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10 novembre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°7


Per il concerto di questa settimana laVerdi si apparenta con Milano Musica, il che comporta l’inserimento nel programma di opere del compositore cui l’edizione 2018 del festival è dedicata: György Kurtág, che in questo periodo è di casa a Milano, visto che dal 15 al 25 novembre la Scala ospiterà la sua ultima fatica (già in ritardo di anni, peraltro): Fin de partie, da Samuel Beckett, cui il compositore dichiaratamente si ispira anche nel terzo dei brani in programma all'Auditorium. Sul podio il navigato Sylvain CambrelingPubblico non oceanico, ma neanche di pochi intimi, anzi.  

Di Kurtág vengono presentate due opere, incastonate fra due di Franz Schubert, che apre il programma con la Quinta Sinfonia, in SIb maggiore. Sinfonia che è stata diretta qui meno di 2 anni fa dalla bacchetta del rampante Trevino e sulla quale ho scritto allora qualche nota esplicativa.

Cambreling – gesto secco e, almeno apparentemente, preciso – ne dà una lettura più settecentesca che romantica, forse per prepararci adeguatamente ai due brani di Kurtág…
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Così, dopo le note serene - pur velate da screziature crepuscolari - di Schubert, eccoci di fronte a quelle assai problematiche di Kurtág, del quale ascoltiamo dapprima uno dei tanti Messages, quello abbozzato nel 98-99 e poi rivisto nel 2009: New Messages, op. 34a. Si tratta di sette aforismi musicali: 1. Caliban e il sogno di Miranda; 2. Ombre (questi due brani ricompaiono in ordine inverso e in varianti come ultimi due pezzi); 3. Dal profondo bisogno (messaggio a Madeleine Santchi); 4. Les Adieux alla maniera di Janáček (in memoria di Diego von Westerholf); 5. Messaggio a Zoltán Peskó. E proprio il direttore che passò anni e anni a Milano (con l’Orchestra RAI) fu protagonista della prima esecuzione con i Berliner (commissionari dell’opera) nel 2000.   

Si tratta di sette aforismi musicali, di cui i primi due ricompaiono in ordine inverso e in varianti come ultimi due pezzi:

1. Sogno di Miranda (circa 2’30”). Atmosfere languenti dei fiati (corni in primis) e interventi improvvisi delle percussioni, per questo richiamo shakespeariano;

2. Ombre (circa 1’05”). Dichiaratamente ispirato allo scherzo della settima maleriana (schattenhaft, appunto): protagonisti i contrabbassi con sordina, che suonano veloci terzine, soprattutto discendenti, supportati da arpa, timpani e da colpi di frusta; poi isolate irruzioni degli ottoni;

3. Dal profondo bisogno (circa 1’25”). Poderoso richiamo di trombe e tromboni, poi raggiunti da corni e percussioni; silenzio rotto poi da due interventi isolati del flauto, su un tappeto sonoro di fiati, percussioni e archi;  

4. Les Adieux alla maniera di Janáček (circa 5’20”). Atmosfera misteriosa, quasi liquida (celesta, cimbalom e percussioni leggere); irruzioni di grancassa;

5. Messaggio a Zoltán Peskó (circa 1’10”). Brano agitato e nervoso, tutto scatti, chiuso dall’intera orchestra con due terzine e una poderosa croma;

6. Ombre - 2 (circa 1’40”). In questa ripresa c’è più presenza dell’orchestra (altri contrabbassi, arpa e percussioni) a rinforzare la corposità del suono;

7. Sogno di Miranda - 2 (circa 2’50”). Questa variante è scritta per soli archi (un unico fugace intervento di timpani e piatti) ed effettivamente pare più sognante della prima… 

Che dire: musica più da subire che da capire? Applausi, di cortesia?
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Nel secondo brano Kurtág mette in musica lo straniante e straniato poema di Samuel Beckett: What is the Word (op.30b, orchestrazione dell’originale op.30a per pianoforte) che Claudio Abbado portò alla luce a Vienna domenica 27 ottobre del 1991, con la voce di Ildikó Monyók, l’attrice-cantante ungherese la cui disavventura di anni prima (perdita totale della voce, poi faticosamente recuperata) aveva guidato il compositore verso il poema di Beckett (il quale a sua volta e curiosamente, anni addietro e prima del caso Monyók, aveva scritto un dramma - Not I - proprio sull’esperienza di una donna che perde la voce e poi la recupera miracolosamente ad anni e anni di distanza). 

Il testo di Beckett viene affidato (in traduzione magiara) alla voce recitante, che in realtà deve emettere suoni (notati sulla partitura in chiave di violino) con una tessitura di contralto profondo, che spazia due ottave e mezza, da un DO# ultra-grave al FA#: è qualcosa di simile, ma più evoluto dello Sprechgesang di schönberghiana memoria. Con essa interagiscono (nell’originale inglese) le voci cantanti (tutte 5 le tessiture). Ecco le due versioni del testo più la traduzione italiana:

