encomiabile la
prestazione del Coro di Andrea Faidutti,
che in quest’opera è forse più protagonista ancora degli stessi singoli
interpreti.
Un discorso a
parte (e la musica c’entra poco, a dir il vero) riguarda la presenza di Daniela Mazzucato nel ruolo (solo
recitante) della Duchessa. Non mi capacito davvero di come questa straordinaria
cantante (certo, a fine carriera, a 72 anni!) abbia accettato di fare da
comparsa (perchè di ciò si tratta) per 10 minuti nei quali ha giusto emesso un
urlo e nulla più (oltretutto è stato tagliato il suo ingresso in scena
all’inizio del second’atto). Presentata poi (qui c’entra anche la regìa) come duchessa di Casalecc, fra uno stuolo di
altre comparse... del circondario bolognese. E forse gran parte del pubblico
manco l’ha riconosciuta, così che a lei sono andati pochi clap all’uscita finale. Insomma, una cosa (per me, ma forse anche
per lei) umiliante. Vero è che questo particolare ruolo lei lo sta ricoprendo
da un paio d’anni, in giro per il mondo, ma almeno dovrebbe essere riempito con
qualcosa di speciale: proprio come fecero a Vienna con la grande quanto vetusta
Caballè nella citata edizione del 2007.
E a proposito
di allestimento, quello originale di Emilio
Sagi è oggi ripreso da Valentina
Spinetti: chissà se è lei l’autrice del misfatto nella scena dell’arrivo
degli ospiti per il matrimonio... una trovata piuttosto discutibile, ecco.
Per il resto si tratta invece di uno spettacolo piacevole, in un’ambientazione (di
Julio Galan) primo-novecento: in
un’osteria dove si ritrovano gli svizzeri e poi i soldati del 21° reggimento
(primo atto) e una vasta sala del palazzo della Marchesa (secondo atto).
Simpatici i costumi ed efficace l’impiego delle luci.
In definitiva,
una proposta godibile, a parte le citate cadute di stile.
Nessun commento:
Posta un commento