Jader Bignamini ormai si
lancia persino in Wagner: nell’ottavo
concerto stagionale dirige tre preludi e ouverture del
genio di Lipsia, prima di affrontare il Brahms
più inflazionato, quello della prima. Certo, lui ha il vantaggio di aver per anni fatto (da
assistente di Xian) il preparatore
dell’Orchestra, e tutta questa musica l’ha già studiata a fondo con i ragazzi,
con i quali è praticamente in simbiosi.
In Wagner mi è
parso che la partenza sia stata piuttosto... diesel, come dire: il Preludio dei Meistersinger era preciso nell’agogica ma non perfettamente
equilibrato nelle dinamiche, con eccessivo peso dei fiati e una certa
pesantezza di suono. Un’esecuzione che magari sarebbe piaciuta ai tempi del
nazismo, ecco (detto senza alcun intendimento denigratorio o ideologico, sia
chiaro).
Ma già dal Lohengrin l’atmosfera cambia parecchio:
Bignamini va addirittura oltre Wagner nella divisione
dei violini, facendo entrare Santaniello
a battuta 5 anzichè alla 2, così arricchendo l’effetto di iridescenza di questa
straordinaria pagina (farà lo stesso al termine del Preludio). Poi è quasi
perfetto il lento crescendo di suono che porta (dal LA di impianto) al RE
maggiore sul quale esplode lo Höhepunkt
del brano, in fortissimo, con il
duplice schianto di piatti, prima del lento ritorno all’argenteo suono dei violini
che chiude il Preludio.
Infine il Tannhäuser originale (Dresda, 1845,
non quello tristanizzato per Parigi,
1861): qui tutti si sono superati, il Direttore con una scansione agogica quasi
perfetta e i ragazzi (tutti, ma una particolare menzione meritano i violoncelli
di Scarpolini e i tromboni di Rizzotto) che hanno portato alle stelle
l’entusiasmo del pubblico.
___
Ecco infine la Prima di Brahms. Terreno anche questo assai
impegnativo per un Direttore, che si deve confrontare con 140 anni di
interpretazioni. Ma Bignamini mostra ormai piena maturità anche di fronte a
questo repertorio e ne cava un’esecuzione del tutto convincente, a partire dall’Allegro del movimento di apertura, dove
rispetta scrupolosamente anche il da-capo
dell’esposizione (cosa che molti interpreti non fanno, pensando così di dare
più nerbo alla sinfonia) senza per questo far cadere la tensione che lo permea;
affrontando il successivo Andante
sostenuto con delicatezza, ma senza languori fuori posto (anche Santaniello
espone il suo recitativo con grande nobiltà scevra da gigionerie); il terzo
movimento è tutto mantenuto nei limiti dell’idilliaco, senza creare
discontinuità fra le tre sezioni di questa specie di Lied; nel Finale si distingue subito il grande e passionato canto del corno alpino (qui Amatulli praticamente perfetto) mentre nell’Allegro non troppo Bignamini si prende anche un paio di libertà
(leggi: scarti di tempo) che gli si possono perdonare a fronte dell’effetto
trascinante che hanno sull’ascoltatore.
Quindi, un trionfo sottolineato da
numerose chiamate e applausi ritmati, in un Auditorium gremito come nelle
migliori occasioni.
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