What is the Word
Samuel Beckett
Cos’è la parola
trad. Ada Ferianis
Mi is a szó
trad. István Siklós
what is the word -
folly -
folly for to -
for to -
what is the word -
folly from this -
all this -
folly from all this -
given -
folly given all this -
seeing -
folly seeing all this -
this -
what is the word -
this this -
this this here -
all this this here -
folly given all this -
seeing -
folly seeing all this this here -
for to -
what is the word -
see -
glimpse -
seem to glimpse -
need to seem to glimpse -
folly for to need to seem to glimpse -
what -
what is the word -
and where -
folly for to need to seem to glimpse
   what where -
where -
what is the word -
there -
over there -
away over there -
afar -
afar away over there -
afaint -
afaint afar away over there what -
what -
what is the word -
seeing all this -
all this this -
all this this here -
folly for to see what -
glimpse -
seem to glimpse -
need to seem to glimpse -
afaint afar away over there what -
folly for to need to seem to glimpse
   afaint afar away over there what -
what -
what is the word -
what is the word
cos’è la parola -
follia -
follia per -
per -
cos’è la parola -
follia da questo -
tutto questo -
follia da tutto questo -
dato -
follia dato tutto questo -
vedendo -
follia vedendo tutto questo -
questo -
cos’è la parola -
questo questo -
questo questo qui -
tutto questo questo qui -
follia dato tutto questo -
vedendo -
follia vedendo tutto questo questo qui -
per -
cos’è la parola -
vedere -
scorgere -
sembrare scorgere -
avere bisogno sembrare scorgere -
follia per avere bisogno sembrare scorgere -
cosa -
cos’è la parola -
e dove -
follia per avere bisogno sembrare scorgere
     cosa dove -
dove -
cos’è la parola -
là -
laggiù -
via laggiù -
lontanamente -
lontanamente via laggiù -
languidamente -
languidamente lontanamente via laggiù cosa
cosa -
cos’è la parola -
vedendo tutto questo -
tutto questo questo -
tutto questo questo qui -
follia per vedere cosa -
scorgere -
sembrare scorgere -
avere bisogno sembrare scorgere -
languidamente lontanamente via laggiù cosa
follia per avere bisogno sembrare scorgere
 languidamente lontanamente via laggiù cosa
cosa -
cos’è la parola -
cos’è la parola
mi is a szó -
hiábavaló -
hiábavaló nak hoz -
nak hoz -
mi is a szó -
hiábavaló ettől -
mindettől -
hiábavaló mindettől -
adott -
hiábavaló adva mindettől -
látnivaló -
hiábavaló látni mindezt -
ezt -
mi is a szó -
ez ez -
ez ez itt -
mindez ez itt -
hiábavaló adva mindettől -
látva -
hiábavaló látni, mindezt itt -
nak hoz -
mi is a szó -
látni -
pillantani -
pillantani tűnni -
szükség pillantani tűnni -
hiábavaló szükség pillantani tűnni -
mi -
mi is a szó -
és hol -
hiábavalónak hoz szükség pillantani tűnni
   mi hol -
hol -
mi is a szó -
ott -
odaát -
odébb odaát -
távol -
távol odébb odaát -
eltűnő -
eltűnő távol odább odaát mi -
mi -
mi is a szó -
látni mindezt -
mind ezt ezt -
mind ezt ezt itt -
hiábavaló nak hoz látni mi
pillantani -
pillantani tűnni -
szükség pillantani tűnni -
eltűnő távol odább odaát mi -
hiábavaló nak hoz szükség pillantani tűnni
     eltűnő távol odább odaát mi -
mi -
mi is a szó -
mi is a szó

Gli strumenti sono quasi tutti dislocati remotamente, in ogni lato della galleria, mentre sul palco stazionano il violino (la spalla Dellingshausen), il pianino suonato da Csaba Kiraly, l’arpa di Elena Piva, la celesta (Carlotta Lusa), il cimbalom (Bruno De Souza Barbosa), oltre al direttore (che per evidenti ragioni è rivolto verso la sala) e la voce recitante di Gerrie de Vries, cantante-attrice, proprio come l’ispiratrice dell’opera. Le 5 voci che contrappuntano quella recitante (l’ensemble Il Canto di Orfeo guidato da Gianluca Capuano, ben noto in Auditorium per i suoi contributi alle esibizioni de laBarocca) dovrebbero disperdersi in mezzo al pubblico, ma qui sono invece concentrate sul fondo della platea, accanto ai timpani. 

Insomma, si tratta di un vero e proprio spettacolo di teatro integrale, dove i suoni arrivano da ogni dove, mentre ciò che si canta o si declama è un perenne domandarsi su cosa sia la parola, ma non solo: cosa sia il guardare, il cercare di vedere, di scorgere; insomma un continuo girare a vuoto in cerca di risposte a domande che risposte non trovano.

Di sicuro l’effetto è… interessante, quanto inconsueto (almeno per l’Auditorium) è lo scenario. E il pubblico mi pare mostrare almeno interesse, appunto, non lesinando applausi per tutti.  
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Dopo questi due piatti francamente un po' ostici da digerire, si chiude - meno male! - ancora con Schubert e la sua Incompiuta.

Cambreling qui mi sembra (correttamente) proporre uno Schubert più corposo e problematico, rispetto alla Quinta iniziale: mettendo in evidenza la profondità dei temi e non risparmiandosi di calcare la mano dove necessario. Quindi ripetute chiamate e gran successo per lui e i ragazzi. 
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PS. La prossima settimana vedrà compiersi uno degli eventi cardine in ricordo della fondazione dell’Orchestra: tre concerti in cui verrà eseguita l’integrale sinfonica di Ciajkovski, diretta da Flor.

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