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27 febbraio, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°8


Jader Bignamini ormai si lancia persino in Wagner: nell’ottavo concerto stagionale dirige tre preludi e ouverture del genio di Lipsia, prima di affrontare il Brahms più inflazionato, quello della primaCerto, lui ha il vantaggio di aver per anni fatto (da assistente di Xian) il preparatore dell’Orchestra, e tutta questa musica l’ha già studiata a fondo con i ragazzi, con i quali è praticamente in simbiosi.

In Wagner mi è parso che la partenza sia stata piuttosto... diesel, come dire: il Preludio dei Meistersinger era preciso nell’agogica ma non perfettamente equilibrato nelle dinamiche, con eccessivo peso dei fiati e una certa pesantezza di suono. Un’esecuzione che magari sarebbe piaciuta ai tempi del nazismo, ecco (detto senza alcun intendimento denigratorio o ideologico, sia chiaro).

Ma già dal Lohengrin l’atmosfera cambia parecchio: Bignamini va addirittura oltre Wagner nella divisione dei violini, facendo entrare Santaniello a battuta 5 anzichè alla 2, così arricchendo l’effetto di iridescenza di questa straordinaria pagina (farà lo stesso al termine del Preludio). Poi è quasi perfetto il lento crescendo di suono che porta (dal LA di impianto) al RE maggiore sul quale esplode lo Höhepunkt del brano, in fortissimo, con il duplice schianto di piatti, prima del lento ritorno all’argenteo suono dei violini che chiude il Preludio.      

Infine il Tannhäuser originale (Dresda, 1845, non quello tristanizzato per Parigi, 1861): qui tutti si sono superati, il Direttore con una scansione agogica quasi perfetta e i ragazzi (tutti, ma una particolare menzione meritano i violoncelli di Scarpolini e i tromboni di Rizzotto) che hanno portato alle stelle l’entusiasmo del pubblico.
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Ecco infine la Prima di Brahms. Terreno anche questo assai impegnativo per un Direttore, che si deve confrontare con 140 anni di interpretazioni. Ma Bignamini mostra ormai piena maturità anche di fronte a questo repertorio e ne cava un’esecuzione del tutto convincente, a partire dall’Allegro del movimento di apertura, dove rispetta scrupolosamente anche il da-capo dell’esposizione (cosa che molti interpreti non fanno, pensando così di dare più nerbo alla sinfonia) senza per questo far cadere la tensione che lo permea; affrontando il successivo Andante sostenuto con delicatezza, ma senza languori fuori posto (anche Santaniello espone il suo recitativo con grande nobiltà scevra da gigionerie); il terzo movimento è tutto mantenuto nei limiti dell’idilliaco, senza creare discontinuità fra le tre sezioni di questa specie di Lied; nel Finale si distingue subito il grande e passionato canto del corno alpino (qui Amatulli praticamente perfetto) mentre nell’Allegro non troppo Bignamini si prende anche un paio di libertà (leggi: scarti di tempo) che gli si possono perdonare a fronte dell’effetto trascinante che hanno sull’ascoltatore. 

Quindi, un trionfo sottolineato da numerose chiamate e applausi ritmati, in un Auditorium gremito come nelle migliori occasioni.             

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