Fra gli eventi concertistici del 15-16 alla Scala spicca
la presenza di tre mostri sacri della direzione: dopo aver ammirato ed
applaudito l’88enne Herbert Blomstedt
in novembre, ed in attesa di ritrovare (22 febbraio) il quasi 92enne Georges Prêtre, in questi giorni ci si può godere
il venerabile Bernard Haitink (87 primavere fra un mesetto, e
ben portate se è vero che il vegliardo si è ben guardato dall’usare la sedia
che gli era stata sistemata sul podio...) che ci dà la sua lettura di uno dei più preziosi
monumenti della musica di tutti i tempi: Ein deutsches Requiem. Opera con la quale il
Maestro fiammingo si è ovviamente cimentato in più occasioni, una delle quali è questa con i Wiener.
Ma con il Requiem si sono ovviamente cimentati tutti i Direttori, ed ognuno ne ha dato la sua personale interpretazione. A puro titolo di curiosità (e considerando solo 10 delle più di 20 edizioni integrali rintracciabili solo su youtube) ho messo a confronto i tempi di esecuzione di diversi interpreti, elencandoli in ordine di durata complessiva netta crescente (per semplicità ho indicato soltanto i minuti, arrotondando per eccesso o difetto):
interprete
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tot
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I
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II
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III
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IV
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V
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VI
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VII
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59
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9
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12
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8
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4
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6
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10
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10
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63
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9
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13
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10
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5
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7
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10
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9
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69
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10
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14
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9
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5
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7
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12
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12
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72
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10
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15
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10
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6
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7
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12
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12
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73
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11
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16
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10
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5
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8
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11
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12
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75
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11
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15
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11
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6
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8
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12
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12
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75
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12
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16
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10
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5
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9
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11
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12
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77
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12
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16
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11
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7
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7
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11
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13
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80
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13
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16
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11
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6
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9
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12
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13
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86
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14
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16
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12
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6
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9
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14
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15
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Come si può
notare, la durata delle esecuzioni si dispone ai lati opposti della media
ponderata (73 minuti, Gergiev). Ai
due estremi si trovano il rapido Masur,
che non arriva all’ora (19% sotto la media), e il sostenutissimo Celibidache, che la tira in lungo per
quasi un’ora e mezza (+18% sopra la media!) Walter e Gatti sono fra i veloci,
Sinopoli e Furtwängler fra i lenti.
Va da sè che
queste considerazioni sulla durata lasciano sempre il tempo che trovano, dato
che ciascun interprete ha il diritto-dovere di... interpretare per l’appunto la
volontà espressa dal compositore con simboli e note sulla partitura (però
interpretare non significa... inventare). Nel caso specifico manca anche ogni
indicazione di metronomo (che Brahms
ha sempre omesso nei lavori sinfonici, suggerendolo per lo più nei concerti
solistici) e a maggior ragione perciò si possono dare differenze così profonde
nell’approccio dei vari Direttori all’agogica
dell’opera.
Per fare un
esempio estremo, evidentemente l’indicazione Ziemlich langsam und mit Ausdruck (Piuttosto adagio e con
espressione) che Brahms ha vergato in testa al numero di apertura (Selig sind, 158 battute in 4/4 senza
alcun cambio di tempo) è stata interpretata in modo diametralmente opposto da
Masur (8’55”, equivalenti ad un metronomo di 71 semiminime, quasi più spedito
di un Andante) e da Celibidache
(13’35”, equivalenti ad un metronomo di 47 semiminime, un Adagio molto, il che rende il brano – per me – addirittura insostenibile!)
La conclusione che si può trarre è che ci troviamo di fronte a quelli che in
politica si chiamerebbero opposti
estremismi, due quasi antipodiche visioni del mondo: la prima che guarda
alla vita e alla morte quasi con baldanza, con accenti eroici; l’altra che si
adagia in una mistica contemplazione e anticipazione dell’eternità. Potremmo
dire che la prima presenti un approccio occidentale,
razionalista-illuministico (tipico di un individuo con la biografia di Masur); e
che la seconda si richiami a filosofie orientali
(e non a caso, date le personali attitudini di Celibidache).
Il nostro Haitink – come molti altri Direttori del
resto - sta quasi al centro, ed anche ieri sera non si è smentito, registrando precisamente
un totale netto di 75 minuti (12+15+10+6+7+13+12, tempi rilevati sommariamente).
A parte però la durata, che è una componente importante, ma non certo l’unica
di una interpretazione, il vegliardo tulipano ha saputo cavar fuori dai
filarmonici scaligeri e dal coro di Casoni
un Requiem memorabile, sotto tutti gli aspetti (positivi e non): dal misterioso attacco del Selig sind (il pedale introduttivo dei
corni in pianissimo ha avuto un che
di... tombale) al pesante strascicarsi di Denn
alles Fleisch, per il quale non per nulla Brahms dà l’indicazione di Marschmässig (letteralmente: moderatamente
marciando) fino alla colossale fuga che
chiude il sesto numero (Herr, du bist würdig)
che Haitink ha fatto declamare con una prosopopea, un’enfasi e una proterva retorica spinte
al limite della sopportazione.
Il coro si è
superato (Haitink
gli deve aver cavato anche l’ultimo fil di fiato!) mentre note poco esaltanti vengono dai due solisti (meno
male che hanno parti quantitativamente circoscritte): appena passabile la Camilla
Tilling, ma direi deludente la prova di Hanno Müller-Brachmann, che mi è parso
proprio fuori ruolo, come dire,
rispetto ai due interventi che lo riguardano (e anche l’intonazione mi ha
lasciato perplesso).
Ad ogni buon conto il successo è stato pieno e costellato da parecchi bravo! (epiteti che il Maestro
peraltro disdegna forse più dei buh!)
Ma in fin dei conti è stata una specie di meneghino oscar alla carriera, che il successore di Mengelberg (hai detto nulla!) e VanBeinum
sul podio del glorioso Concertgebouw si
merita ampiamente. E non solo per le sue imprese musicali, ma per la sua straordinaria
umanità e semplicità; che già mostrava quando - lo ricordo come fosse ieri, allora
50enne, in un concerto con la prima
di Brahms nella londinese RFH – lo vidi ed ascoltai per la prima volta dal vivo. E per
questo gli dico: grazie, Bernard!
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